Commenti disabilitati su COSA VOGLIONO LA UE, LA LEGA E IL M5S, ovvero a cosa servano i fondi pubblici? Giugno 6, 2019

(Con la speranza di provocare una ribellione intellettuale e sociale « pacifica, civile e costruttiva » contro questo kow-tow nazionale che ci riporterà almeno 73 anni in dietro, cioè prima del 1946.)

Per il presentimento della negazione della negazione, Guccini, Quello Che Non, https://www.youtube.com/watch?v=2CPac2SXBo4

Dipinto dal grandissimo maestro Rosario Foglia di San Giovanni in Fiore (CS)

« Ognuno di noi è responsabile del suo prossimo » Cristiani dei primi tempi pitagorici non lontani da Riace

« Arrivare a patti con la Commissione o subire la procedura di infrazione dentro lo stesso paradigma socio-economico non cambia niente al disastro subito; tanto vale riprendersi la libertà di ritornare alla scienza ed alla razionalità socio-economica. » la Voce della Ragione

« Faremo le riforme strutturali con la Commissione! Creeremo lavoro con la flat tax! Ma intanto adotteremo il decreto Sicurezza-Immigrazione bis in caso i lavoratori domestici e stranieri non lo comprendessero! Abbasseremo drasticamente la popolazione italiana per ridurre la disoccupazione e conquisteremo Roma ! E Napoli! » il Nuovo Re Ubù

« Si!Si! Faremo i nuovi voucher con il salario minimo orario a zero ore a tempo determinato, e daremo così a tutte.i la dignità « cittadina » pentastellata. » il Piccolo Bougrelas.

« Picciotti, badate bene al nudging da strumentalizzare con le fake news per incrementare l’ansia degli Italiani per portarli ”una volta ancora ” lì do non vogliono andare » La Madre Ubù alias Pifferaio Bannon

“Salvini con il rosario mi dà un senso di vomito, 5S politicamente nessuno. Nel Pd non vedo idee” Andrea Camillieri ” https://video.repubblica.it/politica/la-versione-di-camilleri-salvini-con-il-rosario-mi-da-un-senso-di-vomito-5s-politicamente-nessuno-nel-pd-non-vedo-idee/337059/337655?ref=RHPPBT-BH-I228606643-C4-P12-S1.4-T1

« Il ritorno ai diritti fondamentali individuali e sociali sanciti dalla nostra Costituzione sono le uniche e urgenti ” riforme strutturali ” da fare ». Comitato Cittadino per il Lavoro Dignitoso, San Giovanni in Fiore (cs)

« Appello tutte le forse vive della nostra Nazione, in particolare il mondo artistico, i lavoratori, i disoccupati e i pensionati a sconfiggere questa messa sotto tutela reazionaria del nostro Paese » Paolo De Marco, cittadino italiano.

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Indice

Preludio

Debito pubblico totale e debito pubblico al senso di Maastricht

Introduzione

Rapporto della Commissione e benchmark per la riduzione annua di 1/20 del debito

La logica dell’austerità e il caso emblematico della messa sotto tutela permanente della Grecia

Cosa insegna il caso greco all’Italia, possibile Magna Grecia?

Equivalenza ricardiana o stimulus pubblico, Riduzione del tempo di lavoro e credito pubblico

A cosa servono i fondi pubblici?

Riassunto reattivo del 18 giungo 2019

Preludio

Il Rapporto della Commissione della UE del 5 giungo 2019 annuncia una première, l’inizio della procedura d’infrazione contro l’Italia per « la non-conformità particolarmente grave » con le regole del Fiscal Compact. La Commissione ci rinfaccia la violazione dei Criteri di Maastricht per il deficit – massimo del 3 % del PIL – e per il debito – massimo 60 % del PIL – chiedendoci di abbassare tendenzialmente il debito pubblico da 1/20 fine a raggiungere il Criterio di Maastricht del 60 %. (1) Imperturbabilmente, i Dottori Diafoirus europei continuano a prescrivere il salasso al malato esangue. Si può già predire la reazione del solito coro dirigenziale e mass mediatico con tanto di gargarismo generico sull’Europa senza una mezza parola profferita sul nostrale Articolo 81, che impone un ferreo equilibrio di bilancio, ed sul suo corollario locale, l’Articolo 97…

Mesi fa, quando si poteva ancora sperare in una modica spinta progressista del M5S, ero d’avviso che un governo europeo responsabile poteva benissimo scegliere di pagare l’eventuale penalità per infrazione del 0.2 % del PIL, una procedura lentissima, a patto di presentare una legge finanziaria triennale di rottura realmente progressista e rigorosa, unica speranza per risanare i conti nazionali ritornando a rispettare la Costituzione nei suoi principi cardini, economia mista, tutela dell’interesse nazionale e dell’utilità sociale, tutela del credito nazionale, in particolare il necessario credito pubblico e diritto al lavoro dignitoso ed alla solidarietà nazionale con autentici sistemi di previdenza e di assistenza sociali di accesso universale.

Questa scelta avrebbe creato una situazione nuova all’interno della UE e della Zona Euro forzando gli altri paesi membri a negoziare una modifica, economicamente e socialmente salutare, ai trattati vigenti. In questa offensiva diplomatica l’Italia, uno dei tre grandi paesi fondatori della UE, avrebbe avuto più appoggio di quanto si possa credere. Intanto, in tre anni di legge finanziarie rigorose e socio-economicamente progressiste, la nostra contabilità nazionale, come pure il nostro sistema paese, sarebbero rinati.

Oggi, le cose si presentano in modo più limpido: il Fiscal Compact non fu mai trascritto in legge alla fine del 2018 rendendolo perciò nullo e non avvenuto. E dunque difficile immaginare un Consiglio europeo aprire legalmente una procedura di infrazione. Sarebbe un golpe intollerabile e senza avvenire. Tutt’al più dimostrerebbe, « una volta ancora », la subalternità trasversale dei nostri dirigenti, incluso i vari spaccamonti nostrali, che esibiscono in TV la maschera guerresca della sicurezza – tipo Codice Rocco – e della xenofobia malthusiana più volgare, allorché, come nella favola, anche i bambini potrebbero esclamarsi « Vedi, vedi! Hanno già calato le braghe! » « E pure i cozunielli! » aggiungono i Calabresi.

E pure vero che la destra dura, cosiddetta sovranista e populista, non ha ottenuto la maggioranza al Parlamento di Strasburgo alle ultime elezioni di maggio 2019, ma il suo prevedibile kow-tow al Fiscal Compact datava da prima. Basta guardare i punti maggiori del programma governativo:

a ) Sicurezza/immigrazione, un testo che esibisce un pericoloso ma emblematico amalgama così che il Presidente della Repubblica fu obbligato aggiungere una lettera restringendone l’interpretazione nel rispetto della Costituzione e dei Trattati internazionali, incluso dunque la Legge del Mare.

b ) Sicurezza bis, in preparazione e ovviamente a-costituzionale, anche sotto il rapporto della libertà di associazione e della libertà di espressione.

c ) Autonomie regionali nel quadro del federalismo competitivo e differenziato, ovviamente a-costituzionale e già ripudiato dal referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 con 59 % dei voti. (Vedi Categoria Costituzione in http://rivincitasociale.altervista.org )

d ) La Flat tax, rovinosa e a-costituzionale. Si tratta di una versione « italiana » della teoria del « trickle down » che l’economista John Galbraith definiva senza mezzi termini così: « It is horseshit: it is like feeding the horses to feed the birds. ». In effetti, i 99 % di questa vera Animal farm sono sempre più impoveriti. La Costituzione sancisce tasse progressive. In quanto meccanismo di rilancio dell’attività economica e di creazione di lavoro, questo ingente spreco iniziale di 40 o 50 miliardi di euro annui – per ora senza coperture e dunque illegale, non agli occhi della UE, ma bensì dell’Articolo 81 della nostra Costituzione – avrà solo uno effetto di crescita sulla speculazione. Non ridurrà affatto il costo di produzione, dunque non aumenterà la competitività delle nostre aziende. Per questo servirebbe tutt’altro. Ad esempio, tasse pagate sulle ricette effettive dell’anno e non su quelle dei mesi prima; pagamento in tempo dei fornitori dalla PA; accesso agevolato al credito pubblico con casse di risparmio senza scopo di lucro; creazioni obbligatorie di tavoli tecnici riunendo tutti gli Enti implicati in dati progetti col scopo di coordinare le loro attività nel rispetto dei loro mandati rispettivi in modo da ridurre i tempi biblici di attuazione dei stessi; in effetto, questo compito di coordinamento accelerato potrebbe essere conferito alla provincie; modernizzazione delle Standard Operating Procedures se non altro per responsabilizzare i dirigenti rendendo più trasparenti le procedure opache della nostra PA; creazione di una agenzia nazionale di consiglio per affiancare la modernizzazione del nostro tessuto industriale economico frammentare – 90 % delle imprese con meno di 10 operai; crescita della Ricerca e Sviluppo pubblica anche con la creazione di tecnopoli ben ripartiti nelle nostre città metropolitane, il che implicherebbe una pianificazione almeno strategica; ruolo diplomatico attivo del nostro Paese a favore di una nuova definizione dell’anti-dumping capace di proteggere almeno il salario differito e la tax area su busta paga, dato la corrente e devastatrice guerra dei dazi lanciata da Donald Trump, ecc..

e ) Lo sblocca cantieri, secondo me necessario, ma oggi fatto premiando inevitabilmente l’illegalità e la corruzione – tipo Expo di Milano o Mosè veneto ? – senza nemmeno prevedere degli audit trimestrali o semestrali indipendenti. Questi, se non potranno impedire le infiltrazioni mafiose, potranno almeno vietarci la folle inflazione dei costi, la quale ricade inevitabilmente sulle spalle dei cittadini contribuenti

f ) Il Decreto crescita con tante misure che agevolano ancora gli investitori privati senza tenere minimamente conto della necessaria creazione di cooperative e enti pubblici, sopratutto nelle regioni svantaggiate e nelle regioni montane, come d’altronde recita l’Articolo 44 della Costituzione..

g ) Il continuo e oneroso salvataggio delle banche, incluso con la detrazione a 100% dell’accantonamento – provisioning -, e con le illusioni dei Mini-bot

h ) L’aumento del salario minimo orario, certo valido in situazione di pieno impiego con contratti a tempo indeterminato ma senza senso nel contesto della precarietà dilagante attuale con un DEF 2019 che dimezza i già magrissimi aumenti dei salari nella PA senza ripristinare i meccanismi della concertazione sociale assieme al rispetto dei contratti nazionali e della democrazia industriale, sociale ed economica.

Abbiamo già capito che mentre si passerà sotto le forche caudine della UE, anche con un Fiscal Compact ormai legalmente obsoleto, si utilizzerà la solita fraseologia volgare e demagogica per fare passare questo programma, non tanto di parte quanto a-costituzionale nella lettera e più ancora nello spirito. Se questo succederà, sarà solo l’inizio. In linguaggio colorito si tratterà di un governo Tsipras diretto da Alba Dorata, « o più correttamente Lega Popolare-Alba Dorata ».

Debito pubblico totale e debito pubblico al senso di Maastricht

Siamo tutti ipnotizzati con il debito pubblico e in Italia a giusta ragione dato che il suo finanziamento ci costa oggi tanto quanto l’intero sistema di educazione nazionale. Rimane la tragedia – nel senso etimologico – giocata oggi sotto la minaccia dell’apertura della procedura di infrazione contro l’agnello sacrificale italiano. Siamo rimandati alla farsa del 0.04 sostituito ad un 0.4 del DEF e a quella di una riduzione di – 0.6 del debito strutturale nel 2019 al prezzo del blocco totale delle spesse pubbliche nette e al prezzo di nuovi tagli e privatizzazioni. E puro autolesionismo; non ha proprio niente a che fare con una teoria e una pratica economica minimamente sana in un paese civilizzato.

Importa pero sottolineare che la logica delle leggi finanziarie di stampo neoliberali monetariste e quella della Commissione europea sono fondate sulla definizione del debito secondo il Trattato di Maastricht con alcune lacune – strumenti derivati e prestiti – e con alcune eccezioni – spese calcolabili secondo i criteri di Maastricht ma non contabilizzate, ad esempio quelle destinate alla ricerca e innovazione oppure a certi investimenti ma solo per alcuni paesi considerati « virtuosi ». Vi sono pure alcune variazioni transitorie, cioè i margini di flessibilità previsti per eventi eccezionali o una tantum. « Il debito pubblico è quindi pari al valore nominale di tutte le passività lorde consolidate delle amministrazioni pubbliche (amministrazioni centrali, enti locali e istituti previdenziali pubblici). Il debito è costituito da biglietti, monete e depositi, titoli diversi dalle azioni, esclusi gli strumenti finanziari derivati, e prestiti. » https://it.wikipedia.org/wiki/Debito_pubblico#Il_debito_pubblico_in_Italia .

Al contrario dei Stati Uniti, il debito pubblico nella UE include il finanziamento del sistema di previdenza e di assistenza. Ma non include, ad esempio, i debiti fuori bilancio. In oltre, la Commissione europea rimane abbastanza flessibile purché un governo sia pronte a sacrificare i beni comuni ed il suo interesse nazionale per portare avanti le sue predilette « riforme strutturali » neoliberali monetariste.

L’Italia ne sa qualcosa visto la flessibilità accordata vuoi per i terremoti, vuoi per gli afflussi di migranti. Altri paesi ci sanno fare meglio, ad esempio la Francia che mantiene fuori dai parametri di Maastricht una decina di miliardi annui per gli investimenti in ricerca e innovazione. Tra questi debiti fuori bilancio, la fetta maggiore va ai debiti della PA verso i suoi fornitori. E difficile stabilire la somma esatta dato il ciclo di vita delle imprese ma, oggi si aggira attorno a 65 o 70 miliardi di euro. Poco tempo fa, quando proposi di mediarlo tramite le banche con la garanzia della Cassa di depositi e presti si aggirava attorno a 90 miliardi. L’idea era di diminuire il « credit crunch » sulle nostre imprese per dare uno slancio all’economia. L’implementazione di questo concetto fu mal-condotta probabilmente perché la mediazione bancaria trasformava questo trasferimento in debito secondo Maastricht. Oggi, si cerca un metodo per pagare i fornitori senza pesare sul totale del debito pubblico secondo Maastricht, cioè con i Mini bot come ben spiegato nella prima parte di uno articolo di Coniare rivolta. ( La Lega e la farsa dei Minibot (Prima parte), di Coniare Rivolta* http://contropiano.org/news/news-economia/2019/06/05/la-lega-e-la-farsa-dei-minibot-prima-parte-0116135. Seconda parte in La Lega e la farsa dei Minibot (Seconda parte), di Coniare Rivolta* http://contropiano.org/news/news-economia/2019/06/08/la-lega-e-la-farsa-dei-minibot-seconda-parte-0116209 )

Personalmente, non vedo proprio l’utilità dei Mini bot. Non perché sarebbero illegali dato che sistemi di pagamento non garantiti dallo Stato esistono già sulla base di un rapporto di fiducia reciproca. Per una impresa o un fornitore questi piccoli tagli in forma di Mini bot avranno molti svantaggi: non comportano nessuno interesse, cioè avranno un interesse negativo con l’inflazione attuale e creano in oltre una rigidità nel l’uso dei flussi di cassa – cash flow.

