RE: APPELLO/APPEL/APPEAL

Posted: 8th Maggio 2021 by rivincitasociale in Politica
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APPELLO/ APPEL / APPEAL

Posted: 4th Marzo 2014 by rivincitasociale in Politica

14 febbraio 2023. (Aggiornato 20-04-2023)

DON’T TOUCH MY NAME!

Don’t touch my constitutional rights!

Benché, in Italia, Ponzio Pilato sia peggio di Giuda, nessuno si permetta di infangare il mio cognome.

Aspetto la dovuta risposta alle mie ultime PEC del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, del Ministro della Salute Orazio Schillaci, dei Presidenti della Camera Onorevole Lorenzo Fontana e del Senato, Onorevole Ignazio La Russa e del Prefetto di Cosenza

Vedi PEC rimasti senza risposta fin qui con, in allegato, uno documento del Ministero della Salute richiedendo spiegazioni all’Ordine dei Medici di Cosenza. Il documento e altri simili sono disponibili qui: http://rivincitasociale.altervista.org/constrastare-terrorismo-italiano-mi-serve-un-avvocato-dufficio-fiducia-26-luglio-2020/

Vedi, in particolare, il DOC 5 .c. Documento_Principale_0031044-13_06_2019-DGPROF-MDS-P RINALDI 13-06-2019, vedi:http://rivincitasociale.altervista.org/wp-content/uploads/2020/07/DOC-5-.c.-Documento_Principale_0031044-13_06_2019-DGPROF-MDS-P-RINALDI-13-06-2019.pdf

Le PEC sopracitate sono disponibili qui: http://rivincitasociale.altervista.org/dont-touch-my-name-14-feb-2023/

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« Dall’Ucraina al precipizio, cantando? 29 gennaio 2023 ». Aggiornamento 24-08-2023, in http://rivincitasociale.altervista.org/dallucraina-al-precipizio-cantando-29-gennaio-2023/  

SARS-CoV-2 : BRÈVES/FLASH NEWS/BREVE, in: http://rivincitasociale.altervista.org/sars-cov-2-brevesflash-newsbreve/

A ) ULTIMA BREVE : 4 gennaio 2024. « Vaccini » Covid-19 contaminati con molecole di DNA …

11 novembre 2023. 1 ) Il libro cruciale di Christine Cotton sulla mancanza di rigore dei protocolli utilizzati nei studi clinici per i « vaccini » contro il Covid-19; 2 ) Dr. Drew afferma che 50 % dei giovani pazienti con miocardite soffrano di « danni cardiaci permanenti »; 3 ) Vaccini: “Ci siamo fidati della scienza, ora nessuno ci ascolta”. I governi firmatari dei contratti sapevano sin dall’inizio.

B ) 18-19 maggio 2023: Prepotenza dell’OMS, decessi in eccesso, il FMI e gli aiuti fiscali, ecc

C ) Data 29 marzo 2023,  « Bombshell Vax Analysis Finds $147 Billion In Economic Damage, Tens Of Millions Injured Or Disabled »,  by Tyler Durden,  Tuesday, Mar 28, 2023 – 09:20 PM, https://www.zerohedge.com/markets/bombshell-vax-analysis-finds-147-billion-economic-damage-tens-millions-injured-or-disabled  (incluso 26,6 milioni feriti, solo negli Stati Uniti, ecc, ecc …)

C ) Data 10 marzo 2023, Ecco una recente intervista dell’eminente genetista francese: « Alexandra Henrion-Caude : “Toutes les vérités sur le covid n’ont pas encore été dites !” », https://www.youtube.com/watch?v=jt93RxwLae0

D ) Data 28 gennaio 2023: Dr Campbell « Excess deaths in 30 countries », Jan 26, 2023. D ) Data 21 gennaio 2023: Domande da Rebel News al CEO di Pfizer. Da emulare altrove? e E ) Data 12-13 gennaio 2023. 1 ) « Tutti i vaccini COVID-19 con mRNA inducono morti cardiache improvvise »; 2 ) La teoria filo-semita nietzschiana dei « superuomini » prende ora la forma della fine della Specie umana da digitalizzare in più Specie algoritmiche diverse, in realtà caste create geneticamente : http://rivincitasociale.altervista.org/sars-cov-2-brevesflash-newsbreve/ )

