Commenti disabilitati su REFERENDUM DEL 2016 VS REFERENDA DEL 2017: Lo smantellamento dell’unità della Repubblica italiana dopo lo smantellamento dello Stato sociale.

Fatta l’unità d’Italia si disse che si doveva procedere per fare il popolo italiano. Nel senso nobile di un soggetto storico sovrano questo avvenne sul tarde con la nascita della Repubblica e della sua Costituzione. A me sembra che il popolo italiano ha sempre esistito come unità culturale anche dopo il crollo dell’Impero romano. Machiavelli tra altri lo riconobbe già alla sua epoca. Dobbiamo pero riconoscere che, almeno fine al dopo-guerra, mancò una classe di dirigenti italiani degni di dare uno Stato sovrano a questo popolo e capace di difenderne gli interessi superiori. L’aristocratico Giacomo Leopardi si fece repubblicano proprio in reazione a questa indegnità e lo scrisse senza mezzi termini nel suo poema «All’Italia »

I dirigenti attuali odiano la nostra Repubblica e la sua Costituzione, ambedue figlie della Resistenza e, di conseguenza, della lunga storia del divenire umano in marcia verso un’emancipazione sempre maggiore dei popoli e dei cittadini. La odiano forse più degli arroganti ed assai volgari dirigenti della JP Morgan. Fanno tutto per aggirare o, peggio ancora, per riscrivere la nostra Carta fondamentale. Nel 2016 hanno perso il referendum sulla loro contro-riforma costituzionale. Seguendo la strategia di decostruzione adottata dopo la loro risonante sconfitta referendaria che confermò l’acqua come un bene comune, si cerca ora ottenere con negoziati diretti tra governo ed alcune regioni quello che fu clamorosamente negato col referendum nazionale del 4 dicembre 2016.

Le leggi elettorali, sin dagli anni Novanta, seguano la stessa logica di esproprio dell’espressione democratica del popolo sovrano. L’ultimo episodio è quello del cosiddetto Rosatellum contrario già dalla sua nascita ai paletti fissati dalla Corte costituzionale nel suo avviso sul Porcellum. ( vedi l’articolo nella « Categoria » « Commenti rapidi » in questo medesimo sito.)

La UE usa la stessa strategia anti-democratica. Dopo il fallito tentativo, in Francia e nei Paesi Bassi, di fare approvare il cosiddetto Trattato costituzionale europeo, i governi della UE abbandonarono la strada delle consultazioni democratiche a favore dei negoziati inter-governamentali. Imposero così un testo similare nella forma del mini-Trattato di Lisbona, benché questo essendo un semplice trattato non crea gli stessi vincoli implicati da una costituzione.

Dopo la distruzione interna del PCI consumata alla Bolognina nel 1991, furono spazzati via gli ultimi ostacoli alla loro perversa voglia filo-semita nietzschiana di « ritorno » ad una società della nuova domesticità e della nuova schiavitù. Il cosiddetto Patto Sociale del 1992 iniziò questa marcia socio-economica e culturale a ritroso. Grazie all’implosione dell’Unione Sovietica il loro progetto prese subito le dimensioni di una vera e propria regressione su scala europea e globale. Al livello mondiale, il neoliberalismo globale, ispirato alle teorie fasciste dell’ebreo-austriaco von Mises ed a quelle dei discepoli più o meno diretti nella Chicago University, tali gli ebrei-americani Hayek e Milton Friedman assieme alla loro Societé du Mont Pélerin, assunse una chiara dimensione parassitaria levando le ultime barriere capitalistiche ancora opposte all’egemonia della speculazione finanziaria.

Ad esempio, con l’abrogazione nel 1999 del Glass Steagall Act e più ancora con le migliaia di milioni di liquidità iniettate nel sistema bancario privato dopo il 2007-2008, sparì de facto il ratio prudenziale bancario governato dalle banche centrali. Questo ratio essendo sostituito con i salvataggi continui finanziati con fondi pubblici, si cancella l’unico meccanismo capitalista di correzione del divario tra economia reale e economia speculativa che caratterizza le crisi capitalistiche, dunque le purghe e le fusioni che ne seguono. Al livello europeo, sotto la forma del federalismo neoliberale spinelliano – cioè, filo-semite atlantico – questa regressione prese la forma di una integrazione europea subordinata all’egemonia globale del capitale speculativo. Le barriere tariffarie del GATT furono soppresse con la transizione all’OMC senza l’adozione di Preferenze comunitarie.