Questione: Si potrebbe diminuire il « credit crunch » che pesa sul nostro sistema con i Mini bot, cioè sostituirlo al credito pubblico? La risposta sarà negativa se non altro per le rigidità contabile indotta. Ma sopratutto perché questo tipo di uso diretto della leva del Tesoro è stato devoluto alla UE con la creazione della BCE. Il metodo più semplice rimane di lasciare la gestione della moneta alla BCE riprendendoci pero in parte il credito pubblico con la creazione di una banca pubblica, la quale utilizzerebbe una leva finanziaria media di 40 euro per 1 euro di capitale. In questo modo, con con due miliardi di euro di capitale finanziato in debito pubblico o in spesa prevista nella legge finanziaria, si avrebbe a disposizioni 80 miliardi di euro, cioè più del costo annuo del finanziamento del debito oggi attorno a 65 miliardi; il resto servirebbe al finanziamento degli investimenti, incluso la voce del co-finanziamento necessario per attingere ai fondi europei oggi sotto utilizzati. Sui 35 miliardi di fondi europei per il 2014-2020 solo un poco più del 4 % fu utilizzato e un poco più di 10 % progettato, e siamo già a giugno 2019!!! Si potrà così comprare il debito pubblico anno dopo anno, cancellandolo, prima i 32 % ancora in mano agli investitori stranieri e quella percentuale che piomba le nostre banche pulendone il bilancio senza aggravare il debito Target 2 che pesa già quasi 500 miliardi di euro. Si tratta di un debito vero e proprio e non come vorrebbero alcuni di uno semplice « jeu d’écriture ».

Questa manovra permetterebbe di abbassare rapidamente il debito pubblico liberando un margine budgetario per riabilitare e modernizzare il nostro Stato sociale con i suoi servizi pubblici, le sue infrastrutture pubbliche e le sue imprese strategiche pubbliche. A quello punto, con rigore ma senza austerità, tutto ridiventerebbe possibile, visto la riabilitazione della possibilità di intervento dello Stato.

Servirebbero i Mini bot per uscire dall’euro? Non vedo proprio come. Non solo perché il ritorno ad una moneta nazionale provocherebbe un attacco speculativo che il nostro governo non saprebbe sconfiggere anche perché servile al capitale speculativo globale ed alle sue teorie e pratiche consolidate. Mi sono già spiegato su questo problema nel mio articolo « Uscire dall’euro non serve, serve mettere fine al regime della cosiddetta banca « universale » (vedi in Download now, sezione livres-books di www.la-commune-paraclet.com )

L’esperienza della « gauche plurielle » al tempo del Primo Ministro Jospin dimostra che un governo con un programma sociale avanzato è de facto protetto dall’euro contro ogni attacco speculativo. A parte, quelli effettuati tramite i CDS dunque con lo spread. Questi CDS andrebbero aboliti per il debito pubblico dato che il corso legale della moneta e del credito – come pure i continui salvataggi bancari – rimangono monopolio statale. Oggi, dato che quasi i 2/3 del nostro debito sono in mani italiane (sulla struttura del debito pubblico al senso di Maastricht vedi: https://www.repubblica.it/economia/2018/05/29/news/chi_detiene_il_debito_pubblico_italiano_30_anni_di_cambiamenti-197562983/ ) non si capirebbe perché i nostri istituti finanziari si auto-lesionassero con CDS fuori luogo tali che valutati da agenzie di rating straniere.

(Sottolineo che le agenzie di rating presentano le loro valutazioni come soggettive per premunirsi contro eventuali azioni giudiziari; non di meno, gli investitori istituzionali sono obbligati a tenerne conto!!! Anni fa, avevo chiesto, in vano, la creazione di una agenzia di rating europea o al minimo italiana, la Cina, tra altri paesi, ebbe l’intelligenza di farlo.)

La chiave dell’indipendenza nazionale all’interno della Zona euro rimane nella distinzione teorica e pratica tra moneta – lasciata alla BCE mentre la politica determina la definizione delle inflazioni e in modo congiunto il tasso di scambio – e il credito. Quest’ultimo deve tornare ad essere tutelato dallo Stato come detta l’Articolo 47 della nostra Costituzione, e dunque deve ritornare ad essere almeno in parte pubblico. Si sottolinea che prima del 1981-1983 quando Bankitalia funzionava come una banca centrale pubblica, il peso del nostro debito rimase derisorio malgrado i sforzi finanziari domandati dalla ricostruzione del dopo-guerra e dal cosiddetto « miracolo economico italiano ».

« Benché il suo statuto fu sempre ambiguo, fino al 1983 Bankitalia operava come una banca centrale pubblica. Disciplinava il mondo bancario-finanziario determinando i tassi di interesse guida, modulando in questo modo la leva finanziaria e dunque i volumi di credito resi disponibili dalle banche private all’economia. Sopratutto, finanziava il debito statale in modo pubblico, cioè senza dovere accontentare azionari esteri con forti dividendi. Questo fece sì che dal 1945 fino al 1970, cioè durante gli anni della ricostruzione e poi del « miracolo economico italiano », il debito pubblico oscillò tra il 32% ed il 37 % del PIL. Nel 1973, con il drastico aumento del prezzo del petrolio indotto dai paesi dell’OPEP, e poi nel 1980, con la contro-riforma monetarista, il nostro debito pubblico ammontava ancora rispettivamente al 50 % ed al 56 % del PIL. Con la sua banca centrale controllata dal Tesoro, l’Italia fu capace di assorbire i cambiamenti finanziari e commerciali tettonici di quelli anni con relativa facilità » Non è più così sin dalla privatizzazione completa di Bankitalia. (vedi http://rivincitasociale.altervista.org/credito-debito-pubblico-tagli-golpe-costituzionale-24-febbraio-2019/ . Tutta la seria storica dal 1861 al 2015 è disponibile qui: https://umbvrei.blogspot.com/2015/06/italia-pil-e-debito-pubblico-dal-1861.html )

Il debito totale è molto più elevato del debito pubblico perché comprende pure il debito privato e quello delle famiglie. Al contrario, il patrimonio lordo non viene usualmente preso in linea di conto, se non nel quadro delle privatizzazioni a colpo di spending review. Il debito totale si aggira a un poco meno di 10 000 miliardi. Il nostro Paese è ricco e le sue ricchezza reali fanno gola a tutti quelli che hanno in mano montagne di carta straccia stampata in dollari o in euro. Vi ricorderete che con Renzi-Gutgeld si parlava di modificare il Capitolo V della Costituzione per centralizzare gli enti pubblici locali rendendoli più appetibili agli investitori privati, strategia seguita da l’attuale governo. Anche il Demanio è oramai in pericolo inclusi i siti archeologici e i musei. (Sull’esempio emblematico della gestione privata del Colosseo, vedi: http://rivincitasociale.altervista.org/il-ritorno-dellitalia-dei-ladri-qualunquisti-e-persecutori-il-caso-dei-musei/ )

In realtà, quando esistono i mezzi per finanziarlo, il debito è un segno di ricchezza ed un mezzo efficace per incrementarla. Intanto, da critico sin dall’origine della logica del sentiero di consolidamento fiscale ( http://rivincitasociale.altervista.org/debito-pubblico-sciocchezze-marginaliste-caso-italiano-3-marzo-2017/ ) ancorato sull’avanzo primario senza nessuno ritorno al credito pubblico per finanziare il debito pubblico e gli investimenti pubblici nelle imprese statali nazionali o locali, non vedo proprio la logica di quelli economisti tipo « Coniare rivolta » che considerano il saldo primario come una sottrazione penalizzante di risorse all’economia. Troppo facile. Il finanziamento del debito fa parte degli oneri dello Stato, non se ne può fare astrazione e non si può comunque pensare mantenere una crescita economica con deficit anno dopo anno. Peggio ancora, si tratta di una facilità puerile che impedisce di porre i veri problemi.

Che il nostro martoriato Paese sia ricco ma mal-governato, in effetti governato contro il suo popolo e contro i suoi interessi nazionali superiori, si evidenzia da molti fatti. Ne cito alcuni.

Prima la corruzione endemica, degna di un paese del Terzo Mondo secondo Transparency international che ci classifica al 53 posto su 180 paesi nel 2018 (https://www.transparency.org/country/ITA )

Secondo, dal lavoro al nero molto sottovalutato quando si stima al 12,6 % del PIL malgrado il cambio della contabilità nazionale all’interno UE nel 2014. (Vedi Sommerso e attività illegali in calo, ma valgono il 12,6% del PIL, in https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-10-11/istat-2015-sommerso-e-attivita-illegali-valgono-208-miliardi-126percento-pil-101937.shtml?refresh_ce=1 . Vedi pure Lavoro nero Italia 2018 | Eurispes | Usura, Il “fuori busta” per battere la crisi: l’esercito del lavoro nero che sfugge allo Stato, Pensionati, doppio lavoristi, immigrati e casalinghe: secondo l’Eurispes in totale sono 300 i miliardi di euro che sfuggono al controllo dello Stato. A cui aggiungere 156 miliardi di sommerso generati dalle imprese italiane. Intanto un italiano su dieci è vittima degli usurai, in http://www.today.it/economia/lavoro-nero-eurispes.html .)

Terzo dalle centinaia di miliardi di evasione fiscale stimata a gennaio 2018 tra 124 a 132 miliardi di euro annui (vedi  Evasione fiscale sempre più su, gli italiani mentono anche nelle statistiche, Ricerca dell’università Cà Foscari sul sito Senato alza di 5 miliardi le stime del mancato gettito che è tra i 124 e 132 miliardi di euro. Questo perché i contribuenti non dicono la verità sui propri redditi nemmeno nelle rilevazioni demoscopiche , in https://www.repubblica.it/economia/2018/01/20/news/fisco_con_la_sottodichiarazione_l_evasione_sale_a_132_miliardi-186910953/ )

Aggiungiamo gli altri centinaia di miliardi annui, attorno a 290 miliardi euro, di tax expenditures, cifra ottenuta quando si risale nel tempo della fiscalità neoliberale monetarista invece di guardare solo ai 70 o 90 miliardi che entrano nei parametri attuali. (Secondo la Corte dei conti, le spese fiscali – tax expenditures – passarono da 253,7 miliardi di euro nel 2011 a 313,1 miliardi nel 2016. Vedi la Tavola 9 intitolata LA CRESCITA DELLE AGEVOLAZIONI FISCALI: 2012-2016, pagine 98 del Rapporto della Corte dei conti del 2016. Da notare l’estrema ingiustizia regressiva di quasi tutte queste agevolazioni o crediti fiscali: spezzo vengono dedotte dal IRPEF, mentre la gran maggioranza dei focolari non ne paga o molto poco per causa di redditi derisori.)

Infine, e possibilmente in modo ancora più allarmante, tramite la frammentazione e la svendita al ribasso dei nostri gioielli nazionali – con tanti di Prodi all’ENI e altri parassitari capitani di industria – con la perdita di controllo nazionale del nostro apparato produttivo e di scambio. La posizione netta del nostro Paese rimane tutt’oggi molto allarmante malgrado la narrazione statistica contraria.

In effetti, Nella sua Relazione annuale del 2017 Bankitalia (maggio 2018) afferma che « La posizione patrimoniale netta sull’estero (PNE) dell’Italia ha registrato negli ultimi quattro anni un miglioramento assai significativo: il saldo debitorio è passato da -364 miliardi di euro alla fine del 2013 a -115 alla fine del 2017 (dal 22,7 al 6,7 per cento del PIL). Questo aggiustamento è stato determinato soprattutto dal surplus di conto corrente e conto capitale, il cui effetto cumulato nel quadriennio ha contribuito per il 60 per cento (150 miliardi) alla riduzione del passivo sull’estero. (figura A, pannello a)1. » (https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/relazione-annuale/2017/rel_2017.pdf#nameddest=miglioramento-posizione , p 137) Ma poco prima Bankitalia sottolineava l’amplificazione di Target 2 oggi stimato ad un poco meno di 500 miliardi di euro, un bel cappio al collo del nostro Paese creato dai salvataggi bancari operato dal Goldman and Sachs’s Boy Mario Draghi che alcuni ciechi paventato come un salvatore dell’Italia ma che, invece, ha permesso alle banche straniere tedesche, americane e in parte francesi vendere le loro obbligazioni italiane prima di subire un eventuale haircut come avvenne in Grecia! Si spiega così questo misterioso miglioramento.

Ma si possono guardare le cose sotto un angolo diverso, quello del controllo diretto straniero. Ammontava a 3,5 % del PIL o 281,323 milioni di euro nel 2014, investiti sopratutto nel Nord. « La maggior parte delle imprese estere che investono in Italia proviene dall’Europa occidentale (3.378) e dal Nord America (976), mentre il settore con il maggior numero di imprese con partecipazioni estere è quello del commercio all’ingrosso (33%), seguito dall’industria manifatturiera (29%). A livello territoriale è il Nordovest l’area che riceve il più alto numero di investimenti. Secondo la Cgia nel 2013, ultimo anno in cui i dati sono disponibili per ripartizione geografica, il vecchio triangolo industriale ha attirato il 65 per cento circa degli investimenti totali. Seguono il Centro (18,5% del totale), il Nordest (13,8%) e il Sud (2%). » (vedi https://www.borsaitaliana.it/notizie/sotto-la-lente/ide-228.htm )

Sembra incredibile ma oggi i neoliberali monetaristi piangono il fatto che il Paese non sia più capace di attirare molti investimenti diretti stranieri, solo perché senza il credito pubblico l’impressione di crescita viene dal andamento del conto corrente, cioè in questo caso nella bravura dei nostri capitani industriali e dei loro dirigenti a svendere i beni nazionali facendoli passare sotto bandiera straniera, oppure la loro capacità ad abbassare le importazioni – di consumo delle famiglie e di consumo produttivo – più del debole mantenimento delle esportazioni. Tenendo conto dell’effetto di cancellazione di Target 2 sulla posizione netta del nostro Paese si ottiene una visione più fedele anche se più drammatica della realtà. Una situazione che peggiorerà ancora se il nostro Paese accetta i rimedi cavallini prescritti dalla Commissione e dal FMI alla Grecia.

