Commenti disabilitati su Machiavelli o come “vivere libero” in un appropriato Stato di diritto. 29 dicembre 2021.

Tesi preliminare

La metodologia di Machiavelli

( Aggiunto il 11 maggio 2022. Ecco come il popolo fiorentino parlava al tempo di Machiavelli. Questo spiega certamente perché Rousseau e Marx ne raccolsero subito l’autentica lezione: « Né vi sbigottisca questa antichità del sangue che ci rimproverano; perché tutti gli uomini, avendo avuto uno medesimo principio, sono ugualmente antichi, e da la natura sono fatti ad uno modo. Spogliateci tutti ignudi: voi ci vedrete simili; rivestite noi delle veste loro e eglino delle nostre: noi senza dubio nobili ed eglino ignobili parranno; perché solo la povertà e le ricchezze ci disaguagliano. » in Istorie fiorentine, Libro III, ed. Tutte le opere, Bompiani, 1971, p 1830 )

Tesi preliminare.

Machiavelli è il meno machiavellico e il meno ‘utopico’ dei pensatori rinascimentali. Probabilmente, il “machiavellismo” ordinario è stato forgiato per oscurare il suo vero messaggio scientifico e politico. J.J. Rousseau lo avvertiva già. Machiavelli era un realista che voleva essere scientifico e obiettivo in un’epoca del Secondo Rinascimento in cui i migliori pensatori stavano riscoprendo lo spirito di indagine critica. Il suo punto di partenza era un’osservazione che attingeva soprattutto alla storia romana, in particolare a quella della Repubblica raccontata, tra gli altri, da Tito Livio, come farà poi Vico nel perfezionare la sua analisi storico-filologica. Per il diplomatico e pensatore fiorentino, tutte le società, almeno quelle per lui concepibili, erano segnate da conflitti tra dominanti e dominati. Vico, da parte sua, parlerà specificamente di “lotte di classe”. Questo è vero per tutte e tre le forme di regime che esamina, la monarchia, l’aristocrazia e la repubblica. La domanda diventa allora: Come possiamo progettare istituzioni politiche che permettano di “vivere liberi”? La sua risposta sta nell’equilibrio del potere e, nel caso di un conflitto aperto, nella deterrenza – deterrenza convenzionale – da qui la sua enfasi sull’Arte della Guerra.

Le sue due frasi chiave nei Discorsi e nel Principe sono: “A volere che una setta o una repubblica viva lungamente, è necessario ritirarla spesso verso il suo principio” e “I danari non sono il nervo della guerra, secondo che è comune opinione”. Le “élite” italiane – nel senso di Michels e Mosca? – che hanno tradito attivamente la Costituzione repubblicana, nata dalla Resistenza, sin dall’espulsione atlantista dei comunisti di Togliatti dal governo nel 1947, stanno facendo il contrario. J. J. Rousseau prolungherà il ricordo di questi insegnamenti, arrivando a spiegare la rovina di Sparta con la violazione della sua costituzione quando essa tollererà che un re gobbo, che avrebbe dovuto essere scartato alla nascita, potesse accedere alla regalità. La legittimità scompare con queste violazioni e con essa lo stato di diritto, così che la ricchezza non può più fare nulla contro la rottura dell’equilibrio istituzionale che dovrebbe naturalmente valere per tutti allo stesso modo senza la minima eccezione, dominanti o dominati. Nei palazzi di giustizia della Repubblica Italiana è iscritta la frase “La legge è uguale per tutti”, ma assomiglia solo a una beffa filo-semita nietzschiana.

Possiamo vedere che l’Arte della Guerra è parte integrante di questo studio “oggettivo” delle relazioni sociali e politiche, poiché è semplicemente la continuazione del ragionamento nel contesto dei conflitti aperti e armati.