La logica della cooperazione tra blocchi commerciali consolidati aveva come obbiettivo quello di adattare al livello supra-nazionale la gestione della concentrazione-centralizzazione del capitale espressa nella forma multinazionale o transnazionale delle grandi imprese. L’abbandono di questa logica si concretizzò nel Trattato di Maastricht per poi arrivare alla creazione della Eurozone sottomessa ad una BCE ormai quasi-indipendente del potere politico. Questa gestione della moneta unica e del credito all’epoca della finanza speculativa accelerò la crisi strutturale del capitalismo, iniziata già alla fine degli anni 60 ed all’inizio degli anni 70. François Perroux parlò allora di « società mature », riprendendo così sotto un’altra forma l’analisi marxista della contraddizione tra sovrapproduzione e sottoconsumo.

La gestione reazionaria di questa crisi portò al Fiscal Compact, cioè alla sottomissione dell’intera politica socio-economica e culturale all’unico obbiettivo di rimborsare un debito nazionale già da tempo fuori controllo perché abbandonato al mercato privato speculativo e dunque alle banche private. Cioè, alle stesse banche private oggi salvate in permanenza, particolarmente sin dal 2007-2008, con il rimborso a 100% del debt provisioning e con l’iniezione di ingenti fondi pubblici utilizzati per ricapitalizzarle senza pretendere in scambio nessuno controllo azionario pubblico. Ad esempio, il MES inizialmente creato come slava-banca della Eurozona costò al nostro Paese attorno a 4 % del PIL, senza riuscire minimamente ad arginare la crisi. Seguirono altri rimedi neoliberali incluso il più recente « quantitative easing ».

Queste scelte politiche non sorprendono, anche per il fatto che, in Italia, il profiling imperiale è diventata una scienza esatta. I nostri dirigenti hanno trasversalmente violato in modo palese tutti i principi cardini della nostra Costituzione inserendoci, senza la minima consultazione referendaria preliminare, l’Articolo 81 – parità di bilancio sottomessa alla disciplina europea – e l’Articolo 99 – parità reagniana di bilancio per gli Enti locali, cioè il cosiddetto patto di stabilità interno.

Il pretesto di questa modifica, per me ultra vires, fu come sempre sin dal 1992, l’Articolo 11. Questo, oltre a ripudiare la guerra come metodo di risoluzione dei conflitti internazionali, permette di non consultare il popolo sovrano per essere in conformità con i trattati internazionali. Solo che, normalmente, questo dovrebbe applicarsi ai trattati conformi alla Carta dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ed alla Dichiarazione Universale dei Diritti Fondamentali Umani Individuali e Sociali, testi identicamente ispirati perché anche loro nati dalla Resistenza al Fascismo ed al Nazismo. Per il resto dovrebbe essere chiaro che non si possono subordinare i principi cardini della Costituzione, contenuti nel suoi primi 10 articoli, ad una giurisdizione esogena senza l’approvazione popolare espressa in una nuova Assemblea costituente. Dopo la relegazione del PCI all’opposizione nel 1947, l’Italia dei stay-behind e del Gladio divenne rapidamente un paese a sovranità limitata: questo fu dimostrato dal numero di basi militari americane oggi superiore al numero delle province, ma mantenute tacitamente fuori del dibattito pubblico. Questo perché, sin dall’inizio con Alcide De Gasperi, tutti sapevano che questa presenza era ovviamente contraria alla Costituzione. Anche al livello dell’interpretazione della Costituzione esiste un lassismo istituzionale di classe tutto italiano, diciamo servilmente atlantico e filo-semita nietzschiano.