Introduzione

Eccoci dunque di nuovo costretti a prendere sul serio l’esercizio finanziario del governo e della Commissione europea, questionando la coerenza di numeri con decimali mentre sappiamo tutti come funziona questa contabilità neoliberale monetarista. E quella dello Stato minimo destinato a cedere il posto alla « governance privata globale » alla faccia della Costituzione che sancisce l’interesse nazionale, l’utilità sociale e la solidarietà nazionale. La logica delle tax expenditures o spese fiscali, che spariscono gentilmente dai radar una volta concesse, rivela il trucchetto: bisogna sempre ridistribuire preventivamente le eventuali ricette in eccedenza in modo da fare apparire un budget sempre sull’orlo del precipizio per legittimare la continuazione dell’austerità. In Italia, si aggiunge la grottesca Spada di Damocle della necessità di disinnescare l’aumento dell’IVA mentre le sue soglie sono già tra le più alte della UE. In effetti, visto le disuguaglianze basterebbe abbassare l’IVA sui beni di prima necessità e aumentarla per gli altri nello spirito della tassazione progressista repubblicana. A parte all’enormità di queste spese fiscali, basta poi guardare alle priorità governative nel effettuare tagli o conferire fondi ed esoneri al cuneo fiscale …

A questa pratica budgetaria che permane sin dagli anni 80, con la privatizzazione di Bankitalia, dunque quella del debito pubblico, va aggiunto la variante percepibile nel DEF del Ministro delle finanze Tria in accordo con Moscovici ed altri. In breve, esiste in economia la consapevolezza di quello che si chiama il « gap » sin da Keynes: le azioni governative, in particolare quelle del classico pump priming mettono al minimo tre mesi per concretizzarsi nell’economia tramite il Moltiplicatore. Ora, come denunciato da me in vano altrove, non solo il Ministro Tria non fece un budget espansivo nel 2018 ma concordò con Moscovici e la Commissione di abbassare il tiro. Tutti ricorderanno la pantomima del 2,4 % poi trasformato in 2,04 % con la promessa di una ventina di miliardi di tagli e di privatizzazioni per assicurare le coperture. Se non bastasse, per assicurarsi che la manovra fallirebbe nel suo impatto economico positivo e dunque rispetto alla maggiore crescita e alle maggiori entrate sperate, non si fece quasi nulla nei primi 6 a 8 messi del nuovo governo, mentre necessitava una rapida implementazione della Quota 100 e per il Reddito di cittadinanza, purtroppo ambedue drasticamente ridimensionati. Se non bastava, si decise di non aprire la porta a nuove assunzioni nella PA prima di novembre.

Con tutto ciò, il Ministero delle finanze vanta oggi ricette in crescita in gran parte dovute alla semplice adozione di riscossioni per via elettronica. Ironicamente persino l’ineffabile Mario Monti, il signore Anti-Trust ideato col solito « profiling » per smantellare dopo il Prodi dell’ENI il nostro sistema industriale-economico, ovviamente con l’aiuto di tanti altri, e poi fatto Presidente del Consiglio per straordinario intervento della Lettera di Trichet-Draghi, rivendica oggi l’effetto di sostegno economico indotto dei mal-fatti, iniqui e clientelari 80 euro in busta paga del liberista filo-semita nietzschiano Renzi ! (2)

La morale di questa storia è limpida e va letta in parallele con la speranza che fece nascere l’elezione di Syriza in Grecia di potere cambiare le regole del gioco e uscire dalla logica mortifera dell’austerità monetarista. Questa timida rimessa in causa della doxa filo-semita nietzschiana monetarista fu uccisa nell’uovo. A parte Tria, nessuno dimentica la lettera di Savona alla UE con il suo tipico pedalare indietro al primo rialzo dello spread. (L’uso politico dello spread: come la BCE ha messo in riga l’Italia, di Coniare Rivolta*  http://contropiano.org/news/news-economia/2018/06/12/luso-politico-dello-spread-come-la-bce-ha-messo-in-riga-litalia-0104864 ) La stessa cosa fu abilmente implementata contro il presente governo italiano di destra con le sue velleità, subito seppellite, di sovranità e di cambiamento. Che poi detti sovranità e cambiamento non siano concepiti, per dirlo in modo colorato, fuori della odierna voodoo economics del tipo Reagan, non basta, si aggiungono per colmo le regressioni irrazionali di Donald Trump, con tanto di flat tax, di tagli, di promesse di privatizzazioni, incluso dell’acqua pubblica, e con tanto di demagogia sulla sicurezza e l’immigrazione ecc.

Eppure, se Tria e Moscovici non avessero sabotato le piccole misure espansive rimaste nel DEF 2018, si sarebbe verificata una dinamica contabile positiva, come d’altronde viene verificato in Portogallo. A prova, la crescita delle ricette tributarie malgrado la stagnazione economica attuale.

E questa la vera posta in gioco: la continuazione dell’austerità distruggendo la nostra economia e la nostra demografia, oppure il ritorno alla razionalità socio-economica, d’altronde prescritta dalla nostra Costituzione con la sua economia mista, la tutela statale del credito e la garanzia dei diritti fondamentali sociali e individuali a tutti i residenti sul nostro territorio e non solo ai cittadini italiani.

Rapporto della Commissione e benchmark per la riduzione annua di 1/20 del debito

In parole chiare ecco quello che vuole imporre la Commissione chiedendo l’intervento illegale del Consiglio europeo il 9 luglio prossimo: « L’elevato e crescente stock di debito previsto nel 2029 nello scenario di base e la sua sensibilità agli shock macroeconomici-fiscali contribuiscono a tale valutazione. Il raggiungimento di un rapporto debito / PIL pari al 60% del PIL entro il 2033 richiederebbe pertanto all’Italia un notevole sforzo di bilancio cumulativo, pari a 10,2 punti percentuali del PIL nel 2021-2025.» (3) Sulla base del PIL 2018 dato a 1753.95 miliardi di euro dal DEF, si tratterebbe di 178.9/5 = 35.78 miliardi annui durante il periodo. In realtà un poco di più con l’evoluzione del PIL nell’intervallo.

Non solo ma se l’Italia entra nel processo d’infrazione tra altre conseguenze procedurali (5) ci sarà la messa sotto tutela duratura della nostra economia e del nostro Ministero delle Finanze, cioè dell’uso che i cittadini italiani intendono fare dei loro fondi pubblici. La disciplina finanziaria imposta sarà peggiore di quella richiesta alla Grecia di Tsipras. Similarmente al caso greco, non avrà nessuna scadenza sicura anche perché il paradigma marginalista in tutte le sue varianti ed in particolare quella neoliberale monetarista non è scienza ma solo una narrazione reazionaria. Il suo «sentiero di consolidamento fiscale » è ormai confutato da tutti i fatti, non solo tecnici, ma anche quelli forniti dai titoli obbligati dei mass-media, comunque anche loro mainstream. (6)

Questa è la Porta aperta di Moscovici et al., alla soglia della quale si deve lasciare ogni speranza. (7)

Nonostante le critiche e le contrapposizioni esibite per il beneficio della galleria, sembra in Italia di essere perpetuamente in periodo elettorale, tutti i partiti rappresentati in Parlamento, molti di quelli che sono rimasti fuori, le istituzioni di rappresentanza istituzionali economiche, molte di quelle sindacali e di rappresentanza dei consumatori, sono sempre pronti a presentare il passaggio sotto le forche caudine della UE, chi più o chi meno chino, come l’unica alternativa. Mentre il Presidente del Consiglio fa sapere da Hanoi che farà di tutto per scongiurare la procedura di infrazione, il Ministro delle Finanze Tria ha premurosamente dato nota della sua volontà di negoziare, cioè di fare preventivamente ma in modo concordato quello che risulterebbe dalla procedura di infrazione. (8)

Come fu notato emblematicamente da un commentatore : « In ogni caso, come riportato nella letterona, la Commissione è consapevole del fatto che serve “una modulazione attenta dell’aggiustamento di bilancio per evitare che uno sforzo fiscale troppo consistente finisca per essere controproducente in un contesto in cui il PIL a prezzi correnti (cioè inclusivo dell’inflazione) cresce meno del 2 per cento”. ». Chiaramente, se si va nella giusta direzione, la Commissione sarà pronta a dare un poco di corda in più…

Succede proprio questo quando le percezioni sono date come realtà, si giunge inevitabilmente ad una dissonanza cognitiva collettiva che impedisce pensare le vere alternative, tra l’altro quelle che solo rimarrebbero congruenti con la nostra Costituzione, malgrado l’auto-inflitto pareggio di Bilancio – Art 81 – e i suoi corollari per gli Enti locali – Art 97, 117 e 119.

Ma non lascia di stupire questo sbraitare al vento collettivo che ignora laboriosamente un altro fatto chiave, cioè il fatto che il Fiscal Compact che legittima la procedura di infrazione non è solo ormai confutato dai fatti, è strettamente parlando legalmente nullo. Come notato giustamente dal Presidente della France insoumise, non fu trascritto nel diritto europeo prima della scadenza a fine anno 2018. (9) Tutta la commedia dell’arte masochista attualmente giocata nella nostra Penisola non risulta dalla cosiddetta « Europa gabbia dei popoli », anche se i Trattati andrebbero urgentemente rivisti, ma da un complesso, da una voglia patologica di auto-confinamento da parte dei nostri dirigenti filo-semiti nietzschiani e spinelliani.

Ho spesso denunciato il loro uso abusivo e anti-costituzionale dell’Articolo 11 per sottomettere la nostra Repubblica a dei Trattati internazionali spesso devianti dall’ottica congiunta della nostra Costituzione, della Carta fondamentale della Onu e della Dichiarazione universale dei diritti fondamentali sociali e individuali del 1948 … e, naturalmente, le ultime derive indotte da una integrazione europea sottomessa alla« governance globale privata » del capitale ormai speculativo a scapito della sovranità dei popoli e del loro regime democratico. In un certo senso, passare sotto le forche caudine della UE rappresenta per questi dirigenti trasversalmente servili tutt’insieme un rito di passaggio e una vittoria. Per i cittadini si tratta invece dell’affossare dei loro diritti fondamentali, sopratutto sociali, garantiti dalla Costituzione della loro Repubblica, nata dalla Resistenza.

L’analisi del Rapporto della Commissione europea punta ormai interamente sulla nozione di benchmark, le vecchie analisi in termine di output gap e di disavanzo strutturale sono diventate ancillari. Il benchmark in questione è il divario tra l’andamento del debito pubblico e la « necessità « di abbassarlo tendenzialmente da 1/20 fine a raggiungere un rapporto debito/PIL del 60 %. Spogliato dal fasullo apparecchio tecnico neoliberale monetarista, la scelta politica che realmente informa il Rapporto è riassunta in due tabelle e in un grafico.

Ecco la prima tabella (p 4):

 

Si vede subito il ragionamento della Commissione ancorato alla nozione del benchmark. Il rapporto debito pubblico/PIL schizza già nel 2018 e più ancora nel 2019 – 133.7 % – e nel 2020 – 135.2 %. La forte discrepanza tra le previsioni italiane – 131.3 % rispetto al 132.6 % previsto per il 2019 – e quelle della Commissione per il 2020 si spiega in gran parte per quest’ultima dal forte incremento dell’IVA prevista al 1.3 % del PIL. (p 2) La discrepanza per l’evoluzione del benchmark è da 9.0 % nel 2019 al 9.2 % nel 2020 contro il 5.1% e il 4.5 % rispettivamente per il Programma di Stabilità italiano.

Come d’altronde fu il caso nel 2018, la divergenza nella valutazione concerna anche la dinamica del disavanzo strutturale, cioè il disavanzo corretto per gli effetti della congiuntura e per le misure eccezionali – terremoti, alluvioni, afflusso di migranti (10) ecc – e le misure una tantum.

La seconda tabella illustra questa dinamica.

Ecco la seconda tabella (p 7):

 

Ecco il grafico (p 7):

 

Questo grafico pretende paragonare la crescita reale del PIL – linea blu – con quella del costo reale implicito del debito – linea nera tratteggiata. Questo grafico riassume l’ossessione della Commissione, la sua convinzione che il governo italiano non è in grado di abbassare il debito pubblico, il quale secondo il premuroso golem europeo, graverebbe sulle spalle di ogni cittadino e pregiudicherebbe il futuro del Paese mettendo l’intera UE in pericolo.

Secondo la UE: «Il rapporto debito pubblico / PIL dell’Italia, al 132,2% nel 2018, è il secondo più grande dell’Unione e uno dei più grandi al mondo. Nel 2018, ha rappresentato un onere medio di 38 400 EUR per abitante, oltre a un costo medio annuo di servizio di circa 1 000 EUR per abitante. ». (11)

Immagino l’incredulità del disoccupato o inoccupato italiano privo di assistenza sociale con un ISE superiore a 3 000.00 euro annui familiari oppure inesigibile per il cosiddetto Reddito di cittadinanza se l’ISEE supera 9 360.00 annui – dal quale si deduce l’affitto o l’equivalente ecc – quando lo si rende responsabile di un debito pro capite simile! Questa retorica andava forse bene al tempo di Volcker-Reagan, oggi con la flagrante e crescente inuguaglianza non convince più nessuno. Rivela pero che la Commissione sa dovere giustificare la micidiale austerità da essa richiesta. Recentemente, alla Grecia già distrutta fece credere che si poteva intravedere « la luce in fondo al tunnel » purché si continuasse a sacrificare tutti i diritti sociali di base per assicurare un avanzo primario del 3.5 % annuo. Che è la cifra feticistica del fallito Dr. Forbice Cottarelli, molto vicino dei dirigenti europei e di quelli del FMI.

La Commissione ha ragione di sottolineare che il finanziamento del debito pubblico costò 65 miliardi di euro nel 2018, ovvero 3.7 % del PIL, cioè come l’intero costo del sistema di educazione nazionale. (p 21) Nel 2019, il « still large rollover needs » del debito pubblico italiano arrivato a maturità ammonterà attorno a 17 % del PIL, dunque oltre i 300 miliardi di euro, il peso del finanziamento dipendente pure dello spread. (13)

Nel 2005, ho scritto il mio libro Keynesianism, Marxism, Economic Stability and Growth – in parte tradotto in italiano (12) – per dimostrare che era di buon senso ammettere che nessun paese al mondo può mai permettersi un deficit da oltre 3 % del PIL anno dopo anno senza correre alla sua rovina. Ma il mio argomento distingueva rigore economico e austerità neoliberale monetarista e proponeva un insieme di misure di rilancio socialmente, fiscalmente e ambientalmente – ecomarxismo – sane da opporre alle medicine cavalline dei neoliberali monetaristi. Tra queste misure il ritorno al credito pubblico e la riduzione generale del tempo del lavoro per risanare la fiscalità dello Stato, incluso i contributi sociali necessari alla sostenibilità dell’INPS e alla buona tenuta della solidarietà nazionale.

