Commenti disabilitati su EX-ILVA. Crisis management 2d Round: Non chiudiamo ma con lo scudo e gli esuberi, 15 nov. 2019

Gli operai di Taranto e le loro famiglie lo sanno già. Comunque, queste misere sceneggiate di gestione delle crisi e di trattative si insegnano all’Università. Sono strategie e tattiche relativamente semplici; la loro forza risiede nella « ignoranza » dell’avversario acquisita mantenendo un monopolio su i dati essenziali del caso, oppure selezionando o manipolando direttamente o indirettamente i negoziatori del campo opposto. Se fai simultaneamente le domande e le risposte ottieni quello che vuoi …

Dunque il giochetto dello scudo è fallito. La prese mediatica per i fondelli pure con la chiusura « richiesta » dai lavoratori e dalle loro famiglie per ragioni di salute ma senza nessuno impegno siglato per quello che riguarda le necessarie bonifiche e nessuno impegno negoziato di ricollocamento e di pre-pensionamento.

Si giocherà ora la tattica della buona volontà; dimenticando da parte dell’impresa come pure da parte del Governo e particolarmente di Di Maio e dei suoi seguaci, il contratto iniziale siglato dopo avere ottenuto l’accordo dei lavoratori in una consultazione democratica. Si proporrà semplicemente di mantenere lo stabilimento aperto ma con ingenti esuberi, diciamo 2/3 in meno. Il che, al minimo, equivale a chiudere l’altoforno 2 senza che il 5 sia operazionale. Gli operati sanno allora che le quantità prodotte in queste condizioni non saranno sufficienti per garantire a lungo termine i posti di lavoro rimanenti.

Se fallisce pure, come credo, questo giochetto, la crisi diventerà una vera crisi non solo per Arcelor Mittal ma anche per il Governo e lo Stato latitante e delinquente attuale. Anche perché il Governo, venduto al « mercato Re » di Gualtieri and Co, ha soldi per le banche private ma non per i poli industriali strategici necessari al Paese.

Si farà allora finta di litigare legalmente, perdendo tempo. Intanto la mancanza di approvvigionamenti porterà alla chiusura immediata di tutti gli altiforni – già prevista a partir dall’inizio di dicembre fine a gennaio.

Una crisi di sovra-produzione – facendo astrazione dell’impatto della guerra dei dazi americana – è usualmente gestita con il ricorso transitorio e negoziato agli ammortizzatori sociali. Se entra in conto una ristrutturazione-modernizzazione di una certa ampiezza che impone fatalmente alcuni esuberi allora si deve prevedere il ricollocamento ad impieghi a tempo pieno e/o il ricorso al pre-pensionamento con piena pensione. Negoziando in buonafede con i lavoratori e con i loro rappresentanti.

La migliore strada rimane il ricorso al credito pubblico per nazionalizzare l’ex-ILVA in un primo tempo, mantenendo gli altiforni accessi e dunque i posti di lavoro con la produzione. Simultaneamente si deve sviluppare un vero piano industriale che comporterebbe la ristrutturazione-modernizzazione dell’impianto come pure la ricerca di un partner pubblico – ad esempio una impresa pubblica cinese. Si deve prevedere con urgenza per il quartiere Tamburi, il quartiere più esposto.

Ho già spiegato altrove (1) che uno dei più gravi errori dell’integrazione europea con e dopo il Trattato di Maastricht fu di privatizzare le imprese nazionali – ad esempio, l’incredibile incompetente Prodi che distrusse l’IRI « in modo scientifico » mentre l’ineffabile Monti – anche prima del suo servile ossequio alla lettera di Trichet-Draghi – ci imponeva la logica dell’Anti-trust come una nuova bibbia mentre gli altri grandi paesi europei costruivano i loro « campioni nazionali » in gran parte sulle nostre spalle grazie a questa « banda del Britannia ».

Prima della svolta neoliberale monetarista – deregolamentazione e privatizzazione muro a muro – la UE riusciva benissimo con le cooperazioni rinforzate, appunto con la creazione di mandati di produzione negoziati tra imprese pubbliche. Per parte sua la PAC permetteva di proteggere i produttori agricoli e dunque anche le filière dell’agroalimentare, invece l’Italia dei finanzieri e dei capitani speculatori parassiti ha distrutto quasi tutto il nostro apparato produttivo, il credito pubblico e la nostra agricoltura. Parmalat – dunque indirettamente le quote latte – come pure il parmigiano sono già emblematicamente in mani straniere.

Tutta questa politica servile e autolesionista deve essere ripudiata con il ritorno alla lettera e allo spirito della Costituzione – della Prima Repubblica, cioè senza la modifica agli Articoli 81, 97, 117-119. Il diritto al lavoro dignitoso, alla solidarietà nazionale, all’economia mista ed al credito pubblico in una « Repubblica, una e indivisibile» deve ritornare a prevalere.

Paolo De Marco, ex-professore di Relazioni internazionali – Economia Politica Internazionale.

1 ) « Europa delle Nazioni, Europa sociale e Costituzione: Europa sociale o Europa del capitale ? » in http://rivincitasociale.altervista.org/europa-delle-nazioni-europa-sociale-constituzione-europa-sociale-europa-del-capitale/

 

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