Abbiamo alluso qui sopra al fatto che i referenda veneto e lombardo del 22 ottobre 2017 servono solo a passare oltre alla volontà popolare chiaramente espressa durante il referendum del 4 dicembre 2016. Questo si verifica facilmente guardando ai risultati, incluso nel Veneto – affluenza : 76,7 % con 61,9 % di no alla proposta costituzionale di Renzi-Gutgeld and Co – come pure in Lombardia – affluenza 74,2% con 55,5 % di no ( vedi tutti i risultati in http://www.repubblica.it/static/speciale/2016/referendum/costituzionale/ )

Questo spiega perché, incredibilmente, nel 2017 non ci fu nessuno dibattito nazionale e nessuno dibattito regionale a difesa dell’unità e della Costituzione della Repubblica italiana, « una e indivisibile ». In effetti, come fu dimostrato dall’atteggiamento dei dirigenti e dei sindaci PD nelle due regioni citate, al livello governativo si sperava nella vittoria del Si per legittimare l’apertura immediata dei negoziati. L’unica precauzione espressa dall’Emilia-Romagna fu di ristringere i negoziati auspicati proprio alla devolution promessa nel progetto di revisione costituzionale sconfessato dal popolo italiano nel 2016. Per fortuna, il referendum veneto del 22 ottobre 2017, anche se ha raggiunto quasi a stento il quorum, fu formulato in modo così vago da non legittimare minimamente la pretesa ad uno Statuto speciale. Quello lombardo, indetto cautelativamente senza nessuno quorum, mobilizzò a stento un può più di un terzo dell’elettorato, mentre Milano, Città Medaglia d’Oro della Resistenza, espresse chiaramente la sua contrarietà. Basta dunque dare un’occhiata ai risultati del referendum democraticamente condotto del 4 dicembre 2016 per capire la strategia di astensionismo colpevole adottata dal governo nazionale e trasversalmente da quasi tutti i dirigenti attuali. In queste triste circostanze mi sembra che i negoziati subito accettati dal governo Gentiloni, non hanno la minima legittimità democratica né costituzionale.

In tanto, sembra che questi negoziati porteranno alla devolution secondo una strategia estratta dalle pagine di introduzione della « game theory ». Il Veneto alza il tiro e chiede uno Statuto speciale, la Lombardia leghista cercherà di imbrogliare le carte chiedendo uno strano statuto di « regione speciale » fondato sul recupero del cosiddetto « residuo fiscale ». Di per se questo rappresenta una domanda anti-costituzionale, visto l’obbligo della perequazione nazionale. Intanto l’Emilia-Romagna giocherà il ruolo di terzo per arrivare alla generalizzazione della devolution a favore delle regioni più ricche. Questo essendo l’intenzione, rimane che tale accordo, illegittimamente concluso con questi negoziati, dovrà comunque essere sottomesso ad un referendum nazionale. Se non altro perché modifica una seria di articoli costituzionali centrali della divisione dei poteri.

Sottolineo il fatto che la discussione sul residuo fiscale è altamente tossica. In effetti, gli ultimi referenda veneto e lombardo si iscrivano nel contesto della regionalizzazione anti-Stato nazionale all’interno di una Unione Europea spinelliana e neoliberale. Con le privatizzazioni muro a muro implicate da questa tendenza, alle quali si aggiungono gli effetti della gestione neoliberale della crisi economica-finanziaria, le disparità regionali andranno fatalmente a crescere. La Costituzione prevede un meccanismo di perequazione; paradossalmente questo diventerà più oneroso per le province più ricche – cioè, in realtà, quelle favorite sin dal 1860 dalle politiche socio-economiche e culturali dello Stato centrale capitalista. A questo punto, si andrà verso la riduzione drastica dei LEA, accelerando così la disgregazione sociale della nostra Repubblica. Oppure si sceglierà di ridurre drasticamente la perequazione, portando alla sua distruzione fiscale, già iniziata con il famigerato federalismo fiscale imposto al Paese – contro le mie proteste all’epoca – senza il minimo studio di impatto: Già! visto che l’obbiettivo era di sabotare il sistema per poi prenderne pretesto per riformare nel senso della devolution spinelliana e filosemita nietzschiana. Si prevedono altri guai solo a pensare che i devoluzionisti mascherati del federalismo fiscale non furono mai capaci di definire la metodologia da utilizzare per passare dai costi storici ai costi standard …

