Commenti disabilitati su La Concordia di Gioacchino da Fiore o l’annuncio della rivoluzione emancipatrice attraverso la libertà, l’uguaglianza, l’amore, la tolleranza e la pace, 14 agosto 2023.

1 ) Introduzione
2 ) Il cuore concettuale della Concordia.
3 ) Sintesi dei 4 libri della Concordia.
3a ) I livelli analitici e teorici della Concordia.
3b ) Padre, Figlio e Spirito Santo, servitù, disciplina e libertà.
3c ) Il piano della Concordia: Libri I, II, III e IV.
4 ) Conclusione
5 ) Note
6 ) Illustrazioni: L’Albero delle 3 età (p. 101), I 3 Cerchi con i 3 cerchi interni (p. 131), Il Pavimento di Marmo (p. 157), Le rovine di Jure Vetere nel marzo 2014.

(Tradotto con www.deepl.com e riletto)

“Il vino novello non è adatto per essere accolto in otri vecchi, e coloro i quali vedono il vecchio non guardano volentieri al nuovo”. ( p 85)
” … bisogna poi che al tempo dei gigli, che vengono dopo le rose, passino il gelo e le piogge …”. (p 101) (in Sulla Vita e la Regola di san Benedetto).

1 ) Introduzione

Nell’aprile 2022, il Centro Internazionale di Studi Gioachimiti ha pubblicato i primi 4 libri della Concordia di Gioacchino « l’abate calavrese di spirito profetico dotato » secondo Dante. Quest’opera, finora difficilmente accessibile nelle lingue vernacolari, può essere considerata il Manifesto dell’Ordine di Fiore. Annuncia l’avvento della Terza Età dell’emancipazione umana, e come tale ha avuto e continuerà ad avere una grande risonanza in tutto il mondo, nonostante tutti i tentativi di occultarla da parte de tutti i circoli regressivi ed esclusivisti dominanti, scatenatisi poco prima della morte di Gioacchino, avvenuta nel marzo 1202. È deplorevole che la pubblicazione del Quinto Libro sia stata rimandata. Infatti, questo quinto Libro contiene le conclusioni spirituali, teoriche e pratiche dei Libri precedenti, tratte da Gioacchino stesso. Speriamo che venga pubblicato al più presto con un indice e che la pubblicazione delle Opere complete di Gioacchino sia accompagnata da un volume a parte contenente l’indice per nome e per argomento, nonché una bibliografia aggiornata. Comunque sia, possiamo già riassumere la vera rivoluzione spirituale, concettuale e storica contenuta nei primi quattro libri. Semplicemente, si annuncia la rivoluzione emancipatrice dell’uomo concepita come esito inevitabile dello sviluppo umano e storico, che porterà allo sviluppo dell’Umanesimo repubblicano e laico in tutta Europa e in Occidente, seguito dalla Rivoluzione francese e dallo sviluppo sociale preannunciato dalla Comune di Parigi del 1871. (1)

Cominciamo con la rivoluzione spirituale-concettuale. Il fatto che Gioacchino conoscesse l’Apologia di Socrate, il Convivio e la Repubblica di Platone è testimoniato in diverse occasioni nella sua opera, in particolare quando spiega perché Cristo ha bevuto il calice fino alla feccia o quando critica l’alto clero, in particolare i monaci mondani, che, avendo una natura aurea e cercando la luce, si corrompono fino a diventare piombo. Il progetto pitagorico di Gioacchino era duplice (2). Si trattava di stabilire il divenire trinitario come un vero e proprio sillogismo dell’emancipazione storica umana, facendo del “mistero trinitario” la monade di questo sviluppo, mentre riformulava la narrazione pitagorico-cristiana del suo tempo, già caduta in mani sbagliate, per annunciare l’Età della Libertà, dell’Uguaglianza, della Fraternità, della Tolleranza e della Pace, ma una pace reale che andasse oltre la pax romana. (« Così, in tutto quel periodo in cui regnarono re e imperatori franchi, che trattarono con una certa benevolenza i successori di Pietro rispetto ad altri tempi, la Chiesa giunse a realizzare quella pace romana lungamente desiderata …», p. 267). Questo è l’obiettivo della Concordia.

Così facendo, Gioacchino si propone di riabilitare e riformulare lo spirito originario della narrazione pitagorico-cristiana, adeguandola ai tempi e al suo scopo originario, cioè l’emancipazione umana. Lo fa con l’appoggio della monarchia normanna e poi dell’impero svevo-normanno, oltre che di tre papi successivi fino a Innocenzo III, che inventò la prima inquisizione di fatto contro di lui e l’Ordine di Fiore.

L’impresa è rischiosa, perché richiede un nuovo modo di leggere i testi biblici, in controtendenza rispetto a una gerarchia ecclesiale mondana e sempre più delegittimata. A più riprese, a partire dal Prologo, rifacendosi in particolare all’apostolo universalista Paolo, Gioacchino sottolinea che si rivolge in particolare agli “eletti”, cioè all’avanguardia degli iniziati pitagorici, particolarmente presenti nell’ordine monastico fin dalle sue origini patrizie romane. Questo ordine monastico “latino” fu sempre legato alla rinascita dell’impero romano-cristiano attribuita a Costantino. Così è stato per San Benedetto, ancor più che per Cassiodoro o per Sant’Agostino e San Gregorio. Ma per Gioacchino, che non approvava le crociate, il vero tempio era la coscienza umana, il vero impero quello della fratellanza e della pace. Egli scrisse: « « Per evitare dunque che sia concessa libertà di errore in ciò che ho appena detto e per non lasciare nella chiesa di Cristo uno spazio vuoto, a disposizione di dottrine varie ed estranee, per mettere in guardia coloro che vagano alla buona e non conoscono l’astuzia di Satana, anzi, per poter schivare, per quanto Dio permette, le invenzioni dei falsi profeti – dai quali, se fosse possibile, sarebbero indotti in errore anche gli eletti – abbiamo ritenuto valesse la pena comporre dalle storie antiche e nuove quest’opera. E, avendo esaminato attentamente le ruote di Ezechiele, abbiamo mostrato in modo convincente quanto grande sia la concordia tra le une e le altre …»(p 33)

Il riferimento a Ezechiele non è insignificante, così come il posto d’onore riservato nell’opera dell’abate calabrese all’apostolo Giovanni Evangelista. Mostreremo di seguito che le ruote di Ezechiele si riferiscono alle quattro stelle e costellazioni del Tetramorfo, il punto “fisso” celeste, che permise lo sviluppo dell’astronomia antica e quindi il controllo del tempo attraverso il calendario e i riti ad esso associati. Tra questi, per volontà di Papa Gregorio Magno, la fissazione del Natale al solstizio d’inverno e della Pasqua all’equinozio di primavera al posto della Pasqua ebraica, che seguiva il calendario lunare. (Vedi: « Brevi appunti su Gioacchino da Fiore pitagorico » presentati alla Conferenza organizzata dall’Associazione culturale Gunesh, il 27 agosto 2016 » in https://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#ITALIA )

Con l’offensiva di Innocenzo III contro l’opera di Gioacchino, la Chiesa si stacca dalle sue origini scientifiche pitagoriche e inizia il suo cammino di croce, ferro e fuoco verso l’inferno del dogma narrativo a-scientifico e della regressione esclusivista e ineguale. Le sue persecuzioni si intensificarono, ad esempio contro i Francescani Sociali e altri gioachimiti, contro Galileo, Campanella (3) e Giordano Bruno, per non parlare di tutti i riformatori condannati dall’Inquisizione o dai Principi, tra cui Fra Dolcino e Thomas Müntzer, fino al fallimento finale del Concilio Vaticano II, il cui tentativo di aggiornamento fu interrotto da Paolo VI, dai suoi successori e dalle loro coteries esclusiviste.

In realtà, già nel Medioevo, le dimissioni nel 1294 dell’eremita benedettino Celestino V, che alcuni avevano salutato come “il papa angelico”, a meno di 6 mesi dalla sua elezione, segnarono la prima svolta di questa deriva che avrebbe progressivamente allontanato le migliori menti della Chiesa.
(v. https://fr.wikipedia.org/wiki/C%C3%A9lestin_V ) Nella Divina commedia, Dante lo colloca all’inferno, condannandolo perché: « che fece per viltade il gran rifiuto ». L’opera di Gioacchino ci aiuta a comprendere le ragioni profonde del fallimento di un’istituzione che aveva tradito la sua vocazione originaria, quella di sostenere la dialettica di emancipazione generale che Gioacchino aveva descritto nel suo Nuovo Ordine (Monastico) Sociale. (A questo proposito, si veda il mio commento alla Tavola XII, nell’articolo del 27 agosto 2016 citato sopra). I partiti politici che praticavano la democrazia interna – il centralismo democratico – per difendere l’uguaglianza, la libertà e la fraternità, per definizione tolleranti e anti-esclusivisti, nonché lo sviluppo della sicurezza collettiva al livello mondiale, assunsero naturalmente il ruolo di avanguardia educativa di massa.

Per questo motivo Gioacchino si propone di elaborare una storia ragionata del “Primo Testamento” che possa essere significativamente confrontata con quella del “Secondo Testamento”. Ciò è necessario per cogliere meglio il significato profondo della Terza Età, che Gioacchino è consapevole di annunciare. La scelta dei termini “Primo” e “Secondo” Testamento è carica di significato. Per questo motivo Gioacchino avverte che è inutile prendere troppo sul serio il conteggio delle generazioni nel Primo e nel Secondo Testamento, in primo luogo perché le cronache esistenti che permettono questi calcoli sono incomplete e, in secondo luogo e soprattutto, perché il significato di questa cronologia approssimativa è e rimane soprattutto concettuale. Gioacchino non si fermerà alle narrazioni testamentarie poiché la “menzogna vera” pitagorica-cristica (4) è stata rovesciata dalla Chiesa in una menzogna venale e mondana, una “ignobile menzogna” che prende anche la forma della quaternarità di Pietro Lombard e di altri teologi e scolastici. Poiché l’Ordine dei Monaci dovrebbe annunciare l’Età dello Spirito Santo, o della coscienza umana generalizzata a tutti, Gioacchino cercherà anche di stabilire le sue concordanze emancipatrici con i 7 Sigilli dell’Apocalisse, che, ovviamente, hanno la precedenza sulla formulazione agostiniana della Città di Dio. Gioacchino, pitagorico calabrese, sapeva che la Città Celeste non è altro che il Tetramorfo che mette ordine nel futuro astronomico, così importante per l’evoluzione delle civiltà, soprattutto quando queste si basano principalmente sull’agricoltura e sull’allevamento.

2 ) Il cuore concettuale del Concorde.

Vediamo in dettaglio questa rivoluzione concettuale. Ho già mostrato come Gioacchino, un logico eccezionale, faccia della Trinità cristiana romana un “sillogismo del divenire storico” (5) I primi quattro libri della Concordia ci permettono di mostrare più dettagliatamente questa concezione davvero rivoluzionaria, in tutti i sensi. Si tratta infatti di un sillogismo di emancipazione umana nella Storia e non di un semplice catechismo di “salvezza” attraverso l’obbedienza alla Chiesa e alla sua gerarchia. In realtà, si tratta della prima formulazione rigorosa della Dialettica d’insieme (6), che unisce i fondamenti offerti dalla Natura per aprire la strada allo sviluppo storico e al ruolo attivo dei Soggetti collettivi e individuali in questo divenire generale.

Nelle sue opere principali, la Concordia, il Commento all’Apocalisse e Il salterio a dieci corde, scritte in parallelo anche se non completate, Gioacchino si preoccupa di difendere il concetto di Trinità cristiana romana contro le versioni erronee di Sabellio, Ario e dei Greci – Filioque – e contro la versione quaternaria di Pietro Lombardo. (7) Secondo Gioacchino: « Sabellio voleva esporre tale parola, ma la sua nave è naufragata sugli scogli. E Ario, cercando di evitare questa rotta, è finito nel fango profondo. Sabellio infatti disse che Dio è una persona, per suo volere è ora Padre, ora Figlio, ora Spirito Santo. Ario, disapprovando ciò, dice che vi sono tre persone, ma distinte – il che è blasfemo a dirsi – nella loro essenza e maestà ». (Salterio, p 11) Per i greci, il Padre da solo genera sia il Figlio che lo Spirito Santo, eliminando così il divenire sillogistico trinitario. Pietro Lombardo sottopose la Trinità all’intermediazione di un quarto polo, la gerarchia ecclesiale, con a capo il papa, senza i quali nessuna salvezza – nell’aldilà! – era possibile. Al di fuori della Chiesa, ci sarebbe la dannazione universale, il che è molto utile per controllare le greggi credulone…

La sua motivazione logico-pitagorica è identica a quella che mette nella sua insistenza per evitare la falsificazione dei numeri nei testi antichi, il cui significato, che a volte può risultare misterioso per la nostra comprensione dei testi, potrà eventualmente essere chiarito in seguito. Per esempio, quando giudica che il numero di anni 70 o 72 – la cattività babilonese, i discepoli che Cristo invia a predicare in tutto il mondo, eccetera – è meno importante del loro profondo significato concettuale e astronomico, nonostante la fluttuazione numerica. Nella Concordia si preoccupa di distinguere tra la sua concezione trinitaria e quella dei greci – Filioque. Nel secondo caso, lo Spirito Santo – o coscienza umana compiuta – procede sempre, come il Figlio, dal Padre. Per Gioacchino, il Padre è increato, il Figlio procede dal Padre e lo Spirito Santo procede sia dal Padre che dal Figlio.

Comprendiamo subito le ragioni logiche e scientifiche di questa difesa a oltranza. L’Età del Padre non è solo quella dell’autorità gerarchica in una società subordinata e obbediente di “coniugi” ma è anche quella della Natura, della « carne » e dell’animalità, per certi versi spaventosa perché sconosciuta. L’Età del Figlio è quella del potere dell’esempio, che porta a una società di fedeli guidata da istituzioni che disciplinano l’autorità arbitraria. L’Età dello Spirito Santo è quella della società degli uguali, liberi e fraterni tra loro, quella della Pace universale, che la Pax Romana non ha saputo ristabilire e non può più farlo cadendo nelle pretese temporali della Chiesa. (p 267) Enrico Mottu non aveva torto quando diceva che l’abate calabrese aveva teorizzato “la secolarizzazione dello Spirito Santo”, ma il messaggio di Gioacchino va ben oltre, stabilendo il futuro dell’emancipazione individuale e sociale dell’Umanità e annunciando un Nuovo Ordine Sociale, e non solo dell’Ordine monastico su cui ricade la responsabilità di annunciarlo. (8)

Armato di questo bagaglio concettuale, Gioacchino si accinse a reinterpretare i testi biblici canonici e il testo monastico di Sant’Agostino, che sarebbero stati sostituiti a tutti gli effetti dalla sua interpretazione dell’Apocalisse dell’Apostolo Giovanni Evangelista, che sarebbe così diventato la figura tutelare dell’Ordine di Fiore fondato da Gioacchino per annunciare il passaggio alla Terza Età. In altre parole, mentre ricreava la narrazione pitagorico-cristiana più adatta alla transizione rivoluzionaria che annunciava, si poneva il compito di rendere la sua teoria operativa. Aveva già reso omaggio al patrizio romano e riformatore monastico pitagorico, San Benedetto, adottando il suo motto “Ora et labora”; ora sta inventando quella che è una vera e propria prassi – se vogliamo, nel senso gramsciano del termine.

Così facendo, divenne il primo inventore moderno di quella che Giordano Bruno, che emulava le concordanze di Gioacchino in astronomia, ad esempio nel suo Sulla composizione (9), chiamò “monade“, un concetto chiave che Spinoza avrebbe poi ripreso, anche se con difficoltà nel mostrare il passaggio dalla natura naturans agli attributi della comprensione umana. Questo rivoluzionario concetto dialettico fu ripreso da Leibniz, ma tipicamente falsificandolo – si veda La Monadologie, un testo scritto in francese – poi, allo stesso modo, da Hegel, ma fu infine del tutto chiarito dalla doppia dialettica di Natura e Storia enunciata da Marx-Engels (e che ho liberato da diverse scorie aggiunte da altri nella mia Dialectique d’ensemble, tra cui l’assurdità hegeliana dell'”unità degli opposti”, la quale confonde categorie distinte e opposte e distrugge così ogni concezione scientifica della dialettica; Questa teoria è esposta nella mia Introduzione metodologica citata nella successiva Nota 6. )

Questa monade gioachimita del divenire è alla base di tutti i commenti e delle analisi di Gioacchino sulla Trinità, nonché delle sue illustrazioni nei diagrammi delle concordanze e dei 7 Sigilli, ma è anche illuminata da una Figura ingegnosa proposta da Gioacchino stesso con un titolo che non lascia dubbi sulla sua natura di fondamento concettuale-teorico, ossia « il pavimento di marmo » (p. 157).

In questo modo, la monade trinitaria gioachimita si sviluppa concretamente nella Storia. Essa costituisce quello che Vico chiamerà in seguito l’Asse invariante attorno al quale oscilla lo sviluppo storico umano. Questa tensione trinitaria del divenire permette poi di definire la caratteristica principale delle diverse epoche umane, che naturalmente varierà in conseguenza della progressione sempre più compiuta dalla Natura verso la socializzazione, o dal Padre verso la Coscienza o lo Spirito Santo sempre più compiuti. Ed è per questo che Gioacchino può anche illustrare questo sviluppo storico con Alberi che rappresentano la concordia, o con una spirale ascendente, immagine ripresa da Vico con i suoi “ricorsi” e da Nietzsche e da tutti i reazionari con i loro “ritorni ascendenti”, anche se tipicamente al contrario – si veda la Figura “Mistero della chiesa“, https://it.wikipedia.org/wiki/Liber_Figurarum .

Lo stesso vale per la storia dei conflitti umani, tra tipi di individui, tra popoli – gli Ebrei, poi i Cristiani, i popoli antichi – o che affliggono le Città, cioè le società in presa con i loro conflitti sociali. I Sigilli, o conflitti, saranno poi colorati da un’analisi avanzatissima dello sviluppo cognitivo, cioè delle 7 Intelligenze, tutte con pari dignità tra loro e tutte ugualmente necessarie per una società armoniosa, ma di cui quella o quelle dominanti saranno segnate dall’Epoca in cui si esprimono. Gioacchino sviluppò così una vera e propria scienza cognitiva; per concordanza, talvolta collegò le 7 intelligenze ai 7 giorni della creazione, o ad Agostino. Ma essendo lontano dall’astrologia, evitò le corrispondenze planetarie, per esempio quelle alchemiche.

D’altra parte, la sua preoccupazione per la concordanza lo portò a precisare la sua teoria scientifica. Nella sua prospettiva pitagorica, e ben prima di Bernardino Telesio, che ristabilì il primato dei sensi, egli pose la complementarità dei 5 sensi e delle 7 intelligenze, secondo il principio che il Padre precede lo Spirito, che l’animalità precede la spiritualità e che la natura precede la coscienza, La narrazione di Gioacchino si basa sui riferimenti alle 5 e poi alle 7 tribù ebraiche, alle quali, all’inizio della Seconda Era, corrisponderanno le prime 5 chiese – ancora legate al Padre e alla Legge – alle quali si aggiungeranno le 7 nuove chiese d’Oriente, nate da un rinnovato desiderio universalistico pitagorico-cristiano. Gioacchino è attento a sottolineare che questo sviluppo storico è universale e comprende tutti gli altri popoli, compresi quelli antichi. (Nell’introduzione, Potestà osserva che Orfeo e Ulisse sono tipi di Cristo.)

Per precisare le sequenze storiche e le concordanze, Gioacchino specifica il suo diagramma con una rappresentazione iniziale di tre cerchi, ognuno dei quali simboleggia un’Età, allineati qui orizzontalmente, uno accanto all’altro, senza intrecci, ognuno dei quali contiene tre piccoli cerchi interni. Lo scopo di questo diagramma è, ovviamente, quello di illustrare la Trinità, ma nella sua forma storica, specifica per ogni Età. Non c’è nessuna ripetizione identica, ma una progressione storica che segue lo stesso sviluppo trinitario – o dialettico. Così, nella Prima Età, Ozia annunciava già Gesù, così come nella Seconda Età San Benedetto, riformatore dell’ordine monastico, avrebbe annunciato la Terza Età. Citiamo Gioacchino per cogliere meglio l’agilità della sua dialettica nel trattare la manifestazione delle personalità o figure trinitarie nella storia: « Poiché sembra che nella terza partizione – con riferimento allo schema monadico del ” pavimento di marmo”, p 157, nda –, di cui abbiamo trattato fin qui, colui che significa lo Spirito Santo sia anteposto al re Davide, che significa Cristo, era necessario che nella quarta, Elia, che significa Cristo, fosse anteposto a Eliseo, che è tipo dello Spirito Santo. E in effetti le storie del Libro dei Re insegnano che Eliseo fu aiutante di Elia, così come Giosuè lo fu di Mosè ». (p 183)

Il rigore concettuale e teorico – e non le difficoltà e le contraddizioni immaginate da Potestà – imponeva a Gioacchino di precisare come questa spirale trinitaria e la sua monade invariante si integrassero nello schema generale della Trinità incarnata nelle Tre Età: cioè che il Padre – o Natura – è increato, che il Figlio – o società organizzata – è generato dal Padre e che lo Spirito Santo – o Coscienza – è generato sia dal Padre che dal Figlio, cioè che la monade si esprime permanentemente sulla base naturale e sociale esistente a seconda del contesto. Prendendo spunto dal testo dell’Evangelista, Gioacchino introduce poi il suo schema dell’Alfa e dell’Omega. L’Alfa è un triangolo, il cui angolo superiore è stato successivamente tagliato nel Salterio per meglio esprimere graficamente che questo angolo che rappresenta il Padre – o la Natura – è increato, mentre crea gli altri due angoli, il Figlio e lo Spirito Santo e le loro rispettive Età.