Ecco una recente intervista dell’eminente genetista francese: « Alexandra Henrion-Caude : “Toutes les vérités sur le covid n’ont pas encore été dites !” », https://www.youtube.com/watch?v=jt93RxwLae0

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« Dovere di memoria: cosa intendo con il termine filo-semita nietzschiano ?» in http://rivincitasociale.altervista.org/dovere-di-memoria-cosa-intendo-con-il-termine-filosemita-nietzschiano/

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J’accuse : « Lettera aperta al Presidente della Repubblica, ai Presidenti della Camera e del Senato, alle deputate e ai deputati, alle senatrici e ai senatori, 18 aprile 2022 », in http://rivincitasociale.altervista.org/lettera-aperta-al-presidente-della-repubblica-ai-presidenti-della-camera-e-del-senato-alle-deputate-e-ai-deputati-alle-senatrici-e-ai-senatori-18-aprile-2022/

LETTERA APERTA AL PRESIDENTE SERGIO MATTARELLA.  2 dic. 2021, (in http://rivincitasociale.altervista.org/lettera-aperta-al-presidente-sergio-mattarella-2-dic-2021/ )

Per il contesto, oltre alle lettere aperte qui sotto, vedi : « In memory of my elder brother Giuseppe De Marco medically murdered by Jews with the complicity of Canadians, Italians and others.*» in http://rivincitasociale.altervista.org/self-separation-the-united-states-and-israel-leave-unesco-good-riddance/

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Lettera aperta al Consiglio Superiore della Magistratura, 7 ottobre 2020. (English version included) http://rivincitasociale.altervista.org/lettera-aperta-al-consiglio-superiore-della-magistratura-7-ottobre-2020/

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LETTERA APERTA AI PRESIDENTI DELLA CAMERA E DEL SENATO DELLA REPUBBLICA ITALIANA, 13 SETTEMBRE 2020, http://rivincitasociale.altervista.org/lettera-aperta-ai-presidenti-della-camera-del-senato-della-repubblica-italiana-13-settembre-2020/

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Lista dei Presidenti del Consiglio, dei Ministri della Difesa, dei Capi di Stato-Maggiore, dei Ministri dell’Interno, della Salute, della Giustizia, del Copasir e delle istituzioni garanti, colpevoli dei mostruosi crimini perpetrati contro di me e la mia stirpe sin dal mio rimpatrio nel giugno 2013, (21 settembre 2020), http://rivincitasociale.altervista.org/lista-dei-presidenti-del-consiglio-dei-ministri-della-difesa-dei-capi-maggiore-dei-ministri-dellinterno-della-salute-della-giustizia-del-copasir-delle-istituzioni-garanti-colpevoli/

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Appello alla solidarietà pubblica. Diffondete la vostra indignazione cittadina contro questa mostruosa negazione della giustizia!

Parlamentari italiani, abbiate il coraggio di fare rispettare i nostri diritti costituzionali, almeno per una volta.

PER CONTRASTARE IL TERRORISMO DI STATO ITALIANO MI SERVE UN AVVOCATO D’UFFICIO DI FIDUCIA, 26 Luglio 2020,

http://rivincitasociale.altervista.org/constrastare-terrorismo-italiano-mi-serve-un-avvocato-dufficio-fiducia-26-luglio-2020/

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The solidarity of all law-abiding person will be welcome. Help make this monstrous persecution and absurd denial of justice public.

TO COUNTER ITALIAN STATE TERRORISM I NEED A LAWYER WORTHY OF TRUST, July 26, 2020. http://rivincitasociale.altervista.org/to-counter-italian-state-terrorism-need-lawyer-worthy-of-trust-july-26-2020/

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Appel à la solidarité internationale. Apportez votre concours pour rendre cette monstrueuse affaire publique et faire en sorte que la justice passe : POUR CONTRER LE TERRORISME D’ÉTAT ITALIEN, J’AI BESOIN D’UN AVOCAT DIGNE DE CONFIANCE, 26 juillet 2020,  http://rivincitasociale.altervista.org/pour-contrer-le-terrorisme-detat-italien-jai-besoin-dun-avocat-digne-de-confiance-26-juillet-2020/

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« Mancata risposta – da tutti i ministeri in carica. Rinnovo della mia PEC del 28 ottobre 2019 » 24 nov.2019, in http://rivincitasociale.altervista.org/mancata-risposta-dai-tutti-ministeri-carica-rinnovo-della-mia-pec-del-28-ottobre-2019/