In fondo, tutto il ragionamento della Commissione europea si riassume in questa semplice frase: « Per il 2019, il Consiglio ha raccomandato all’Italia di garantire che il tasso di crescita nominale della spesa pubblica primaria netta non superi lo 0,1%, corrispondente ad un aggiustamento strutturale annuale dello 0,6% del PIL. » (p 9) Il che richiederebbe una manovra aggiuntiva attorno ai 3.5 miliardi, che alcuni vedono già disponibili negli aumenti urgenti attributi al ministero della Salute, causando grande allarme al Ministro Giulia Grillo. Si tratterebbe della generalizzazione dei piani di rientro praticati da anni nel settore della sanità con il lungo blocco delle spese a 111 miliardi di euro, rovinando così tutto il sistema notabilmente nel Sud e privatizzando in modo accelerato ovunque. (vedi « La Sanità tra tagli e corruzione: una vittima eccellente del federalismo fiscale » in http://rivincitasociale.altervista.org/la-sanita-tra-tagli-e-corruzione-una-vittima-eccellente-del-federalismo-fiscale/ ; « Mentre si parla di ri-nazionalizzare (più o meno …) si privatizza ancora, incluso gli ospedali in Liguria », in http://rivincitasociale.altervista.org/si-parla-ri-nazionalizzare-piu-meno-si-privatizza-ancora-incluso-gli-ospedali-liguria/ )

Frase innocua ? In realtà molto perniciose e pericolose. Alla Commissione non importa tanto il rispetto di una traiettoria virtuosa lungo il commino oscuro nella selva del sentiero di consolidamento fiscale oggi fallito e senza grande credibilità teorica. Non importa tanto raggiungere i drastici benchmark, ma solo pretendere farlo per giustificare la continuazione della politica di austerità applicando le sue predilette « riforme strutturali ».

La logica dell’austerità e il caso emblematico della messa sotto tutela permanente della Grecia

La tragedia umana creata dalla gestione neoliberale monetarista in Grecia riassume tutte le contraddizioni create dalla deregolamentazione bancaria-finanziaria. Essa portò all’egemonia della finanza speculative, con i suoi strumenti derivati, aggravando nel processo i danni già causati dalla sua public policy, in particolare i danni dovuti alla deregolamentazione, alle privatizzazioni ed alla fiscalità regressiva.

Il lunedì 20 agosto 2018 fu falsamente annunciato l’uscita della Grecia dalla crisi, uscita segnalata dal suo ritorno sul mercato obbligazionario. Si parla meno pero del prezzo pagato e sopratutto del prezzo che la Grecia dovette pagare per ricevere il versamento dell’ultima tranche di aiuti – cioè una manciata di miliardi di euro, in fatti, subito destinati al rimborso degli interessi sul debito. Oltre ad essere mantenuta sine die sotto stretta sorveglianza dalla Commissione europea, dal FMI e dall’Istituto Internazionale di Finanza, e dunque pure dalle agenzie di rating per la maggior-parte americane, il governo di Tsipras promise si sottrarre un avanzo primario di non meno di 3.5 % del PIL dal 2022 al 2032 e probabilmente al 2069. Poi si vedrà …

In effetti, alla Grecia – e fra poco al nostro Paese – fu applicato lo stesso modello di risanamento a favore del settore privato a scapito dello Stato e dei cittadini, applicato negli Anni 80 all’Africa dal FMI e dai Club di Parigi e di Londra. Cioè, i prestiti elargiti servono soltanto per permettere il rimborso a flussi continui degli interessi del debito senza intaccare realmente il principale; servono a giustificare la razzia finanziaria sui beni nazionali da privatizzare muro a muro e la politica di produzione per l’esportazione i cui ricavi sono esclusivamente destinati al rimborso dei creditori internazionali. Come tutti sanno, questa ricetta fu ideata dai Chicago Boys nel Cile dopo l’assassinio di S. Allende nel 11 settembre 1073. All’epoca provocò la reazione di Paul Samuelson attento al fatto che un flusso troppo grande di capitale verso l’estero rischiava di intaccare la possibilità di effettuare sufficienti investimenti endogeni. Solo che imporre questa già lunatica strategia a tutti i paesi europei – e mondiali – simultaneamente non fa un gran senso …

Se gli effetti sull’andamento del debito sono dubbiosi, quelli sulla società greca sono limpidi. Cominciamo con una occhiata all’andamento del debito greco prima e poi dei tre memoranda di salvataggio iniziati nel 2010.

 

Dette publique de la Grèce depuis 1999 comparée avec celle des Etats de la Zone euro in https://fr.wikipedia.org/wiki/Crise_de_la_dette_publique_grecque#/media/Fichier:Greek_debt_and_EU_average.png

Questa tabella sembra indicare una tendenza al ribasso sin dal 2016. In effetti, con il primo dei tre memoranda di tutela del debito pubblico greco in 2010, iniziarono le « riforme strutturali » con tagli, e deregolamentazioni e con attorno a 50 miliardi da privatizzare. Questo è un margine che sparisce a misura che questi salassi vengono effettuati dalla Troika. In effetti, secondo Eurostat, il debito pubblico greco alla fine del 2018 era del 181.1 % del PIL. ( https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Government_finance_statistics ) Ho già fatto notare altrove, nel caso dei DEF triennali italiani, la logica di comunicazione utilizzata : il primo anno si riconosce che le cose non vanno bene per legittimare i sacrifici richiesti con la promessa che il cielo schiarirà nel secondo anno per poi ritornare al bello nel terzo anno, e così ogni anno. Perciò, la traiettoria al rialzo del nostro debito pubblico continua imperturbabilmente, con un Cottarelli che anticipa la Commissione per chiedere un micidiale avanzo primario del … 3.5 % del PIL, cioè da 65 a 70 miliardi di euro all’anno.

Ecco alcuni risultati concreti scaturiti da questa politica di austerità secondo alcune fonti. Cominciamo con il giornale Le Monde (in: https://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2018/08/21/dans-quel-etat-est-la-grece-apres-huit-ans-d-aide_5344689_4355770.html )

Il reddito mediano disponibile dei focolari greci diminuì da 1/3 in 7 anni per stabilirsi a 9 460 euro a persona.

Il reddito medio diminuì da 22 % stabilendosi a 33 423 euro

Il tasso di disoccupazione al senso dell’OIL – con una ora lavorata durante l’ultima valutazione statistica non sei più considerato disoccupato – sembra al ribasso, passando dal 8.8 % al 18.7 % al 26.3 % e al 19.5 % rispettivamente dal 2007, 2011, 2014 e maggio 2018. La precarietà è ormai generalizzata e i giovani sono sacrificati come in Italia. Inizio 2018, a parte il 30 % di giovani disoccupati « Si stima che circa il 29% (più di 580.000 persone) la percentuale di dipendenti part-time greci, di solito pagati per 380 euro lordi mensili, molti dei quali senza previdenza sociale.» (in https://meta.tv/grece-nouveau-budget-de-precarite-de-misere/ )

Le disuguaglianze sono cresciute con la disoccupazione, la precarietà e la soppressione delle reti di protezione sociale in modo che secondo meta.tv una persona su tre è nella miseria. Gli aiuti ai disoccupati finendo dopo un anno, rimane solo la carità privata e le banche alimentari con lo stigma sociale associato.

Il PIL non ha ancora ricuperato i livelli del 2007. Era di 232.78 miliardi, di 242 miliardi, di 207.03 miliardi, di 178.65 miliardi e di 177.73 miliardi rispettivamente nel 2007, 2008, 2011, 2014, 2017.

Le privatizzazioni forzose sono moltiplicate. Concernano i servizi sociali, di prima necessità come gli ospedali, e le infrastrutture, incluso i porti – Pirée, Salonnica, ecc- gli aeroporti, le isole, l’industria, le società di gas e, apparentemente, tutto questo dovrebbe servire ad incrementare la « crescita ». Con il fasullo PIL marginalista, sopratutto dopo la modifica contabile del 2014, tale « crescita » rimane teoricamente possibile dato il peso superiore assunto dal settore bancario-finanziario speculativo in queste statistiche. Ma questo incremento non riesce a compensare per gli effetti dovuti alla contrazione della domanda interna causata dalla deflazione salariale e dai capital outflows. I crescenti buybacks, i quali ammontano tra 60 e 80 miliardi mensili nella UE come nei Stati Uniti, dimostrano il vuoto di tale «crescita » alle prese con le contraddizioni del processo di accumulazione capitalista odierno. Questo tipo di crescita serve solo a giustifica il sentiero di consolidamento fiscale monetarista, urtando frontalmente sui fatti concreti che non rispondano alle teorie. Anche un povero Blanchard ha dovuto rendersene conto … a meta. Continua a parlare di « errore » quando si tratta di cambiare paradigma. Peggio ancora nell’ottica della modifica contabile del PIL nel 2014, quando si considera il rapporto debito/PIL. In effetti, sin dal 2014 si aggiunge al PIL una valutazione della prostituzione, dell’evasione, della droga, delle spese militari – con un budget militare molto pronunciato in Grecia. Queste nuove valutazioni contabili aggiungono da 3 % a 3.5 % al PIL! Si capisce subito, fuori da questi cerchi marginalisti, che questa rivalutazione statistica fa gonfiare artificialmente il PIL senza aggiungere un bel niente alle entrate fiscali dello Stato, a parte forse la lotta marginale all’evasione ed al lavoro nero che serve solo a fingere un equilibrio della legge finanziaria.

Si nota che le riforme strutturali volute dai 3 memoranda non insistono sui privilegi degli armatori – i loro profitti sono protetti dalla costituzione – non insistono sopra la corruzione e l’evasione fiscale – specialmente verso Londra – e non insistono sopra la fiscalità regressiva che favorisce anche in Grecia le classi più ricche, oppure sopra la negazione dell’uguaglianza più minima, quella delle opportunità. E effetti, il concetto neoliberale filo-semitico nietzschiano di von Mises è più barbaro di quello delle « life chances » di Menger ripreso poi da Max Weber. Si tratta di uno attacco a l’umanità dei cittadini greci, in una società impoverita e demograficamente penalizzata dalla fuga en masse dei suoi cittadini, dall’espansione di malattie facilmente curabili, la crescita della mortalità infantile aumentata dal 43 % e dall’impennata del tasso di suicido. A tutto questo si aggiunge la deriva verso un Stato poliziesco: Nessuno di noi può dimenticare la fine del giovane compagno Alexis Grigoropoulos, ucciso dalla polizia. (vedi https://www.youtube.com/watch?v=XEIljYZ97k8 )

Questa tragedia sociale e etico-politica è ben descritta nel articolo https://fr.wikipedia.org/wiki/Crise_de_la_dette_publique_grecque e nel importante libro intitolato giustamente: THE BODY ECONOMIC: why austerity kills, by David Stuckler and Sanjay Basu, HarperCollins Publishers LTD, 2013. A critical review., Vedi il mio riassunto in https://www.la-commune-paraclet.com/Book%20ReviewsFrame1Source1.htm#thebodyeconomic

Il specialista dei disastri socio-economici e umani causati dalla gestione neoliberale monetarista dei debiti pubblici, Eric Toussaint, ha ben illustrato il propagare della crisi dalle banche private greche al governo greco ed al suo debito, subito messo sotto tutela dalla BCE e dall’intero sistema dell’Euro.

La Grecia entra nella zona Euro nel 2001. Si apprende dopo che ha falsificato le sue statistiche – debito e deficit in particolare – con l’aiuto di Goldman Sachs, incluso Mario Draghi. Questa falsificazione portò essenzialmente sull’espulsione fuori bilancio di una parte del debito, in particolare con l’uso dei strumenti derivati mediati dalla Goldman Sachs. La crisi economica e finanziaria dei subprime – 2007-2008 – sarà devastatrice per la Grecia. L’appartenenza alla zona euro l’aveva spinta a indebitarsi più facilmente, sopratutto nel settore privato e bancario con tutti gli intrecci di prestiti e le catene di CDS implicate. Con la crisi dei subprime, il governo greco dovette indebitarsi pesantemente per salvare il suo sistema bancario. Ma non bastò. Invece di nazionalizzare, almeno in parte, il suo settore bancario privato, il governo greco decise di andare a chiedere l’aiuto dei vari Dracula ed altri Golem della BCE, della Commissione, del FMI e del IFI ed altri.

La nazionalizzazione del credito pubblico era l’unica cosa razionale, non solo possibile in pratica ma necessaria, per proteggere gli interessi nazionali, come fecero con successo l’Islanda, l’Argentina di Nestor Kirchner e Cristina – il debito dell’Argentina, paese proverbialmente indebitato passò in poco tempo da oltre 90 % del PIL a 8 %, con un inizio di re-industrializzazione nazionale –, e l’Ecuador con il moratorio e l’audit sul debito imposto dal Presidente bolivariano Raffaele Correa. Preme pure menzionare l’emblematica e poco costosa nazionalizzazione della vecchia credit union poi trasformata in banca speculative, la Northern Rock in Inghilterra, da paragonare all’onero dei nostri europei e italiani piani salva-banca ecc.

La domanda di aiuto della Grecia non portò solo alla messa sotto tutela della Grecia con già tre memoranda – 2010, 2014, 2018 – cambiò in peggio la struttura della Euro zona. Spinse Trichet, già fuori mandato con i suoi cosiddetti transitori Facility I e Facility II, ad adottare una altra misura « non convenzionale » con la creazione del Security Markets Program (SMP). Con questo, la BCE, malgrado il suo mandato, comprava le obbligazioni dei Stati membri, ma solo sul mercato secondario, in effetti beneficiando le banche private ed in particolare la dozzina di queste incaricate, dopo la privatizzazione delle banche centrali pubbliche, di mediare la vendita dei strumenti finanziari emessi dai governi sul mercato finanziario internazionale. In effetti, più che aiutare il governo greco queste iniziative (aiuti !) servirono a salvare le banche private estere troppo esposte in Grecia.

 

Graphique 2 – Exposition des banques étrangères en Grèce (en Mds d’euros)

Source: BRI, Consolidated Ultimate Risk Basis.