Nello schema Alfa – contrariamente a quanto affermano Potestà e molti altri accademici – Gioacchino tratta, senza la minima contraddizione, la prima fase dello sviluppo storico, che riassume nella concordanza delle generazioni del Primo e del Secondo Testamento. Gioacchino non poteva in questa fase voler integrare la Terza Età in questo schema, poiché era un critico severo della concezione sabelliana, ariana e greca della Trinità – il Filioque. Il diagramma Alfa illustra il Padre increato che genera il Figlio. Ma è anche necessario rendere conto in modo rigoroso del divenire trinitario che incarna lo Spirito Santo e la Terza Età, che è generata sia dal Padre che dal Figlio. Gioacchino traccia poi le relazioni tra le prime due – la prima e la seconda Età – e la seconda – la terza Età designata dall’Omega – che chiude il processo, esprimendo la pienezza dell’espressione storica trinitaria con l’Età dell’Emancipazione generale dell’umanità. Da qui la sua scelta di fondo: “Io sono l’Alfa e l’Omega”.

In seguito, utilizzando lo stesso metodo di reinterpretazione scientifica, Gioacchino propose una Figura a tre cerchi intersecati per rappresentare questa stessa concezione della monade che si incarna storicamente, ma secondo il concetto iniziale di un Padre-Natura increato che genera gli altri due cerchi e le loro emanazioni o conflitti interni. Il tutto sembra prefigurare i diagrammi di Venn (si veda la figura dei “Cerchi trinitari“, https://it.wikipedia.org/wiki/Liber_Figurarum ).

Questa nuova presentazione, che non compare nei primi quattro Libri della Concordia, ha uno scopo preciso, cioè quello di liberare la concezione trinitaria e scientifica biblica dalle tante inettitudini oscurantiste del Tetragramma ebraico secondo il presunto nome di Yaweh. Gioacchino, sensibile ai danni causati da tale oscurantismo basato su una sorta di gematria, che non aveva nulla a che fare con i testi biblici stessi, cooptò la discussione in senso scientifico, quella dello sviluppo storico trinitario esposto nella Concordia e in tutte le sue opere. La persecuzione dell’Ordine di Fiore avviata da Innocenzo III dopo la morte di Gioacchino nel marzo 1202 diede luogo a un vero e proprio rigurgito oscurantista di gematrie varie, che culminò nel Corpus Hermeticum, un falso denunciato fin dall’inizio dall’ugonotto Isacco Causabon. Nel 1461 fu tradotto da Ficino, al quale Lorenzo de’ Medici chiese di interrompere a questo scopo la sua traduzione di Platone (!), e fu poi ampiamente propagato, ad esempio dallo specialista di gematria Pico Della Mirandola, morto giovane ma educato fin da piccolo alla lingua ebraica. Quale modo migliore di sbarrare la strada alla Scienza se non con l’illusione della gematria? Secondo Frances A. Yates (1964), la quale definisce erroneamente G. Bruno un “mago”, sostiene che la narrazione trismegista fu un tentativo di disinnescare la guerra delle religioni riferendo le parti a un antenato comune e a un corpus antecedente comune. Ma non si può combattere una narrazione esclusivista con un’altra narrazione; solo la scienza può farlo. Gioacchino, da parte sua, non si lasciava ingannare, più di quanto non facesse nel XX secolo il rabbino Scholem della tradizione orale, che rispettava il metodo scientifico e storico; a proposito della gematria, chiedeva semplicemente: secondo quale, visto che ne vengono proposte diverse.

Ho finalmente demistificato questa Pons asinorum. L’Antico Testamento è una copia, spesso incompleta ed extra-dogmatica, di testi precedenti, sumeri e non, come l’Epopea di Gilgamesh, il Re Sargon – da cui deriva in parte la figura mitica di Mosè. Il Codice di Hammurabi, dal canto suo, è stato copiato e tradito dal Levitico, poiché il primo si premurava di notare che la regola dell'”occhio per occhio” si applicava per una questione di giustizia, a meno che le parti non riuscissero a raggiungere un accordo meno rapido, aprendo così la strada alla mediazione sociale, e così via. Il sumero utilizzava anche le lettere per i numeri. In origine, possiamo comprendere l’efficacia di questo sistema e il suo ruolo nello sviluppo etimologico consapevole o inconsapevole. Ma trasporre questo sistema nella lingua ebraica o in altre lingue utilizzate per la stesura della Bibbia – compreso il greco, integrando alcuni dati pitagorici con il prestito dall’Accademia di Platone – equivale a quello che Baruch Spinoza ha giustamente chiamato “il delirio dei rabbini”. Come abbiamo già detto, Gioacchino, mente scientifica e rigorosa se mai ce n’è stata una, nata nientemeno che in Calabria, non era uomo da essere facilmente ingannato. Inoltre, la Chiesa non vedeva di buon occhio l’astrologia, almeno non ufficialmente.

Lo sviluppo della monade trinitaria, necessariamente sempre presente come asse invariante o pavimento di marmo, in 3 grandi Età e 7 Sigilli o Epoche segnate dal conflitto, è generalmente frainteso, soprattutto dagli analisti religiosamente omologati e, peggio ancora, da molti accademici. Ciò è aggravato dall’uso senza precedenti che Gioacchino fa di grafici e tabelle, sia come ausilio alla memoria che come figure didattiche. Ciò vale anche per le figure utilizzate come “tipi”, che non hanno nulla a che vedere con ciò che Max Weber avrebbe fatto con i suoi “tipi ideali” (per non parlare degli oscurantisti “archetipi” junghiani), poiché si tratta, in realtà, di figure, individuali o collettive (popoli, gruppi, compresi gli ordini monastici) che esprimono attraverso la loro personalità le determinanti intellettuali e materiali fornite dalle loro particolari Epoche e non solo una statica stratigrafia sociale. Sono essi stessi in divenire, attraverso la loro tensione interna, ed è questo che li rende così interessanti. Allo stesso modo in cui Gramsci concepiva gli individui come “blocchi storici”, Soggetti in preda alla Storia, Roland Barthes parlava di “mille-feuilles”.

Di questa pecca accreditata e/o accademica daremo solo un esempio, quello dell’introduzione scritta da Gian Luca Podestà alla Concordia pubblicata nel 2022 dal Centro Internazionale di Studi Gioachimiti di San Giovanni in Fiore. Ma questo vale anche per tutte le note incluse, che dovrebbero illuminare il testo, sia in questa edizione che nelle altre. Podestà, che non è certo un’eccezione, non capisce – o non vuole capire – molti dei contributi concettuali e teorici di Gioacchino. Rimane intrappolato in un’interpretazione semplicistica dei calcoli dell’abate, anche se lo stesso Gioacchino precisa che la corrispondenza numerica sottolineata da questi calcoli di concordanza è di scarsa importanza per il suo significato concettuale-teorico.

Nella sua semplicità accademica, Podestà, professore di storia del cristianesimo presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sottolinea la presunta incoerenza dell’abate rispetto alla concordanza delle Età, in particolare quando si considera la Terza Età dello Spirito. Gioacchino non sarebbe quindi in grado di proporre una Figura dell’Albero che incorpori la concordanza delle Età precedenti con la Terza Età (vedi sopra Alfa e Omega). La stessa difficoltà riguarderebbe la concordanza per i 7 Sigilli. Secondo lui, il Libro IV ingigantirebbe questa incoerenza, concentrandosi invece sulla definizione degli ultimi due Sigilli, o conflitti della Seconda Età – nella versione cattolica tradizionale la venuta dell'”Anticristo” prelude al riposo al momento del 7° Sigillo aprendo sulla Terza Era -, evitando così di prevedere e specificare le loro concordanze.

Questo significa non aver capito nulla di Gioacchino. Infatti, Gioacchino procede da buon scienziato rigoroso, proprio come farà Marx più tardi quando getterà le basi per la transizione al socialismo e al comunismo, senza ovviamente specificare le forme concrete che questa transizione assumerà. Poiché queste transizioni mettono in discussione le determinazioni della Storia alla luce delle libere decisioni degli uomini, che sono al tempo stesso oggetti e soggetti della Storia, Gioacchino lascia chiaramente aperta la questione. Per lui, l’importante è dimostrare la necessaria e ineluttabile transizione attraverso il divenire trinitario verso la Terza Età dell’uguaglianza, della libertà, dell’amore fraterno, della tolleranza e della pace universale. Il resto sarà opera degli uomini stessi e di ciò che faranno della tensione trinitaria – diciamo “dialettica” d’ora in poi – che sentiranno in sé e nelle condizioni prevalenti nelle loro Epoche particolari. Da qui l’enfasi che Gioacchino pone nella definizione dei conflitti del 6° e 7° Sigillo, preludio della transizione finale che completerà il divenire trinitario. È la transizione concreta che è di attualità per lui, piuttosto che la previsione punto per punto del futuro.

Ma non esclude nulla, poiché l’apertura della Terza Età non porterà immediatamente alla sua completa espressione. Inoltre, per rendere l’idea, nel Libro IV Gioacchino tratta in modo molto preciso la necessità di creare un Nuovo Ordine Monastico più in sintonia con la missione monastica legata allo Spirito Santo, così come la questione delle relazioni Chiesa-Impero. Qui Podestà tradisce sfacciatamente il testo della traduzione, che commenta in tre occasioni importanti ed emblematiche. Innanzitutto, come abbiamo appena detto, Potestà si sbaglia sulle concordanze tra la Seconda e la Terza Età e la sesta e settima Epoca della Seconda Età in cui vive Gioacchino; fa di Gioacchino un millenarista che annuncerebbe la fine dei tempi piuttosto che la fine dell’Età presente e il passaggio all’Età dello Spirito Santo. Gioacchino sarebbe quindi preoccupato per l’arrivo dell’Anticristo.

Egli afferma: « L’annuncio dell’abate vuole essere operativo: si tratta per lui di discernere e proclamare tappe e direzione della storia, in modo tale che, conoscendo la logica del dinamismo storico, i cristiani si preparino a resistere alle tribulazioni ultime e in special modo all’attacco assai prossimo del figlio della perdizione (l’Anticristo per eccellenza) destinato a precedere immediatamente l’età sabatica terrena » .(p8) Ma La Concordia inizia letteralmente con questa frase: « Poiché segni ed eventi terribili descritti nel Vangelo annunciano la rovina incombente della storia di questo mondo, che precipita ed è sul punto di finire, non ritengo affatto ozioso rispetto al risultato dell’opera manifestare ciò che il provvidenziale disegno divino ha consegnato a me indegno riguardo ai tempi finali per mettere in guardia i fedeli e destare i cuori intorpiditi degli assonnati con un suono quanto meno insolito (…) A noi spetta dunque preannunciare le guerre; a voi correre rapidamente alle armi. A noi salire in alto al punto di avvistamento sul monte e dare il segnale alla vista dei nemici; a voi, udito il segnale, fuggire verso luoghi più sicuri. » (pp 29 et 31)

Questa strana interpretazione ha origini lontane, nei tentativi di recupero falsamente “gioachimiti” operati dalle sezioni più legate al papato, in particolare i francescani. Seguendo le orme di Innocenzo III, esse continuarono l’epurazione teorico-ideologica condotta contro Gioacchino e l’Ordine di Fiore. La fine del mondo e la paura che essa susciterà spingeranno il gregge tra le braccia della Chiesa, assumendo così il suo ruolo di intermediario, come ribadito nelle Sentenze da Pietro Lombard maestro di teologia quaternaria di Innocenzo III. Gioacchino afferma il contrario fin dall’inizio della Concordia, avendo cura di appellarsi agli “eletti”, a mio avviso agli “iniziati pitagorici”, a capo dei quali dovrebbe esserci il Papa-Monaco, il quale dovrebbe ancora sapere che lo Spirito emancipatore dell’originaria narrazione pitagorico-cristiana doveva essere ristabilito e riformulato per raggiungere il suo scopo, in un momento in cui conflitti sempre più premonitori stavano minando le fondamenta teologiche e sociali della Chiesa. Per fare un esempio, nel 1189, poco dopo il completamento del Libro IV, il popolo e la plebe di Assisi assaltarono la formidabile fortezza della città, la Rocca Maggiore, seminando la paura tra gli strati dominanti. Questa paura, manipolata dal papato e dal cardinale Segni, diede origine al movimento francescano.

Per questo Gioacchino, che non rinnega né san Gregorio né la sua Pasqua latina, onora soprattutto l’apostolo Paolo, il più universalista-romano, e l’apostolo Giovanni, il più esperto di astronomia. Ecco cosa scrive Gioacchino a questo proposito nel Prologo della Concordia: « Attenendoci quindi solo a ciò che sta scritto nei libri divini e prendendo da essi come autorevole solo ciò c’è chiaro, confutiamo come peregrine e estranee alle affermazioni superflue sulla nascita e le opere dell’Anticristo e sulla fine del mondo che, prese come abbiamo detto prima da librettini apocrifi, sono abbracciate dalla maggior parte degli ingenui. » (p 34) Nel migliore dei casi Potestà sarà messo nella categoria degli ingenui. Resta il fatto che, molto più dell’Anticristo, Gioacchino si preoccupa dell’annuncio e dell’imminente arrivo del Paracleto, lo Spirito Santo, e questo in particolare nell’apertura dei 7 Sigilli, come evidenziato in tutta la sua opera e graficamente nel « Pavimento di marmo. » (p 157).

La seconda riguarda le accuse senza precedenti di Gioacchino alla Chiesa mondana, che egli denuncia senza mezzi termini come “Nuova Babilonia”, espressione che fiorirà in seguito presso tutti i gioachimiti sociali e presso le scuole protestanti. I luterani, ad esempio, attaccarono frontalmente le indulgenze, che per loro simboleggiavano la grande venalità e depravazione della Chiesa “mondana” con sede a Roma e la conseguente sottomissione dei popoli germanici. Nel Libro IV, Gioacchino denuncia in tutti i toni, e spesso in lettere maiuscole, gli eccessi della Chiesa e dei monaci mondani e le loro pretese temporali. In questo caso, scrive: «

“(La pace) fu nuovamente infranta al tempo di papa Lucio e soprattutto di papa Urbano, quando, al tempo di quest’ultimo la Chiesa fu oppressa al di là di ogni misura e delle sue forze. Se poi, in tale occasione, la Chiesa ha perso qualcosa della propria libertà presso i figli della nuova nia, lo veda essa stessa, che sa bene che cosa stia soffrendo ». (p. 281) E Gioacchino precisa cosa intende per “figli di Babilonia” dal punto di vista della Concordia e dei suoi critici della Chiesa temporale: « In seguito, i Caldei e i figli di Babilonia significano coloro che non solamente sono carnali, ma in verità godono profondamente nello spargere il sangue umano senza provare misericordia, a somiglianza delle bestie e delle genti che ignorano Dio, così che l’enormità dei loro delitti va al di là di ogni condizione selvaggia delle genti. » (p. 272).

Nonostante lo stesso testo di Gioacchino, Potestà, nella sua Nota 253 a piè di pagnina, commenta il « sintagma » « figli della nuova Babilonia » (idem) affermando che l’accusa della Nuova Babilonia riguarda sia i « cattivi cristiani » sia « i sovrani tedeschi », cioè l’Impero – che, per inciso, nella persona dei sovrani normanni e poi di Federico II, sostenne fortemente Gioacchino e la sua riforma. Federico II, detto Stupor Mundi, era ansioso di seguire le orme dei suoi predecessori, i Normanni di Calabria e Sicilia, gli Altavilla, desiderosi di unificare il loro regno cosmopolita e multi-religioso senza dover sottostare a un eccessivo controllo da parte del papato! Questi governanti costruirono numerose chiese « palaziali », tra cui il magnifico sincretismo culturale di Palermo e Altamura in Puglia. Inoltre, i Normanni costrinsero letteralmente il Papa a riconoscere la loro regalità.

Questa contrapposizione tra Chiesa e Impero portò infine alla separazione dei due domini, religioso e pubblico, attraverso la contrapposizione tra Guelfi e Ghibellini, poi tra Bianchi e Neri, eccetera, lotte a cui partecipò Dante e che Machiavelli descrisse brillantemente nella sua Storia fiorentina, che impressionò Marx. Andando simbolicamente al cuore della questione, Gioacchino notava: « La schiavitù infatti è propria del nero – non del colore, ma dell’affezione – la carità, del bianco » (Sulla Vita e sulla Regola di san Benedetto, p 67). La riforma della cooptazione monastica di San Francesco sotto l’egida della casa dei conti di Segni – di cui faceva parte Innocenzo III, nemico giurato di Gioacchino e il cardinale Segni di Assisi, che avrebbe strumentalizzato Francesco e il suo movimento spirituale – iniziò durante le agitazioni plebee che portarono alla presa e alla parziale demolizione della Rocca Maggiore, la formidabile fortezza in cima alla città. La paura del clero e della borghesia mercantile era grande, così inventarono la leggenda manipolata del Poverello che sorreggeva con le sue spalle una chiesa pronta a crollare, immagine che Giotto sacralizzò in un famoso affresco. In realtà, Franҫois non fu mai nominato a capo dell’ordine da lui fondato, poiché il papato e Segni erano sospettosi della sua “autenticità” nel difendere i poveri. L’Ordine di Fiore se ne rese conto rapidamente, ottenendo un grande sostegno in questo nuovo ordine, che in effetti era stato inventato contro di esso, e che alla fine portò a una scissione tra i Frati Minori e i Conventuali. La situazione degenerò successivamente con la creazione di altri ordini minori, come i Cappuccini, che furono completamente trasformati in “basso clero”.

Abbiamo già detto che Innocenzo III, discepolo di Pietro Lombardo, era un nemico giurato di Gioacchino e del suo Ordine. Contro di lui lanciò una vera e propria campagna di pulizia ideologica e teorica, che portò alla condanna, nel quarto Concilio Lateranense del 1215, di un presunto opuscolo iniziale dell’abate sulla Trinità e sulle accuse di Lombardo contro la Trinità quaternaria. Le tesi venali di Pietro Lombardo sulla quaternità, che presupponevano che non ci potesse essere salvezza senza l’intermediazione della Chiesa, trionfarono. In realtà, se consideriamo le ragioni della condanna di questo presunto opuscolo giovanile, ci rendiamo conto che tutto si ritrova in modo molto elaborato nel Salterio a dieci corde e in tutte le opere maggiori di Gioacchino. In realtà, Gioacchino aveva scritto con il permesso e l’appoggio dei tre papi precedenti a Papa Segni. Innocenzo III non poteva quindi condannarlo apertamente. Ma le pressioni sull’Ordine di Fiore erano state esercitate già prima della morte di Gioacchino. Inoltre, nel suo Testamento Gioacchino si era preoccupato di proteggere il suo Ordine dichiarando la sua sottomissione alla Chiesa e sottoponendo la sua opera al suo esame. Allo stesso modo, il tentativo di sopprimere l’Ordine facendolo reintegrare nell’Ordine cistercense, che Gioacchino aveva lasciato, non ebbe il successo immediato sperato, poiché la regola vietava la fusione di un ordine più rigoroso in uno meno rigoroso.

Nonostante le vicissitudini di ogni tipo e le persecuzioni più o meno aperte, l’Ordine di Fiore mantenne per decenni una certa autonomia. Nel 1214, l’abbazia originaria, che preannunciava l’arrivo della Terza Età, fu distrutta da un incendio, a mio avviso sospetto, e questo nel contesto della manipolazione di alcuni monaci che protestavano per il rigore climatico « nella frigida Sila » per forzare il trasferimento in pianura. Matteo, fedele successore di Gioacchino, ricostruì dapprima Jure Vetere, ma fu poi costretto a ritirarsi parzialmente e a ricostruire l’abbazia di San Giovanni in Fiore, località appartenente alla tenuta di Fiore ma simbolicamente dedicata a San Giovanni Battista, cioè colui che annunciò la seconda Età di Cristo! Ciò non impedì all’abate Matteo di aprire altre abbazie e grange e di diffondere l’opera del suo fondatore. Matteo godette del sostegno entusiasta di Federico II, che confermò l’Ordine di Fiore in tutti i suoi possedimenti.