Visto che poca gente capì la logica della devolution contenuta nella riforma a-costituzionale di Renzi-Gutgeld and Co, preme ritornare brevemente sul soggetto, rimandando ai miei articoli accessibili nella Categoria « Costituzione » del sito http://rivincitasociale.altervista.org . L’ottica era la distruzione della Repubblica nata dalla Resistenza e della sua democrazia sociale sancita nei suoi principi cardini. Ci fu l’illusione assai diffusa di una ri-centralizzazione di alcuni poteri che, in effetti, non era contenuta nel testo della contro-riforma renzi-gutglediana. Si trattava solo di riformulare il Capitolo V per permettere la privatizzazione di tutte le 8000 e più impresse municipali tra le quali molte valutate ad oltre 2 miliardi di euro e operando nel quadro dei beni comuni. La privatizzazione delle ricchezze pubbliche costituì la nuova frontiera del capitalismo esteso all’Est dopo la caduta del Blocco sovietico. La stessa cosa vale ora per le municipalizzate essendo quasi esaurito il processo di privatizzazione e di quotazione in borsa delle grandi imprese nazionali. L’ebreo americano-israelo-italiano Yoram Gutgeld lo dice senza mezzi termini nel suo libro che servì di programma al PD, e più particolarmente al PD di Renzi e dei suoi alleati e successori. (Vedi la mia recensione in italiano nella Sezione Critiques de Livres-Book reviews del sito www.la-commune-paraclet.com .) Ovviamente, in questo periodo di crisi della finanza speculativa, i più fortunati in possesso di montagne di quello che ho chiamato « Kerouac paper » – in referenza ai provvidenziali rolli di carta utilizzati dal autore di On the road – sognano di trasformarle in titoli di proprietà più sicuri e più concreti. I finanzieri del Rinascimento, Fugger ed altri, fecero la stessa cosa… per proteggersi … visto gli anatemi dell’epoca contro l’usura.

Queste privatizzazioni al livello municipale sono abbastanza più difficili da realizzare rispetto a quelle effettuate al livello nazionale, ad esempio, all’inizio del processo con l’ineffabile Prodi per l’IRI, cioè il cuore del sistema industriale pubblico quando l’Italia era ancora degna di essere una delle tre potenze fondatrice della UE. Secondo il giudizio espresso da Schroeder questi usa parlare prima e pensare dopo. Non sembra proprio essere un’eccezione tra i nostri dirigenti attuali. La difficoltà del processo tiene sopratutto al fatto che queste municipalizzate operano nel quadro dei servizi pubblici, altrimenti concepiti come « beni comuni ». Le resistenze delle popolazioni locali sono fortissime mentre il numero dei comuni è altissimo nel nostro Paese, come d’altronde in Francia. Per superare questo ostacolo si tentò di centralizzare. Il perché di questa manovra fu bene illustrato dalla Legge Madia già ideata prima del referendum. Alla fine, la Legge Madia, benché in parte dichiarata anti-costituzionale, non esitò ad aprire la porta alle privatizzazioni al livello locale, anche per l’acqua bene pubblico malgrado il risultato senza ambiguità del referendum del 2011.

Ma il cuore della contro-riforma costituzionale di Renzi-Gutgeld era l’articolo 116, cioè la devolution ideata per creare un « federalismo competitivo ». ( http://rivincitasociale.altervista.org/la-riforma-costituzionale-renzi-gutgeldiana-distruzione-del-paese-ad-opera-del-federalismo-competitivo/ ) Prevedeva la devolution di quasi tutti i poteri centrali declinati nell’articolo 117, a dirittura secondo l’esempio delle province di Trento e di Bolzano !!! E questo per tutte le provincie giudicate « virtuose » secondo il patto di stabilità interno, ma senza essere troppo puntigliosi sul ruolo della finanza speculativa nelle leggi di bilancio regionale … La regionalizzazione del Senato, non più eletto democraticamente dalle elettrici e dagli elettori ma solo abilitato a interloquire con la UE completava quest’opera di decostruzione. Sapiamo che già ora più di 80 % delle leggi nazionali sono mere traduzioni parlamentari delle direttive europee. La Camera dei deputati serviva sopratutto per assicurare la sicurezza interna all’epoca della traduzione europea del Patriot Act dei crociati imperialisti e filo-semiti americani. Col tentativo di « ritorno » ad una società della nuova domesticità e della nuova schiavitù con tanto di controllo dei flussi di comunicazione – nuova inquisizione – e di deferenza imposta verso l’Autorità auto-designata, le cittadine/i sono naturalmente considerate come nuove « classi pericolose ».

