Commenti disabilitati su Statuto dei lavoratori, Jobs Act, pieno-impiego e gerarchia delle norme. 28 Feb. 2018

Nota aggiunta il 1 Marzo 2018: In questo sito abbiamo analizzato il Jobs Act come un clamoroso fallimento sin dall’inizio. Oggi è tutto confermato. Vedi la citazione seguente :

« …a farla da padrone sono stati ancora una volta quelli a tempo determinato (+537mila), mentre sono addirittura scesi quelli a tempo indeterminato, -117mila: dopo il Jobs act, non è proprio una buona notizia. » 01 Marzo 2018, in http://www.repubblica.it/economia/2018/03/01/news/occupati_disoccupati-190073676/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P1-S1.8-T1 .

Ora, con la fine degli esoneri, sarà un bagno di sangue? In realtà, hanno già previsto di modificare i voucher ai margini …)

Potere al Popolo ha fatto bene a iscrivere la riduzione del tempo di lavoro a parità di salario come punto cardine del suo programma. (Vedi https://poterealpopolo.org/ )

La CGIL/FIOM ha proposto uno nuovo statuto del lavoro con una portata più estesa del primo. Non se ne può fare a meno perché altrimenti si instaurerà una inaccettabile discriminazione tra le varie categorie di lavoratori. Lo Statuto – codice del lavoro – specifica i diritti minimi di tutti i lavoratori. In tal senso, costituisce il sacrosanto contratto minimo al quale il lavoratore può essere assoggettato in una Repubblica fondata sul lavoro dignitoso e la solidarietà nazionale. Include il trattamento minimo possibile almeno orario, le ore minime – per un contratto di almeno 24 ore/settimana, altrimenti la logica dice che deve essere affare di ore supplementari –, le norme di sicurezza, i ricorsi possibili anche prima di ricorrere al giudice. Implica dunque la rappresentanza sindacale e l’esistenza di comitati di azienda, ma anche di comitati fuori dell’impresa tipo Prud’homme quando il sindacato non è presente sul posto di lavoro, in modo da conservare un buono ambiente lavorativo nel quadro di relazioni economiche democratiche – i.e., negoziazione, concertazione e mediazione sul luogo prima di ricorrere alle corte. (Sul significato socio-economico e di civiltà del contratto di lavoro vedi : http://rivincitasociale.altervista.org/smantellamento-dello-stato-sociale-o-welfare-state-anglo-sassone-e-politiche-neoliberali-monetariste-viste-sotto-langolo-del-contratto-di-lavoro/ )

Sulla questa base normativa minima ma universale, che include anche il rispetto delle norme dell’OIL, vanno poi costruiti i contratti di lavoro, nazionali, di settore, di industria e di impresa. Questa democrazia economica e industriale è sancita come diritto sociale fondamentale nella Costituzione, incluso l’Articolo 99. Implica le negoziazioni collettive e il rispetto del ruolo degli attori socio-economici, incluso i sindacati, nella pianificazione nazionale e locale, almeno strategica.

Oggi, in Italia, lo smantellamento parziale dello Statuto dei lavoratori – viene esclusa per ora la funzione pubblica in modo discriminatorio – ha capovolto la gerarchia delle norme lavorative, lasciando la forza di lavoro sola di fonte ai padroni, i possessori dei Mezzi di produzione. Si tratta di una regressione socio-economica senza paragone sin dall’inizio del capitalismo a parte il Ventennio fascista. Si ritorna alla legge della giungla anche nociva per le imprese perché apre la porta alla competizione sleale – e, da noi, peggio ancora, all’infiltrazione delle mafie. In effetti, la concorrenza si fa sulla base del solo salario individuale. Dunque, ad esempio, i giovani in maggioranza precari non si sposano più, non fanno figli e non avranno nemmeno una pensione degna del nome, ecc. Di più, con questa selvaggia deflazione salariale peggiore delle vecchie devalutazioni monetarie nostrali, si distrugge in modo duraturo la produttività. Dopo di che, anche con i salari più bassi, non essendo più il Paese e le imprese competitivi, si svende tutto all’estero – Alitalia, Ferrovie, Poste, ILVA ecc, ecc – e si delocalizza il resto – Embraco, ex-Fiat ecc. …

La realtà in Italia ci dice che oltre il 90 % delle imprese hanno meno di 10 impiegati. Senza una norma generale del tipo « codice del lavoro », la situazione sarà – come lo è già tutt’ora – disastrosa.