La persecuzione si intensificò nuovamente in occasione dell’incontro di Anagni del 1254-55. La situazione si era fatta più tesa. La situazione era diventata più tesa. L’opera di Gioacchino era arrivata ai Francescani e a molti altri, anche in Francia, dove l’Introduzione al Vangelo eterno di Gerrardo da Brogo San-Donnino – in realtà alla Concordia – fu bruciata sul sagrato di Notre Dame a Parigi. Quella che sarebbe diventata l’Inquisizione aveva le sue radici qui. Resta il fatto che l’opera di Gioacchino circolò ampiamente, come dimostra la storia europea e le rivolte contadine e religiose, dai movimenti che si dichiaravano rosacroce cristiani, a Giovanni Hus e Böhme e tanti altri, tra cui Müntzer commentato da Marx-Engels in La Guerra dei contadini del 1525, fino alla Rivoluzione francese e oltre, compresi i Taiping cinesi, si veda: « Brevi appunti su Gioacchino da Fiore pitagorico » presentati alla Conferenza organizzata dall’Associazione culturale Gunesh, il 27 agosto 2016 » in https://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#ITALIA )

La terza falsità di Podestà, nonostante il testo della traduzione di cui firma l’introduzione, riguarda più specificamente le relazioni Impero-Chiesa, o il potere temporale e spirituale. Egli tradisce sfacciatamente il testo di Gioacchino in relazione a una presunta concordanza di vedute – se così si può dire – tra l’abate calabrese e Innocenzo III, acerrimo nemico di Gioacchino, discepolo di Pietro Lombardo e ora Papa, riguardo alla concordanza Re-Giudice o Temporale-Spirituale. Innocenzo III non si affidò mai a Gioacchino per difendere questa assurdità, poiché Gioacchino diceva l’esatto contrario e Innocenzo III era il suo peggior nemico. Si trattava di una volgare manipolazione papale, una tipica inversione di senso.

Si tratta di un grave errore, perché fin dall’inizio della Concordia, Gioacchino aveva proposto una doppia discendenza nell’Antico Testamento, quella dei Re e quella dei Giudici, riflettendo la tensione trinitaria, con i Giudici che diventavano l’ordine dei monaci astratti dal potere temporale. Fu eletto l’abate di Fiore. Per questo Gioacchino fa di Gesù una figura che cede sempre più il passo all’Apostolo delle genti – e al suo messaggio universale, sia il Re discendente da Davide secondo la genealogia inventata nel Nuovo Testamento per ancorare la narrazione pitagorico-cristica alla cultura ebraica, sia il Giudice discendente da Mosè. In questo modo, Gioacchino prefigura, nell’Età del Figlio, il nuovo annuncio del ruolo monastico da parte di San Benedetto, che poi aprirà la strada alla terza Età dell’emancipazione con l’Ordine di Fiore. Va notato che questa cronologia interna e questa genealogia, che ancorano Cristo all’Antico Testamento e alle sue promesse, sono centrali nella concezione gioachimita delle concordanze, che non fanno altro che continuare l’opera pitagorica originaria aggiornandola in funzione del futuro dell’emancipazione umana.

Nel Libro IV della Concordia, Gioacchino attacca duramente i Cistercensi, tra cui Geoffroi d’Auxerre, la cui gloria risiedeva nel fatto di essere stato uno degli scribi di Bernardo di Chiaravalle. Agli occhi dell’abate calabrese, essi avevano confuso il ruolo di araldi spirituali degli ordini monastici con quello di reggitori della cristianità e, così facendo, avevano ceduto alla mondanità, trasformando la proprietà ad uso collettivo in proprietà ad uso privato, mirando alla grandezza politica e mondana.

Dalla sua critica di principio ai cistercensi nel Libro IV – preceduta dall'”Interpretazione dei canestri di fichi” di Gioacchino contro G. d’Auxerre – Gioacchino trasse la conclusione che la deriva dalla missione monastica di annunciare la terza Età libertaria ed egualitaria era così avanzata che nessuna riforma interna dell’Ordine cistercense a cui apparteneva sembrava più possibile. Di conseguenza, il Libro IV, completato nel 1187, annuncia anche la rottura di Gioacchino e la creazione dell’Ordine di Fiore en Sila con il potente sostegno degli Altavilla e di tutti i Normanni, allora della Casa Imperiale Svevo-Normanna, riconfermata da Federico II. Si annuncia così la marcia verso uno Stato laico, con una separazione sempre più marcata ed ecumenica tra temporale e spirituale

Come al solito, Gioacchino va al cuore della questione. Egli mostra come, secondo la tradizione – fantastica come tutti oggi sanno – l’imperatore Costantino offrì il potere temporale a papa Silvestro, il quale, consapevole della missione monastica – oseremmo dire, in termini giovannei, « pitagorico-cristiana » – della Chiesa e del Papato, rifiutò. Ricordiamo che etimologicamente ecclesia = comunità.

Il ritorno alla missione degli ordini monastici implica la riforma non solo del papato e della Chiesa, ma anche dell’intera società, una riforma che l’abate calabrese annuncia come inevitabile e imminente. Egli ne stabilisce chiaramente i parametri: lasciando da parte le falsificazioni tardo-cristiane, ritorna al messaggio universale e anti-esclusivista dell’apostolo Paolo e sottolinea l’importanza dell’Atto degli Apostoli di Luca, che afferma l’uguaglianza di azione tra le prime comunità cristiane, cancellando al loro interno le differenze sociali tra padroni e schiavi per mettere in comune le ricchezze in modo che « ciascuno possa ricevere secondo i propri bisogni ». Ma Gioacchino era consapevole della differenza tra l’organizzazione sociale e l’organizzazione di una piccola comunità. Come colui che scrisse un’analisi elogiativa della Regola di San Benedetto, conosceva l’importanza del lavoro e dell’organizzazione della produzione e della distribuzione. Fu Gioacchino da Fiore a enunciare il principio di transizione, cioè « da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro », prima di generalizzare la regola degli Atti degli Apostoli rivista per l’ordine sociale pienamente emancipato, cioè « da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni », vedi sotto.

Nel Nuovo Ordine Monastico e Sociale illustrato dalla Tavola XII (si veda qui:« Brevi appunti su Gioacchino da Fiore pitagorico » presentati alla Conferenza organizzata dall’Associazione culturale Gunesh, il 27 agosto 2016 » in https://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#ITALIA ) – Gioacchino espone le condizioni materiali e intellettuali – etico-politiche diremmo oggi – per la realizzazione di questo Nuovo Ordine. Il dominio abbaziale di Fiore apparteneva al dominio reale normanno e poi a quello imperiale, ed era quindi inalienabile. Il possesso spettava in perpetuo all’Abbazia di Fiore. Tutti i monaci e gli altri abitanti del vasto territorio dell’abbazia sull’Altopiano silano avevano diritto ai frutti del loro lavoro, dopo aver pagato le tasse per la gestione dell’abbazia. In questo modo, l’abate calabrese aveva inventato un concetto rivoluzionario: la proprietà congiunta inalienabile – impero/abbazia – che andava di pari passo con il possesso comune dello sviluppo del territorio e la proprietà individuale della ricchezza prodotta.

In termini di gestione e utilizzo, la contrapposizione sacro/pubblico fu cancellata per la prima volta. Di conseguenza, tutta la proprietà privata nell’area dell’Abbazia, almeno dal – e anche prima del – 1500 con la sua trasformazione ecclesiastico-feudale in Università o Città ceduta agli sponsor, è stata abusata. Ecco un esempio di questi abusi e degli sforzi dell’Ordine di Fiore per combatterli, se non arginarli. « Nel dicembre1722, il baglivo della Badia , notaio Santo De Marco, si recò a Cosenza per rendere una testimonianza contro le pretese di ecclesiali secolari e della stessa curia arcivescovile di Cosenza, che avevano immesso proprie mandrie nei territori della Badia senza pagare alcunché a titolo di fida e di diffida, data la violazione dei diritti badiali. Il baglivo aveva proceduto al sequestro degli animali, ma la Regia Udienza, su richiesta delle autorità ecclesiastiche cosentine, gli avevano ordinato di leberare gli animali sequestrati. Nella sua dichiarazione, De Marco tacciva di ignoranza gli ufficiali dell’Udienza, poiché nonsierano resi conto che i violatori dei diritti dell’Abazzia attentavano alla « imperial giuridizione », riconduncendo la fondazione florense all’iniziativa di quello stato che ifunzionari regi erano chiamati a tutelare, contro le prevaricazioni del potere cclesiastico. » (San Giovanni in Fiore, Storia, cultura et Economia, Rubbettino ed., 1998, p 84) Il baglivo faceva referenza alla concessione dei diritti all’ordine florense riconfermati dall’Imperatore Federico II. (Si noti la permanenza ancora tristemente presente nel nostro Paese e in Calabria di questi soprusi sistemici delle autorità aggravati da questo tipo di illegalità, tutta macchiata da un’arrogante « ignoranza », come diceva il mio omonimo, ma capillare e invasiva delle istituzioni, dei capi della polizia e giudici compresi, a vantaggio degli abusi dei notabili, delle loro camarille e delle altre mafie. Si tratta di un vero e proprio hold-up – P2 diffusa, in più – della democrazia finalizzato al controllo poliziesco-mafioso del territorio).

Queste violazioni furono sempre riconosciute come tali, almeno dal punto di vista legale, fino all’esproprio definitivo operato dalla Democrazia Cristiana e dai suoi alleati – quando Paolo Cinanni scoprì troppo tardi il retroterra gioachimita della strenua difesa degli abitanti della proprietà/possesso collettivo delle terre dell’Abbazia. Tra i primi commissari nominati direttamente dal Vaticano c’è il cardinale Giulio Antonio Santori, l’inquisitore che contribuì alle condanne di G. Bruno e T. Campanella. Come si vede, il desiderio di controllo e di occultamento avviato da Innocenzo III si intensifica con l’accelerazione della Chiesa cattolica verso il Concilio di Trento.

Infatti, ritroviamo questa innovazione teorico-pratica di Gioacchino in tutti i conflitti che seguirono la sua morte nel 1202. E, in modo particolare, nella concezione comunista di Gerrard Winstanley, dei Diggers e dei Levellers prima della loro sconfitta militare a Burford nel 1649. Questo è molto diverso dai « commons » inglesi, le terre padronali sulle quali i residenti avevano un accesso limitato, che portava a continui conflitti con i signori e gli altri proprietari terrieri, come dimostra chiaramente il precursore « comunista » inglese. (10) O l’assurdità che accompagna il neoliberismo monetarista inventato in Occidente dopo la sconfitta dell’Unesco imposta da Reagan – un tentativo di stabilire un nuovo ordine mondiale per le comunicazioni e le telecomunicazioni – ovvero « beni comuni » al posto di beni pubblici forniti da imprese pubbliche. Questa alternativa neoliberista non mette in discussione la perpetuazione della proprietà privata, compresi i monopoli naturali che dovrebbero logicamente essere restituiti al settore pubblico, né l’accumulazione del capitale, né la sua interpretazione del riscaldamento globale al posto della protezione dell’ambiente e dell’attuazione dell’ecomarxismo.

Allo stesso modo, William Blake tentò a suo modo di rifare una vasta narrazione proto-biblica per aggiornare il progetto di Winstanley sulla scia di Thomas Paine e della Rivoluzione francese e di A New System ; or an analysis of ancient mythology – 1774 – da Jacob Bryant inlinea con l’Abrégé de l’origine de tous les cultes de Charles-Franҫois Dupuis 1742-1809. (https://fr.wikisource.org/wiki/Abr%C3%A9g%C3%A9_de_l%E2%80%99origine_de_tous_les_cultes ). In questo, oltre a una potenza grafica e artistica pari a quella di un Michelangelo, dimostra una raffinata comprensione dell’uso dei miti che emerge, tra l’altro, da un’attenta lettura di Gioacchino e Vico.

La reputazione e le opere di Gioacchino erano note fin dall’inizio ai sovrani normanni d’Inghilterra e ai loro cistercensi. Infatti, Riccardo Cuor di Leone, di passaggio a Messina nel settembre 1190 prima di imbarcarsi per la Terra Santa, volle chiedere a Gioacchino informazioni sul futuro della sua crociata – Filippo Augusto lo accompagnò ma, sentendo la valutazione di Gioacchino sul suo fallimento, decise di tornare in Francia il prima possibile. Sappiamo cosa pensava Gioacchino del potere temporale, per il quale il vero Tempio era la coscienza umana; questa convinzione fu rafforzata dalla presa di Gerusalemme da parte del Saladino nel 1187. ( https://fr.wikipedia.org/wiki/Richard_C%C5%93ur_de_Lion ) Inoltre, l’abate cistercense Adam de Perseigne e il cronista inglese e abate cistercense Ralph de Coggeshall lo avevano incontrato a Roma nel 1195. Nel suo Chronicon, completato nel 1208, Ralph riassume quanto appreso dallo stesso Gioacchino (cfr. Pasquale Lopetrone, « Gioacchino raccontato da Radulphi de Coggeshall » Corriere della Sila, 5 giugno 2023, p 10). Sappiamo anche che G. Bruno compì una notevole visita a Londra, che lo spinse a scrivere la Cena delle ceneri. Oltre alla sua pungente ironia nei confronti della « pedanteria e asinatte » degli studiosi del tempo, in questo dialogo dimostra di conoscere bene i suoi interlocutori, tra cui l’astronomo pitagorico Filolao, contemporaneo e amico del Maestro di Crotone, che già sapeva che la Terra o il Sole non erano al centro della nostra galassia. Inoltre, Blake, che lavorava a stretto contatto con gli editori, affermava spesso di avere una certa dimestichezza con le lingue straniere, ed era ovviamente ben informato.

Va notato che Gioacchino fu oggetto della prima inquisizione e della prima pulizia ideologico-teorica moderna prima dell’Inquisizione, che sorse – per le stesse ragioni – sulla scia del Concilio di Trento. Con la sua teoria trinitaria aveva condannato duramente la dottrina quaternaria di Pietro Lombardo, che cercava di salvare il ruolo della Chiesa come intermediario per assicurare la salvezza dei cristiani nell’aldilà. Gioacchino vedeva la salvezza di tutta l’umanità, non solo dei cristiani, come manifestazione della Coscienza nella Storia. Dopo che tre papi avevano sostenuto gli sforzi teorici di Gioacchino, Innocenzo III, discepolo di Pietro Lombardo, divenne papa. Si aprì così un’epoca di repressione volta a cancellare l’opera di Gioacchino, culminata nelle Inquisizioni domenicane e gesuitiche. Questo processo fu accompagnato dalle solite manipolazioni: fin dall’inizio, diversi falsificatori affermarono che Gioacchino aveva annunciato la creazione dell’ordine domenicano – pace G. Bruno! – e dei Gesuiti – pace, Bruno, Campanella, Galileo ecc. – un annuncio illustrato pittoricamente dai due monaci in abito nero dipinti in San Marco a Venezia!!! Abbiamo già visto, per ironia della sorte grazie a Potestà, come Innocenzo III cercò di manipolare la doppia linea Re-Giudici a vantaggio del suo potere temporale sfruttando la Concordia di Gioacchino. Il risultato fu tragico: Jure Vetere fu bruciata, l’Abbazia di Jure Vetere, che annunciava la Terza Età – sotto l’egida di San Giovanni Evangelista – fu trasferita a San Giovanni in Fiore sotto l’egida di San Giovanni Battista, quindi prima ancora che fosse annunciata la Seconda Età (!), e fu condannata una piccola opera stravagante, senza dubbio inventata per le esigenze della causa. In realtà, l’opera in questione era probabilmente il Salterio a dieci corde, un’opera importante che Innocenzo III e la Curia non potevano condannare apertamente.

In effetti, abbiamo visto che la dialettica trinitaria è al centro dell’opera e della riforma di Gioacchino. Tuttavia, il caso volle che le sue opere fossero state approvate e sostenute da tre papi successivi e prudentemente poste sotto la protezione della Chiesa da Gioacchino nel suo Testamento; non potevano quindi essere attaccate frontalmente senza minare la legittimità papale. Purtroppo per questi falsari reazionari, Matteo, l’abate che succedette a Gioacchino, rimase fedele al messaggio e lo diffuse. Inoltre, oltre a Federico II, aveva potenti sostenitori nella Chiesa, tra cui Luca Campano, vescovo di Cosenza, che era il suo scriba quando l’abate iniziò a scrivere le sue opere principali. Soprattutto, la regola monastica proibiva ai monaci di regredire a un ordine monastico meno rigoroso. Il tentativo di Papa Innocenzo III di reintegrare l’Ordine di Fiore nell’ordine cistercense da cui era fuggito non ebbe del tutto successo. Per questo motivo i papi, da Innocenzo III in poi, cominciarono a violare le prerogative territoriali e giuridiche della proprietà-possesso della tenuta di Fiore. Le usurpazioni iniziarono. Si accelerarono quando, dopo Ludovico de Santangelo di Valencia (1500), seguito da Rota e da molti altri, fu imposto un ordinamento feudale ecclesiastico, trasformando il patrimonio abbaziale in una “Università” o Città. Non sorprenderà nessuno che uno dei primi sponsor di questa completa demolizione dell’opera e del messaggio emancipatorio di Gioacchino sia stato nientemeno che il cardinale Julio Antonio Santori, lo stesso che fece condannare dall’Inquisizione G. Bruno e T. Campanella.

Naturalmente l’epilogo moderno, anche se non la fine di questa « storia », è da ricercarsi nelle accanite lotte per la riforma agraria e la difesa degli « usi civici », che in Sila erano vere e proprie « proprietà comuniste » nel senso etimologico del termine, in particolare nell’Altopiano silano e nella tenuta Fiore. È stato così fin dall’inizio di queste usurpazioni. La lotta si intensificò quando la Rivoluzione napoletana del 1799, con il giovane e brillante generale repubblicano francese Championnet e la grande confraternita dei riformatori napoletani, eredi di Vico e di molti altri, rimise in moto la Repubblica ponendo come priorità la riforma agraria. Questa riforma fu ripresa da Giuseppe Bonaparte e Murat sulla base del lavoro pionieristico di Zurlo, in particolare per quanto riguarda la tenuta di Fiore.

In epoca moderna, ciò portò al tradimento della Democrazia Cristiana e dei suoi alleati che, come i fascisti prima di loro, avallarono l’esproprio delle terre abbaziali, inalienabili in Sila. La riforma agraria riguardò solo le terre peggio abbandonate e anche in quel caso, quando, su pressione popolare, l’Opera Sila distribuì gli appezzamenti, li concepì così piccoli da non poter essere altro che una risorsa di riserva per una forza lavoro destinata a essere proletarizzata per servire gli sviluppi industriali del nord del Paese. Allo stesso tempo, come ha analizzato il grande teorico comunista calabrese Paolo Cinanni (11), durante la Conferenza di Venezia del 1949, cioè all’indomani dell’espulsione dei comunisti dal governo nel 1947, compreso il ministro Fausto Gullo responsabile della riforma agraria, la Democrazia Cristiana teorizzò la completa sottomissione al Piano Marshall e l’emigrazione di massa della manodopera italiana all’estero.« Imparate una lingua straniera » ha osato consigliare il Presidente della Repubblica accompagnando questa emorragia delle forze vive della Nazione. L’Italia ha così perso molto rapidamente più di 2 milioni di suoi concittadini. Questa ricetta di sviluppo socio-economico è ancora forte poiché, a seguito della crisi del 2007-2008, l’Italia ha perso più di 5 milioni di cittadini che sono emigrati fuori dal Paese, portando con sé la propria forza lavoro e il valore della propria istruzione e formazione professionale, come dimostrato. di Cinanni.

Con la sua proverbiale onestà, Cinanni mostra anche gli errori di analisi commessi dal PCI nei confronti della fallita riforma agraria nel Mezzogiorno. Aggiunge, con lucidità, che negli anni ’60 e ’70 l’immigrazione interna delle forze vive meridionali portò anche al declino della vitalità delle sezioni locali del Partito comunista e delle forze politiche e sociali alleate. La Calabria, più di ogni altra regione del Paese, sta ora pagando il prezzo, essendo diventata una terra di disoccupazione di massa senza precedenti – tasso di occupazione del 39-40 % nella migliore delle ipotesi – corruzione, mafia e tradimento dei diritti e dei doveri costituzionali in primo luogo da parte gli enti di garanzia regionali ma soprattutto nazionali. (12)

Possiamo vedere che il messaggio di Gioacchino è più attuale che mai.