Mentre Machiavelli, rimosso dalla sua funzione diplomatica a Firenze e ridotto all’ozio, lavorava ai suoi Discorsi secondo un nuovo metodo, quasi storico e sociologico, si prese il tempo per scrivere la sua opera meno capita, Il Principe, che è una sorta di riassunto operativo della sua teoria della gestione dei conflitti che presiedono alla creazione o al mantenimento dello Stato. L’unica colorazione solitamente mantenuta dai molti suoi lettori è la prefazione di questa opera. Essa è una presentazione “oggettiva” del comportamento politico e bellico del duca Valentino, Cesare Borgia, un politico che non si tira indietro di fronte a qualsiasi azione necessaria per raggiungere i suoi fini senza la minima concessione alla morale, in particolare alla debilitante e ipocrita morale della Chiesa. A questo proposito, ci riferiamo alla sua commedia La Mandragola, che da una critica satirica della morale dei suoi contemporanei ispirata da Boccaccio. Antonio Gramsci capì perfettamente gli insegnamenti del grande fiorentino. Non si tratta di dire volgarmente che “il fine giustifica i mezzi”, si tratta semplicemente di trovare i mezzi appropriati per l’azione, purché il fine corrispondesse al bene generale della società e al mantenimento della sua stabilità, in mancanza dei quali la realtà stessa si assume rapidamente il compito di criticarla in azione. In altre parole, non è un’apologia della forza brutale esercitata al di fuori di qualsiasi contesto civile. Il fine giustifica i mezzi quando cessa di essere soggettivo e corrisponde invece alla legge naturale, così che l’uso accettabile della forza nel conflitto sociale è solo accettabile per autodifesa.

Il vero punto è il profondo sgomento provato da Machiavelli, come prima di lui da Gioacchino da Fiore, Dante o Petrarca, ecc., di fronte alla decadenza della penisola italiana, invasa da ogni parte, mentre le monarchie nazionali francese e spagnola si erano stabilite e pesavano con tutto il loro peso sul destino dell’Europa, e persino del mondo. Questo sentimento si riflette nella sua Storia di Firenze. Essa inizia tracciando la storia della penisola “romana” invasa dai “barbari”, il che porterà alla fine della grandezza di Roma. (In un primo commento, eminentemente utile oggi di fronte a tutti gli xenofobi decadenti, nota che i popoli del nord, gli invasori di allora, abitavano regioni in cui la terra utile era scarsa. Ma essendo essi fecondi, riversavano di volta in volta il loro surplus demografico in un’Italia che non sapeva più come assorbirli, né come cooptarli come faceva un tempo la Repubblica Romana, assicurandosi così la sua forza e la sua futura grandezza). Borgia tentò un’espansione territoriale simile a quella di Roma, ma lo fece con l’appoggio del papa, cioè con un appoggio che era per sua natura limitato nel tempo, poiché la morte del papa lo privò dell’appoggio nella sua impresa, mentre era ancora percepito come uno straniero.

Era quindi necessario ricominciare da capo per provocare la nascita di uno Stato nazionale degno di questo nome nella penisola. Era necessario comprendere i meccanismi che regolano i conflitti sociali e l’istituzione di uno Stato di diritto stabile che potesse reggere nel mondo tra le altre potenze emergenti. Prima del Trattato di Westfalia del 1648, nel suo libro Il Principe Machiavelli arriva a concepire il sistema dell’equilibrio del potere assieme ai suoi difetti, sia all’interno che all’esterno o al livello inter-nazionale. Le alleanze si fanno e si disfano secondo una logica delucidabile. Egli espone le principali potenze presenti nella penisola – Venezia, Lombardia, Firenze, il papato, la Romagna, Napoli – i loro equilibri instabili e i meccanismi di collasso di questi equilibri successivi e precari: gli stranieri invitati a fornire la difesa, sia come mercenari che come alleati. I primi erano inaffidabili, i secondi, più potenti, presentavano il pericolo di volersi affermare come padroni. A questo aggiunge la sua conoscenza delle fratture sistemiche, ad esempio la divisione tra Guelfi e Ghibellini, una divisione abilmente mantenuta da Venezia o da varie potenze straniere, come sarebbe stata più tardi la divisione tra Bianchi e Neri nella stessa Firenze. Come si potrebbe dunque concepire un equilibrio stabile che dia all’Italia la sua solidità nazionale? Un Stato nuovo – monarchia o aristocrazia o, quello che lui personalmente preferiva a causa del suo ideale romano, una repubblica – deve sapersi organizzare e stabilire il suo Stato di diritto istituzionale, pur avendo un vero potere deterrente basato sulle milizie piuttosto che sui mercenari, in modo da potere garantire la sua prosperità, la libertà dei suoi cittadini e la sua permanenza in quanto Stato. Egli stesso organizzò una tale milizia di coscritti – ordinanze – che ebbe un certo successo.

Il nocciolo della questione è capire che uno Stato che non rispetta le proprie istituzioni – lo Stato di diritto – per privilegiare meglio una classe specifica, è uno Stato che perde rapidamente la sua legittimità e, di conseguenza, si autodistrugge.