La casta filo-semita nietzschiana e spinelliana di servi in camera nostrali è scelta imperialmente col ricorso al profiling. I risultati di tali costumi si vedono ad occhio nudo, l’Italia, da tempo paese a sovranità limitata, essendo diventata il laboratorio della regressione all’interno della UE nella quale, a differenza della più piccola Grecia, pesa ancora attorno al 16 % del PIL europeo. Questi dirigenti hanno così scelto di dissolvere la Repubblica e sopratutto la sua Costituzione partigiana nella regionalizzazione effettuata nel quadro di una Europa del capitale speculativo, cioè contraria all’espressione della volontà sovrana dei suoi popoli e nuovamente venduta alla democrazia neo-liberista censitaria. Si passa così dal sistema una elettrice/un elettore = un voto, al sistema un euro = un voto.

Ecco l’Articolo ignorato da quasi tutti malgrado le mie analisi:

« Art. 30. (Modifica all’articolo 116 della Costituzione). 
1. All’articolo 116 della Costituzione, il terzo comma è sostituito dal seguente:
«Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, m), limitatamente alle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali, n), o), limitatamente alle politiche attive del lavoro e all’istruzione e formazione professionale, q), limitatamente al commercio con l’estero, s) e u), limitatamente al governo del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, anche su richiesta delle stesse, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119, purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. La legge è approvata da entrambe le Camere, sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata ». »
in http://www.altalex.com/documents/leggi/2016/04/13/riforma-costituzionale-il-testo

Questa devolution italiasca va a contro-corrente della storia come già argomentato nel mio articolo intitolato « Secessioni: Europa delle regioni sottomesse al capitale o Europa sociale fondata sull’Europa dei suoi Stati nazioni o multinazionali ? » 6 ottobre 2017, in http://rivincitasociale.altervista.org . Il federalismo europeo spinelliano ipercentralizzato non passa. Alla gestione centralizzata dell’euro non fu aggiunto né la sciocchezza degli eurobond, né quella di ammortizzatori sociali europei – che avrebbero costato 11 % del PIL alla Germania ! – né una unione bancaria generalizzata oltre le più o meno 130 banche europee sistemiche, la Germania rifiutando giustamente di mettere in pericolo le sue banche regionali strettamente legate al suo sistema economico-industriale. Anche il QE viene versato in proporzione al PIL rispettivo dei paesi membri secondo la valutazione dei rischi, la BCE non potendo comprare, almeno fin ad oggi, nessuno junk bond (vedi l’esempio della Grecia). Se sfortunatamente le cooperazioni rinforzate sono passate di moda non vi è nessuna speranza realistica di emergenza di un vero ministero europeo dell’economia e dell’industria. Anche l’articolo 63 del trattato di funzionamento della UE relativo alla libera circolazione dei residenti all’interno dello spazio di Schengen, cioè uno dei maggiore aspetti dell’integrazione europea realizzata dal basso, è oggi rimesso in questione col pretesto dei flussi migratori purtroppo necessari ad un Europa in processo di invecchiamento demografico. La scelta spagnola-europea in reazione alla voglia autonomista spinelliana della borghesia della Catalogna è l’ultimo esempio di una lunga e significante lista, purtroppo ignorata in Italia. Sottolineo nuovamente il paradosso del pretestuoso ricupero del residuo fiscale da parte di regioni nordiste sempre privilegiate dagli investimenti centrali e dalla localizzazione delle industrie e dei settori strategici con le loro sedi sociali con rispetto alla logica nazionale della perequazione e dei LEA.