Aggiungiamo che la teoria della salvezza o dell’emancipazione umana per mezzo del divenire storico trinitario esclude qualsiasi prosa colpevolizzante centrata sui peccati, così cara a tutti i sommi sacerdoti e al loro basso clero e ad altri prestati servi in camera. Se condanna l’adulterio, Gioacchino condanna solo la spudoratezza e ne fa motivo di divorzio; ma questa condanna vale per tutti. Il divorzio è quindi una misura per garantire la trasparenza e la pace. Gioacchino è favorevole alla commensurabilità della pena con la colpa. In questo senso ispirerà l’Inferno di Dante. Scrive: « E tuttavia la somiglianza tra il peccato e la manifestazione della pena attesta che furono puniti con una sentenza che, per quanto assai severa, fu tuttavia equa. Se infatti si fossero accessi oltre ogni limite per un naturale desiderio per le donne o se avessero commesso peccato d’adulterio sopraffatti dall’ardore della passione, forse sarebbe stata sufficiente la punizione del fuoco, perché, conformemente al loro reato, sperimentassero un supplizio piuttosto semplice. » (p 47) D’altra parte, il monaco Gioacchino, che valorizza il celibato dei monaci, considera un abominio i « crimini contro natura », aggiungendo al fuoco la pestilenza dello zolfo. Alla fine, l’importante è essere fedeli ai propri giuramenti. Il resto, logicamente, dipenderà del divenire storico dell’emancipazione individuale e collettiva.

Allo stesso modo Gioacchino, monaco per elezione, specificherà nella sua opera le condizioni per diventarlo, ma non imporrà alcun obbligo verso nessuno, esige semplicemente che chi non può più rispettare i propri voti, compreso quello di castità, deve abbandonare l’abito monacale. Nel Concordia condanna anche quei monaci mondani, compresi i cistercensi, che hanno solo l’abito per dichiararsi monaci. Boccaccio se lo ricorderà. E parimenti, ispirandosi a Pitagora e all’Accademia di Platone, farà appello alle donne che vorrebbero emanciparsi e contribuire all’emancipazione generale ad aderire al suo Ordine per evitare la « schiavitù del matrimonio ». Gioacchino scrive a questo proposito: « Vediamo una sposa e diciamo: è una schiava; così come non a torto di può dire dei loro figli : quello della schiava è nato secondo la carne, quello della libera è nato in virtù della promessa (…) E infatti abbastanza schiava colei che non ha potere sul proprio corpo. » (Libro V, cap 1, citato in Gioacchino da Fiore, «il calavrese abate Gioacchino di spirito profetico dotato. », La Provincia di Cosenza, 1997, p 158)

Toccherà alla Storia riconciliare nella Terza Era, attraverso l’emancipazione e il libero amore, la vocazione monastica e la riproduzione della Specie. Anche se Gioacchino utilizzerà spesso a questo proposito la metafora di Sara ed Elisabetta o della donna sterile e della sua schiava, il parto non escludendo nulla dal punto di vista dello sviluppo spirituale. Il cattolicesimo oggi è molto più dogmatico e regressivo di quanto lo fosse nel Medioevo. D’altronde il suo attacco contro gli eccessi della Chiesa e degli ordini monastici mondani, contro la Nuova Babilonia, è severo e preciso. Lascerà tracce. Dante, che conosceva almeno la Concordia e il Liber figurarum, ad ess si ispirò denunciando l’usura con virulenza, e in particolare quella praticata dalla Chiesa (vedi: «La «tendenza comunista » nella Divina Commedia », di Daniele Burgio – Massimo Leoni – Roberto Sidoli * in https://www.marx21.it/cultura/la-tendenza-comunista-nella-divina-commedia/ ) I gioachimiti sociali accoglieranno le accuse di Gioacchino, così come tutti i riformatori in seguito compresi Lutero e Münzter , quest’ultimo che si dichiara proprio dell’abate calabrese e diviene presto una figura di spicco, crudelmente sacrificata dai principi amici di Lutero, della guerra contadina in Germania del 1525, evento significativo che ci valse una bella analisi di Marx -Engels. (vedi https://www.marxists.org/english/marx/works/1850/00/fe1850.htm )

Vediamo qui tutta la modernità dell’Abate Gioacchino, il divenire trinitario dell’emancipazione eliminerà i peccati e le colpe dei sudditi utilizzati fin qui per assicurare il loro dominio. Francesco Maria Piave, librettista verdiano del Rigoletto, ricorderà Gioacchino che ripete più volte ne La Concordia: « non vi è amore dove non vi è libertà ». Marx riprenderà questa prospettiva quando teorizzerà l’amore libero, una concezione spesso fraintesa nella società della mediocrità e della servitù consumistica aggravata dalla psicologia-psicoanalisi borghese. (Ho provato a riprendere la teoria insistendo sugli spazi di libertà nel mio saggio « Matrimonio, unioni civili e istituzionalizzazione dei costumi » appoggiandomi sulla mia critica al ciarlatanismo freudiano e a quella della psicologia borghese in tutte le sue forme. Vedi in nel primo caso la Parte Rosa del mio vecchio sito sperimentale www.la-commune-paraclet.com e per la mia critica definitiva al freudismo e ad altri ciarlatani borghesi ad esso associati il mio Pour Marx, contre le nihilisme, in particolare la Seconda parte. )

3 ) Riassunto dei 4 Libri della Concordia.

3a ) I livelli analitici e teorici della Concordia.

Passiamo ora al riassunto succinto e più libresco dei IV Libri della Concordia, 2022.

Metteremo, tuttavia, in evidenza lo svolgersi ordinato della riflessione concettuale e teorica messa in scena da Gioacchino nella sua sistematica organizzazione delle concordanze narrative testamentarie. Vedremo che la presentazione è impeccabile, senza contraddizioni al contrario di quanto sostiene Potestà, poiché gli schemi presentati da Gioacchino non pretendono di riferirsi ad una semplicistica concordanza punto per punto ma a diversi livelli analitici e teorici di sviluppo dialettico. Inoltre Gioacchino ha avuto cura di mettere in guardia da un’interpretazione troppo dotta e semplicistica nel Prologo: « La pienezza delle concordie, di cui si tratta in quest’opera, è contenuta da ben definiti spazi di tempi e indizi di avvenimenti, compresi sotto il medesimo rapporto numerico, a condizione che lo si intenda spiritualmente; giacché esso, che nei libri divini gode di tale considerazione, è chiave e porta di questo libro, e da esso dipende anche tutta l’argomentazione di questa nostra trattazione così approfondita. In fatti il numero, a causa della profondità del mistero, esige di tener conto di molti elementi nella discussione di esso; e una volta che sia stato discusso, molti misteri rimasti celati si scoprono » (p 35 ) Allo stesso modo: « Occorre anche sapere che la concordia va ricercata non integralmente, ma solo secondo ciò che è più chiaro e più evidente; e non secondo il corso delle storie ma secondo qualcosa di particolare. (…) la concordia va assegnata soltanto nelle cose propriamente pertinenti. Come infatti la persona del Figlio è simile alla persona del Padre, e tuttavia latra è la proprietà del Padre, altra quella del Figlio, così il Nuovo Testamento è simile all’Antico Testamento e tuttavia altra è la proprietà dell’Antico Testamento, altra quella del Nuovo. » (pp 226-227)

Gioacchino preciserà il suo metodo teorico mostrando come lo svelamento dei Sigilli avviene solo quando ciò è storicamente possibile per la confluenza dei tipi storici e delle intelligenze ad essi legati. Marx non dirà altro mostrando come lo svelamento della Legge del valore è reso storicamente possibile dal Modo di produzione capitalistico che finalmente dissocia il lavoro umano, « freddamente » « liberato » dallo sfruttamento capitalistico, dalle variabili legate allo status sociale; Marx spiega così che la schiavitù aveva impedito ad Aristotele di vedere che la misurazione del valore di scambio di un letto e di un treppiede mediante un comune metro, quindi quella di due merci diverse ma commensurabili tra loro poiché si scambiano, non era altro che il valore della forza del lavoro, l’equivalente universale. Il denaro non è altro che un equivalente generale mentre ogni merce costituisce un equivalente particolare, entrambi i quali devono essere definiti secondo l’equivalente universale. Tutti i « concreti pensati » (« concret pensé » ), concetti universali una volta svelati, seguono la stessa doppia evoluzione storica e logica che il Metodo finisce – grazie a Kant – per sistematizzare nella dialettica di investigazione ed di esposizione, metodo che va ben oltre il semplice passaggio dal particolare al generale; le leggi generali caratterizzano sia Aristotele che la sociologia borghese.

Naturalmente, il fatto di svelare il « concreto pensato » non significa necessariamente che venga svelata anche tutta la teoria ad esso relativa: lo ha dimostrato drammaticamente la montagna di assurdità riversata sulla teoria marxiana del valore della forza lavoro prima dei miei contributi nonostante gli sforzi del grande epistemologo e metodologo marxista Louis Althusser. Noto che l’occultamento dei miei contributi è la causa del flusso continuo delle stesse sciocchezze, soprattutto tra i marxologi marxisti, tra cui recentemente Maximilien Rubel per l’edizione di Marx in La Pléiade e Micheal Heinrich che ha collaborato temporaneamente all’edizione di MEGA. Questa è una spudorata violazione della metodologia e della deontologia scientifiche. (Rimando qui in particolare al mio Tous ensemble, alla mia Introduzione metodologica e al mio Compendio di Economia Politica Marxista.)

Così Gioacchino esprime la teoria nel Salterio, pur sottolineando che il divenire segue sempre le stesse leggi, anche per gli altri popoli e per i popoli precristiani: « In primo luogo, gli stessi gradi – degli intelletti – devono essere indicati in base alla storia e in base alla concordia dei tre stati nei tre stati stessi, benché possiamo indicarli solo nel primo e nel secondo in base alla concordia, nel terzo ancora in nessun modo, poiché non siamo ancora giunti al giorno e all’ora in cui il popolo dei Giudei si convertirà a Dio » (p 134) A più riprese nella sua opera, e in particolare nel Salterio, Gioacchino spiega che i numeri devono essere intesi in modo spirituale, cioè come strumenti euristici nell’espressione moderna, cosa necessaria anche a causa della fluttuazione dei testi secondo il copisti. Gioacchino insiste però sul fatto che, interpretando questi dati secondo la conoscenza del momento, non si dovrebbero mai « correggere » i testi perché, come dimostra concretamente il Salterio, essi si riferiscono alle figure « perfette » di Pitagora. L’esempio chiave per illustrare questo metodo è quello degli anni 70 e 72, gli anni della prigionia a Babilonia o dei discepoli che Cristo mandò a predicare in tutto il mondo. Svelato il « mistero », tutti capiscono che 70 si riferisce a 72, cioè ai gradi degli angoli esterni del pentagramma, mentre: 72 x 5 = 360 gradi, cioè il cerchio utilizzato per descrivere la volta stellata e per calcolare i cicli astronomici compreso il Grande Anno di Platone, cioè la Precessione degli Equinozi, poiché 1 grado d’arco in 72 anni moltiplicato per 360 equivale a 25.920 anni. (13)

Nel Prologo Gioacchino annuncia senza giri di parole il suo proposito riformatore socio-monastico che ha maturato negli anni, dal suo primo saggio datato 1176 intitolato Genealogia degli antichi santi padri fino al contemporaneo inizio della stesura delle sue tre opere maggiori che continuerà a scrivere ed a elaborare fino alla fine della sua vita. La cronaca racconta che dopo aver lasciato la corte arabo-normanna di Ruggero II a Palermo, all’epoca la più opulenta e sofisticata d’Europa, si recò in « Siria ». Al ritorno da quello che sembra essere stato un viaggio di studio, pensò inizialmente di diventare predicatore in Calabria. Notato dal vescovo, che la sua conoscenza aveva sorpreso, si impegnò a farsi monaco presso l’abbazia di Corazzo allora in declino. Rimase poi per un anno e mezzo nell’abbazia cistercense di Casamari. Secondo il Psalterium decem cordarum – 1184-1201 – durante questo soggiorno, in modo emblematico a Pentecoste, quando dubitò fortemente dell’utilità della sua scelta monastica, ebbe una « rivelazione » sul significato del mistero trinitario e soprattutto sul modo giusto per trasmetterlo alla gente. Tutta la sua opera ne porterà traccia, tanto l’Expositio in Apocalypsim – 1183-1200ca – quanto la Concordia Novi ac Veteris Testamenti – 1183-1196 – nonché il Psalterium. Quando ebbe finito di scrivere il Libro IV della Concordia a Petralata, era pronto a ritirarsi sull’Altopiano silano, a Jure Vetere, letteralmente “L’Antica Legge”, quindi pitagorica, per fondarvi il suo nuovo ordine monastico di Fiore la cui missione era quella di annunciare la prossima transizione alla 3a Età dell’emancipazione umana.

Nel Prologo Gioacchino si pone consapevolmente come colui al quale, come Eliseo o Cristo, spetta il dovere di annunciare un passaggio epocale: il passaggio alla Terza Età dell’emancipazione umana, grazie all’esame delle concordanze tra il « Primo » il « Secondo » Testamento – nota giustamente Potestà che talvolta usa questi termini anziché « Antico » e « Nuovo » p 12 – alla luce della dialettica trinitaria. Egli si affida alla sua interpretazione dinamica delle « ruote », o meglio, secondo Gioacchino, del « Carro » di Ezechiele piuttosto che alle concordanze simboliche e statiche con semplice valore di esempio che erano consuete fino a lui. Questo non è di poco conto e ci rimanda alla mia interpretazione astronomico-pitagorica. Le ruote o carro di Ezechiele si riferiscono alla volta celeste organizzata attorno alle quattro costellazioni principali del Tetramorfo che mantengono un rapporto stabile tra loro tanto da permetterne l’organizzazione del cielo stellato tenendo conto delle altre stelle e dei pianeti, questi ultimi apparentemente irregolari. Nella Figura « Il carro o le ruote di Ezechiele » presentata graficamente nel Liber figurarum (Vedi Il Cocchio divino di Ezechiele: la ruota bella ruota in https://it.wikipedia.org/wiki/Liber_Figurarum ), è chiaro che non c’è nulla di antropomorfico in Gioacchino, e non si tratta di una ruota nella ruota ma delle 4 ruote del Carro che, rimanendo in stretto rapporto tra loro, creano una sorta di punto “fisso” che rende possibile organizzare lo spazio celeste e afferrare il movimento del cielo stellato. Il carro è talvolta descritto nella Bibbia come il trono di dio sorretto dai 4 angeli più importanti della gerarchia, gli Ophanim, o anche come la Città, o Gerusalemme, celeste.

La Figura di Gioacchino non lascia dubbi soprattutto se si tengono conto delle mie precisazioni precedenti, compreso il commento ai numeri pitagorici nel mio saggio dell’agosto 2016 che costituiscono il cuore del Salterio; ma poiché è evidente che Gioacchino conosceva l’ebraico, bisogna tener conto anche della corretta traduzione delle parole ebraiche che purtroppo sono usualmente antropomorfizzate o comunque male tradotte – le ruote si muovono insieme, in compagnia, nel cielo, non sono incastonate in una ruota più grande. Vedi la spiegazione delle ruote di Ezechiele – Morning Cup of Context. https://www.youtube.com/watch?v=1EPeMotXpXk . Quanto alla corrispondenza tra i due testamenti che si rispondono, Gioacchino la ritrova nella « reciproca contemplazione dei due cherubini » descritta da Ezechiele. La Storia dello sviluppo trinitario è concretamente inscritta nello svolgersi del tempo astronomico. Scrive Gioacchino: « E, avendo esaminato attentamente le ruote di Ezechiele, abbiamo mostrato in modo convincente quanto grande sia la concordia tra le une e le altre e ci siamo impegnati a stabilire che cosa significava quella contemplazione vicendevole dei due cherubini nella reciproca consonanza dei due testamenti: infatti la nostra fede, se difesa da testimoni degni della verità, non può essere indebolita da nessun errore. » (p 33)

Se ha confutato in più occasioni di essere un « profeta », pretendendo soltanto di essere dotato di « intelligenza spirituale », qui rivendica Geremia, Ezechiele e Isaia per la sua « chiamata alle armi »: « Poiché segni ed eventi terribili descritti nel Vangelo annunciano la rovina incombente della storia di questo mondo, che precipita ed è sul punto di finire, non ritengo affatto ozioso rispetto al risultato dell’opera manifestare ciò che il provvidenziale disegno divino ha consegnato a me indegno riguardo ai tempi finali (…) A noi spetta dunque preannunciare le guerre; a voi correre rapidamente alle armi. A noi salire in alto al punto di avvistamento sul monte e dare il segnale alla vista dei nemici; a voi, udito il segnale, fuggire verso luoghi più sicuri. » (pp 29 et 31) Sappiamo che Gioacchino sostituirà ogni volta che potrà l’Apostolo universalista Paolo di Tarso a Gesù, ma come non riconoscere la voce del Figlio che gli annuncia anche un passaggio epocale « Non credere che io sono venuto a portare la pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma la spada. » (Matteo, 10:34) Come scrisse Mao Zedong a proposito del passaggio all’emancipazione generale, all’uguaglianza, alla libertà, all’amore, alla tolleranza e alla pace universale, « la rivoluzione non è una cena di gala. »

Invitando alla mobilitazione per annunciare e preparare il passaggio a un mondo temporale e spirituale migliore, Gioacchino ne indica il metodo e il fine. Il metodo è quello dell’analisi storica, qui della concordia tra Antico e Nuovo Testamento, ma senza ignorare i racconti « extra-biblici » – Orfeo e Ulisse come tipi di Cristo – o « semi-biblici » (p 11 ) secondo lo sviluppo del mistero trinitario per aprire la strada alla Terza Era dell’emancipazione umana, «…finché, come dice l’Apostolo, « arriviamo tutti all’uomo perfetto, alla misura della pienezza dell’età di Cristo ». (pag. 34). Rielaborando l’Atto degli Apostoli, Gioacchino determina che tale pienezza deve essere concretamente resa possibile dalla regola: « Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro » per poi arrivare alla regola stabilita nell’Atto degli Apostoli « Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni ». Lo stesso Marx poneva come fine teorico e pratico anche « il recupero dell’Uomo da se stesso » (« ricovery of Man by himself ») attraverso un cambiamento egualitario delle condizioni materiali dell’esistenza, che comprendono le istituzioni sociali così come i livelli concettuali e spirituali, vale a dire psicologici nella società moderna, per permettere all’essere umano di porre fine alla sua alienazione religiosa – laicità –, politica – democrazia – e umana – comunismo, uguaglianza/libertà. (Vedi il « Trittico dell’emancipazione » in La Sacra Famiglia che comprende la Questione ebraica, https://www.marxists.org/english/marx/works/1844/09/kmfe18440900.htm ) Gioacchino ripete spesso questo principio dialettico fondamentale, ad esempio ancora nel Libro IV: « Tuttavia per gli uomini non viene prima ciò che è spirituale, ma ciò che è animale, in seguito ciò che è spirituale. » (pag. 302)

Resta il fatto che, ritirandosi in Sila per fondare il suo nuovo ordine monastico, Gioacchino ebbe dall’inizio e fino alla fine della sua vita il desideroso e potente appoggio della corte normanna e poi della corte imperiale svevo-normanna. Il Dominio di Fiore, di proprietà regia poi imperiale, ceduto al nuovo Ordine omonimo dai successori di Ruggero II, era molto esteso e molto ricco. Questa dotazione venne riconfermata e seguita da diverse altre fino a Federico II aveva necessariamente uno ulteriore scopo politico. Nel 1130, Ruggero II aveva costretto il papa o antipapa Anacleto II a riconoscerlo re di Calabria, Sicilia e Puglia, mentre l’altro papa Innocenzo II « era sostenuto da Bernardo di Chiaravalle e da tutti gli stati europei» (v. https://fr.wikipedia.org/wiki/Roger_II_(roi_de_Sicile) )

In effetti, i Cistercensi erano molto vicini ai Normanni d’Inghilterra e alla monarchia francese. Il nuovo regno meridionale era molto piacevolmente cosmopolita, comprendendo popoli e fedi diversi, eredi degli Enotri e dei Bruzi, degli antichi greci e romani, degli Arberèches di origine albanese e di rito greco-cattolico, dei greci più recenti fuggiti dalle persecuzioni iconoclastiche di certi imperatori bizantini dal VII al IX secolo a partire da Leone III nel 730, tanto che le numerose comunità monastiche basiliane furono designate come Nuova Tebaide, in riferimento all’originario monachesimo egiziano, e, comprendendo ovviamente numerosi arabi, in particolare in Sicilia, dove trasmetterono ai nuovi sovrani normanni la loro alta cultura, nutrita dalla traduzione dei testi antichi, il che causerà il Primo Rinascimento di cui l’opera di Gioacchino è senza dubbio la punta avanzata in Occidente. L’opera pitagorico-cristiana di Gioacchino aveva anche lo scopo dichiarato di unificare il Regno nella sua spiritualità ecumenico-scientifica e di modernizzarlo politicamente contro gli arcaismi narrativi ecclesiali, compresa la contraddizione tra temporale e spirituale operante del papato, arcaismi che non più corrispondeva alle esigenze del tempo.