La forma del regime politico ha quindi, in definitiva, poca importanza dal punto di vista dell’instaurazione dello Stato, o anche della sua conservazione, espansione e stabilità: i principi di equilibrio derivanti dalla costellazione delle forze in presenza, le relazioni tra dominanti e dominati, rimangono simili in tutti i casi, ma saranno fortemente influenzati dalla natura del regime in vigore. È così che va inteso il termine libertà, cioè nel senso dell’uomo libero nella Roma antica, il cittadino, il quale è protetto nella sua persona e nei suoi diritti anche contro l’arbitrio del potere dominante. La natura di questa libertà era così radicata che un San Paolo non avrebbe esitato a rivendicare la sua cittadinanza romana come protezione contro punizioni infamanti come la crocifissione. Questo principio è compatibile con tutti i regimi che chiameremmo nel linguaggio moderno regimi costituzionali, compresa la monarchia, purché non scivolino nella tirannia. È un invariante – almeno per le relazioni inter-statali …

Da questo punto di vista, l’approccio storico moderno andrà nella stessa direzione e concepirà la possibilità del passaggio dalla società inter-statale a un’organizzazione continentale-globale più evoluta, diciamo un’internazionale dopo il passaggio attraverso una società delle nazioni dotata di un meccanismo di sicurezza collettiva. Rimane il fatto che Machiavelli respinge implicitamente l’Impero. Scartò così il dualismo, per lui sterile e destabilizzante, che opponeva una Chiesa romana universale, più a parole che di fatto, a un Impero romano germanico o altro. La sua repubblica, come quella della prima Roma antica, poteva crescere, anche stabilendo colonie, ma doveva farlo rispettando e facendo rispettare le proprie leggi. L’Impero li ha violati ed è rapidamente diventato auto-cannibale al suo vertice e dunque visceralmente instabile. Infatti, il tarlo della discordia e della rovina sarebbe entrato alla frutta una volta che il potere assoluto dell’Imperatore avesse messo in discussione l’equilibrio fondante tra il Senato e i tribuni del popolo, il popolo essendo emblematicamente chiamato L'”Universale” da Machiavelli. Infatti, né Cesare né Ottaviano-Augusto, né alcuno dei cesari più rispettati come i Flavi, osarono dichiarare apertamente di essere al di sopra delle istituzioni fondatrici di Roma. Pertanto, si possono integrare molto facilmente gli sviluppi storici che seguiranno dopo la morte dell’autore al di fuori dello spazio inter-statale sulle basi stesse della scienza politica sviluppata da Machiavelli.

Tanto più che Machiavelli sapeva che la storia si evolveva e cambiava il contesto in cui le sue analisi dovevano essere sviluppate. Nella sua Storia di Firenze descrive l’autodistruzione bellica delle élite feudali, la fine del loro modo di combattere e la loro sostituzione con mercanti e commercianti – assieme ai loro gonfalonieri – una descrizione che Marx sottolineò. Gli sviluppi che Machiavelli dedicherà alla Fortuna, del resto, riassumono perfettamente la sua concezione dell’addomesticamento del azzardo attraverso l’acquisizione della scienza della società e della politica che permette di liberarsi da ogni determinismo dogmatico e volgare, e quindi pericoloso, pur sfruttando al meglio le circostanze e gli eventi imprevisti.

Machiavelli incorpora anche nel suo ordine costituzionale la possibilità di modificare la costituzione, ma rispettando il suo spirito originale. Da qui la necessità di tornare di tanto in tanto alle sue origini. Queste origini non sono arbitrarie perché devono aver prodotto una permanenza, un equilibrio stabile. Sono infatti l’oggettivazione istituzionale del diritto naturale – il diritto naturale che Giambattista Vico porterà al suo significato moderno con il suo diritto delle genti – cioè, ciò che è necessario perché la società sia stabile e permetta agli individui di “vivere liberi”. Qui abbiamo la connessione essenziale tra società civile e società politica. Il resto riguarderà l’analisi dei cambiamenti che si verificheranno nelle basi socio-economiche e culturali che Vico si impegnerà ad approfondire con la sua esplicitazione scientifica della lotta di classe nella sua Scienza nuova e che Marx porterà a conclusione.