Va anche sottolineato l’inanità del pensiero socio-economico sintetizzato nella vacua narrazione del cosiddetto Modello del Nord-Est. Sin dal 2007-2008, l’Italia ha subito una emorragia di attorno a 5 milioni dei suoi cittadini. Furono 124 076 connazionali a scappare via solo nel 2016, anno di implementazione completa del Jobs Act. Numeri da non dimenticare come si sol fare quando si analizza il tasso di disoccupazione e quello della forza di lavoro attivo. Quelli del Sud essendo già stati sacrificati, nel 2016 l’emorragia toccò più particolarmente il Veneto, la Lombardia e la ormai cambiata Emilia-Romagna. Non si tratta più di smanie per il vestito necessario per andare in villeggiatura e fare buona figura ( vedi il ritratto sociale di Goldoni: https://www.youtube.com/watch?v=bdNkP5XSFOA ) Si tratta di una fuga vera e propria: « Le regioni per le quali è più importante il flusso migratorio verso l’estero sono la Lombardia (20.389, pari al 19,9% del totale delle cancellazioni), la Sicilia (10.410, pari al 10,2%), il Veneto (9.499, pari al 9,3%), il Lazio (9.298, pari al 9,1%) e il Piemonte (7.767, pari al 7,6%). Le prime cinque province di cancellazione sono Roma, Milano, Torino, Napoli e Palermo da cui proviene circa il 25% delle migrazioni in uscita.» ( vedi: http://www.repubblica.it/cronaca/2017/10/17/news/emigrati_italiani_nel_mondo_rapporto_migrantes_record_fuga_all_estero-178510095/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P2-S1.8-T1 )

Nell’occorrenza, senza usare del vocabolario familiare ai leghisti a metà, notiamo che in questa nuova e massiccia fuga nazionale per salvarsi la pelle, malgrado o a causa del Jobs Act ed altre politiche di smantellamento affine, la prima fase di sostituzione dei « terroni » con « polentoni » o altri « frasconi » locali non basta più. E forse anche per questo che quelli che Goldoni, anche lui obbligato a scappare, chiamò « i rusteghi » (vedi : https://www.youtube.com/watch?v=c-E72r2DoAs ) si fanno concorrenza nelle narrazioni a base razzista e populista. Il presidente Scalfaro, resistenze orgogliosamente calabro-piemontese, denunciò a suo tempo « una mancanza di sale » in gioventù. Per non dire nulla sull’influenza ideologica tipicamente reazionaria, non ancora del tutto « acqua passata », di vecchi proprietari di vaporetti … Siamo lontani dallo spirito della Resistenza veneta (vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Resistenza_veneta )

Da tempo ho cercato di allertare contro le illusioni del cosiddetto Modello del Nord-Est. Sotto-giacente c’è una consapevolezza di dovere inserirsi in modo vincente nell’economia mondiale e perciò fare tutti i sforzi necessari per affrontare le sfide della mondializzazione e della globalizzazione. La localizzazione privilegiata nel quadro europeo assieme alla storia ereditata della Serenissima sono fattori essenziali. Purtroppo si dipende di quale tipo di inserimento si parla. Le scelte contemporanee sembrano invece essere una fuga in avanti motivata da un inarrestabile declino e dal risentimento da esso nutrito, molto più che una strategia regionalmente e nazionalmente vincente.

La deriva iniziò negli anni 60 e 70 quando la DC favorì la regione bianca veneta contro l’Emilia-Romagna rossa. Con la frangente reaganiana, poi aggravata con il trionfo del capitale speculativo globale, il Modello del Nord-Est punto sull’esportazione. Come in Germania, la tradizione delle imprese familiari, più numerose rispetto alla Francia, dimostrò una certa performance nel commercio internazionale. Ma questo era anche vero per le cooperative rosse. Sopratutto queste imprese, appoggiate da fondazioni finanziarie locali, vivevano dell’indotto delle grandi industrie e aziende pubbliche italiane oppure erano specializzate nel made in Italy.