Se eletto il M5S dovrà subito fare i conti con la realtà. Come dice la Corte dei conti-2017, il sistema previdenziale e assistenziale italiano non è universale – questo essendo comunque anti-costituzionale. Ora, il reddito di cittadinanza, nella sua versione penta-stellata attuale, è diventato un mero ammortizzatore sociale con pretesa universale; la soglia viene stabilita al livello di povertà. In effetti, sarà solo un misere REI generalizzato, il quale copre solo la metà degli aventi diritti in situazione di povertà assoluta secondo le statistiche ufficiali. ( Vedi: https://quifinanza.it/soldi/reddito-di-inclusione-2018-a-chi-spetta-e-come-ottenerlo/162729/ )

La questione chiave rimana dunque quella della copertura nel tempo. Oggi questo è un obbligo costituzionale. Non si può pensare che il sistema, in effetti trasformato in workfare Reaganiano, sia razionale – condizioni di risorse contro-produttive che portano alla pauperizzazione crescente per avere diritto all’assistenza, e condizioni arbitrarie di lavoro. Non è neanche sostenibile perché nel quadro attuale ultraliberale – deregolamentazione e privatizzazione muro a muro – non si crea più veri posti di lavoro, neanche LSU LPU. Neanche i miserabili voucher bastano a mascherare il problema del bassissimo tasso di occupazione nazionale. Per la fascia 14-64 anni il tasso di occupazione è attorno al 57-58 %, dunque inferiore alla media europea (UE 28) di 71,1 nel 2016 (1) (per la fascia 14-74 anni è di 43 %). Una persona viene considerata occupata se ha lavorato una sola ora nell’ultima rilevazione statistica … L’età pensionabile sarà di 67 anni nel 2019 e sarà bloccata (sic!) a 66 anni e 7 mesi per le 15 categorie di lavoro usurante (http://www.repubblica.it/economia/2018/02/02/news/arriva_il_decreto_per_le_15_categorie_di_lavoratori_salvati_dall_aumento_dell_eta_pensionabile-187911765/?ref=RHPPLF-BH-I0-C8-P4-S1.8-T1 )

In oltre, una scellerata direttiva europea ha aperto la porta alle 48, 65 e anzi 72 ore settimanali. (Sottolineo comunque che secondo il Trattato di Funzionamento della UE gli Affari Sociali rimangono una competenza nazionale esclusiva : in fondo, rimane tutto una questione di scelta politica e di volontà ) In questo quadro, il numero di aventi diritto al cosiddetto reddito di cittadinanza non si abbasserà ma continuerà a crescere tendenzialmente, rendendo più acute le contraddizioni per trovare la possibile copertura finanziaria. Semplicemente la fiscalità generale non potrà seguire. La crescita dilagante della precarietà rende le risorse fiscali evanescenti: nel nostro sistema già anti-costituzionalmente regressivo, la flat tax, nelle sue varie forme, costituirà il colpo di grazia ad un sistema cronicamente indebolito. E non si può pretendere che si finanzierà un programma perenne con misure aleatorie come il recupero dell’evasione fiscale, anche se gigantesca nel nostro Paese.

In fondo, si tratta di circuiti del capitale. I contributi per finanziare la previdenza e l’assistenza rimangono i circuiti più virtuosi perché sono integrati alla busta paga ed operano come programmi socio-economici contro-ciclici – Ecco perché gli altri paesi hanno sofferto meno della crisi rispetto a l’Italia sempre più impoverita e trascinata nella spirale verso il basso. Il risparmio istituzionalizzato della previdenza e dell’assistenza è essenziale. Si dovrebbe anche passare ai Fondi Operai, incluso i Fondi per la Produttività, proposti dal svedese Meidner e da me ripresi e adattati alla RTT nel mio Tous ensemble – vedi sezione Livres-Books di www.la-commune-paraclet.com )

Esistono altri modo di finanziare la previdenza e l’assistenza pubbliche ? La fiscalità generale ha altri scopi, non può giocare questo ruolo, se non solo al margine, per quelli che cadono fuori delle maglie del sistema generale fondato sul diritto al lavoro nel quadro del pieno-impiego. Ecco perché la copertura deve essere permanente. L’illusione contraria è creata dalla rovinosa attuale definizione dell’anti-dumping. Si ritrova in tutti i trattati di libero scambio e nell’OMC. Si basa soltanto sul « salario individuale », innescando la corsa globale a ribasso del cosiddetto costo di lavoro sostituito al costo di produzione, benché questo ciclo neoliberale globale sia ormai arrivato al suo termine come illustra la situazione in Grecia, Spagna, Portogallo, Italia e Francia, se non altro perché è difficile pensare che i salari possono andare più in giù.