Questa tesi può essere chiarita e verificata esaminando i discorsi dei pensatori rinascimentali e di tutti quelli che sono seguiti. In particolare, tutti coloro che non hanno esitato ad attaccare un “machiavellismo” precedentemente stabilito da loro come uno comodo spaventapasseri da abbattere. Tra questi, bisogna notare in particolare gli Ugonotti, che si preoccuparono di tracciare questo infame ritratto di una tirannia a-morale e sanguinaria semplicemente per confutare una nascente monarchia assoluta che pretendeva imporre la scelta delle credenze religiose – questo o quel principe, questa o quella religione – e voleva frenare la libertà, senza esentare la libertà di coscienza, non nell’interesse generale, ma piuttosto nell’interesse del principe eretto a monarca assoluto, e quindi garante di un feudalesimo parassitario ma ormai subordinato, contro l’interesse dei mercanti e della “borghesia”. Fondamentalmente, questi erano piuttosto machiavelliani, essendo a favore di una costituzione posta al di sopra di tutto e di tutti e dunque capace di imporsi a tutti allo stesso modo. La Boëtie e Montesquieu dopo di lui ritroveranno la necessità di un ordine istituzionale fortemente sostenuto dalla costellazione delle forze organizzate all’interno della società civile, la base di ogni società politica praticabile. Althusser, senza nominare il debito intellettuale di Montesquieu verso Vico, farà di quest’ultimo lo scopritore di un “nuovo continente”, quello della Storia. Questa concezione realistica si riferisce all’equilibrio della costellazione delle forze in presenza evidenziato da Machiavelli. È un po’ diverso dalla formale divisione istituzionale del potere in tre rami, l’Esecutivo, il Legislativo e il Giudiziario, che Machiavelli tratterà anche in profondità per insistere sulla necessaria imparzialità della giustizia, cioè la concezione tipicamente borghese che si ritroverà più tardi nell’opera di Locke tramite il quale influenzerà fortemente la Costituzione americana con i suoi ‘checks and balances’. Le democrazie borghesi più avanzate non smetteranno mai di ritornare ai principi dei pesi e contrappesi machiavelliani, ad esempio riconoscendo il ruolo dei sindacati e dei rappresentanti della società civile. (Per una sintesi di questo processo storico, rimando qui alla “Nota 15 su John Galbraith” nel mio Libro III, liberamente disponibile nella sezione Libri del mio vecchio sito giurassico www.la-commune-paraclet.com . Per la versione italiana vedi: « Brani scelti del mio Keynésianisme, Marxisme, Stabilité Economique et Croissance » in https://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#ITALIA .)

In ogni caso – cosa da ricordare in vista delle attuali derive sanitarie totalitarie e trans-umaniste – siamo lontani dallo Stato hobbesiano concepito come unico garante della sicurezza degli individui – e ovviamente della loro proprietà privata – a scapito della loro libertà di liberi cittadini.

La metodologia di Machiavelli.

Machiavelli ha inventato un metodo teorico-empirico per indagare i rapporti di potere nella società e nella Storia. Potremmo parlare di una topologia storico-sociologica. Il suo punto di partenza è la natura umana concepita secondo la garanzia delle esigenze fondamentali della vita umana, che egli riassume nel diritto del cittadino a vivere liberamente – “diritto” inteso nel senso prevalente nell’antica repubblica romana. Data la scomparsa legale della schiavitù, questo si riferisce al diritto naturale moderno. Non si tratta quindi di una “natura umana” idealizzata e perenne – Locke, Hobbes ecc. – ma invece di una natura concreta che viene definita dalle sue condizioni di vita – ma in un modo concreto che viene definito dalle condizioni materiali e istituzionali dell’esistenza dell’uomo libero.

Machiavelli tiene conto del contesto geografico o sociale in cui si esprime questo diritto a vivere liberamente – cioè, la cittadinanza – che concepisce come un’invariante assiomatica consustanziale alla vita umana ma tuttavia suscettibile di assumere varie forme sincroniche e diacroniche. Così differenzia tra i montanari, più rudi perché meno urbanizzati, e gli abitanti delle città, tra le tribù primitive e il mondo del suo tempo. Il suo esempio del Centauro, che interpreta come una metafora del passaggio da uno stato di esistenza più rozzo – quasi bestiale – ad uno più civilizzato, è la base della sua spesso citata ma incompresa distinzione tra il leone e la volpe, cioè la forza brutale e l’astuzia, essendo quest’ultima una forza mediata dalle istituzioni sociali. Distingue anche tra il feudalesimo con i suoi signori guerrieri e il loro modo specifico di fare la guerra, e la società mercantile che si stabilirà nelle città, specialmente nella sua ricca Firenze. Innovò nello studio etimologico e strutturale dei testi antichi, che portò all’uso estensivo della filologia come strumento che Vico pose al centro del suo metodo di indagine storico scientifico. L’esempio più famoso nell’opera di Machiavelli è senza dubbio la sua indagine sull’origine del nome di Firenze o sull’origine di Venezia. Allo stesso modo, il suo lavoro mostrerà la sua intuizione sull’emergere del potere temporale del papato dopo che le successive invasioni barbariche della penisola crearono un vuoto politico, culturale e morale.