Se si voleva seriamente difendere il lato buono del Modello del Nord-Est, non si poteva appoggiare le privatizzazioni muro a muro e la finanziarizzazione ad oltranza dell’economia e dunque neanche la fine della pianificazione nazionale per lo meno strategica. Oggi, scordando Verdi, si fa indotto per l’economia tedesca e austriaca, assumendo un ruolo sempre più subalterno, altro che « parroni a casa nostra »! E per colmo, nel quadro del fallimento speculativo delle banche locali ed il « credit crunch » prodotto dal quantitative easing della BCE, i quali dirigenti non sanno più di Janet Yellen cosa sia realmente l’inflazione e dunque il prezzo giusto!!! Questa è ormai la scienza economica di tanti pitre nobelizzati … Il servilismo dei nostrali servi in camera, incluso al livello accademico, ci costringe a leggere queste triste verità nelle analisi di Bloomberg! (vedi: «Tradite dalle banche, 40.000 aziende italiane sono in un limbo », di Sonia Sirletti – Luca Casiraghi – Tommaso Ebhardt *

http://contropiano.org/documenti/2017/10/24/tradite-dalle-banche-40-000-aziende-italiane-un-limbo-096995 )

Prima di andare più avanti nella strada della perdizione regionale e nazionale, converrebbe ricordarsi che le stesse scelte socio-economiche e culturali producono i medesimi risultati nonostante la taglia dell’entità geografica considerata. Solo che queste conseguenze sono più nocive con l’aggravio delle scelte spinelliane e filo-semite nietzschiane che privilegiano la crescita delle disuguaglianze tra cittadine/i. L’autonomia di per se non risolve nessuno problema. La corruzione rampante nella Valle d’Aosta ne da una buona illustrazione. (Vedi: « Sprechi, scandali e privilegi l’autonomia senza limiti che regna in Valle d’Aosta » La più piccola regione italiana è un esempio di mala-gestione. Al riparo del suo statuto speciale e di una politica pervasiva, di SERGIO RIZZO 29 ottobre 2017 http://www.repubblica.it/politica/2017/10/29/news/sprechi_scandali_e_privilegi_l_autonomia_senza_limiti_che_regna_in_valle_d_aosta-179627494/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1 )

Senza sorpresa la privatizzazione ha dato più spazio al livello nazionale alle mafie ed alla corruzione, già endemica nel nostro paese. La regionalizzazione del Paese porterà questo processo al suo apice. Se il Mezzogiorno già esangue pagherà un prezzo esorbitante, il Nord dell’Italia diventerà fatalmente il Mezzogiorno della Mitteleuropa. Già oggi gli arresti e le indagini nel Veneto, ad esempio per il Mose, o nella Lombardia, ad esempio per la gestione della sanità, dimostrano che le mafie del Sud fanno solo ufficio di fanti subalterni. Presto ci toccherà abituarsi ad emergenti discorsi di mobilizzazione dall’altro lato del Brenner e di treni italiani giudicati troppo sporchi …

Manca la voglia di riscatto nazionale. Eppure, nel contesto della globalizzazione e delle nuove ondate di massificazione di nuove tecnologia, l’Italia, come la Germania, godeva di una ottima situazione iniziale. Questo perché le grandi città italiane sono bene ripartite sul territorio nazionale. Potevano naturalmente giocare il ruolo di autentiche Città metropolitane, cioè di centri di localizzazione dei vari tecnopoli necessari per mantenere alto l’inserimento qualitativo del Paese nell’economia mondiale. Non si può adottare forme senza contenuto come fu fatto da noi e semplicemente ribattezzare le provincie in Città metropolitane. In questa ottica, non si deve neanche accontentarsi di variabili superficiali, ad esempio, mutatis mutandis, una migliore quotazione finanziaria per le città con oltre un milione di residenti. Invece, si doveva puntare sulla creazione di concentrazioni tecnologiche locali intrecciate nazionalmente per favorire le sinergie positive e guadagnarsi il posto nella catena mondiale della sovrappiù o se si vuole del valore aggiunto mondiale.

Al livello locale nessuna autonomia permetterà mai l’applicazione di questa strategia. Al contrario, si farà fatica solo per conservare una posizione subalterna nella detta catena con un indotto centrato al meglio sull’ottenimento temporaneo di « mandati di produzione » in provenienza di transnazionali. Per ragioni di ottimizzazione fiscale, queste aziende de-localizzeranno le loro sedi sociali in Olanda o altrove per completare le altre manovre di outsourcing. Intanto, i territori saranno messi in competizione selvatica tra loro per ottenere questi « mandati di produzione », per definizione sempre temporanei (ad esempio, l’assemblaggio di tale o tale modello di automobile ecc.)