3b) Padre, Figlio e Spirito Santo, schiavitù, disciplina e libertà.

Gioacchino scrive: « Il Padre in verità impone la fatica della legge, perché è timore; il Figlio impone la fatica della disciplina, perché è sapienza; lo spirito Santo mostra la libertà, perché è amore. Dove infatti c’è timore, c’è servitù; dove magistero, disciplina; dove amore, libertà. Nondimeno, poiché una sola è la volontà e l’opera è dei tre, la libertà fu data agli uomini dal Padre, poiché padre, e dal Figlio perché è fratello, viceversa la servitù della buona azione fu imposta dallo Spirito Santo, perché pure Lui è timore e sapienza » (p 127) E aggiunge « Dov’è lo Spirito del Signore, lì vi è libertà » (Idem) Gioacchino pone la dialettica trinitaria come l’asse invariante attorno al quale si organizzerà lo sviluppo storico. Il Padre non generato genera il Figlio mentre il Padre e il Figlio generano lo Spirito Santo, o coscienza. L’Età del Padre rimanda all’Autorità e all’obbedienza, alla società dei coniugi ma anche, quello che noto per primo, alla « carne », cioè in realtà alla Natura. (pag. 270 e seguenti). Possiamo quindi affermare senza timore di commettere un anacronismo che qui comincia la concezione dialettica moderna che unisce la Dialettica della Natura – il Padre -, la Dialettica della società o della storia – il Figlio – entrambe combinate secondo le Epoche – Età e Sigilli o conflitti – dalla Coscienza dei soggetti – Spirito Santo. Con mio grande stupore Gioacchino aveva anticipato la mia Introduzione Metodologica!

Gioacchino affronta la doppia questione dei popoli pre-biblici e della doppia stirpe biblica, quella dei Re che rappresentano il Padre, carne quindi Natura, e quella dei Giudici che rappresentano lo Spirito Santo, la coscienza che gli ordini monastici dovrebbero portare. A pagina 176 scrive: « Ma il grembo della donna è fecondo per abbondanza di ovuli. » Poiché Gioacchino è un fine studioso, è consapevole che la medicina, come l’architettura, servì da rifugio ai Pitagorici nel loro ritiro nel underground dopo la violenta distruzione della loro Scuola a Crotone intorno al 450 a. C. J.C. Da notare che Jure Vetere innovò anche reinterpretando il Numero Aureo alla luce delle nuove conoscenze matematiche arabo-normanne palermitane che permisero di costruire spazi più alti e luminosi. I livelli di Natura, Storia e Pensiero furono sempre intesi come livelli distinti ma complementari, come testimonia anche l’Accademia – Pitagorica – di Platone il quale, come il suo maestro Socrate, fu iniziato in Calabria e in Sicilia. Al tempo di Gioacchino, la Scuola Medica Salernitana era la più avanzata e la più famosa del mondo occidentale e utilizzava anche figure e diagrammi secondo il metodo attuato da Gioacchino. (vedi https://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89cole_de_m%C3%A9decine_de_Salerno )

La trattazione porterà, nel Libro IV, alla critica della deriva mondana della Chiesa e degli ordini monastici, compresi i cistercensi, che regredirono verso una materialità venale a causa delle loro pretese temporali. Secondo la dialettica sillogistica trinitaria, Cristo diventa il punto di congiunzione delle due stirpi, Re e Giudice, ma solo per presiedere al suo superamento storico poiché lo Spirito Santo, la Coscienza, è per tutti.

Ecco perché possiamo affermare che Gioacchino non solo mette in scena una vera e propria dialettica, ma che lo fa al più alto livello, distinguendo tra il livello naturale, il livello storico-sociale e il livello concettuale-teorico. Del resto, per comprendere la grandezza metodologica di Gioacchino, vale la pena confrontare il diagramma dei 4 elementi, molto diffuso – fuoco, aria, acqua, terra – che Isidoro di Siviglia riprenderà a suo modo tutto all’impronta dell’astrologia, con la figura delle 4 grandi stelle e le loro costellazioni che formano il Tetramorfo – e che ci danno i simboli zodiacali specifici dei 4 Vangeli. Comprendiamo allora meglio la feroce opposizione dei Padri della Chiesa contro l’inclusione di altri « vangeli ». Sappiamo anche che i 7 pianeti saranno associati a questi personaggi alchemici – pre-chimici – e che Gioacchino li collegherà allegoricamente alle 7 intelligenze, ma secondo un pensiero più scientifico che inaugura una vera scienza cognitiva. Lo Schema di Isidoro di Siviglia è molto presente nella scuola medica salernitana e può essere ammirato nel magnifico Giardino della Minerva a Salerno.

Da parte sua, Gioacchino distingue perfettamente tra l’ambito naturale – rerum natura dai Pitagorici a Lucrezio, fino a Isidoro e a Salerno – e l’ambito storico e sociale poiché le loro ontologie e le loro metodologie sono necessariamente diverse. Sappiamo che Giambattista Vico farà della dimostrazione di questa differenza la base della sua Scienza Nuova che fonda la Storia e le scienze sociali come materie scientifiche a sé stanti. E in effetti, la fobia di Vico nei confronti degli studiosi razionali che denigrano la Storia, riflette molto precisamente la dura critica di Gioacchino alla logica delle scuole scolastiche, una logica letterale lontana dalle basi ontologiche della riflessione, quindi dalla dialettica pitagorica, anche se, nonostante tutto, concede una motivazione etica ad Abelardo. Gli scolastici rimangono intrappolati nelle categorie statiche e nelle opposizioni aristoteliche senza essere in grado di distinguere tra distinti e opposti, una delle basi del pensiero logico. Critica quindi aspramente Cartesio per la sua affermazione denigratoria secondo cui gli storici possono sapere sulla storia tanto quanto la sua stessa ancella… Nonostante la sua tolleranza umana e la sua comprensione delle tensioni che sorgono nelle menti delle persone oneste, Gioacchino ha anche criticato Valdo de Lyon per il suo attaccamento alla lettera dell’Antico Testamento che aveva fatto tradurre a proprie spese per poterlo leggere personalmente, il che portò questo ricco mercante a criticare la Chiesa cattolica. Ecco il Diagramma di Isidoro di Siviglia, autore di un De Natura rerum, sui 4 elementi (vedi: https://www.christies.com/it/lot/lot-5662535 ) :

A questo link troverete il Diagramma di Gioacchino sul Tetramorfo ripreso nella versione delle ruote del carro di Ezechiele: Vedi Il Cocchio divino di Ezechiele: la ruota bella ruota in https://it.wikipedia.org/wiki/Liber_Figurarum.

Il passaggio dialettico tra Natura, Società e l’affermazione sempre più perfetta della Coscienza è dunque, infatti, la chiave della monade trinitaria gioachimita. Gioacchino lo ripete con insistenza, facendo leva sull’apostolo universalista Paolo e sull’Atto degli Apostoli in particolare, contrapponendo realtà terrena e spirituale, Lettera e Spirito, Cattedra e Spirito, Antico Testamento nel quale l’Età del Padre è associato allo stato di Natura. All’inizio del Libro I della Concordia, afferma in riferimento agli avvenimenti – o tribolazioni – descritti dall’Antico Testamento: « … ho ritenuto opportuno riunirli in questo primo libro non secondo lo spirito ma alla lettera, e accennarvi piuttosto che scrivere in dettaglio; e dunque secondo tale principio non venga prima ciò che è spirituale, ma ciò che è materiale, e successivamente ciò che è spirituale, di modo che l’infanzia devota sia prima edotta secondo la lettera e successivamente segua la comprensione mistica, propria degli anziani. » (p 38) o addirittura all’inizio del Libro II citando l’apostolo Paolo: « Il primo uomo tratto della terra, dice l’Apostolo, è terreno, il secondo dal cielo è celeste. Quale è l’uomo terreno, tali sono gli uomini terreni, e quale il celeste tali i celesti » (cioè Primo e Nuovo Testamenti e 3 Età.)

E Continua « quando eravamo bambini parlavamo da bambini, capivamo da bambini, ragionavamo da bambini, quando invece siamo diventati adulti abbiamo abbandonato ciò che è da bambini » (p 59) Vediamo così meglio perché dava una tale importanza alle 7 intelligenze e al loro sviluppo storico che permette l’apertura dei Sigilli quando viene il tempo. Vico farà altrettanto ma svilupperà questa maturazione intellettuale sia a livello storico generale, la Scienza Nuova, sia a livello personale, essendo le due cose strettamente connesse, come dimostra la sua Autobiografia. E aggiunge: « L’uomo naturale, come sempre dice egli stesso – Paolo -, non comprende le cose dello Spirito di Dio; per lui sono sciocchezze e non le può capire, perché vanno valutate spiritualmente » (…) « A questo punto un Giudeo potrebbe forse dirmi: « Io non seguo l’uomo terreno, che, come sappiamo ha peccato in paradiso, ma ubbidisco a Mosè, che so uomo giusto e santo, uomo rettissimo e amico di Dio.» Ma che dire, se per la loro durezza del cuore, poiché erano ancora terreni, permise loro cose non celesti ma terrene, temporanee, non eterne? » (pp 60-61)

O anche nel Libro III, per farsi capire risalendo alla storia antica pre-testamentaria, ponendo così una prospettiva umana universale e sottolineando la somiglianza tra il passaggio – calendario – dalla Luna al Sole, che fa parte della linea universalista latina di Paolo a Santo Gregorio – in particolare la problematica della Pasqua e quella del sabato o anche la settima era del « riposo » o della pienezza dell’« Uomo perfetto », realizzato socialmente e individualmente: « Nota la parola e prendi nota del mistero! Ogni eloquenza pertiene al Verbo, ogni comprensione spirituale allo Spirito. Dunque l’uno viene prima, l’altro dopo. Venne prima il legislatore Mosè, educato nel sapere degli Egizi, venne poi Giosuè (…) Venne prima Paolo, facondissimo nella sua predicazione in Asia, venne poi Giovanni ( …) Voi sapere perché questo? Perché il Verbo è venuto prima, lo Spirito lo ha seguito.» (p 180) L’esistenza precede la coscienza.

L’Età del Figlio si riferisce ai chierici. La gerarchia sociale viene riorganizzata sul principio dell’esempio cristiano fraterno piuttosto che dell’obbedienza al Padre, ancora vicina allo stato di natura e alla forza brutale. Nella Seconda Era sorgeranno tensioni quando la gerarchia religiosa si allontanerà dal suo magistero. La gerarchia sociale si organizza quindi nella Terza Era intorno alla libertà, all’uguaglianza umana e all’amore, o alla fraternità praticando la tolleranza in vista della pace universale.

3c ) Il progetto del Concorde: Libri I, II, III e IV.

Il Prologo annuncia la fine dei tempi presenti e il passaggio ad una nuova era di emancipazione. Dopo aver attraversato l’Età del Padre, poi del Figlio corrispondente ai due Testamenti, ecco l’Età dello Spirito Santo o della coscienza individuale e collettiva. Gioacchino rivendica con umiltà il suo ruolo in questo annuncio, sovente affermerà di non avere nulla di profeta ma di essere dotato di quella « intelligenza spirituale » destinata a diffondersi. Egli ancora il futuro storico e sociale dell’Umanità che si propone di dimostrare, nella tradizione astronomica dei testi biblici, in particolare del Primo e del Secondo Testamento messi in linea attraverso le ruote di Ezechiele e i due cherubini che si rispondono l’uno all’altro, così come in riferimento all’Apocalisse di San Giovanni, che permette di specificare i « conflitti » e le « tribolazioni » o, se si vuole, la lotta di classe. La dialettica trinitaria si svilupperà così durante le 3 Età.

Libro I: Gioacchino fissa la cronologia fondamentale dell’Antico Testamento, l’Età del Padre, secondo la sua progressione trinitaria che porterà inevitabilmente al suo superamento nell’Età del Figlio. In altre parole, consolida la sua narrazione testamentaria iniziale specificando la temporalità e la forza trainante dietro gli sviluppi interni. Il divenire trinitario, inteso come sillogismo dell’emancipazione umana nella Storia, si manifesterà nella progressione della coscienza o intelligenza umana; ciò porterà, alla luce dei conflitti sociali, alla successiva apertura dei 7 Sigilli ed al superamento in una nuova Era dell’Umanità.

Questa scelta porta Gioacchino a concentrarsi sulle concordanze del mondo cristiano biblico, ma è chiaro che lo sviluppo storico è uguale per tutti. Scrive giustamente Potestà nella sua Introduzione « In questa prospettiva, personaggi come Orfeo e Ulisse sono considerati tipi di Cristo » (p 11). Gioacchino spiega: « E se l’intento fosse elencare gli avvenimenti delle nazioni, è assolutamente necessario lasciar perdere subito l’opera intrapresa. Peraltro non credo neppure di essere adatto a una tale impresa, per cui il coltissimo prete Orosio raccolse un libro intero, affinché non rimanesse nascosta ai posteri. Invece nostro compito è passare rapidamente in rassegna in questo primo libro gli avvenimenti dell’Antico Testamento e gettare in essi le fondamenta di quest’opera, affinché il lettore accorto apprenda di quali vada ricercata la concordia nel Nuovo, nel momento in qui ricorda di aver letto cose simili nell’Antico Testamento. Infatti, come dice l’Apostolo, tutte queste cose accaddero a loro come esempio, ma furono scritte ad insegnamento nostro, per noi che siamo posti ai confini dei tempi.» (p 48) Le narrazioni bibliche, intese come «vera menzogna» socratica, devono ora cedere il passo alla logica del divenire trinitario.

Il Libro II spiega come comprendere la « concordia ». I numeri e la successione delle generazioni vanno rispettati, ma senza oscurare il processo trinitario dando troppa importanza ad alcune possibili deviazioni. Dopotutto, dice l’autore, le cronache non sono complete e i copisti possono commettere errori. Su questa base Gioacchino si accinse a redigere la serie delle generazioni dei due testamenti. Se nella prima Età la figura del Padre detta la logica dominante, non esclude però la manifestazione del divenire trinitario verso l’emancipazione che porterà al superamento nell’Età del Figlio. Gioacchino traccia quindi le sue serie concordanti collocandole in un vasto, inevitabile processo storico perché, dice, « E queste cose accadranno; che il mondo lo voglia o no, accadranno! » (pag.40)

Il divenire trinitario non è altro che il sillogismo dell’emancipazione. La premessa maggiore invoca – genera – la premessa minore ed entrambe conducono a una conclusione inevitabile. Ecco perché Gioacchino distingue così rigorosamente la sua concezione trinitaria, secondo la quale il Padre non è generato ma genera il Figlio, i due generando a loro volta lo Spirito Santo, da quelle di Sabellio, di Ario o anche della concezione greca del Filioque. « Sabellio voleva esporre tale parola, ma la sua barca è naufragata sugli scogli. E Ario, cercando di evitare questa rotta, è finito nel fango profondo. Sabellio infatti disse che Dio è una persona, per il suo volere è ora Padre, ora Figlio, ora Spirito Santo. Ario, disapprovando ciò, dice che vi sono tre persone, ma distinte – il che è blasfemo a dirsi – nella loro essenza e maestà. » (Salterio, p 11) Quanto ai Greci, solo il Padre genera sia il Figlio che lo Spirito Santo, sopprimendo così il divenire sillogistico trinitario.

Per fissare con chiarezza queste fasi storiche e il loro dinamismo interno, Gioacchino dà come unità temporale una generazione di 30 anni e mostra come l’intelligenza secondo la carne – o animalità e natura – differisca dall’intelligenza secondo lo spirito. (Bisognerà verificare in che misura la scelta di una generazione di 30 anni corrisponde al ciclo approssimativo di Saturno.) Ciò lo porta a dare nell’Antico Testamento due serie, quella dei Re corrispondente al Padre e quella dei Giudici corrispondente al Figlio. La Seconda Era inaugurata dal Figlio unisce in Cristo Re – la genealogia che risale a Davide secondo la manovra di ancoraggio culturale pitagorica utilizzata nei Vangeli – e il Giudice, ma questa unione è destinata ad oltrepassarlo poiché lo Spirito Santo l’ancora nella natura e nella società da cui procede stabiliranno il dominio dell’intelligenza spirituale.

Per meglio fissare questo sviluppo trinitario generale Gioacchino propone successive illustrazioni che permettono di precisare la teoria generale. Il primo riguarda i diagrammi Alfa e Omega, il secondo riguarda l’Albero storico, il terzo introduce i tre cerchi delle 3 Età allineati orizzontalmente ciascuno contenente al suo interno tre cerchi più piccoli ad indicare l’unità trinitaria che muove il tutto. Grazie a queste delucidazioni Gioacchino potrà poi ritornare allo Schema Omega senza, ovviamente, pretendere di completarlo, poiché si tratta della 3a Età a venire.

Nella Concordia non compare ancora il tentativo gioachimita di riformulare logicamente il tetragramma ebraico nella prospettiva del divenire trinitario che darà la sua celebre Figura detta dei «tre regni » di cerchi concatenati. (v. https://fr.wikipedia.org/wiki/Joachim_de_Flore ) Piuttosto e simbolicamente, propone un riferimento all’alfabeto greco Alfa e Omega: « La prima definizione – cioè la concordanza Padre-Figlio, nes – è indicata da la lettera A, che è una lettera triangolare, la seconda nella lettera ω, in cui un tratto procede dal mezzo di due tratti. » (p 81). Nel Salterio Gioacchino troncherà l’angolo apicale della lettera Alfa per indicare graficamente che il Padre – o la Natura – non è generato. Gioacchino stabilisce così il divenire trinitario come processo di convivenza con dominio secondo le epoche. Scrive: « Poiché dunque le persone della divinità sono tre, coeterne fra loro e coeguali, secondo ciò che riguarda la somiglianza delle stesse persone, occorre ritenere che il primo stato da Adamo giunge a Cristo, il secondo dal re Ozia fino al presente, il terzo dal beato Benedetto sino alla fine di questo mondo » (p 81) E così è per le altre due persone nelle concordanze del diagramma A.

Questo processo di coesistenza a dominanza è essenziale. Gioacchino si propone di illustrarlo con altri mezzi, compreso il grafico fondamentale dell’Albero Storico riportato a pagina 101. Il ceppo comune Padre-Adamo-Giacobbe, poi Ozia esprime già la trinità che condurrà a Cristo e a Benedetto secondo la linea che abbiamo citato sopra perché rappresenta l’asse principale del passaggio da un’Epoca all’altra. Ma nel dispiegarsi storico delle concordanze non scompare l’espressione degli altri. Per fare un esempio moderno, il modo di produzione capitalistico stabilisce il predominio dell’estrazione del plusvalore attraverso l’intensificazione strutturale o della produttività della forza lavoro attraverso l’uso delle macchine e l’organizzazione del lavoro. Ma la produttività non elimina il ruolo dell’orario di lavoro e della sua durata che caratterizzava le società pre-capitaliste – il plusvalore assoluto – né l’intensificazione ciclica o il plusvalore relativo. Queste forme coesistono ma sotto dominanza. Con il modo di produzione socialista-comunista, il predominio della produttività cederà il posto al plusvalore sociale, poiché il valore aggiunto non sarà più accumulato dal settore privato ma dovrà essere reinvestito collettivamente al meglio attraverso una pianificazione democratica, dando priorità ai bisogni, sociali e individuali. Questo ragionamento vale per la coesistenza con eventuale dominanza dei stessi Modi di produzione.

Esiste tutta una letteratura sull’analisi comparata dei modi di produzione, a cominciare dalle analisi di Marx sui modi di produzione antichi, schiavisti, feudali e perfino socialisti, oggi purtroppo dimenticata e negletta a causa della stupida egemonia del marginalismo, soprattutto speculativo, che, falsificando l’evoluzione psicologica umana – le Età e i Sigilli di Gioacchino! – vorrebbe sostenere che la « mentalità acquisitiva » marginalista è un dato ontologico perenne che prevale diacronicamente e sincronicamente. Anche la scuola storica tedesca con Gustav Schmoller non ha preso sul serio questo aspetto, poiché un metro soggettivo non è in grado di quantificare il « calcolo delle gioie e delle pene » proposto da Menger et al. Ma abusando del dominio sull’università e sulla selezione culturale, la Scuola Austriaca riesce a imporre questa inetta doxa del « mercato re », vale a dire l’egemonia dello sfruttatore-parassita che Marx raffigura come l’uomo con il sacchetto di monete nel Capitale, Libro I. L’ultima versione di questo inganno prende la forma dell’« etnologia indigenista » anti-Rousseau e anti-Marx, ad esempio quella di David Graeber, morto giovane. È difficile capire come persone con una formazione minima possano prendere sul serio questo il gibberish senza forma.