Rimane la questione della razionalità delle spese destinate a questi programmi. Michel Rocard era un social-liberista del PS, pero appoggiò la RTT a 35 ore con salario iniziale identico ma con la riabilitazione dei programmi sociali a accesso universale. (2) Lo fece con un argomento pesantissimo: se si aggregavano i programmi palesemente inefficienti – crescita della disoccupazione, della precarietà e della povertà assoluta e relativa – destinati all’assistenza ed alle altre agevolazioni alle imprese mirate direttamente alla creazione di posti di lavoro, si poteva benissimo finanziare la RTT e ristabilire così un sistema virtuoso per il risparmio istituzionalizzato – previdenze e assistenza e ammortizzatori sociali sulla base dei contributi in busta paga. Questa scelta ristabilirebbe anche la fiscalità generale e dunque gli investimenti pubblici per migliorare la produttività microeconomica e la competitività macroeconomica senza le quali nel quadro dell’anti-dumping attuale gli investimenti andranno fatalmente nei Paesi a basso salario.

Alla fine, come insito da anni, si dovrà rivedere l’attuale definizione dell’anti-dumping nel rispetto dei contributi e dunque dei programmi sociali essenziali. Non si può riflettere solo in termine di salario individuale perché questo non basta neanche per sostenere i focolari. Oltre a pensare in termine di « reddito globale netto » dei focolari si deve pure tenere conto dei criteri ambientali minimi, incluso il principio di precauzione. Vedi a proposito l’Appello in questo medesimo sito.

Se il M5S vuole mettere 30-35 miliardi di euro – è un minimo – per l’assistenza saranno soldi buttati dalla finestra – perché intanto non c’è creazione di veri posti di lavoro. Il rapporto OSCE prevede la perdita netta di 5 milioni di posti di lavoro fine al 2020 nella UE, mentre il più recente rapporto McKinsey (3) parla di 80 milioni a rischio se si va fino al 2030. In oltre, si spreca la finanza pubblica che dovrebbe invece servire a rilanciare gli investimenti pubblici ed a abbassare il debito pubblico per ricuperare il margine budgetario necessario. (Questo dovrebbe essere fatto anche con la creazione di una banca pubblica dedicata a ricomprare e finanziare il debito pubblico e para-pubblico) (4).

Sarà una questione di cost-benefit analysis. Speriamo che sarà capito presto.

La Riduzione del tempo del lavoro deve necessariamente accompagnare la crescita della produttività come lo fa sin dall’inizio del capitalismo – 12, 10, 8 ore giornalieri ecc- Allungare il tempo di lavoro con la precarizzazione generale della forza di lavoro rovina la società e lo Stato: porta ad una società della nuova schiavitù e della nuova domesticità.

Per conservare il suo rango nella comunità internazionale ogni Stato moderno deve sempre mirare alla più grande produttività e alla più grande competitività possibili. La fiscalità generale non serve per la previdenza e per l’assistenza, almeno non in modo diretto. Serve per le infrastrutture e i servizi pubblici, la difesa nazionale nel rispetto dell’Articolo 11 e della Carta delle Nazioni Unite, e, in generale, per sostenere produttività, la competitività e la modernizzazione del Paese. Serve per la R&S.

Paolo De Marco

28 febbraio 2018

Note:

1 ) Vedi http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Employment_statistics/it

2 ) Le tax expenditures ovvero le spese fiscali in Italia nel 2016 furono di 313 miliardi di euro, secondo la Corte dei conti. Il Jobs Act costò 18 miliardi nel 2015, gli clientelari 80 euro in busta paga costano 10 miliardi annui – poi ci sono tutte le detrazioni per restauri, fonti rinnovabili, aiuti familiari ecc su Irpef per chi be paga ancora abbastanza per godere delle detrazioni; l’abolizione dell’IMU per i più ricchi che lo pagavano ancora costa un po meno di 4 miliardi annui. La detrazione forfettaria per 90 armatori fu di 144 000 euro a testa – fate la moltiplicazione. E una lunga e grottesca litania, caratteristica della public policy neoliberale. Al contrario, la RTT costò solo 23 miliardi di euro all’anno e permise la creazione diretta di 350 000 posti di lavoro a tempo pieno, ristabilendo i contributi, dunque i programmi sociali e la fiscalità generale. Con la « gauche plurielle » il debito pubblico era sceso a 59 % del PIL, un punto di meno del Criterio di Maastricht. Ed era nata spontanea una nuova sociologia del tempo libero …

3 ) Vedi Francesco Piccioni http://contropiano.org/news/scienza-news/2018/01/10/la-disoccupazione-tecnologica-curata-la-propaganda-099478 . E https://www.bloomberg.com/news/articles/2017-11-29/robots-are-coming-for-jobs-of-as-many-as-800-million-worldwide e http://www.realclearmarkets.com/articles/2017/12/08/media_alarmists_misunderstand_mckinsey_report_and_robots_103034.html

4 ) Vedi In Download Now, sezione Livres-Books del sito www.la-commune-paraclet.com l’articolo « Uscire dall’euro non serve, serve mettere fine alla cosiddetta « banca universale ».

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