Come segnalato da Toussaint non furono le banche private a beneficiare della manna degli « aiuti ». Anche la BCE e i governi creditori come la Germania ne estrassero grandi profitti : « Dal 2010, in cambio di importanti sforzi di austerità, Atene ha ricevuto 260 miliardi di euro di sostegno finanziario da parte dei paesi dell’UE, della Banca centrale europea (BCE) e del Fondo monetario internazionale (FMI). » in https://www.lemonde.fr/les-decodeurs/article/2018/08/21/dans-quel-etat-est-la-grece-apres-huit-ans-d-aide_5344689_4355770.html

« Tra il 2012 e 2017, i riacquisti del debito greco hanno fruttato attorno a 8 miliardi alla BCE » in https://fr.wikipedia.org/wiki/Crise_de_la_dette_publique_grecque . E dire che Keynes sperava la « eutanasia dei rentieri »! Visto la palese ingiustizia, la Germania proposse di restituire questi interessi alla Grecia …

Scrive Toussaint: « Nel maggio 2010, la BCE ha istituito un programma denominato “Securities Markets Programme” (SMP) (cfr. Riquadro sul SMP). Attraverso questo programma, che è durato da maggio 2010 a settembre 2012, ha acquistato sul mercato secondario oltre 210 miliardi di euro di titoli emessi da Italia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Grecia [ 16]. La politica della Troika in Grecia: rubare il popolo greco e dare denaro alle banche private, alla BCE, al Fondo monetario internazionale e agli stati che dominano la zona euro. » in http://www.cadtm.org/La-politique-de-la-Troika-en-Grece-Voler-le-peuple-grec-et-donner-l-argent-auxé

Sottolineo un fatto essenziale anche se oggi contro-intuitivo nei ranghi della sinistra. L’euro ha protetto la « gauche plurielle » contro gli attacchi speculativi. Cambiò tutto con i CDS. Perché? Le Facilities I e II di Trichet erano fuori del mandato originale della BCE ma non fu possibile ritornare in dietro nel quadro del regime del credito privato. Visto la fragilità delle banche, invece di queste misure dette « non-convenzionali », come già detto, si poteva nazionalizzare a poco costo come fu il caso con la Northern Rock oppure in Islanda o nel’Ecuador di R. Correa, l’Argentina di Kirchner e Cristina. Seguì dunque la normalizzazione peggiorata di questo fuori mandato della BCE con il SMP e il permesso di compare debito pubblico sui mercati secondari. A questo punto, visto la fragilità strutturale delle banche europee, i Stati Uniti capirono subito l’uso devastatore che si poteva fare dei CDS sul debito pubblico della Zona euro per tentare di distruggerla preventivamente in quanto zona concorrente che controlla già oggi attorno a 22 % delle riserve di valute mondiali. Merkel aveva capito e proposto di impedire « les ventes à nu » e i CDS sul debito pubblico, Holland e l’Italia si sono opposti.

Perciò, senza un ritorno, almeno in parte, al credito pubblico, gli attacchi speculativi per mezzo della manipolazione dello spread andranno avanti, anche nel caso italiano dove il capitale straniero non controlla oltre 32 % del debito pubblico e dove la parte dei Stati Uniti risulta ora molto bassa. Si dimostra l’assurdità di questo sistema, non previsto dagli ideatori della Zona euro.

Cosa insegna il caso greco all’Italia, possibile Magna Grecia?

Nel Libro I del Capitale Karl Marx avverte le nazioni europee sul fatto che le trasformazioni effettuate dal capitalismo nella GB e nei Stati Uniti diventeranno volens nolens il loro proprio orizzonte: « De te fabula narratur » .

In realtà, sin dall’ara-kiri del PCI alla Bolognina 1991, l’Italia federalista spinelliana ha sempre anticipato la regressione etico-politica e socio-culturale voluta dall’agenda neoliberale monetarista filo-semitica nietzschiana. Il vero banco di prova della regressione attuale non fu il caso mediatico della Grecia che vale solo il 2 % della Zona euro, ma bensì quello della nostra martoriata Penisola posta sin da allora sotto il giogo felpato dei nostri sovra-numerari e sovra-pagati servi in camera ed altri rinnegati subalterni. L’Italia, ancora paese del G8, vale il 17 % della Zona euro: se la regressione riesce ad imporsi da noi, i neoliberali monetaristi credono di potere guadagnare la loro sfida filo-semitica nietzschiana globale, cioè imporre il ritorno forzoso alla società della nuova domesticità e della nuova schiavitù. Non sarà comunque così visto lo spostamento del baricentro mondiale verso il continente euroasiatico. A prova di questa complicità trasversale nostrale, che va ben altro il vecchio Gladio con i suoi tanti « stay behind », l’attualizzazione del sinistro programma della P2 e le modifiche già imposte alla Costituzione, con il fallito federalismo fiscale – 2001 – e la modifica degli Articoli 81, e 97, 117 e 119 sul pareggio di bilancio nazionale e locale. In questo ultimo caso, l’accordo trasversale permise di negare la tenuta di un referendum violando così frontalmente la sovranità popolare!

Ma come canta Coralie Clément in una sua canzone, meglio stare attenti perché « quando si tocca il fondo, si può ancora scavare ». (https://www.youtube.com/watch?v=7IuS1CBHZKg ) La messa sotto tutela del nostro Paese cambierà solo nei dettagli e nei margini di libertà per portare avanti le « riforme strutturali ». Il processo sarà più rigido ma sostanzialmente lo stesso. Va ricordato che ci sono ancora attorno a 500 miliardi potenzialmente da privatizzare nel nostro Paese, incluso il Demanio, tra i quali 300 miliardi possibili. Beni pubblici che fanno gola ha chi ha nelle mani montagne di carta straccia stampata in dollari americani oppure in euro, mentre, come denunciò il nostro Comitato Cittadino per il Lavoro Dignitoso, viviamo in un paese dove non esiste un sistema di assistenza pubblica di accesso universale. Pochi dirigenti e cosiddetti « intellettuali » realizzano che l’ISE per ricevere l’assistenza minima è di 3000.00 euro di reddito annuo familiare con 5000.00 immobiliare, una vera e propria incitazione statale al lavoro nero e una grande vergogna nazionale, oltre ad rappresentare una violazione frontale della Repubblica fondata sulla dignità del lavoro e la solidarietà nazionale. Il ritorno ai diritti individuali e sociali sanciti dalla Costituzione costituisce le uniche vere e urgenti « riforme strutturali » da portare avanti con urgenza.

Ecco le misure richieste dalla Lettera Trichet-Draghi del 2011 che portò alla modifica dell’Articolo 81 sul pareggio del bilancio e alla modifica correlata degli Articoli 97, 117, 119, cioè il cosiddetto patto reaganiano di « stabilità interna » inscritto nel quadro del disastroso e mal-fatto federalismo fiscale del 2001. (Malgrado le mie proteste all’epoca, questo fu implementato senza il minimo studio di impatto, e senza la minima definizione operativa della distinzione tra prezzo storico e prezzo standard, creando inevitabilmente molte disfunzionalità, ad esempio nel settore sanitario, e incrementando le disparità sociali e regionali in un Paese che si è dimenticato dell’esigenza costituzionale mirata a garantire i LEP, ovvero il livelli essenziali di protezione, nel momento in cui furono iscritti nel federalismo fiscale! E ora si parla di autonomie regionali a-costituzionali!).

Basta paragonare le riforme già attuate e quelle da attuare – incluso la retorica della Piattaforma Rousseau – con il programma della P2 di Gelli.

Ecco il riassunto di Wikipedia: « La lettera specificava le misure ritenute urgenti per evitare il collasso del paese e dell’Euro. I punti elencati erano[5]:

  1. Misure significative per accrescere il potenziale di crescita, aumentando la concorrenza, particolarmente nei servizi, migliorando la qualità dei servizi pubblici, ridisegnando i sistemi regolatori e fiscali affinché siano più adatti a sostenere la competitività delle imprese e l’efficienza del mercato del lavoro.
  2. Misure immediate e decise per assicurare la sostenibilità delle finanze pubbliche
    1. Ulteriori misure di correzione del bilancio che anticipino di un anno la prevista riduzione di deficit, aumentando i tagli di spesa, intervenendo per ridurre la spesa pensionistica e riducendo gli stipendi del pubblico impiego.
    2. Clausola di riduzione automatica del deficit
    3. Stretto controllo sull’assunzione di indebitamento, anche commerciale, e delle spese delle autorità regionali e locali
  3. Misure per garantire una revisione dell’amministrazione pubblica allo scopo di migliorare l’efficienza amministrativa e la capacità di assecondare le esigenze delle imprese, rendendo sistematico nelle amministrazioni pubbliche l’uso degli indicatori di performance, particolarmente nei sistemi sanitario, giudiziario e dell’istruzione.
  4. Misure per abolire o fondere organi amministrativi intermedi (come le Province), azioni mirate a sfruttare le economie di scala nei servizi pubblici locali.

Stante la gravità della situazione, la lettera richiedeva che le misure di cui ai punti 1 e 2 fossero intraprese quanto prima con decreto-legge, ratificato in Parlamento entro fine settembre.

La lettera proseguiva ritenendo appropriata una riforma costituzionale che rendesse più stringenti le regole di bilancio. » in https://it.wikipedia.org/wiki/Lettera_Trichet-Draghi

Ecco a voi il programma, per meglio dire le « riforme strutturali » volute dalla P2 o Propaganda 2, incluso la strumentalizzazione della « strategia della tensione », oggi resa perenne con i vari decreti sicurezza-immigrazioni trasversali, di natura quasi squadrista e nettamente mirati alla militarizzazione preventiva dello spazio pubblico. La normale dissidenza democratica viene criminalizzata da tanti delinquenti così poco presentabili come Mussolini e le sue squadre filo-semitiche nietzschiane all’inizio del 20 Secolo.

«Principali punti:

  • La nascita di due partiti: “l’uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSIPSDIPRILiberali di sinistra e DC di sinistra), e l’altra sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali e democratici della Destra Nazionale).
  • Un progetto di controllo o di lobbismo sui mass media. Il piano prevedeva il controllo – tramite acquisizione di quote e fondazione di nuove testate – di quotidiani e la liberalizzazione delle emittenti televisive (all’epoca permesse solo a livello regionale); nonché l’abolizione del monopolio della RAI e la sua privatizzazione. L’abolizione del monopolio RAI era avvenuto prima della scoperta della loggia, con la sentenza della Corte Costituzionale del luglio 1974 che liberalizzava le trasmissioni televisive via cavo.
  • Superamento del Bicameralismo perfetto attraverso una “ripartizione di fatto di competenze fra le due Camere (funzione politica alla CD e funzione economica al SR)“.
  • Riforma della magistratura: separazione delle carriere di P.M. e magistrato giudicante, responsabilità del CSM nei confronti del parlamento, da operare mediante leggi costituzionali (punto I, IV e V degli obiettivi a medio e lungo termine – vedi infra).
  • Riduzione del numero dei parlamentari[7].
  • Abolizione delle province[7].
  • Abolizione della validità legale dei titoli di studio[7].

Licio Gelli sostiene che la coincidenza di talune parti del “Piano” con i programmi dei partiti attuali non sarebbe casuale[8]. In un’intervista dell’ottobre 2008 ha successivamente affermato che, sebbene tutte le forze politiche abbiano preso spunto dal Piano (tanto da indurlo a reclamare ironicamente i diritti d’autore), Silvio Berlusconi è l’unico che può attuarlo[9]. Dello stesso avviso Mario Guarino, Sergio Flamigni[10] e Umberto Bossi[11]. » in https://it.wikipedia.org/wiki/Piano_di_rinascita_democratica

E per finire ecco il riassunto tradizionale delle « riforme strutturali » in Riforme strutturali: cosa sono e perché l’UE le invoca sempre?, Daniele Morritti , 12 Febbraio 2017, https://www.money.it/Riforme-strutturali-cosa-sono-e

Questo riassunto non coglie in pieno il progetto di regressione filo-semitica nietzschiano che si afferra solo quando si realizza che questo smantellamento dello Stato sociale, nato dall’alleanza di classe forgiato come risultante delle guerra contro il Fascismo ed il Nazismo, intente proprio ritornare a quella esperienza. Il Fascismo e inizialmente il Nazismo furono ideati per salvare la società dello sfruttamento dell’Uomo dall’Uomo e della disuguaglianza umana, sacrificando, a favore dello Stato poliziesco corporativista, alcuni aspetti liberali classici del capitalismo. L’obbiettivo totalitario, razzista, discriminatorio rimane sempre la speranza di rovesciare la marcia umana verso una uguaglianza e una emancipazione individuale e collettiva sempre più compiuta a favore del ritorno alla società della nuova domesticità e della nuova schiavitù. (vedi ad esempio « Le lit du néo-fascisme » e la sua « Annexe » in http://www.la-commune-paraclet.com/fascismFrame1Source1.htm#racisme . Vedi pure « Nietzsche as an awakened nightmare » e « Heiddegger the itimate corruption of the soul and of human becoming » in http://www.la-commune-paraclet.com/livresFrame1Source1.htm#livresbookmark

Ho già dimostrato nella mia Introduzione metodologica – sezione Livres-Books di www.la-commune-paraclet.com – la logica dell’opera maggiore di Marx, il Capitale, la cui parte dallo sfruttamento dunque dal contratto di lavoro, per considerare le condizioni strutturali della Riproduzione Semplice ed Allargata-  o equilibrio generale e dinamico – per arrivare alla ri-distribuzione socio-economica, ovvero al ruolo dello Stato e dei suoi Apparati come risultanti e oggettivazione della lotta di classe.

Lo Stato sociale aveva cambiato i rapporti di sfruttamento con il contrappeso della contrattazione collettiva iscritta nel Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro – Art. 99 della Costituzione – ed il riconoscimento che al salario individuale doveva essere aggiunto il salario differito – previdenza e assistenza – e le tasse necessarie per finanziare le infrastrutture pubbliche. Di conseguenza, per coerenza si modificò il sistema di distribuzione strutturale – la presa in conto da Keynes, plagiando Marx, dei circuiti del capitale – con la pianificazione avanzata o keynesianismo, incluso la gestione del commercio internazionale in coerenza con la coesione socio-economica delle Formazioni sociali nazionali. Infine, aveva democratizzato la vita politica e sociale.