Anche Gioacchino esprime graficamente l’idea con tre grandi cerchi allineati uno accanto all’altro contenenti ciascuno tre piccoli cerchi interni, il divenire trinitario interno. (p 130) Fa lo stesso per la doppia serie dei Padri e dei Giudici: i 12 patriarchi rappresentano la figura del Padre, i 12 capi tribù quella del Figlio e i 12 capi d’Israele lo Spirito Santo; a cui rispondono per la Seconda Età i 12 apostoli davanti a Gesù che rappresentano il Padre, gli stessi 12 divenendo apostoli che rappresentano la figura del Figlio e le 12 chiese – le 5 più le 7 create ad Efeso dall’apostolo universalista Paolo. Vedremo che nel Libro 3 questo verrà esposto molto specificatamente nel « pavimento di marmo » come « monade » per usare il termine che G. Bruno darà a questo cuore dialettico ripreso poi, a modo loro, da Spinoza – natura naturans – e Marx – materialismo storico e legge del valore della forza lavoro – e ribaltata dal rosacrociano Leibniz poi, seguendolo, da Hegel. Comprendiamo meglio perché Gioacchino, rispettoso dei numeri e delle serie, non è dogmatico al punto da permettere al ragionamento letterale di interferire con l’espressione dialettica concreta del divenire nella Storia. Soprattutto quando si tratta di aggiornare una «narrativa » dominante senza attaccarla direttamente. Nel Libro 3 aggiungerà la variabile delle intelligenze per spiegare meglio i « conflitti ».

Giunto a questo punto, Gioacchino può tornare a concludere questo grande affresco del divenire storico sullo Schema Omega, che è la conclusione del processo con l’apertura della Terza Età. Naturalmente, contrariamente a quanto si aspettava Potestà, che vede in ciò una contraddizione, Gioacchino non cerca di prevedere o stabilire una concordanza precisa materializzando le 3 persone in questa terza Età poiché ciò costituisce la conclusione del sillogismo trinitario. Naturalmente la Trinità non scompare, come indicano i tre piccoli cerchi interni al cerchio della Terza Età, ma qui scompare la tensione e questa unione – o « entità contraddittoria » del Soggetto storico individuale e collettivo secondo la mia correzione di l’assurdità hegeliana dell’« unità degli opposti » – dona la pienezza dell’Uomo individualmente e socialmente libero ed emancipato. Si tratta dell’« identità contraddittoria » del Soggetto, individuale e collettivo che unisce attivamente in sé la Dialettica della Natura e la Dialettica della Storia.

Gioacchino aveva del resto annunciato questa finalità dello sviluppo storico citando nel Prologo l’universalista Paolo: « E poco più avanti « Va’ Daniele, perché le parole sono scritte e sigillate fino al tempo stabilito ». E se così è, è chiaro che non è concesso a uno solo di sapere tutto, ma che è concesso separatamente agli uni e agli altri, secondo la misura dello Spirito, fino a che, come dice l’Apostolo , « arriviamo tutti all’uomo perfetto, alla fine della pienezza dell’età di Cristo ». (pag.34) Tuttavia, l’instaurazione della Terza Età non esclude i conflitti prima di raggiungere la pienezza. Inoltre, i monaci annunciano e preparano la Terza Età, che non esclude ricadute mondane come quelle che Gioacchino rimprovera ai cistercensi. I marxisti e i maoisti trarranno le stesse conclusioni, Mao ritrovando e parafrasando l’espressione di San Matteo: « sventolano la bandiera rossa per tradire la bandiera rossa ». Insomma, il passaggio non sarà facile, ma l’importante sarà – Libro 4 – specificare al meglio l’apertura del 6° e 7° Sigillo – Epoche – che portano all’inaugurazione della Terza Età.

Ciò che Gioacchino si sente di dire con certezza è che il Nuovo Ordine – monastico – sociale attraverserà una fase di preparazione all’uguaglianza secondo il principio « da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro » e poi di applicare la regola degli Atti degli Apostoli « da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni. » Il Libro III espone più nel dettaglio la teoria dei 7 Sigilli e la riassume nel grafico del « pavimento di marmo », la monade dialettica trinitaria. Già nel Libro I Gioacchino aveva fatto una panoramica di queste 7 epoche o « conflitti » storici e delle loro concordanze nelle prime due Età. Si basa sull’Apocalisse di San Giovanni, cioè sull’Apostolo più attento all’astronomia e allo sviluppo contrastante dei tempi che risponde e precisa con maggiore precisione i pochi elementi forniti da Ezechiele e Daniele. Siamo allora molto lontani dalla narrazione statica di sant’Agostino nella sua Città di Dio. La salvezza dell’Uomo avviene nel divenire storico in modo conflittuale secondo la tensione trinitaria.

Gioacchino si era premurato di precisare il suo metodo concettuale delle concordanze, ad esempio a pagina 35 del Prologo riguardante il significato spirituale dei « numeri » – vedi sopra – ma si era premurato di precisare il metodo nel Libro II: « Definiamo propriamente la concordia come una somiglianza di uguale proporzione tra il Nuovo e l’Antico Testamento. Dicendo uguale, mi riferisco al numero, non tanto al valore: ovvero quando persona e persona, ordine e ordine, conflitto e conflitto si guardano con sguardi reciproci in forza di una certa somiglianza, come Abramo e Zaccaria, Sara ed Elisabetta, Isacco e Giovanni Battista, Giacobbe e l’uomo Gesù Cristo, i 12 patriarchi e apostoli dello stesso numero, e simili. » (p 68) L’analisi dei 7 Sigilli, che si basa sui 5 sensi, e della loro apertura si riferisce quindi all’espressione delle 7 forme tipiche dell’intelligenza – topologica, allegorica, contemplativa, anagogica ecc. – a diversi livelli, da persona a persona, da popolo a popolo, da Stato a Stato. Questo sviluppo dialettico è riassunto dal grafico (monadico) del « pavimento di marmo » che specifica per i 7 Sigilli – o « tribolazioni » – le corrispondenze riassunte graficamente nell’Albero delle 3 Età storiche. In entrambi i casi la dialettica trinitaria è data fin dall’inizio – monade – e poi si sviluppa secondo il preciso livello di analisi, Età o Epoche – o Sigilli.

Anche qui non si tratta per Gioacchino di fornire graficamente il dettaglio delle epoche della Terza Età. Non pretende di essere né un veggente né un profeta. Ciò che gli sta particolarmente a cuore è precisare al meglio, analizzando per così dire « lo spirito dei tempi » e le sue materializzazioni individuali e collettive, la fine del 6° Sigillo e il probabile andamento del 7° ed ultimo Sigillo della Seconda Età in cui vive. E questo lo porta a situare il passaggio alla Terza Età intorno al 1260. Nel computo stabilizzato delle 42 generazioni di 30 anni per Età, Gioacchino colloca l’inizio della 41a generazione nel 1200-1201, sicché la presunta fine della 42a sarebbe avvenuta nel 1260. Abbiamo già visto che, nonostante la ripresa millenaristica cattolica alla quale ancora soccombe Potestà nell’Introduzione, Gioacchino non crede alla venuta di alcun Anticristo prima del « Sabato » ma prevede tribolazioni finali senza eguali nella Storia di tutti coloro che si opporranno all’annuncio e all’Avvento della Terza Età, che non è un giorno di riposo agostiniano né la « salvezza » cristiana secondo Pietro Lombardo soggetta alla gerarchia ecclesiale.

E precisa: « E lo dico apertamente: infatti è vicino il tempo in cui queste cose dovranno accadere; ma solo il Signore stesso conosce il giorno e l’ora. Tuttavia, posso ritenere, stando alla costruzione della concordia, che una pace rispetto a quei mali è concessa fino alla fine dell’anno 1200 dell’Incarnazione del Signore; da quello momento in poi, affinché tali cose non sopravvengano improvvisamente, devo sempre considerare sospetti i tempi e i momenti. Ci sarà allora una tribolazione grande, quale non si è mai verificata dall’inizio del mondo, come risulta chiaro nel libro dell’Apocalisse a partire dell’apertura del sesto sigillo… » (p. 221-222) E ancora: « Nella Chiesa in verità la quarantunesima generazione comincerà durante nell’anno 1201 dell’incarnazione del Signore.» (pag.291). E ancora: « Nella Chiesa la quarantaduesima generazione comincerà nell’anno e nell’ora che Dio meglio conosce. E in tale generazione, conclusasi prima la tribolazione generale e ripulito con cura il grano da tutta la zizzania, salirà da Babilonia come una nuova guida, ovvero un nuovo pontefice universale della nuova Gerusalemme, cioè della santa madre Chiesa, in figura del quale sta scritto nell’Apocalisse “Vidi un angelo che venne dall’Oriente, e aveva il sigillo del Dio vivente, e insieme con lui il resto di coloro erano stati scacciati. » (pag. 293-294).

Gioacchino, monaco, si iscrive poi da se stesso nella stirpe di san Benedetto, fondatore dell’ordine monastico latino, dal quale trasse ispirazione per scrivere la Regola dell’Ordine di Flora. « Ora et labora ». Sappiamo che la fine della stesura del Libro IV della Concordia corrisponde con la sua partenza per la Sila, per fondare in Jure Vetere la casa madre dell’Ordine di Fiore, responsabile di annunciare la Terza Età, l’Età di emancipazione, tolleranza e pace generale.

Il Libro IV offre la conclusione ricordando il doppio processo del cammino trinitario delle Età e delle epoche o conflitti – aperture dei Sigilli – in particolare per la VI e la VII Epoca. Questa non è una ripetizione. Mentre il Prologo e il Libro I avevano annunciato la posta in gioco della Concordia ed esposto il metodo, il Libro IV espone i conflitti che segnano il passaggio alla Terza Età specificando più concretamente e senza giri di parole i conflitti attuali, quelli che aveva già previsto nel Libro III per la 41a generazione, la sua, e la 42a. Perché è in gioco il destino della Chiesa o, meglio, della Comunità: egli denuncia così la Chiesa nella sua tendenza a diventare la Nuova Babilonia (« figli della Nuova Babilonia », p 287) così come i cistercensi che si fanno mondani, e che, come mostra il suo attacco a Geoffroy d’Auxerre, fraintendono le questioni contemporanee, in particolare l’opposizione tra potere temporale e potere spirituale.

Questi attacchi, chiamiamoli « etico-politici », per usare un’espressione di Gramsci, conservano oggi tutta il loro « souffle » – forza – parlano ancora intimamente all’animo dei contemporanei. Sappiamo che G. Vico, ripreso da Paul Lafargue, aveva mostrato che l’etimologia del termine « anima » era « soffio », cioè la Vita che conduce allo sviluppo dell’istinto – i 5 sensi di Gioacchino – e allo sbocciare dell’Intelligenza e le sue 7 forme destinate a condurre alla comune emancipazione spirituale. La coscienza dice che il pitagorico Socrate secondo Platone fa la differenza tra il Bene etico e il Buono utilitaristico.

Per Gioacchino i monaci, compresi i cistercensi ai quali egli ancora apparteneva, hanno la missione di annunciare lo Spirito Santo e preparare il suo avvento. La loro missione non dovrebbe essere quella di difendere le assurde pretese temporali dei papi. Tuttavia, dice, trasformano « l’oro in piombo annerito » (284) negando così la loro storica missione spirituale. Questi meno erranti « Essi non accedono all’altare attraverso Dio, ma attraverso gli uomini, e non certo in considerazione al guadagno divino, ma per ottenere un dono temporale. E, infatti, non cerca di pascere il gregge, ma sé stessi, né di ALLATARE I LORO PICCOLI, bensì di dominare sulla plebe. » (p 285) E ancora: « Ma anche quei PICCOLI a cui è stato tolto il latte CHIEDONO IL PANE E NON C’È CHI LO SPEZZI PER LORO; infatti, alcuni, comprendendo di essere carenti nella spiegazione delle Scritture canoniche, cercano chi spieghi loro le parole, e non lo trovano, perché ciascuno cerca il proprio interesse e non quello di Gesù Cristo. » (p 285) vale a dire quello della Comunità.

Gioacchino arriverà addirittura a ricordare la sua versione della donazione di Costantino: l’imperatore avendo offerto a papa Silvestro il potere temporale, questi lo rifiutò perché non conforme all’umile missione spirituale del papato. Anche qui ci si chiede come Podestà, professore all’Università Cattolica di Milano, riesca a non cogliere il testo di Gioacchino che pretende di introdurre, dal momento che sostiene semplicemente che l’accusa di Nuova Babilonia è diretta contro l’imperatore! Sappiamo che Innocenzo III e i «gioachimiti » papisti, che assumeranno presto la forma dei dogmatici francescani conventuali, arrivarono a sostenere che Federico II fosse l’Anticristo predetto – secondo loro e secondo Potestà – dallo stesso Gioacchino. Innocenzo III – e Potestà dopo di lui – cercherà addirittura di accreditare la tesi secondo la quale il papa come il Cristo di Gioacchino unirebbe in sé le due stirpi dei Re e dei Giudici!!! D’accordo con Pietro Lombard non ci sarebbe quindi più alcun superamento egualitario ed emancipatorio possibile.

Comprendiamo meglio, però, perché, secondo Potestà, parlando per eufemismo, Gioacchino dichiara di impegnarsi in « una preoccupata valutazione della Chiesa del suo tempo ». (p 22) Terminata la stesura del Libro IV della Concordia Gioacchino era pronto a salire in Sila per attuare il suo grande progetto di riforma spirituale e sociale fondando il monastero di Jure Vetere (in riferimento pitagorico aperto alla Legge Antica.) In calabrese “juri” significa fiori proprio come il termine italiano “fiori”. L’antico patronimico del feudo reale ceduto a Gioacchino per la fondazione dell’Ordine di Flora è “Fiori” e risale all’epoca romana.

Un’ostinata leggenda locale narra che Gioacchino fondò il suo monastero a Jure Vetere quando i buoi si fermarono in questo preciso punto. L’origine di questa favola, che occulta l’origine pitagorica di Jure Vetere, deriva dalla tradizione degli antichi greci che procedettero in questo modo a fondare le loro nuove colonie vedendo in esse i buoni auspici degli dei. I buoi poi partivano per l’olocausto. (14) La Calabria fu un tempo la prospera Magna Grecia.

Tuttavia, attraverso questi sviluppi critici e crudi, Gioacchino coglie l’occasione non solo per criticare la Chiesa e gli Ordini monastici in piena deriva mondana e temporale, ma anche per precisare le principali caratteristiche che necessariamente scaturiscono dal culmine del sillogismo trinitario dell’emancipazione umana in la Terza Età, ovvero la libertà, l’uguaglianza attraverso la proprietà collettiva e il possesso privato, l’amore – o fratellanza –, la tolleranza e la pace universale.

Per questo fondò un proprio Ordine monastico, più rigorosamente spirituale di quello dei Cistercensi. Per ironia della sorte, tutta la malevolenza dei papi a partire da Innocenzo III non è riuscita a cancellare il messaggio di Gioacchino e Jure Vetere, luogo della prima Abbazia di Fiore, le cui rovine versano oggi in un indecente stato di abbandono a causa dell’incuria regionale e locale. Ripetiamo che Innocenzo III fu il fedele discepolo di Pietro Lombardo, il teorico della Sorbona – come più tardi Bonaventura e San Tommaso – della quaternarietà biblica confutata da Gioacchino, secondo la quale non poteva esserci salvezza per i popoli senza la sottomissione alla gerarchia della Chiesa. Neanche al Concilio di Anagni – 1254-55 – Gioacchino poté essere attaccato frontalmente perché aveva scritto su ordine e con l’appoggio di tre papi successivi.

Inoltre, come abbiamo già detto, il tentativo di fondere l’Ordine di Flora nell’Ordine Cistercense dopo la morte di Gioacchino, avvenuta nel marzo del 1202, si scontrò con la regola secondo cui un ordine monastico non poteva regredire a una regola meno rigorosa. Fiore conservò così una certa autonomia e rimase fedele al suo abate fondatore, come dimostrano l’Antifona e la lampada che arse a lungo nella cripta della ricostruita abbazia di San Giovanni in Fiore dopo che Jure Vetere fu bruciato in circostanze non chiare nel 1214 in un contesto nel quale alcuni monaci si erano ribellati con il pretesto che la località di Jure Vetere offriva un clima troppo rigoroso trovandosi nella « frigida Sila ». A proposito di questa Antifona: «…una Informativa nella quale l’Arcivescovo di Cosenza Gennaro Sanfelice il 1 maggio 1680 testimoniava un culto immemorabile e l’esistenza di un ufficiatura risalente al XIII secolo. (…) Emerge con chiarezza che l’antifona dei Vespri udita e letta dal sommo poeta sia stata trasformata nella terzina dantesca (Paradiso, XII, 139-141) » (Gioacchino da Fiore « il calavrese abate Gioacchino di spirito profetico dotato », La Province di Cosenza, N. 604, 10/12/1997, p 119)

Il ritiro a San Giovanni in Fiore posto sotto il patronato di San Giovanni Battista, quindi prima ancora dell’annuncio della Seconda Età, era degno di Innocenzo III e della nuova Curia che, da cosa nasce cosa, avrebbe portato alla creazione dell’Inquisizione con la sua miriade di crimini contro gli Uomini e contro lo Spirito. Ratzinger, leader della moderna Inquisizione, la Congregazione della Fede, era coerente con la Chiesa regressiva e rinnegata a partire da Gioacchino, e con Bonaventura. Ma questa manovra ebbe scarso successo. Successore di Gioacchino, l’Abate Matteo fu un fedele tra i fedeli, riuscì a far prosperare il suo Ordine e a diffondere i libri e il messaggio di Gioacchino. Fino alla Toscana – Dante e i popolari gioachimiti – e ben oltre. Anche Federico II riconfermò tutti i suoi possedimenti. (Vedi i 2 volumi del libro fondamentale di Romano Napolitano S. Giovanni in Fiore, monastica e civica, 1981)

Questa storia di emancipazione illuminata da Gioacchino e ripresa da tanti altri, tra cui Karl Marx, continua il suo percorso inevitabile, nonostante alti e bassi. Le battaglie per la riforma agraria italiana, rilanciate dalla Rivoluzione Napoletana del 1799, e poi ancora dopo la Prima e la Seconda Guerra Mondiale – Paolo Cinanni e gli « usi civici » dopo il 1943, ecc. – dimostra che il messaggio dell’Abate calabrese, dotato secondo Dante di spirito profetico, aveva continuato ad alimentare le battaglie e la resistenza degli abitanti di San Giovanni in Fiore e della Sila. Paolo

Cinanni, con il suo acume intellettuale e la sua probità, si è rammaricato del fatto che lui e i suoi compagni, che conoscevano poco della storia profonda dell’Altopiano silano all’inizio delle loro lotte, non avessero fatto affidamento su questa coscienza collettiva profondamente radicata di fronte alla le usurpazioni da parte dei notabili delle terre dell’abbazia un tempo possedute e lavorate in comune, secondo un principio che G Winstanley ritrova poi e che si differenzia dai « beni comuni » anglosassoni o ecologici moderni, che non pretendono di mettere in discussione nessuna delle due proprietà, né l’organizzazione del lavoro, né la gestione comune della ripartizione dei frutti del lavoro.