In questo modo, le relazioni storiche debitamente interpretate da questa “griglia analitica” ben matura diventano l’oggetto di uno studio empirico teoricamente diretto verso un tema specifico, l’oggetto di studio dell’indagine, cioè la comprensione delle relazioni di potere.

Questo fa di Machiavelli uno dei precursori della concezione della lotta di classe e, quindi, del materialismo storico. Non sorprende quindi che Vico si ispirò sia a Gioacchino da Fiore, il quale propose l’impeccabile sillogismo delle tre età della civiltà sulla via dell’emancipazione generale, sia a Machiavelli, il quale teorizzò il passaggio dalla società brutale primitiva ai vari gradi di civiltà. Ecco la trasformazione dell’Orda primitiva che Vico proporrà più tardi e che sarà tipicamente plagiata in modalità regressiva inversa dal ciarlatano reazionario nietzschiano Freud, presto seguito da molti altri, tra cui Heidegger per la filologia consapevolmente e fraudolentemente messa al servizio della disuguaglianza umana triturandola per farle negare l’emancipante logica “vichiana” del divenire storico.

Gioacchino era un pitagorico che voleva riformulare l’originale messaggio cristiano universale pitagorico in un senso post-cristiano più avanzato, incarnato nella Terza Età della secolarizzazione dello Spirito. Voleva andare oltre lo stato della “menzogna vera” drammatizzata da Platone nella Repubblica. Questa narrazione benintenzionata doveva svolgere un ruolo pedagogico di massa, contando sull’appoggio di corpi intermedi come esempi da seguire – l’Età del Figlio che soppianta l’Età del Padre basata sull’obbedienza all’Autorità – per conciliare la coscienza individuale e la coscienza umana e farla tendere verso il Bene prima della generalizzazione dell’educazione.

Allo stesso modo, Machiavelli e Vico sono fortemente radicati nella storia romana e specificamente nella storia della Repubblica Romana, che effettivamente, secondo la sua stessa mitologia ufficiale, passò da un’Orda primitiva alla regalità e poi alla stabile Repubblica nonostante o a causa dei suoi conflitti istituzionalmente gestiti. Almeno fino all’espropriazione imperiale basata su una narrazione esclusivista, cioè la filiazione fraudolenta e debilitante dagli dei, che Machiavelli illustra molto pertinentemente per certe società antiche come per la Roma imperiale. Tutti questi autori sanno che le ‘sette’ o le religioni mettono in atto delle narrazioni per mantenere le relazioni sociali, quindi narrazioni che devono essere aggiornate di volta in volta. Tutti questi autori superano il cul-de-sac della civiltà europea, cioè la guerra per il predominio tra impero spirituale e temporale – cioè la pretesa di una universalità esclusiva, l’esatta e singolare inversione dell’universalità in quanto tale – a favore di una società ‘nazionale’ – di fatto laica e che all’epoca di Machiavelli comincia ad esprimersi nel suo vernacolo – una società quindi inscritta in un più ampio concerto delle nazioni che presiede alla formalizzazione di un vero e proprio diritto internazionale. Portano quindi direttamente a Marx.

L’originalità dell’opera di Machiavelli si rivela quando confrontiamo il suo messaggio con quello della legittimazione politica, che si incarnava nella reazione socio-politica e culturale di cui gli Ordini dei Frati Minori erano i vettori. Era profondamente anti-Gioacchino, nonostante la demagogia ipocrita e regressiva che inneggiava alla “povertà cristica” delle origini e, di conseguenza, al “ritorno” alla subordinazione del Figlio e al Figlio nella versione recuperata e subordinata emersa dalla spietata pulizia ideologica perpetrata dal Concilio di Anagni del 1255, un evento drammatico che fu precursore di quella che sarebbe poi diventata, per le stesse ragioni, la sanguinosa controriforma lanciata dal Concilio di Trento e della sua Inquisizione. Con gli Ordini dei Frati Minori, di cui Machiavelli si sarebbe occupato verso la fine della sua vita per conto di Firenze, nacque il tipico basso clero, che serviva da ammortizzatore sociale per un alto clero corrotto e disonesto. Paradossalmente, porteranno alla riscoperta di Gioacchino da parte di Thomas Müntzer, anche in reazione alla rivolta convenzionale guidata da un Lutero rapidamente sottomesso ai principi – si veda a questo proposito La guerra dei contadini di Marx-Engels.