La regressione si manifestò prima con gli attacchi al mondo del lavoro. Una volta ridotto il salario individuale – deflazione salariale – e il salario differito e la possibilità per il « reddito globale netto » di essere sufficientemente ampio per pagare le tasse in modo progressivo, tutto il resto doveva essere rivisitato secondo il neoliberalismo criminale dell’ebreo-fascista von Mises e dei suoi, oggi trionfanti. Ad esempio, sacrificando il salario differito si distrugge la previdenza e l’assistenza pubblica; sacrificando le tasse sulle buste paga più modeste si sacrificano l’educazione, la ricerca e la cultura con tutte le altre infrastrutture pubbliche. Per permettere la legislazione di tale regressione si attacca la democrazia industriale e parlamentare – incluso con il ruolo drammaticamente reazionario della Piattaforma Rousseau, da me denunciata sin dall’inizio.

Questo progetto di regressione generale, con la dichiarazione ufficiale dell’Apartheid ufficiale, ad esempio nello Stato canaglia israeliano, è già in via di fallimento per la ragione semplice che le contraddizioni del sistema di sfruttamento dell’Uomo dall’Uomo non si risolvano, oggi meno di prima, senza l’attuazione di più uguaglianza, più emancipazione e dunque più demo-crzia vera. Abbiamo capito che seguendo Marx dobbiamo ritornare ad agire sui tre piani a cominciare con la realizzazione che il lavoro è l’unico fattore di produzione che crea la sovrappiù sociale poi messa in opera nei rapporti di distribuzione – riproduzione socio-economica – e nei rapporti di ri-distributione sociale. Si tratta di un ritorno aggiornato alla rivendicazione di più democrazia industriale, più democrazia sociale e più democrazia partecipativa e parlamentare con l’accesso di tutte.i all’educazione ed alla cultura necessaria. In fatti, più necessaria che mai visto la transizione imposta dalle nuove tecnologie.

Equivalenza ricardiana o stimulus pubblico, Riduzione del tempo di lavoro e credito pubblico

Gli anni 1950-70 furono gli anni dell’affermazione dell’egemonia del capitale produttivo internazionale portato dall’espansione delle MNC – muntinational corporations. Questa tendenza andò di pari passo con lo smantellamento delle barriere tariffarie a cominciare con il Dillion-Kennedy Round degli anni 60, smantellamento che portò in seguito con l’Uruguay Round alla sostituzione del GATT con l’OMC e alla sua definizione dell’anti-dumping esclusiva dei diritti del mondo del lavoro – anche quelli minimi sanciti dall’OIL – e dei criteri ambientali minimi. Il libero scambio delle merci trionfava sottomettendo tutti i paesi via l’apertura al libero scambio dei capitali e dei servizi. Metteva sopratutto le loro forze di lavoro in competizione globale diretta sulla base del salario individuale minimo, con il deperimento programmato del salario differito e della tax area su busta paga – destinata a finanziare servizi e infrastrutture pubbliche di interesse nazionale – raggiunto con la contrazione radicale dei servizi sociali e delle infrastrutture pubbliche da essi finanziate.

E proprio in questo contesto che si deve concepire la crisi fiscale dello Stato, cioè del Welfare State anglo-sassone e poco dopo dello Stato sociale europeo. L’espansione delle MNC comportava la delocalizzazione della produzione secondo il loro organigramma e dunque secondo quello che ho chiamato nel mio libro III intitolato Keynesianism, Marxism Economic Stability and Growth (2005), la « scala del valore aggiunto » e più specificamente la scala della sovrappiù. Per i paesi ricchi detentori della maggiore parte delle MNC questa scelta capitalista implicava importanti modifiche parametriche. All’inizio degli anni 1980, la Harvard Business School of Administration cominciò a suonare l’allarme. Uno dei più grandi studiosi borghesi delle MNC, Raymond Vernon disse allora che l’asso vincente delle MNC era il loro diparto di contabilità. Si trattava già di ottimizzare i profitti su scala globale sfruttando tanti cosiddette scappatoie fiscali o « tax loopholes ». Ad esempio, oggi, ci sono attorno a 3 000 miliardi di dollari parcheggiati nelle sole Bahamas, i quali possono legalmente essere rimpatriati quasi essenti di tasse.

Si credeva allora nei Stati Uniti potere incrementare la loro espansione imperiale sacrificando la bilancia commerciale a favore della bilancia dei pagamenti. Bastava solo assicurarsi un accesso imperiale privilegiato alle risorse strategiche – petrolio, minerali ecc – e impedire ai competitori le sovvenzioni statali dirette, per conservare una posizione di dominanza assicurata dal vantaggio tecnologico coniugato al facile accesso al capitale.

Ma l’evoluzione storica fu più contraddittoria. Vernon ed tanti altri capirono che la nuova topologia dei flussi di capitali – diretti e portafoglio – privilegiava le MNC, svuotando le casse dello Stato. All’epoca la struttura fiscale era ancora largamente ancorata sulla spartizione nata nel dopo-guerra, le tasse dirette – sui redditi, le imprese e le successioni – rappresentavano la maggiore parte delle entrate fiscali, mentre i dazi e le tasse indirette erano moderate, anche se meno in Europa con l’introduzione dell’IVA. Uno dei punti cardini di questa fiscalità repubblicana era l’istituzionalizzazione di una parte dei risparmi dei focolari via i contributi sociali destinati a garantire i regimi di pensione pubblici e l’accesso universale alla sanità ed all’assistenza. I scaloni sulle tasse dirette, in accordo con la fiscalità progressiva del dopo-guerra, erano più numerosi e dunque più equi.

Lo smantellamento del GATT, dunque delle sovvenzioni statali dirette, indusse anche la fiscalità monetarista delle imprese con la scusa della preservazione della loro produttività – a scopo di accumulazione privata.

Il risultato si verifica nella struttura regressiva della nuova fiscalità, causa prima dell’arricchimento del 1 % a scapito del 99 % rimanente, con le cosiddette classe medie, soprattutto legate al lavoro dipendente, forzate ad assumerne la carica principale. Ecco come si presentavano le cose nel lontano 2011:

« Ripartizione delle imposte in Italia

Il bilancio dello stato del 2012, riporta per l’anno 2011, entrate tributarie per 396.641M EUR, divise in 214.201M di imposte dirette e 182.440M di imposte indirette. Le altre entrate (35999M) sono meno del 10% del totale (432.640M). (precisione mia : queste altre entrate sono quelle che pesano sulle imprese ed il capitale. Le imposte indirette come l’IVA sono le più regressive.)

Se ne deduce che, nel 2011, le imposte indirette costituivano il 46% delle entrate tributarie, e il 42% delle entrate totali dello stato. Dato che le imposte indirette tassano la popolazione generale e sono ripartite fra circa 60 milioni di italiani, in media ogni cittadino ha contribuito alle casse dello stato per circa 3000 EUR, indipendentemente dall’età o dal lavoro svolto, escluse le tasse sul reddito.

In maniera ancora più grossolana, le imposte dirette sono state frutto del lavoro di circa 23 milioni di italiani (occupati 2011, ISTAT), che avrebbero contribuito in media per oltre 9000 EUR a testa alle casse dello stato. » in https://it.wikipedia.org/wiki/Imposta . Per il dettaglio del peso delle tasse dirette vedi Le tasse in Italia? Le pagano i poveri e il ceto medio (e i ricchi la fanno franca), Confrontando le tasse italiane con quelle degli Stati Uniti e della Germania ci si accorge subito che il sistema italiano è sbilanciato: poveri e classe media pagano molte più tasse del dovuto, Gianni Balduzzi in https://www.linkiesta.it/it/article/2018/01/17/le-tasse-in-italia-le-pagano-i-poveri-e-il-ceto-medio-e-i-ricchi-la-fa/36814/ )

Oltre alla crescita della disoccupazione e della precarietà, bastò poi aggiungere la deregolamentazione del settore bancario-finanziario iniziato con la Regulation Q fine anni 1960 – vedi Denizet – per culminare nell’abrogazione del Glass Steagall Act 1999, per porre frontalmente la questione della crisi fiscale dello Stato, tanto per il finanziamento delle imprese pubbliche, messe in difficoltà dai privilegi accordati alle MNC, quanto per il finanziamento dei regimi sociali – pensioni, sanità ecc – quanto per il finanziamento del debito abbandonata alla rapacità della dozzina di grandi banche private primarie. In effetti, questa transizione prese subito la forma del declino dei ministeri delle finanze e dell’economia a favore del Tesoro strettamente subordinato al FMI e a quello che sarà chiamato il Consenso di Washington. Questa messa sotto tutela del Tesoro – prima della creazione della BCE – portò al disastroso divorzio tra Bankitalia e Tesoro in Italia dal 1981 al 1983 con la conseguenza della crescita inarrestabile del debito pubblico ed il suo micidiale impatto sociale.

In questo contesto, l’estroversione concorrenziale delle Formazioni sociali nazionali occidentali distrusse a poco a poco il meccanismo virtuoso del Moltiplicatore economico, discreditando le cosiddette politiche di « pump-priming » consigliate dagli economisti keynesiani oramai teoricamente e praticamente incapaci di effettuare gli aggiustamenti parametrici socio-economici e legali necessitati dalle nuove dinamiche globalizzanti. La banda marginalista, ed in realtà fascistizzante, di von Mises, simboleggiata dalla sua Societé du Mont Pélerin e dalla Chicago University, prese il sopravento con l’arrivo al potere di Volcker alla FED e di Reagan alla Presidenza dei Stati Uniti – 1979-1981. (Vedi « Les conséquences socio-économiques de MM Volcker-Reagan et Cie », marzo 1985, nella sezione Economie Politique Internationale del mio vecchio sito www.la-commune-paraclet.com , anche disponibile in inglese qui: http://rivincitasociale.altervista.org/another-america-possible-feb-1-2017/ .

Si impose così la public policy neoliberale monetarista con la sua politica fiscale regressiva.

Per favorire la transizione al libero-scambio globale, lo Stato interventista – anche quello già ridotto dei Stati-Uniti – doveva farsi Stato minimo per lasciare il posto nel campo industriale, economico e culturali agli oligopoli privati e nel campo pubblico-sociale – pensioni, sanità, farmacia, educazione, trasporti ecc – alle imprese private. Questa marcia della public policy neoliberale monetarista appoggiò il vasto movimento necessario per aprire nuove frontiere all’accumulazione del capitale con la deregolamentazione e la privatizzazione a tutto campo. Incluso e sopratutto al livello bancario-finanziario: nel 1993, il pitre Jean Tirole, con un suo collega di Harvard, scrisse un libro che portò in seguito all’abrogazione della segregazione dei 4 pilastri bancari finanziari portando direttamente alla crisi dei subprime, cioè la più grande crisi del capitalismo sin dal 1929, cosa che la Banca di Svezia non ignorava. Jean Tirole è dunque quel tizio opposto, senza la minima vergogna deontological, al pluralismo nella disciplina, e il proponitore di 3 grandi idee per tre disastri maggiori, cioè la deregolamentazione finanziaria che portò alla crisi dei subprime, il contratto unico che ispiro il Jobs Act italiano e la Loi Travail in Francia e per finire la teoria della concorrenze imperfetta vista dal lato degli interessi dei consumatori subordinati all’armonizzazione fiscale dei Gafam. Oggi si è messo alla scuola del criminale ebreo-americano-israeliano Daniel Kahneman per importare una volta ancora la teoria behavioralista nella disciplina! Possiamo già immaginare la pertinenza di tali ragionamenti a dir vero poco originali. (La vecchia scuola behaviorista non ha mai convinto nessuno per la sua confusione della sincronia e della diacronia temporale, è solo una volgare ideologia piccolo borghese ; Alain Renais ne presentò una magnifica critica cinematografica nel suo Mon oncle d’Amérique https://www.youtube.com/watch?v=WW9yPzu8BrM . Vedi pure il magnifica Déjeuner sur l’herbe di Jean Renoir.)

A parte Tirole an Co, la public policy dello nuovo Stato minimo neoliberale monetarista fu simboleggiata da Laffer e da Robert Barro. Laffer fu l’ideatore della Curva Laffer – disegnata sopra un tovagliolo sul angolo di un tavolo di ristorante – per « dimostra » la sua mezza-cotta teoria del « crowding out » degli investimenti privati con la presenza invasiva dello Stato, una altra versione della trickle down economy neoliberale monetarista che il grande economista dei contrappesi John Galbraith qualificò senza mezzi termini di « horseshit » perché secondo lui si trattava di nutrire i cavalli per dare a mangiare agli uccellini. Oggi, nessuno marginalista si degna notare il reale « crowding out » provocato dal « credit crunch » dei Qe e altre iniezioni di liquidità dalle banche centrali e dai mostruosi « buybacks ».

Il problema logico di Laffer sta nel fatto che prende le conseguenze per le cause: nel momento in cui si taglia l’erba sotto i piedi della coesione della Formazione sociale nazionale, modificando con il libero scambio il suo inserimento nell’Economia Mondiale Capitalista, la concorrenza globale porterà a favorire le MNC contro tutti gli interventi statali. Perciò, con la scusa di incrementare la produttività porterà alla deflazione salariale ed alle enormi tax expenditures, cuore pulsante di questa politica fiscale da portare al suo termine con la flat tax per le tasse dirette – sopratutto quelle che pesano sulle imprese e al limite con la no tax area sui salari già troppo bassi – e con la priorità data alle tasse indirette pagati da tutti. Riducendo le ricette fiscali dello Stato, eliminandole preventivamente con le tax expenditures, si metterebbe così fine al crowding out statale degli investimenti privati.

Adam Smith, la cui teoria è ancorata nell’Etica illuminista dei Fisiocratici come da me sottolineato nel mio già menzionato Libro III, rimaneva molto rigoroso per tutto quello che concerna l’interesse generale – infrastrutture pubbliche, difesa ecc; poneva dunque chiaramente la questione di chi doveva finanziarlo. Per la public policy questo problema andava risolto dal settore privato, con il giusto prezzo stabilito dal « mercato Re ». Eventualmente, la catastrofe di Enron nel 2001 procurò un prezioso quanto disatteso reality check di questo insane processo di trasformazione dei cittadini utenti in clienti solo degni dei servizi essenziali a proporzione della loro solvibilità finanziaria. (Vedi la seconda parte di Tous ensemble sulla necessità di salvare i beni pubblici con enti pubblici, cioè statali.)