Ho già commentato la Figura XII del Liber figurarum riguardante il Nuovo Ordine Monastico e Sociale. (Vedi: « Brevi appunti su Gioacchino da Fiore pitagorico » presentati alla Conferenza organizzata dall’Associazione culturale Gunesh, il 27 agosto 2016 » in https://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#ITALIA ) che la proprietà dell’immenso dominio di Fiore sull’Altopiano silano era regio-imperiale e che fu ceduto all’Ordine di Fiore pur rimanendo demanio demaniale. Di conseguenza, questa proprietà era giuridicamente inalienabile, il che alimentò nel tempo le lotte contadine e cittadine contro le occupazioni abusive che si moltiplicarono con l’appoggio dei papi a partire da Innocenzo III. Nell’Ordine di Fiore la proprietà era comune nelle abbazie aderenti e i lavoratori avevano diritto a goderne il possesso e soprattutto il frutto del proprio lavoro. Erano conosciuti anche negli antichi testi giuridici come « comunisti » nel senso etimologico del termine, una realtà che influenzerà molti riformatori nel Medioevo e molto tempo dopo, tra cui Gerrard Winstanley in Inghilterra, per non parlare dei socialisti e dei comunisti moderni, passando per i Taiping cinesi. (15)

Nella sua opera, e soprattutto nella Concordia, Gioacchino stabilisce i principi chiave del suo nuovo ordine egualitario – « comunista » – della Terza Età di emancipazione umana generale, principi che rimangono fondamentali anche oggi. Aveva ripreso il motto di San Benedetto « Ora et labora ». Ispirandosi agli Atti degli Apostoli, fissa l’ideale: « Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni » e, per garantire il periodo di transizione « Da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo il suo lavoro » …

Ecco come si esprime Gioacchino: « E dunque, (le prime 5 abbazie dell’ordine cistercense arricchito) come i patriarchi di quel popolo (le 5 tribù originarie) godevano nel vedere il prosperarsi delle famiglie, così anche costoro gioiscono nel possedere pecore e armenti, tutte queste cose però – poiché pertengono non tanto alla condizione elevata della persona libera, quanto alla condizione disprezzata della schiava – non possono rimanere a lungo nel medesimo stato. È assolutamente necessario che si dia una vera somiglianza della vita apostolica, in cui non i acquisiva il possesso di un’eredità terrena, ma piuttosto la si vendeva, come sta scritto: « Tutti coloro infatti che possedevano case e campi li vendevano e raccoglievano i guadagni di ciò che vendevano e li deponevano ai piedi degli apostoli. Si divideva poi tra i singoli, secondo il bisogno di ciascuno…» » (p 309)

Nel trattato Sulla vita e la regola di san Benedetto, da cui egli ideò la Regola – oggi inspiegabilmente perduta – del suo nuovo Ordine di Fiore, Gioacchino mette in guardia contro la corruzione e le estorsioni che invadono la Chiesa: « Parimenti stiano attenti a che i peli della carnalità non li danneggino, vale a dire i parenti che loro amano carnalmente e ai quali vengono elargiti i beni della Chiesa destinati ai poveri » (p 67). E aggiunge: « Ma se ciò così è, perché mai alcuni abati non vogliono essere considerati padri, bensì padroni, non vogliono essere amati, bensì temuti, tenendo in poco conto ciò che è stato scritto: non vi è timore nella carità, ma la perfetta carità scaccia il timore ? Amano dunque coloro dalle cui cacce vengono nutriti, predicano a costoro la virtù dell’obbedienza, come se non sia meglio cercare la povertà in libertà di spirito che avere cura della cupidigia , quasi col pretesto dell’obbedienza, oppure come se non si debba esigere da un monaco l’obbedienza interiore più che quella esteriore, e i frutti della giustizia più che i tesori. » (idem p 65)

Evidentemente l’Abate calabrese era ben dotato di « spirito profetico »! E Gioacchino conclude con questa immagine potente: « Al contrario per prendere a questo proposito un esempio: che se ne fanno coloro, i quali ripongono la loro speranza in tali cose, di quella sentenza emessa dal Salvatore: Se un cieco guiderà un cieco, entrambi cadranno in una fossa ? » ( idem p 65 ). (In italiano il termine « fossa » significa anche tomba o cripta. ) Nel Museo di Capodimonte a Napoli si può ammirare il superbo dipinto di Breughel il Vecchio che, ancora ai suoi tempi, fece drammaticamente la stessa constatazione, avendo vissuto e lavorato in Italia.

Gioacchino consigliò ai monaci di « salire sul colle », e di dare l’esempio: « Non è forse vero che uno seguirà mille, e due ne metteranno in fuga diecimila? E anzi anche proprio questo sarà possibile a Dio, anche se sembra impossibile agli uomini, che la beata povertà abbia numerosi emuli, che la libertà di essere poveri possieda figli. Che cosa è infatti più felice di questa vita che non ha preoccupazioni, che non teme i ladri né ha sospetti, che facendo il sobrio possessore assente al presente lo rende presente al futuro? Ma adire il vero anche contro quella (vita ) il diavolo conduce la sua guerra, anzi tanto più forte quanto più è incalzato dall’ardore di un’ invidia maggiore » (idem pp 109 e 111).

4) Conclusione.

L’ascesa dell’urbanizzazione e della borghesia mercantile poneva già ai suoi tempi con forza la questione dei disordini prodotti da quella che più tardi sarebbe stata teorizzata come la « mentalità acquisitiva » del capitalismo. « What is the worth of a Man? « Qual è il valore di un uomo? si chiederà Hobbes nel suo Leviatano durante la rivoluzione mercantile inglese? Gioacchino è il primo ad aver teorizzato il danno nonché la necessità di un nuovo superamento pitagorico-cristiano, cioè egualitario. Il suo messaggio verrà recepito anche dopo che l’evoluzione delle conoscenze scientifiche e storiche – Galileo, G. Bruno e Vico tra gli altri – porterà in modo del tutto naturale ad abbandonare la « menzogna vera » biblico-gioachimita, come Gioacchino stesso aveva peraltro previsto rispetto al lavoro della Coscienza durante la 3a Età. Il Nuovo Ordine Monastico e Sociale immaginato con tanta forza da Gioacchino come annuncio della Terza Età era ancorato nella proprietà comune e nel possesso privato fondato sul lavoro e sui bisogni, questa organizzazione materiale e istituzionale assicurando le condizioni materiali per l’emancipazione delle coscienze. La marcia verso lo Stato sociale avanzato, o anche verso il socialismo e il comunismo compiuto, non è altro.

Il nuovo ordine sociale continuerà a comprendere le famiglie – coniugi – chierici e monaci. La divisione sociale del lavoro e delle intelligenze, riconosciute a tutte pari dignità tra loro nella formazione di una Comunità egualitaria e armoniosa, comprenderà il lavoro, la lettura e la lode, o, se si vuole, in termini moderni, il lavoro manuale, il lavoro intellettuale e la direzione « spirituale » ovvero etico-politica di coloro che i bolscevichi chiameranno giustamente « lavoratori responsabili ». Gioacchino scrive « Nella patria celeste – e per estensione nella 3ª Età, nes – in realtà non è così, ma tuttavia sarà per così dire così, sebbene la battaglia – i conflitti o Sigilli, nes – sarà finita, a ciascuno sarà assegnata la dimora a lui adatta, affinché riceva la sua ricompensa secondo il suo lavoro… » (Salterio, p 76)

Ritorna spesso su questa idea nel suo lavoro, ma questa ricompensa secondo la « diversità dei meriti » è qualitativa, non deve inquinare l’uguaglianza generale o la libertà di scelta dei singoli. Essa va, inoltre, letta nel contesto della « secolarizzazione dello Spirito » – per usare l’espressione di Enrico Mottu – attuata da Gioacchino. « Altra infatti è la causa che segna una differenza fra i reprobi e eletti, altra quella che la segna fra coloro che saranno giudicati e salvati e coloro che non solo si salveranno ma saranno anche giudici, altra quella che stabilisce una distanza tra giudici e giudici, sicché ciascuno riceva la propria mercede secondo il suo lavoro. (idem p 85). Ma qui è lo stesso che per la vocazione dei monaci. Gioacchino è sostanzialmente un « comunista libertario »: « Ma che? Bisogna forse costringere tutti affinché, lasciato ogni bene, diventino monaci, anche quelli che non solo non possono, ma anche se lo potrebbero fare non lo vogliono, poiché quanto meno conoscenza possiedono tanto meno hanno dell’amore? Certo che no ! Questa non è una cosa di necessità, ma della scelta volontaria » (idem, p 67)

Per buona misura, Gioacchino afferma che questi principi si applicano alla Chiesa, e più in generale alle strutture dominanti, poiché il papa stesso chiama gli altri vescovi « fratelli » e non « figli ». « Di conseguenza anche il pontefice romano, che è il capo di tutti i vescovi, non ebbe l’abitudine di chiamare i vescovi figli, bensì fratelli, poiché senz’altro è cosa maggiormente umile l’avere fratelli piuttosto che figli, coeredi piuttosto che eredi; infatti anche nostro Signore Gesù Cristo si degnò di chiamare gli apostoli fratelli, sicché egli è il primogenito di molti fratelli. Infatti, l’ordine della ragione non accetta che i padri servano i figli come i fratelli i propri fratelli, anche quelli che sono minore di sé; senz’altro questo comportamento viene lodato, mentre quello appare del tutto assurdo e quasi detestabile. Affinché quindi si possa riconoscere che l’ordine monastico pertiene a quello Spirito che procede dal Padre e dal Figlio, fu necessario che nei predecessori avesse somiglianza con i patriarchi, e nei successori con gli apostoli, in modo tale che si veda che quanto alla concordia corrisponde all’uno e all’altro ordine. Come in fatti lo stile di vita nella terra della promessa non cambio pur essendo cambiata la successione, così accade oggi » (Concordia, p 309)

Già Gioacchino aveva spiegato – vedi sopra – che il passaggio dalla proprietà privata al possesso comune, andando di pari passo con la dignità del lavoro, è più adatto alla persona libera. (p 309) L’emancipazione umana generale è la posta in gioco del divenire dialettico trinitario nella Storia. Per questo alla conclusione del Libro IV non esita ad affermare: « E il Vangelo del Regno sarà predicato in tutto il mondo » (p 312). Ma nella pace e nella tolleranza, preludio a ciò che diventerà la laicità attraverso l’emancipazione generale delle coscienze durante la Terza Età: « Ora invece gli osservanti della Legge sono quei religiosi che antepongono le tradizioni dei più vecchi alla grazia di Dio. Da questo si guardino coloro che, non avendo in sé stessi la dolcezza della carità, si levano contro gli altri come se fossero più giusti di loro, solo perché non ne condividono le consuetudini. » (pag. 310) Questo annuncio generale non vale solo come Vangelo eterno, secondo il tentativo presto represso e occultato di Gerrardo da Borgo San-Donnino, ancora tutto impronta della narrazione biblica, ma nella sua forma dialettica moderna, quella dello sviluppo storico dell’emancipazione umana nell’uguaglianza, nella libertà, nella fraternità, nella tolleranza e nella pace.

Paolo De Marco Copyright © La Commune Inc, 14 agosto 2023

Note:

1 ) I contemporanei della Rivoluzione francese e delle rivoluzioni successive lo hanno sempre saputo. Un esempio emblematico ci è dato dal romanzo Spiridion di George Sand, in cui la scrittrice annuncia il compimento del divenire gioachimita e il suo moderno rinnovamento repubblicano (https://fr.wikipedia.org/wiki/Spiridion .) Gioacchino voleva rinnovare la narrazione biblica rinfondendola con uno spirito egualitario pitagorico-cristiano, ma sosteneva che il suo metodo si applicava universalmente, il che è evidente una volta compreso che il divenire trinitario non è che il sillogismo del divenire storico. Questa è la Dialettica complessiva del materialismo storico, in cui il Soggetto cosciente individuale e collettivo – le classi sociali – unisce nella sua « identità contraddittoria » la Dialettica della Natura, il dominio dei distinti, e la Dialettica della Storia, il dominio dei contrari.

La regressione aggressiva della Chiesa portò all’abbandono e al rifiuto della narrazione biblica a favore della storia universale, rinnovando così le immagini e il loro insegnamento al di fuori della doxa reazionaria, esclusivista e inquisitoria dominata dalla gerarchia ecclesiastica. È quanto fece Machiavelli, tessendo la sua oggettiva comprensione sociologica della società alla luce delle lezioni tratte dalla storia romana secondo Tito Livio e pochi altri (i Discorsi, in particolare). E questo è ciò che ha fatto magistralmente dopo di lui Giambattista Vico nella sua Scienza Nuova, che ha posto le basi scientifiche per lo studio della storia e delle scienze sociali, basi che non possono essere ridotte alle metodologie più statiche delle cosiddette scienze dure. Se Dio crea la Natura e può quindi conoscerla, e gli uomini si avvicinano a questa conoscenza empiricamente, invece gli uomini fanno loro stessi la loro Storia e possono quindi conoscerla, dice il grande napoletano. Verum, factum.

Paul Lafargue ha mostrato come Marx abbia attinto a piene mani dalla concezione della lotta di classe sistematicamente esposta da Vico – e prima di lui, da un punto di vista pre-sociologico, da Machiavelli. Tuttavia, Marx informa e rinnova il metodo sostituendo il fondamento del metodo di investigazione vichiano, la filologia, con la scienza dell’economia politica – la legge del valore della forza-lavoro – e il materialismo storico, che egli stabilisce. In definitiva, dimostro qui che il metodo del materialismo storico è stato anticipato da Gioacchino, mentre i conflitti sociali – i Sigilli dell’Apocalisse da lui reinterpretati – sono analizzati secondo le sue concordanze. Oltre ai romanzieri, anche i filosofi e gli storici di professione conoscevano perfettamente Vico e il suo predecessore Gioacchino. Purtroppo non è più così. Citiamo solo due esempi: Ernest Renan (cfr. « JOACHIM DE FLORE et L’ÉVANGILE ÉTERNEL », https://fr.wikisource.org/wiki/Joachim_de_Flore_et_l%E2%80%99%C3%89vangile_%C3%A9ternel e Jules Michelet (cfr. « La conception de l’histoire de J.-B. Vico et son interprétation par Michelet » Maria Donzelli, https://www.persee.fr/doc/ahrf_0003-4436_1981_num_246_1_4272 ). Marx non si sbagliava, e nemmeno Alexandre Dumas père, uno dei Padri dell’Unità d’Italia, che pure lavorava per un futuro umano egualitario e unitario. La mia esposizione del materialismo storico si trova nella mia Introduzione metodologica, liberamente accessibile nella sezione Libri del mio vecchio sito sperimentale www.la-commune-paraclet.com . Ho deplorato il fatto che il grande marxista Louis Althusser abbia acriticamente attribuito a Montesquieu la scoperta del « nuovo continente », la Storia, senza citare né Vico né Lafargue. Montesquieu, in visita a Venezia, aveva acquistato una copia della Scienza nuova e di altri scritti giuridici fondamentali di Vico, il vero teorico moderno del diritto naturale, « il diritto delle genti » ispirato da Gioacchino. (Vedi: « Althusser, or why compromising compromises should be rejected », February 11, 2015, dans https://www.la-commune-paraclet.com/Download/ )

È una caratteristica costante della storia occidentale che l’emancipazione umana acceleri quando gli intellettuali riscoprono la scienza antica. Questo fu il caso di Gioacchino alla corte arabo-normanna di Palermo. Questo spiega le sue critiche a Sabellio, ad Ario, a Pietro Lombardo, alla concezione greca del Filioque e all’esclusivismo ebraico. Quanto a Valdo, un ricco mercante di Lione che aveva fatto tradurre per se stesso l’Antico Testamento, prende atto dello scompiglio che rappresenta il suo tentativo di tornare al testo dell’Antico Testamento, così come quello dei suoi discepoli e seguaci, ma non insiste perché non è direttamente in gioco l’impatto sulla concezione « trinitaria ». In realtà, Gioacchino voleva riconciliare ecumenicamente i popoli nella concezione scientifica del futuro della loro comune emancipazione. Questo vale anche per l’Etica, che è necessariamente laica, come dimostra « I fondamenti della metafisica della morale » di Immanuel Kant, un vero e proprio monumento in meno di 100 pagine. Si vedano anche il mio articolo « Elogio della Ragione e della laicità dello Stato » in https://www.la-commune-paraclet.com/ElogioFrame1Source1.htm#elogio

2 ) Per quanto riguarda il cristianesimo originario, ovvero quello ripreso dall’apostolo universalista Paolo, appare chiaro che si tratta di una tipica narrazione socratica volta a proporre « una menzogna vera » in grado di condurre gli uomini sulla retta via fino alla diffusione della coscienza e della scienza. Per convincersene, basta guardare ai « sacri » numeri pitagorici, ai testi di Platone, tra cui l’Apologia di Socrate, il Convivio, il Timeo, le Leggi e, naturalmente, la Repubblica, che si conclude con il Mito di Er Panfilo, più vicino ai pitagorici originari sulla trasmigrazione dell’anima che all’idea di resurrezione, mutuata in ultima analisi dagli Egizi e da Horus. Sappiamo che per i Sumeri – i pani contati di Gilgamesh, dopo il suo viaggio per scoprire i segreti dell’eternità, che enumeravano i giorni che gli rimanevano a vivere, ecc. – Per gli Ebrei non c’è resurrezione dell’anima, quindi la giustizia dipende dall’Autorità, dall’equilibrio immediato del potere, dalla Legge, che per di più è anche esclusivista, cioè dipende dai sommi sacerdoti e dai giudici. Arriva però il momento in cui la narrazione deve essere ripresa in mano, con la conoscenza che ci permette di annunciare l’avvento dello Spirito Santo che illumina tutti allo stesso modo, a condizione che la proprietà collettiva, la libertà e la fraternità o l’amore forniscano le condizioni materiali per il passaggio alla Terza Età e alla realizzazione individuale e collettiva che essa promette, che segnerà la fine dell’alienazione e il « recupero dell’Uomo da sé », come lo riassunse più tardi Karl Marx. La fine del mondo dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, non la « fine del mondo ».

Per i numeri pitagorici che costituiscono il tessuto del Salterio a dieci corde – 1, 3,5,7,12,15, in particolare: vedi: « Brevi appunti su Gioacchino da Fiore pitagorico » presentati alla Conferenza organizzata dall’Associazione culturale Gunesh, il 27 agosto 2016 » in https://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#ITALIA ). Naturalmente il pentagramma ha 5 angoli esterni. Tra l’altro, 72 x 5 =360 e considerando 72 anni per 1 grado d’arco: 360 x 72 = 25.920, il Grande Anno cercato da Platone o la Precessione degli Equinozi.

Nello spirito delle concordanze stabilite all’interno del mondo cristiano, Socrate non viene citato, ma il significato dato alla sua morte permette di collegare il tentativo di avvelenamento di Benedetto, il precursore dei monaci degni della Terza Età, con il significato della morte di Cristo. Scrive Gioacchino nel suo Sulla vita e la regola di san Benedetto: « Mescolarono dunque al vino il veleno per uccidere il maestro, dal momento che, sconciando la dottrina della pura e spirituale regola, perturbandoli quasi fosse una dispensazione col veleno della propria libidine, tentarono di annientare nello spirito coloro i quali erano amanti della sincerità, come anche un tempo i Giudei, che avevano creduto in Cristo, costringevano gli apostoli, che erano stati i loro maestri, a osservare i comandamenti della Legge.» (p. 87) Spiega poi, usando la metafora del corvo – Cristo come uomo carnale – e della colomba – lo Spirito: « Il corvo, come in buona parte si ritiene, designa Cristo, così come la colomba lo Spirito Santo. Questo stesso infatti fu denigrato per causa nostra, accettando la somiglianza della carne, affinché nello Spirito Santo potesse apportare alla sua Chiesa la bellezza della colomba. Il tipo di questo sommo maestro, che a tutti insegnava e offriva esempi di umiltà, nel primo tempo le tenne Mosè, nel secondo Paolo, mentre chi sarà nel terzo non lo si sa ancora apertamente. » (Idem, p. 91) Per chi avesse dubbi sul fondamento pitagorico-socratico, ecco la precisazione di Gioacchino, che non lascia dubbi: « Cristo non beve dunque il calice della morte per insegnare che si deve amare la morte, soffrì invece per noi come un medico per i malati, prese su di sé le nostre infermità per portarci via le nostre iniquità. » (La Concordia, p. 200).

Per quanto riguarda i « metalli » della città socratica descritta nella Repubblica di Platone, la metafora dell’oro, dell’argento e del ferro – talvolta anche del bronzo e dell’argilla – ricorre costantemente nell’opera dell’abate calabrese, ma sempre per illustrare la teoria della concordanza e della trascendenza delle figure individuali o collettive, che culmina nell’« Età dell’oro » – espressione che egli non usa – dell’emancipazione umana nella Terza Età. Ecco una citazione chiave dal Salterio: « Le parole del Signore sono parole pure, argento provato col fuoco, ma anche bronzo, che simboleggia l’attività manuale per il sostentamento degli indigenti. Con questa attività si nutrano i corpi: con l’insegnamento, che è simboleggiato dall’argento, si ristorano le menti di coloro che sono bambini in Cristo: entrambe le attività riguardano l’amore del prossimo, perché l’uomo è composto da due sostanze che abbisognano delle due attività. La terza, che è simboleggiata dall’oro, riguarda l’amore di Dio, che è il più grande e il primo dei comandamenti.» (p 93-94)

Gioacchino collega questi tre stati a tre intelligenze principali, quella topologica per la fede, quella contemplativa per la speranza e quella anagogica, la più alta, per l’amore. (idem, p 129) Da qui gli attacchi alla Chiesa e ai monaci mondani che chiudono La Concordia, con l’oro che diventa « piombo annerito » (p 284). Questi fautori della Nuova Babilonia non cercano il bene della Comunità, ma il proprio; vogliono « dominare la plebe. » (p 285).