Senza il ritorno ad una pianificazione strategica la costituzionalizzazione delle Città metropolitane risulta essere solo un stratagemma per progredire verso il disastroso « federalismo competitivo » malgrado l’evidenza dei disastri socio-economici, sanitari e culturali già prodotti dal famigerato federalismo fiscale. Rimando qui ad un classico della letteratura ancora oggi pertinente: Georges Benko, Géographie des technopôles, Masson, 1991. Ad esempio, in questa ottica tecnopolitana, ero personalmente a favore del Mose per salvare la laguna e trasformare Venezia nel tecnopolo italiano di elettronica e tele-burotica. Con un sforzo in questo senso implementato in sinergia con le altre città metropolitane italiane – università, servizi di alta gamma ecc – tutti i fattori di localizzazioni, incluso la bellezza del territorio ed il livello artistico e culturale erano già presenti. Venezia poteva così rinascere e crescere. Invece avrà ragione Margot Galante Garrone quando avvertiva: « Come è triste Venezia/ e davvero mi sa/ che nel futuro prossimo/ più triste ancora sarà » . L’argomento vale anche per la Lombardia dei leghisti … (vedi : https://www.youtube.com/watch?v=uc2fh99zIo0 )

Oggi ad una autentica strategia economica-industriale nazionale, si dovrebbe aggiungere la rivendicazione di una nuova definizione dell’anti-dumping capace di andare di pari passo con politiche di pieno-impiego fondate sulla Riduzione del tempo di lavoro e la spartizione del lavoro socialmente disponibile tra tutte le cittadine/i idonee al lavoro. La definizione attuale risulta puramente anti-economica e anti-umana perché fondata sulla competizione globale sull’unica base del salario capitalista individuale, in astrazione di ogni contributo sociale e di ogni tassa necessaria per finanziare le infrastrutture e i servizi pubblici. In oltre, fa astrazione dei criteri ambientali minimi, incluso quelli discendenti del principio di precauzione. ( Vedi l’Appello in http://rivincitasociale.altervista.org ) E stata così sancita una feroce competizione globale al ribasso.

Di tutto questo gli autonomisti leghisti ed altri non parlano perché interessa loro unicamente la continuazione del trasferimento accelerato delle ricchezze pubbliche al 1 % e più ancora al 0,1 %. Sono realmente « ancora una volta » filo-semiti nietzschiani e spinelliani. Impoveriscono i 99 % della popolazione rendendoli complici per associazione, loro malgrado, con l’abuso del populismo e con la complicità trasversale dei dirigenti, e della cosiddetta intellighenzia – quella delle « moltitudini » sostituiti ai cittadini ? -, incluso al livello centrale.

In riassunto, manca tragicamente la difesa dei principi cardini della nostra Costituzione e la ripresa del controllo pubblico del credito, prima di imporre una nuova definizione dell’anti-dumping capace di proteggere i tre elementi del « reddito globale netto » dei focolari da me richiesto da tempo. Vedi ad esempio l’Appello in http://rivincitasociale.altervista.org .

Per parte nostra rimaniamo dal lato dell’emancipazione umana e dell’eredita democratica nazionale difesa da tra altri dal calabrese di spirito profetico dotato, Gioacchino da Fiore, Dante, Petrarca (1) ,ecc, e dal Mazzini laico inspirato da Gioacchino, senza ovviamente dimenticare i Fratelli Bandiera …

Paolo De Marco

San Giovanni in Fiore, 28 ottobre 2017

1) Mi sembra che il Canzoniere di Petrarca è una vasta metafora per l’unità dell’Italia simboleggiata dalla figura amata di Laura, unità da fare rinascere nutrendola con la riscoperta della cultura antica, cioè più scientifica delle contemporanee narrazioni cattoliche ed altre. Platone nella Repubblica distingue le « menzogne vere » ideate per spingere in modo etico-politico verso un migliore avvenire comune, dalle narrazioni ideate per mantenere le società e gli individui nella subalternità. Vedi a proposito il mio saggio « Brevi appunti su Gioacchino da Fiore pitagorico » , presentati alla Conferenza organizzata dall’Associazione culturale Gunesh, il 27 agosto 2016 , in http://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#gioacchinogunesh

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