Si poteva comunque predire che questo ciclo di fiscalità regressiva – deflazione salariale, tax expenditures, flat tax ecc – avrebbe prosciugato la fiscalità generale forzando a cicli di riduzione crescenti nei servizi sociali e pubblici ed al loro trasferimento crescente verso il ritorno al sistema di carità privata, e spesso, per colmo, confessionale e filo-semitica nietzschiana. Distruggendo così le basi del vivere insieme e della cittadinanza repubblicana. Laffer come gli altri no poteva ignorare questa tendenza anche perché il loro gran maestro ebreo-fascista von Mises era stato molto chiaro, affermando ad esempio – senza ridere – che il sistema di salute e l’ospedale pubblici creano le malattie che altrimenti sono unicamente una questione di Volontà – o, presumo, di accesso alle cliniche private. E vero che il mezzo miliardo di compagni Dalits in India, con una aspettativa di vita media di 40 a 42 anni, non hanno spesso il lusso di dichiarasi malati. ( Ecco quello che scrivevo nella Nota 11 del mio saggio « La Sanità tra tagli: vittima eccellente del federalismo fiscale » in http://rivincitasociale.altervista.org/la-sanita-tra-tagli-e-corruzione-una-vittima-eccellente-del-federalismo-fiscale/ : « Vedi von Mises Socialism https://mises.org/library/socialism-economic-and-sociological-analysis . L’ebreo-austriaco fascista von Mises afferma che il sistema sanitario pubblico crea la malattia che altrimenti è una questione psicologica e di volontà. (p 475-476 ecc.) In effetti, con una aspettativa di vita attorno a 40 anni il mezzo milione di compagni Dalits in India non ha il lusso di potere ammalarsi … Oggi in Occidente i discepoli rabbinico-nietzschiani di von Mises fanno del meglio per abolire la malattia abolendo la sanità pubblica!!! Per von Mises ogni tipo di intervenzionismo dello Stato era considerato una forma di socialismo, incluso la pianificazione di guerra tedesca durante la prima guerra mondiale, oltre al keynesianesimo e alle teorie della regolamentazione – regulation – economica.)

La seconda fase di questa ciarlatanesca politica fiscale della public policy neoliberale monetarista si gioca ancora oggi, anche se siamo ormai nelle ultime fase del suo distruttivo ciclo. E ispirata a Robert Barro ed è conosciuta sotto l’appellativo dell’equivalenza ricaridiana. Si tratta di una proposta disarmante non tanto per la sua semplicità quanto per la sua inettitudine. Il povero Barro non ha mai capito un gran che a David Ricardo né alle contraddizioni della sua teoria. Per questo avrebbe dovuto studiare Marx ed arrivare alla teoria della produttività scientifica da me proposta, ad esempio, nel mio Tous ensemble (1998) che risolve il problema centrale della distinzione tra rendita feudale o capitalista agricola e profitto capitalistico, contributo senza il quale la teoria classica del valore di Ricardo e la sua teoria degli vantaggi comparativi non fanno un gran senso, o peggio ancora portano alla desertificazione del Portogallo specializzato nella produzione artigianale del vino ed allo sviluppo industriale economico del Impero britannico specializzato nei prodotti manifatturieri e nel controllo del capitale bancario e industriale.

L’equivalenza ricardiana di Barro è la seguente: il taglio delle tasse e dunque anche le tax expenditures et la flat tax sono economicamente più produttive degli interventi diretti dello Stato nell’economia, in particolare le sovvenzioni dirette alle imprese pubbliche – nel contesto del libero scambio … – e dello sostegno alla domanda interna tramite i programmi di previdenza e di assistenza pubblici stabiliti come diritti sociali fondamentali – ovviamente nel contesto dell’estroversione del Moltiplicatore. Attaccare l’intervento socio-economico del Welfare State portava a delegittimare il preso delle imposte, sopratutto quelle dirette. Secondo una visione atemporale e comportamentista degli attori economici, tutti univocamente impegnati a ottimizzare il loro fisheriano « income stream », ogni aumento delle imposte sarebbe neutralizzato dal comportamento preventivo degli agenti. (Vedi Equivalenza ricardiana, https://it.wikipedia.org/wiki/Equivalenza_ricardiana ) La struttura socio-economica e soprattutto i circuiti del capitale sono cancellati. Alcuni ricorderanno l’insistenza di Lord Beverdige e di Keynes sul ruolo stabilizzatore e anti-ciclico dei regimi pubblici di protezione sociale, cioè dell’istituzionalizzazione di una parte consistente del risparmio dei cittadini. Lo stesso argomento veniva fatto sul ruolo stabilizzatore e anti-ciclico delle imprese pubbliche e del credito pubblico per premunire il capitale contro « i suoi propri spiriti animali » secondo l’economista di Cambridge, UK.

A parte l’inettitudine teorica circolare di Barro, si vede subito che l’argomento gira attorno al ruolo virtuoso o meno del Moltiplicatore sociale. E per questo si deve uscire della scatola nera cerebrale marginalista dei vari Rogoff e altri Blanchard, i quali, in modo molto puerile e probabilmente etico-politicamente colpevole in ambedue i casi, confondono Moltiplicatore generico e moltiplicatori settoriali senza nemmeno distinguere l’operato del Moltiplicatore secondo i parametri socioeconomici nel quale è iscritto. Chiaramente se siamo nel contesto dello Stato sociale appoggiato dalle protezioni del Gatt, dal credito pubblico con una banca centrale di Stato e da una fiscalità progressiva cittadina, i circuiti del capitale e dunque l’andamento socio-economico generale sarà molto diverso del contesto dello Stato minimo sotto tutela della « private global governance » del libero-scambio globale con la sua fiscal policy regressiva. Come ben sappiamo, il mondo del capitalismo trionfante è come quello agostiniano o Lombardo, un mondo statico impegnato a dichiararsi fine della Storia per meglio congiurare il suo ineluttabile deperimento e il suo inevitabile superamento come sistema iniquo di sfruttamento, ormai incapace di spartire i guadagni di produttività. Anche il Presidente dell’INPS Pasquale Tridico lo ha capito notando : « come dalla fine degli anni Ottanta a oggi, sulla quota redditi del PIL, i salari siano scesi dal 64% al 53%. » cioè di 11%. (Vedi Salario minimo contro lavoro povero. I piedi nel piatto, di Stefano Porcari http://contropiano.org/news/politica-news/2019/05/23/salario-minimo-contro-lavoro-povero-i-piedi-nel-piatto-0115744 ». Da anni, il mio Tous ensemble data dal 1998, argomentiamo a favore di una migliore ripartizione economicamente fruttuosa con il passaggio alla riduzione generale del tempo di lavoro con una paga originalmente identica ma con la bonifica immediata dei programmi pubblici finanziati con la riabilitazione del salario differito.

In effetti, non si tratta solo di critica teorica. La prova è ovunque sotto i nostri occhi tanto nei Stati Uniti quanto nella UE e sopratutto nella Zona euro.

Nei Stati Uniti disponiamo di uno case study illuminante con il Stimulus plan di Obama. Il risultato statisticamente verificato, e da me previsto da anni, è il seguente: gli aiuti dello Stato federale andarono alle infrastrutture – strade, ponti, fognature ecc – ai servizi sociali – essenzialmente Medicare e Medicaid – e ad altri servizi – educazione e sostegno scolastico ed altri programmi di formazione e di sostengo sociale. In riassunto, il risultato è il seguente: in tutti questi campi esiste una straordinario differenza nel Moltiplicatore settoriale secondo che gli aiuti statali vanno al settore pubblico – Moltiplicatore settoriale attorno a 3 – o secondo che vanno al settore privato – Moltiplicatore molto debole della magnitudine di quello generico caro ai ciechi Rogoff, Blanchard ed altri servi in camera del genere , cioè vicino a 1. (Il dibattito è usualmente condotto senza il minimo sforzo per chiarire questa confusione. Vedi ad esempio questi articoli: a ) http://www.washingtonpost.com/blogs/wonkblog/post/did-the-stimulus-work-a-review-of-the-nine-best-studies-on-the-subject/2011/08/16/gIQAThbibJ_blog.html ; b ) http://www.letemps.ch/Page/Uuid/49105d0e-c67f-11e4-959d-74804f4bcbe7/La_bonne_et_la_mauvaise_austérité (questi links furono menzionati da Jean-Charles nel sito di G. Ugeux, l’11 marzo, 2013). Vedi pure : La commission européenne de plus en plus keynésienne ! (Crédits : Reuters) Ivan Best | 05/03/2015, 10:02 – 1396 mots http://www.latribune.fr/actualites/economie/union-europeenne/20150304tribcdbd1e118/la-commission-europeenne-de-plus-en-plus-keynesienne.html.

E chiaro allora che tutti gli argomenti attuali sulla debolezza del Moltiplicatore generico, per scoraggiare l’intervento statale a favore della fiscalità regressiva neoliberale capitalistica, sono a-scientifici, irrazionali e oscurantisti. La debolezza e dovuta ai parametri neoliberisri monetaristi che comunque non riescono a distruggere l’effetto positivo sui Moltiplicatori settoriali, i quali rimangono più protetti dall’effetto negativo dell’estroversione nell’inserzione mondiale della Formazione sociale nazionale, essendo concentrati nei campi sociali e nelle infrastrutture, cioè nei servizi non ancora totalmente aperti alla concorrenza globale e sui quali si gioca una aspra lotta di classe e nazionale – ad esempio con i caotici dazi di Trump i quali, a modo loro, confermano la mia domanda per una nuova definizione dell’anti-dumping esposta nel mio Appello in questo medesimo sito.

In effetti, oggi ne abbiamo tre illustrazioni: in Grecia, in Francia e in Italia.

Per la Grecia se vede la mia critica positiva del importante libro intitolato « THE BODY ECONOMIC: why austerity kills, by David Stuckler and Sanjay Basu, HarperCollins Publishers LTD, 2013. A critical review, in https://www.la-commune-paraclet.com/Book%20ReviewsFrame1Source1.htm#thebodyeconomic )

Par la Francia, basta considerare l’effetto positivo provocato dalle rivendicazioni dei Gilets jaunes che costrinsero il Président Macron a rallentare la pressione sui meno agiati, ritirando momentaneamente dalle loro spalle un aumento di tasse per poco più di 10 miliardi di euro. Risultato, mentre l’economia mondiale ed europea rallentava drasticamente, questo debole sostengo al potere di acquisto dei due o tre decili più in basso contribuì attorno a 0,3 % di crescita. Basta solo immaginare il risultato se il paniere di consumo medio era in qualche modo protetto favorendo produzioni locali, senza discriminare sui produttori.

Lo stesso argomento vale per il troppo misero RDC – per colmo irrazionalmente sottoposto a condizioni di risorse nello spirito debilitante del workfare che crea bacini di povertà irreversibile anche dal punto di vista generazionale. La mobilità sociale è diventata un sogno lontano.

Concludiamo questa rapida critica dell’equivalenza ricardiana, rimandando Blanchard ed altri alla considerazione dei parametri nei quali scrivono le loro puerili equazioni. Va sottolineato che per stabilire la curva della domanda danno le tabelle dell’offerta in prezzo, e poi danno quelle della domanda in prezzo per stabilire quella dell’offerta, il prezzo giusto del mercato in questo girotondo « pedantesco e asinesco » per parafrasare il nostro Giordano Bruno emergendo dall’incrocio meta-magico delle due curve cosi stabilite, hi-han! Di conseguenza, la Commissione europea dovrebbe lasciare stare questa fiscal policy regressiva, e riconoscere che il sentiero di consolidamento fiscale è solo una guerra contro le nazioni e contro i popoli sovrani; deve riconoscere, in oltre, che il Fiscal Compact è oramai nullo e non avvenuto perché non fu trascritto nel diritto europeo prima del 1 gennaio 2019, in modo che la Commissione dovrebbe invece impegnarsi per ristabilire dei Moltiplicatori generico e settoriali virtuosi tenendo conto della realtà contemporanea, incluso la crisi del capitalismo speculativo egemonico – fine del sentiero di consolidamento fiscale e debito insostenibile tanto pubblico quanto privato – rivedendo dunque i parametri socio-economici sotto-giacenti.

Esistono due alternative:

A ) Le Preferenze comunitarie proposte dal grande economista walrasiano classico Maurice Allais, molto cosciente sin dall’inizio degli effetti devastanti del libero-scambio globale non regolamentato; vedi, ad esempio, il suo « rupture de 1974 » vedi https://osonsallais.wordpress.com/2010/10/13/allais-la-rupture-de-1974/ Il grande Maurice Allais fece pero l’errore di considerarla RTT come una forma qualsiasi di « trattamento sociale » della disoccupazione atta a creare distorsioni nel libero mercato del lavoro, forzandomi a scrivere la mia Nota ** del mio libro III, che diede poi origine al presa in linea di conto dei « vari numeri della disoccupazione e della sottooccupazione ». Vedi la traduzione in italiano dei « Brani scelti del mio Keynsianism, Marxism, Economic Stability and Growth », 2005, nella sezione Italia del mio vecchio sito giurassico www.la-commune-paraclet.com )

B ) La mia proposta per una nuova definizione dell’anti-dumping capace di proteggere il « reddito globale netto » dei focolari – dunque salari individuale e differito e tax area sulla busta paga lorda – ristabilendo cosi la coerenza socio-economica delle nazioni sovrane, salvando nello stesso tempo il pieno-impiego e dunque con esso la fiscalità dello Stato, come pure i criteri ambientali, almeno quelli essenziali secondo il principio di precauzione.

Tanti Diafoirus di regime affermano nel gergo del putativo impero filo-semitico nietzschiano « There is no alternative ». Ma l’esempio dello Stato sociale nato dalla Resistenza non è del tutto cancellato nella mente dei popoli. Mancano, è vero, gli intellettuali organici di sinistra capaci di opporre la scienza alle narrazioni marginaliste senza rispondere alla cosiddetta « riconoscenza del ventre » che io credevo riservata ai cani domestici. Si nega anche la critica per non dare il diritto deontologico alla risposta. Ho detto altrove che la fiorentina costa caro … Intanto, un caso emblematico recente viene fornito dalla concretizzazione dello Stato del benessere in Bolivia, una esperienza illuminante iniziata con le lotte per la ri-nazionalizzazione dell’acqua e dei settori socio-economici e culturali strategici, con lo sviluppo dei servizi sociali e nazionali pubblici e con il passaggio ad una democrazia più partecipativa rispettosa dei diritti fondamentali individuali, sociali e collettivi. D’altronde, questo Impero di auto-eletti, che provocherebbe l’ilarità di uno Svetonio nato Romano, ha già iniziato il suo inesorabile declino anche a causa della sua pretenzione ad erigere la sua volgare e anti-umana narrazione neo-liberalista e monetarista in dottrina di Stato.

A cosa servono i fondi pubblici?