Allo stesso modo, il tentativo di riformulare, diciamo ecumenicamente, dei Trismegisti. Sappiamo che Ficino stava traducendo Platone e che il suo padrone, il principe dei Medici, gli ordinò di interrompere momentaneamente la sua – pericolosa – traduzione… per dedicarsi invece alla traduzione di un testo recentemente scoperto, in verità un falso, che pretendeva far risalire le origini del cristianesimo all’antico Egitto e quindi prima di Mosè e prima del Messia. Pico della Mirandola, che farà un tipico spin reazionario dell’opera di Ficino, era stato educato in lingua ebraica. Spingerà ulteriormente la falsificazione aggiungendo l’irrazionalità a-scientifica della cabala, che pervertirà definitivamente la rinascita dello spirito scientifico in Europa. La cabala, inoltre, era nata nella sua forma moderna molto specificamente per contrastare il messaggio emancipatore di Gioacchino da Fiori ricorrendo a tutte le sciocchezze che ben conosciamo, tra cui l’astrologia e la Gematria, – secondo la tradizione orale del Rabbino Scholem: quale versione ? visto che ce ne sono diverse? Ho aggiunto io, a titolo di chiarimento definitivo, che l’origine di questa pratica divinatoria, che potrebbe essere descritta come una pratica asinina apuleiana, risale in realtà ai Sumeri, i quali utilizzavano semplicemente le loro lettere cuneiforme per notare i numeri… Questo non mancherà di influenzare gli sviluppi dell’etimologia – ad esempio quando G. Budé e il gruppo di studiosi, compresi quelli della Pléiade, cominciarono ad arricchire il volgare francese, che era diventato la lingua ufficiale dei Rei di Francia, prendendo in prestito da tutte le lingue conosciute ma, pensavano loro, di farlo in modo ordinato… Spesso il processo e il suo prodotto si danno la vita a vicenda …

Questo tentativo trismegista di combattere le guerre di religione proponendo un’origine comune fu vano. Inoltre, non resistette alla critica metodica del protestante Isaac Casaubon a partire dal 1614, che avrebbe avuto una grande influenza sulla formazione di uno spirito critico basato sul dubbio sistematico e, di conseguenza, sulla nascita del metodo scientifico moderno. Sembra che Giordano Bruno, che viene erroneamente confuso con questo tentativo di narrazione ermetica, avesse una missione più avanzata, in effetti scientifica, quando andò alla corte del re francese Enrico III, il quale sembra averlo poi mandato in Inghilterra. Inoltre, nel suo Il banchetto delle ceneri, denunciò le “asinate e pedanterie”, comprese quelle formalizzate nelle università, inclusa quella di Oxford. La sua concezione era basata sulla scienza e la matematica. La mia interpretazione personale è che egli avrebbe intrapreso l’adattamento moderno delle ‘corrispondenze’ portate alla luce da Gioacchino da Fiore – La Concordia, Il Salterio a dieci corde, ecc – alla moderna concezione dell’astronomia. – Vedi il suo riassunto On composition, ancora poco analizzato sotto questa angolazione scientifica, che costituisce in effetti un primo tentativo – diciamo che precede Schiaparelli e Flammarion? – di scrivere una storia scientifica dell’astronomia, chiarendo anche i suoi dati trasmessi e mistificati dalla mitologia e dall’astrologia, spogliandoli così della loro ganga irrazionale e narrativa.

Machiavelli anticipa ancora: Per lui, la narrazione religiosa ha una precisa funzione sociale che può essere sostituita dalla costituzione, nella sua forma moderna e compiuta, essendo essa la materializzazione istituzionale della legge naturale. Ed è per questo che questo tipo di esposizione narrativa o oggettiva dipende dalla funzione che si vuole farli svolgere. Perciò, Machiavelli rimanda con il suo metodo scientifico storico-empirico all’istituzione stabile del “vivere libero” come criterio decisivo umanamente assiomatico.

Paolo De Marco

Copyright ©La Commune Inc, 29-30 dicembre 2021

Riferimenti:

1 ) Machiavelli. Il Principe e altre opere politiche, Garzanti Editore, 29 ottobre 1985

2 ) La Mandragola, https://www.youtube.com/watch?v=lNcRY3YtRd4

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