3 ) È noto che Campanella, nato a Stilo in Calabria, fu influenzato da Gioacchino, ma in una prospettiva moderna che si rifaceva all’opera di Galileo, di G. Bruno – che lui solo difese coraggiosamente dal profondo della sua prigione – e alle opere di autori arabi, sia scientifici che mistici. La sua Città del sole, basata sulle nuove conoscenze eliocentriche che suggeriscono un ordine cosmico più perfetto, si ispira fortemente alle conoscenze dei pensatori arabi e alla « Città di Adocentyn nel Picatrix, un grimorio arabo di magia astrologica ». (cfr. https://en.wikipedia.org/wiki/The_City_of_the_Sun ). Campanella, ex allievo dei Domenicani, fuggì infine in Francia con l’appoggio di Richelieu. Luigi XIV e i suoi consiglieri trassero dal sistema di Campanella una particolare gerarchia, quella della monarchia assoluta e dei membri della sua Corte che gravitavano attorno al Re Sole, che doveva rappresentare la dispensazione della giustizia in modo uguale per tutti i suoi sudditi. Il presunto ordine della meccanica celeste doveva legittimare l’ordine terrestre secondo il buon vecchio metodo di far coincidere ciò che sta sopra con ciò che sta sotto. I marxisti, tra cui gli althusseriani e Perry Anderson, hanno analizzato questo sviluppo dell’istituzione della monarchia assoluta come un processo di emergenza della borghesia, superando il feudalesimo, che era ancora dominante ma subordinato alla Corona. L’unità del regno attraverso la monarchia assoluta fu, inoltre, il primo anello della formazione sociale nazionale che si sarebbe poi affermata con il dominio del modo di produzione capitalistico.

Più recentemente, Amedeo Fera nel suo saggio « Tommaso Campanella e Gioacchino da Fiore: due utopie a confronto » in https://www.academia.edu/6602375/Campanella_e_Gioacchino_da_Fiore_la_societa_ideale_come_comunita_monastica nota alcune corrispondenze tra i due grandi calabresi, anche se lo schema generale di Campanella è concentrico. Tra queste, naturalmente, le 3 Età dell’Umanità e le diverse forme di intelligenza. Per quanto riguarda l’auspicata nuova organizzazione sociale, aggiunge: « E’ forse da questa impostazione che discende l’idea fondamentale che sta dietro all’organizzazione sociale della città del Sole: una suddivisione del lavoro che da una parte renda possibile a ogni cittadino di svolgere le mansioni che più gli sono congeniali (o per meglio dire naturali), dall’altra la partecipazione di ogni cittadino a tutti i tipi di lavoro, suddivisi secondo le categorie rappresentate dai tre principi collaterali (Pon, Sin e Mor) che sovraintendono le attività. Da questa suddivisione del lavoro risulta che tutti sono impegnati in una qualche attività, per cui “partendosi l’offizi a tutti e le arti e fatiche, non tocca faticar quattro ore il giorno per uno”13. Ancora una volta, sembra che Campanella possa aver tratto ispirazione dalle concezioni teologiche e dalle interpretazioni scritturali dell’abate calabrese per elaborare una propria visione della società perfetta. »

4 ) Cfr. il mio saggio su Gioacchino Pitagorico in: « Brevi appunti su Gioacchino da Fiore pitagorico » presentati alla Conferenza organizzata dall’Associazione culturale Gunesh, il 27 agosto 2016 » in https://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#ITALIA )

5 ) Idem, Nota 4. Tutti i grandi logici sono facilmente riconoscibili in quanto sanno pensare distinguendo categorie distinte e categorie opposte per cogliere la realtà nel suo divenire senza confondere modello e realtà, senza confondere paradossi veri e paradossi falsi. È questo che li distingue dai logici conformisti – o scolastici – e dalle loro opposizioni aristoteliche, spesso fittizie e statiche. Per una discussione dettagliata, vi rimando alla mia Introduzione metodologica nella sezione Livres-Books del mio vecchio sito sperimentale www.la-commune-paraclet.com . Così si esprime Gioacchino: « “Io”, dice il Figlio, provengo e sono venuto dal Padre. E la differenza tra i due è questa: ognuno che nasce procede, ma non vale l’inverso. » (Salterio, p. 114) Nella mia Introduzione metodologica, dopo aver sottolineato la differenza tra distinti e opposti, nel presentare la Dialettica della Natura, ho anche detto: l’uomo è prodotto dalla Natura, ma l’inverso non è vero. Abbiamo visto in questo saggio che, per Gioacchino, il Padre si riferisce alla Natura, che precede la società e la coscienza.

6 ) Si veda la mia Introduzione metodologica nella sezione Libri del mio vecchio sito sperimentale www.la-commune-paraclet.com.

7 ) Su Ario e Sabellio, ecco una citazione: « Sabellio voleva esporre tale parola, ma la sua nave è naufragata sugli scogli. E Ario, cercando di evitare questa rotta, è finito nel fango profondo. Sabellio infatti disse che Dio è una persona, per suo volere è ora Padre, ora Figlio, ora Spirito Santo. Ario, disapprovando ciò, dice che vi sono tre persone, ma distinte – il che è blasfemo a dirsi – nella loro essenza e maestà ». (Salterio, p 11) Per i greci il Padre da solo genera sia il Figlio che lo Spirito Santo, eliminando così il divenire sillogistico trinitario … Si veda l’argomentazione logica contro Pietro Lombardin « Brevi appunti su Gioacchino da Fiore pitagorico » presentati alla Conferenza organizzata dall’Associazione culturale Gunesh, il 27 agosto 2016 » in https://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#ITALIA )

8 ) Cfr. il mio commento alla Tavola XII del Liber figurarum in « Brevi appunti su Gioacchino da Fiore pitagorico » presentati alla Conferenza organizzata dall’Associazione culturale Gunesh, il 27 agosto 2016 » in https://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#ITALIA )

9 ) On composition of Images, Signs and Ideas, 1991, de Giordano Bruno, si veda:  https://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#vinci

10 ) « Winstanley attingeva spesso all’esperienza locale per illustrare le mancanze della nobiltà nei confronti dei poveri, come quando si lamentava del loro sfruttamento della terra comune e li accusava di interferire ogni volta che i poveri “tagliavano legna, erica, erba o forni, in parti del Common dove non avevano il diritto di farlo”. Le sue esperienze a Cobham devono anche aver costituito la base della sottile analisi delle relazioni sociali rurali contemporanee che egli presenta nei suoi scritti sui Diggers – un’analisi che differenzia i poveri non solo dalla nobiltà ma anche dai “ricchi proprietari”, quei ricchi proprietari che si uniscono alla nobiltà per trarre “il massimo profitto dai Comuni, sovraccaricandoli di pecore e bestiame”, mentre ai poveri rimane la parte più piccola. » (John Gurney, 2013, p 21)

Sappiamo che lo storico inglese anti-althusseriano EP Thompson, lo stesso che pretendeva di fare di William Blake « l’ultimo dei muggletoniani », lo stesso che, sotto la copertura di un marxologismo accademico saldamente radicato nella « polite culture » – cioè, la tradizione burkeana – dà la caccia a tutto ciò che assomiglia al giacobinismo o, peggio ancora, al bolscevismo, ha sviluppato una concezione « culturale » della « laicità » inglese. In questo caso, ci ha ricordato che i neri – i contadini – in Inghilterra avevano almeno il diritto, ereditato dalla Magna Carta e dalla Common Law, di essere processati prima dell’impiccagione per piccoli furti, in particolare su terreni demaniali. Barrington Moore ha mostrato come durante la Rivoluzione inglese e la Restaurazione siano morte più persone che durante la Rivoluzione francese o quella bolscevica. Lo stesso valeva per i « Blacks » ovvero o i contadini. In realtà, senza rendersene conto, questo anti-althusseriano, affiancato nella sua messa in discussione ideologico-teorica da Ralph Milliband e altri, come dimostra l’attacco alla New Left Review, ha illustrato il carattere cinico e sanguinario della giustizia borghese, un argomento che i veri marxisti hanno un po’ trascurato (si veda il mio Pour Marx, contre le nihilisme, 2002, nella sezione Libri del mio vecchio sito sperimentale www.la-commune-paraclet.com).

Per l’importanza dei beni pubblici prodotti e offerti dalle imprese pubbliche in un quadro dove prevale la pianificazione e il credito pubblico, si veda il capitolo intitolato « Biens publics : sauvons ce qui peut encore être sauvé » dans Tous ensemble – idem. Questo capitolo è stato scritto proprio mentre la Enron stava fallendo e il Fraser Institute avanzava la sua proposta cinica e demagogica, che ho ribattezzato « modello britannico-colombiano »: poiché il capitale speculativo a breve termine non può finanziare le infrastrutture che richiedono investimenti a lungo termine, lo Stato dovrebbe farsi carico di questi progetti e poi, una volta completati, cederli al settore privato per un dollaro simbolico, al fine di garantire che i « clienti » – non agli « utenti »- ricevano « il giusto prezzo di mercato ». Siamo realmente giunti a questo stadio di decadenza accademica ed etico-politica. E continua, con tutta la spavalderia che è di rigore in queste materie.

Vale la pena di sottolinearlo nel contesto climatico post-Reagan dei « beni comuni », che in realtà vengono utilizzati per proteggere gli oligopoli privati e garantire i loro profitti attraverso sussidi di ogni tipo, scambi di certificati di carbonio e altre obbligazioni verdi speculative o « green bonds ». Pensare globale, ma agire locale, privatizzando e senza mettere in discussione la concorrenza imperfetta di Tirole e Co. secondo cui gli Stati sovrani devono cedere il passo a una « governance globale privata », con gli oligopoli transnazionali che si assumono l’onere di consultare i propri clienti attraverso i cookie e altri mezzi per tenere conto al meglio delle loro preoccupazioni, senza danneggiare i propri profitti. Naturalmente, non tutti sono clienti, e questo è un peccato per loro. Per di più, i « clienti » che non sono più « utenti » dei servizi pubblici ricevuti come diritti dei cittadini garantiti dalla Costituzione sono degni di interesse solo se sono solvibili…

11 ) sopra Paolo Cinanni si veda: « Cinanni, Paolo : un comunista esemplare calabrese », 17 juillet 2017, dans http://rivincitasociale.altervista.org/cinanni-paolo-un-comunista-esemplare-calabrese-17-luglio-2017/ . Per i particolarissimi « usi civici » in Sila, le lotte contadine citate nel testo e i problemi delle migrazioni di massa del dopoguerra, si veda P. Cinanni, Lottes per la terra e comunisti in Calabria 1943/1953 e Emigrazione e unità operaia: un problema rivoluzionario. Devo ancora aggiornare il mio testo sul grande comunista calabrese incorporando questi due libri fondamentali. Si veda pure : « Recensione ragionata del libro di Pino Fabiano: « Contadini rivoluzionari del sud: la figura di Rosario Migale nella storia dell’antagonismo politico », Città del Sole Edizioni, marzo 2011, in http://rivincitasociale.altervista.org/recensione-argomentata-del-libro-pino-fabiano-contadini-rivoluzionari-del-sud-la-figura-rosario-migale-nella-storia-dellantagonismo-politico-citta-del-sole-edizioni-marzo-2011/

12 ) Si veda: « Disoccupazione di massa come orizonte del capitalismo moderno », dans http://rivincitasociale.altervista.org/disoccupazione-di-massa-come-orizonte-del-capitalismo-moderno/

13 ) Per quanto riguarda la Precessione degli equinozi, il Pentagramma pitagorico – e il Grande Anno di Platone già nella Repubblica, poi nelle Leggi ecc. – (72 x 5 = 360 quindi 1 grado d’arco ogni 72 anni, 72 x 360 = 25.920 anni). Nella Cena de le ceneri Giordano Bruno mette in prospettiva il contributo di Copernico ricordando che Filolao, contemporaneo e discepolo di Pitagora, mai dimenticato in Calabria e nell’Italia meridionale, già insegnava che la Terra girava intorno al Sole e che il Sole non era il centro della galassia. Nella sua ultima opera importante, On composition, G. Bruno applica la teoria gioachimita delle concordanze, ma in modo scientificamente orientato all’astronomia e alla sua storia. Riguardo a Galileo, aggiungeva che telescopi più potenti avrebbero rivelato molti altri oggetti celesti che non escludono la vita, anche se probabilmente in altre forme. Tuttavia, riflettendo, mi sembra che i progressi astronomici compiuti dagli Antichi fin dagli inizi dell’Umanità pensante, e almeno dal Neolitico con le sue mega-strutture costruite per resistere all’usura del tempo in modo da per poter verificare le ipotesi astronomiche su periodi molto lunghi, inizino con l’organizzazione del cielo stellato e del suo movimento in relazione alla Via Lattea – l’Uroboro, il cerchio del tempo o serpente che si mangia la coda – e in relazione alle sue numerose costellazioni.

Lo Zodiaco, cioè le circa 12 costellazioni attraversate dal movimento apparente del Sole, viene dopo e presenta un’organizzazione del cielo e del tempo che implica il passaggio dal calendario lunare a quello solare. Oggi non ce ne rendiamo più conto perché l’inquinamento atmosferico, compreso quello luminoso, oscura lo splendore della Via Lattea nel cielo stellato in una notte senza nuvole. La Sila, dove Gioacchino costruì la sua prima abbazia a Jure Vetere, è ancora oggi un luogo ideale per ammirare lo spettacolo, se ci si allontana un po’ dalla città di San Giovanni in Fiore. La storia antica, comprese le narrazioni dell’Antico e del Nuovo Testamento, ci parla con una certa precisione del passaggio di tre costellazioni, Toro, Ariete e Pesci, ciascuna associata a un generale sforzo di civilizzazione. Al contrario, non è impossibile che i nostri Antichi abbiano anticipato il Neolitico e si siano preparati alle sue ipotesi e agli sforzi per verificarle. A Gobekli Tepe, per esempio. L’intera costa atlantica è ricoperta di megaliti – in altre parole, a diverse latitudini – mentre sappiamo che i Druidi comunicavano con gli Egizi e che Pitagora stesso fu istruito in Egitto – probabilmente a Eliopoli, la città archivio dei faraoni e dei loro predecessori – e nell’Indio, e così via. Ora, logicamente, quando si sono documentati 3 passaggi zodiacali, si può teoricamente ricostruire in avanti e indietro. I Maya, gli Inca e gli Aztechi facevano lo stesso. Ma come si può verificare tutto ciò, se non costruendo una struttura molto solida in un allineamento preciso? Possiamo quindi avanzare l’ipotesi che i monumenti neolitici circondati dal loro fossato oceanico – la Via Lattea – e allineati con il solstizio d’inverno siano stati costruiti per questo tipo di doppia verifica. La Grande Piramide, allineata con Orione, puntava anche verso Sirio, la stella che gli Egizi usavano per prevedere le piene del Nilo. Il cielo era il grande spettacolo dei nostri antenati, che ne compresero subito la relazione con i cicli della natura vegetale, animale e marittima.

Oggi, tra l’indifferenza generale, la freccia del Sagittario punta verso la Bocca di Uroboro, uno spettacolo che dura mille anni ogni 25.920 anni più o meno. Credo che il riferimento ai “mille anni” venga da lì, visto che si trova spesso nella mitologia antica, compresa quella di Ercole e Atlante. Ma dovrei verificare.

14 ) Per il patronimico “Fiore”, si veda: « Brevi appunti su Gioacchino da Fiore pitagorico » presentati alla Conferenza organizzata dall’Associazione culturale Gunesh, il 27 agosto 2016 » in https://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#ITALIA )

15 ) Ironicamente, l’osservazione è stata fatta dallo scrittore democristiano Salvatore Meluso. Egli sviluppò una vera e propria ossessione per la storia dei fratelli Bandiera, dato che il suo antenato, un calabrese di San Giovanni in Fiore, ne fu la guida durante la loro spedizione patriottica e uno dei due membri che la tradirono, essendo l’altro un corso, Boccheciampe. Salvatore Meluso era inizialmente convinto che il suo antenato, insieme ai Bandiera, fosse stato all’avanguardia dei combattenti che unirono l’Italia. Per lui era il “volto del coraggio”. Tuttavia, tutti i testi dimostrano senza ombra di dubbio che, dal momento in cui si era infiltrato nel gruppo di spedizione prima di lasciare Corfù il 13 giugno 1844 per la Calabria per sbarcare nei pressi della foce del Neto il 16 giugno, era stato preso in carica dai consolati dell’isola e dalla polizia. Aveva e avrebbe ancora in seguito mantenuto l’appoggio del principe di Cerenzia, che gli permise di arrendersi sano e salvo dopo la sua fuga seguita alla sanguinosa cattura del Bandiera, di cui era la “guida”, al Col de la Stragola sul Monte Gimmella, a San Giovanni in Fiore, il 19 giugno 1844. Si era rifugiato a Corfù dopo aver commesso una serie di crimini efferati, tra cui l’omicidio, con l’appoggio dei notabili filo-borbonici, della loro polizia e della milizia. Fu infine ucciso il 2 aprile 1848 dopo essersi infiltrato nelle manifestazioni contadine, fino ad allora pacifiche, di San Giovanni in Fiore per incitarli all’azione, consentendo così ai notabili più reazionari e alla polizia di reprimere apertamente il conflitto. Si armò e, mentre gridava “Viva la Repubblica” – chiaramente una provocazione nel contesto politico dell’epoca – sparò un colpo verso la polizia, che lo teneva sotto occhio da tempo e rispose al fuoco, uccidendolo. Sembra l’ennesima azione di un provocatore, per giunta armato, che cerca di provocare un bagno di sangue tra i contadini per scoraggiare il movimento di rivendicazione delle terre usurpate della tenuta di Fiore. È sconcertante e tragico, perché l’autore, da buona parodia calabrese e per di più democristiano, sembra non capire che le colpe degli antenati non macchiano i sopravvissuti, perché la colpa è personale. Dopo aver capito che il suo antenato era uno dei peggiori briganti e delinquenti del paese, che ne era pieno dopo le sanguinose jacquerie vandeane organizzate dal cardinale Ruffo, criminali sanguinari al servizio della polizia e i notabili filo-borbonici più reazionari del paese, ha passato il suo tempo a riscrivere la storia della spedizione, negando spudoratamente ciò che i documenti stabilivano senza il minimo dubbio. E così, trattandosi di controllo del territorio, più le cose cambiano … Per citare un solo esempio, cominciò a piegare il collo ai documenti più eloquenti, compresi quelli dei consolati di Corfù, che non solo confermavano la sua infiltrazione nel gruppo dei Patrioti, ma anche il fatto che le autorità legate ai Borboni e la loro polizia erano state debitamente avvertite dello sbarco e della presenza di Meluso nel gruppo dei Patrioti!!! Inoltre, cercò di negare qualsiasi accenno a una rivolta popolare in Calabria, facendo passare i Patrioti per violenti sparpagliati, anche se il gruppo dei fratelli Bandiera aveva infine scelto di sbarcare in Calabria in seguito all’insurrezione, nel marzo 1844, di alcune decine di patrioti provenienti da Cosenza e dai paesi limitrofi. Purtroppo, questi Patrioti erano stati arrestati poco prima dello sbarco dei Bandiera, che, ignari di questo fatto, avevano scelto di passare per San Giovanni in Fiore, diretti a Cosenza, per unire le forze.

Fin dalla morte di Gioacchino, le mentalità cambiano molto lentamente a San Giovanni in Fiore, luogo di continui soprusi, contro le case, le proprietà, i domicili e le opposizioni democratiche « civili, pacifiche e costruttive ». Il nostro abate fondatore non può certo essere biasimato visto che, in effetti, aveva scelto Jure Vetere, che aveva posto sotto l’egida di Giovanni Evangelista! Tuttavia, per chi sa leggere con obiettività e tra le righe, i libri di S Meluso restano opere preziose per capire la storia della nostra città e de La Sila e la sua gente.

Per gli abusi contro le persone e i domicili, oltre alla cronaca quotidiana, si vedano le complicità istituzionali di tipo poliziesco-mafioso qui: http://rivincitasociale.altervista.org/category/totalitarismo-italiano/

Per gli abusi contro gruppi “civili, pacifici e costruttivi” di cittadini democratici, si veda http://rivincitasociale.altervista.org/category/comitato-cittadino-per-il-lavoro-dignitoso/.

Per il tradimento del messaggio di Gioacchino, vedi: « Appunti su Gioacchino da Fiore e San Giovanni in Fiore: Il messaggio, la sua difesa e la sua falsificazione », in https://www.la-commune-paraclet.com/ItaliaFrame1Source1.htm#ITALIA

È facile capire perché il Paese stia precipitando verso una rovina socio-economica ed etico-politica fra poco irreversibile.

6 ) Illustrazioni: L’Albero delle 3 Età (p. 101), I 3 Cerchi con i 3 cerchi interni (p. 131), Il Pavimento di Marmo (p. 157), Le rovine di Jure Vetere nel marzo 2014.

L’Albero delle 3 Età (p. 101)

I 3 Cerchi con i 3 cerchi interni (p. 131)

Il Pavimento di Marmo (p. 157)

Le rovine di Jure Vetere nel marzo 2014.

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