In conseguenze dello smantellamento dello Stato sociale e del suo credito pubblico, siamo oggi confrontati a centinaia di vertenze lavorative e industriali in gran parte disattese. Alitalia, Whirlpool, l’ILVA di Taranto; rappresentano solo la punta del iceberg in uno sistema Italia allo sfaccio. Lo Stato assieme ai ministri fingano laboriosamente ignorare il problema almeno finché non diventa mediatico per poi assicurare i lavoratori con il solito « double speech » orwelliano, che il problema risulta dalla vecchia politica di intervento dello Stato! Dicono la stessa cosa alle vittime delle catastrofe « naturali » – alluvioni, terremoto, incendi boschivi ecc – che non hanno niente di naturale se non la criminale latitanza dello Stato e l’abbandono del Territorio alla logica di corto termine del capitale speculativo anche in salsa « verde climatologa ». Intanto per rassicurare la Commissione europea e i nostrali federalisti spinelliani, il DEF in preparazione blocca il rinnovo dei contratti nella PA a 2 miseri miliardi di euro, mentre le voci a favore di una manovra correttiva di 4 a 5 miliardi proposta da Moscovici et al., guarda già ad un taglio di simile grandezza nella Sanità … Con grande rigore logico, la politica di natalità sarà finanziata con i risparmi su Quota 100 e sul RDC, il quale non ammonta neanche ad un REI legermente ampliato. Per il resto, ci sarà il « mito soreliano » dell’aumento del salario minimo, il quale essendo un salario orario darà forse risultati altrettanto mirobolanti dei vecchi voucher nel contesto della precarietà dilagante creatrice dei cosiddetti contratti a zero ore, ovvero nel gergo di shitty o gig jobs.

Nel mondo assurdo del neoliberalismo monetarista filo-semitico nietzschiano, dove per parafrasare Margaret Thatcher « la società non esiste, esistono soli i bisogni individuali », i fondi pubblici servono per ingrassare il capitale speculativo che distrugge l’ambiente e nega l’umanità del fattore di produzione lavoro, il solo che crea valori di scambio, e il solo che necessita un focolare per rinnovarsi come lavoratore. Ovviamente, la redditività speculativa – Return on equity o Roe – non può contemplare i progetti infrastrutturali a medio e lungo termine perché non sono compatibili con i rapporti contabili trimestrali e con il versamento dei dividenti da versare agli azionari, come dimostra ultimamente il caso di Autostrade ed il crollo del Ponte Morandi a Genova. Ad esempio, per la sola Atlantia « L’utile del primo semestre 2017 (era di) 1.229 milioni di euro. », mentre « L’acconto sui dividendi oggetto di distribuzione (era di) 466 milioni di euro. » ( in http://www.atlantia.it/documents/20184/30926/Atlantia_Acconto_sui_dividendi_2017_10112017_con_parere.pdf/0b80ed21-8293-4973-890c-9e85fdbd2c47 , p 7 )

Questa redditività può essere più facilmente realizzata con le ristrutturazioni effettuate a credito – LBO ecc – e con i miliardari e mensili buybacks utilizzati per sostenere artificialmente i corsi in Borsa. Come d’altronde questa politica neoliberale monetarista favorisce il settore privato a scapito della fiscalità generale dello Stato … l’unica questione rimanente è « dove tagliare ? »

L’ideale per l’emancipazione umana rimane comunque la sobrietà individuale agevolata dalla ricchezza collettiva, in primis un sistema di previdenza e assistenza muro a muro, incluso l’accoglienza e l’integrazione degli immigranti e gli asili nidi di accesso universale e gratuito per permettere una reale parità di genere lavorativa, sociale e culturale, anche rovesciando l’attuale suicidio demografico. Ed è proprio questo obbiettivo già caro al « calabrese di spirito profetico dotato », Gioacchino da Fiore, che fu auspicato da Carlo Marx e, anche se in modo transitorio, dalla nostra Costituzione della Prima Repubblica che ne poneva la condizioni materiali e giuridiche di esistenza.

I soldi pubblici servono dunque a garantire :

  • l’economia mista con la pianificazione almeno strategica del campo socio-economico e culturale
  • la tutela del credito pubblico
  • l’utilità sociale e l’interesse nazionale
  • la solidarietà nazionale in particolare con il sistema di sanità, di previdenza e di assistenza sociali
  • l’educazione laica, libera e gratuita, la tutela della ricerca e della cultura
  • la parità di genere e i diritti civili
  • la lotta contro le disparità regionali – incluso gli imprescindibili LEP.

Dobbiamo ritornare ad immaginare la transizione del Regno della Necessità – « da ciascuno secondo le sua capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro » – al Regno della Libertà, cioè « da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni ».

Riassunto reattivo del 18 giungo 2019

« Commento a « Debito pubblico, l’acchiappafantasmi » di Dante Barontini http://contropiano.org/news/news-economia/2019/06/17/debito-pubblico-lacchiappafantasmi-0116511?unapproved=164951&moderation-hash=6a9f5296fa38bf3400a2911f604caafc#comment-164951

Paolo De Marco

18 Giugno 2019 12:08

Il nostro Paese è ricco ma molto sprecone e fondamentalmente disuguale. Non si può dire che i criteri economici sono buoni – non lo sono affatto e meno di tutti la nostra produttività microeconomica e la nostra competitività macro-economica. Abbiamo finanziato il debito pubblico con un avanzo primario molto alto – a volte oltre il 3 % – negli anni passati ma sacrificando tutto, salario e servizi sociali e Enti economici pubblici. Oggi, questo margine non c’è più, i tagli vanno all’osso, incluso i beni artistici e il demanio. La posizione netta del nostro Paese sembra buona solo se si fa astrazione dei quasi 500 miliardi di Target 2, dovuto al pitre Draghi, e che non sono certo un semplice « jeu d’écriture ».

La Germania – o la Francia ecc – non è colpevole dell’incompetenza dei nostri né dell’auto-inflitto Articolo 81, del quale nessuno parla più, neanche la piduesca Piattaforma Rousseau. Ha un surplus ma il criterio di Maastricht afferrante è del 6 % . Questo surplus è fluttuante sopratutto visto l’estroversione della Formazione sociale tedesca, perciò la Germania guarda giustamente a queste cose a medio e lungo termine, come pure la Commissione europea.

Intanto la Germania non accetterà mai – a ragione – gli eurobond o manovre del genere per prendersi carica del debito altrui. Nonostante, il Sig. Schaeuble aveva indotto un piano di sostegno con 14 miliardi di euro per l’accoglienza – un sogno da noi dove esiste un’inflazione di razzismo e di ignoranza squadrista xenofoba – e fondi – certo minimi – per le infrastrutture tedesche, oggi un poco neglette almeno per quelle tradizionali. Ma intanto la Germania ha intelligentemente ri-orientato la sua economia verso il mercato asiatico mentre da noi si firma un memorandum senza contenuto e c’è ancora qui cerca pregio politico affermando di essere il domestico principale del putativo impero filo-semitico nietzschiano sostenitore del regime di Apartheid ufficiale nello ormai Stato canaglia israeliano.

Aggiungo che, come fece d’altronde notare Mélenchon, in uno articolo riprodotto da voi il cosiddetto Fiscal Compact non fu trascritto in legge fine dicembre 2018, perciò non è più legalmente valido. Il low-tow nostrale è tutto nostrale.  Come l’Articolo 81 e la famigerata Lettera Draghi-(Trichet), conclusione logica del vertice sul Britannia nel 1993.

Un grande Paese non si governa con decreti sicurezza-immigrazione e con fasulle Quota 100, fasullo RDC e fasullo salario minimo orario – cioè, un nuovo voucher che indurrà più intensità lavorativa e più lavoro nero nel nostro sistema di piccole imprese familiari e poco produttive – a parte 500 aziende medie e grandi, in gran parte da vendere per assicurare l’avanzo primario che piace tanto a Cottarelli et al. Hanno occhi e non vedono, hanno orecchie e non sentono ecc … Per un’analisi della drammatica situazione vedi http://rivincitasociale.altervista.org/cosa-vogliono-la-ue-la-lega-m5s-ovvero-cosa-servano-fondi-pubblici-giugno-6-2019/  »

Paolo De Marco

Ex-professore di Relazioni internazionali (Economia Politica Internazionale)

San Giovanni in Fiore (CS), 6 giugno 2019 – con alcuni aggiornamenti

Note:

1 ) Vedi REPORT FROM THE COMMISSION Italy Report prepared in … http://www.europarl.europa.eu/RegData/docs_autres_institutions/commission_europeenne/com/2019/0532/COM_COM(2019)0532_EN.pdf

2 ) « Dopo il 2013 l’Italia ha attenuato molto sia lo sforzo per risanare definitivamente la finanza pubblica, sia l’impegno per la crescita. Un esempio, la scelta del governo Renzi di dedicare risorse ingenti agli 80 euro in busta paga, piuttosto che alla riduzione del cuneo fiscale. » in Mario Monti: “L’Italia così isolata non cambierà mai l’Europa”, Suggerirei di smettere di parlare di letterine” dice l’ex premier. “Rischiamo di perdere anche il sostegno della Bce, la procedura va evitata” in By Angela Mauro https://www.huffingtonpost.it/entry/mario-monti-su-italia-ue-rischiamo-di-perdere-anche-il-sostegno-della-bce_it_5cf9f140e4b006ad194eca4a?utm_hp_ref=it-homepage . No so se fa ridere o desta pietà sentire da parte del signore Monti elogiare « il sostegno della BCE»! Quello che no si dice in Italia è che Draghi ha contribuito non a salvare il paese con lo spread più basso ma a rovinarlo in modo accelerato. In effetti, le scelte di Draghi, ex impiegato della Goldman and Sachs e partecipe all’incontro sul Britannia, fece abbassare lo spread per permettere alle banche straniere di vendere i loro bonds italiani. Questo fu la causa maggiore di un doppio disastro, quello del non contenimento del nostro debito pubblico al quale fu aggiunto quasi 500 miliardi di Target II, che non sono proprio uno semplice « jeu d’écriture » innocuo ma un debito vero e proprio e un cappio al collo supplementare per il nostro Paese.

3 ) « The high and increasing projected stock of debt in 2029 in the baseline scenario and its sensitivity to macroeconomic-fiscal shocks contribute to that assessment. Achieving a debt ratio of 60% of GDP by 2033 would thus require Italy to make a large cumulative fiscal effort, amounting to 10.2 percentage points of GDP over 2021-2025. » (p14 del Report from the Commission)

4 ) Vedi https://it.wikipedia.org/wiki/Dati_macroeconomici_italiani

5 ) Vedi Ecco le conseguenze di una procedura sul debito eccessivo (mai applicata finora) https://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2019-06-04/ecco-conseguenze-una-procedura-debito-133451.shtml?uuid=ACw6X7L

6 ) Vedi: « CREDITO, DEBITO PUBBLICO E TAGLI: Sentiero di consolidamento fiscale e tagli agli enti locali » 10 novembre 2018, in http://rivincitasociale.altervista.org/credito-debito-pubblico-tagli-golpe-costituzionale-24-febbraio-2019/ Per una sintesi della critica del paradigma marginalista vedi « La pseudo-scienza economica borghese: perché dobbiamo cambiare pradigma al più presto», in http://rivincitasociale.altervista.org/la-pseudo-scienza-economica-borghese-perche-dobbiamo-cambiare-paradigma-al-piu-presto/ .Vedi pure l’Introduzione metodologica nella Sezione Livres-Books del mio vecchio sito giurassico www.la-commune-paraclet.com

7 ) Procedura infrazione, Moscovici parla in italiano: “La mia porta resta aperta”, in https://video.repubblica.it/dossier/unione-europea/procedura-infrazione-moscovici-parla-in-italiano-la-mia-porta-resta-aperta/336427/337024?ref=search

8 ) La risposta del Governo al rapporto della Commissione UE sull’Italia ex articolo 126(3) TFUE http://www.mef.gov.it/inevidenza/article_0415.html . I nostri professori di economica sono spesso del serraglio ma per colmo rimangono comodamente ingabbiati nel loro paradigma, vedi ad es, Cosa fare dopo la letterona da Bruxelles. 06.06.19, Francesco Daveri https://www.lavoce.info/archives/59513/cosa-fare-dopo-la-letterona-da-bruxelles/ . Non parliamo poi dei nostri Dottori forbici o dei nostri ex-ministri …

9 ) Vedi Francesco Daveri https://www.lavoce.info/archives/59513/cosa-fare-dopo-la-letterona-da-bruxelles/

10 ) Vedi Gli imprenditori della paura, 4.06.19, Tito Boeri https://www.lavoce.info/archives/59482/gli-imprenditori-della-paura/  . Emergenza migranti è sempre stata strumentalizzata in un modo molto xenofobico e irrazionale visto non solo i contributi essenziali degli immigrati in Italia in termini di tasse e contributi sociali, ma anche dato il gravissimo deficit demografico aggravato dalla fuga fuori d’Italia di milioni di cittadini e residenti. Questa demagogia anti-costituzionale – anche perché la Costituzione garantisce i diritti fondamentali dei residenti sul nostro territorio e non solo dei cittadini italiani – fa parte integrante del disegno di regressione sociale oggi messo in salsa Bannon con tanto di nudging, cioè proprio il modo di fare che distrugge il lavoro e causa la fuga fuori d’Italia. Il nudging, si sa, spera potere influenzare il tiro: oggi i fatti dicono che il tiro di questi praticanti del nudging colpisce tutti nel Paese senza discriminazione, cittadini o residenti di origine straniera. Si tratta di un vero e proprio malthusianismo economico e demografico simile a quello di un Maurice Strong per il quale per salvare il pianeta bisognava ridurre la popolazione attorno a 2 milioni, anche strumentalizzando narrazioni climatiche …

11 ) « Italy’s public debt-to-GDP ratio, at 132.2% in 2018, is the second largest in the Union and one of the largest in the world. In 2018, it represented an average burden of EUR 38 400 per inhabitant, in addition to an average yearly cost of servicing it of around EUR 1 000 per inhabitant. » p 20 del Report from the Commission.

12 ) Vedi i « Brani scelti del mio Keynesianism, Marxism, Economic Stability and Growth, 2005 » nella Sezione Italia del mio vecchio sito www.la-commune-paraclet.com . Un aggiornamento delle misure proposte si trova ad esempio nel mio Appello in http://rivincitasociale.altervista.org. Se il mio libro del 2005 fu il primo a prevedere la crisi dei subprime secondo le contraddizioni create dalla separazione dei 4 pilastri del mondo bancario e finanziario e nei « montages » dei nuovi strumenti speculativi, il mio Appello sottolineava l’urgenza di correggere i devastatori trattati di libero scambio con una nuova definizione anti-dumping non più appoggiata sulla competizione globale di tutti i lavoratori sulla base del solo salario individuale – senza il salario differito e senza le tasse necessarie per il finanziamento delle infrastrutture e serivis di utilità sociale e di interesso pubblico – e ambiente. Oggi Trump se n’è reso conto ma nel suo modo caotico ….

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