Seconda lettera aperta al CSM, 4 settembre 2019, con tre prove fotografiche accusatrici, in  http://rivincitasociale.altervista.org/seconda-lettera-aperta-al-csm-4-settembre-2019/

Lettera aperta al Consiglio Superiore della Magistratura sulla violazione del mio domicilio, l’alterazione del mio cibo e delle mie bevande e gli atti intimidatori di chiaro stampo poliziesco-mafioso. 24 luglio 2019, (THE ENGLISH VERSION follows the Italian version/VERSION FRANҪAISE INCLUSE) in http://rivincitasociale.altervista.org/lettera-aperta-al-consiglio-superiore-della-magistratura-sulla-violazione-del-mio-domicilio-lalterazione-del-mio-cibo-delle-mie-bevande-gli-atti-intimidatori-chiaro-stampo-poliziesco-mafioso/

Lettera al Presidente del Consiglio ed al Ministro della Giustizia per la necessaria riapertura delle mie denunce disattese dalla Procura di Cosenza e l’intempestivo ristabilimento dei miei diritti fondamentali e della mia riputazione. 25 luglio 2019 in http://rivincitasociale.altervista.org/lettera-al-presidente-del-consiglio-ed-al-ministro-della-giustizia-la-necessaria-riapertura-delle-mie-denunce-disattese-dalla-procura-cosenza-lintempestivo-ristabilimento-dei-miei-diritti-fo/

LETTERA APERTA AL GOVERNO sulla gravissima mancata risposta dell’Ordine dei Medici di Cosenza. 21 aprile 2019 http://rivincitasociale.altervista.org/letter-aperta-al-governo-sulla-gravissima-mancata-risposta-dellordine-dei-medici-cosenza-21-aprile-2019/

LETTERA APERTA ALL’ONOREVOLE P. PARENTELA (Seconda richiesta della copia delle riposte scritte alle Sue due interrogazioni parlamentari. 13 Maggio 2019) in http://rivincitasociale.altervista.org/lettera-aperta-allonorevole-p-parentela-seconda-richiesta-della-copia-delle-riposte-scritte-alle-sue-due-interrogazioni-parlamentari-13-maggio-2019/

Lettera aperta al Ministro Bonafede selle continue violazioni del mio domicilio e sulle mie denunce disattese, 5 giugno 2019, in http://rivincitasociale.altervista.org/lettera-aperta-al-ministro-bonafede-selle-continue-violazioni-del-mio-domicilio-sulle-mie-denunce-disattese-5-giugno-2019/

Lettera aperta all’Ordine dei Medici di Cosenza, 1 luglio 2019, in http://rivincitasociale.altervista.org/lettera-aperta-allordine-dei-medici-cosenza-1-luglio-2019/

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PROEMIO – AVANT-PROPOS – FOREWORD (For the English version, please go to the March 2014 Posts section)

« La politica non è l’arte del possibile bensì l’arte di fare emergere nuove possibilità socialmente più umane » (Marzo 1985)

                                Jure Vetere : l’unico vero tempio è la coscienza umana.

ITALIANO. Vai all’Appello

Care compagne, cari compagni,

E arrivata l’ora della rivincita sociale dei popoli, in Italia ed in Europa. E arrivata l’ora di lavorare tutte/i insieme alla nascita di Comitati cittadini per la Rivincita Sociale capaci di condurre all’emergenza del Partito della Rivincita Sociale. Questi partiti nazionali comporrebbero poi una Federazione Per l’Europa Sociale, che al suo turno farebbe parte di una Nuova Internazionale (senza cifra). Il nome mi sembra importantissimo, perché corrisponde al programma come pure alla voglia di ricatto oggi molto diffusa tra le nostre cittadine e i nostri cittadini.

A questo link troverete un Appello intitolato « E arrivata l’ora della rivincita sociale dei popoli, in Italia ed in Europa ». In riassunto il programma proposto, da dettagliare in comune, è lo seguente:

a) Una nuova definizione dell’anti-dumping – per i dettagli vedi l’Appendice dell’Appello. Nel sistema commerciale globale attuale, la base del calcolo dell’anti-dumping è il salario senza contributi sociali. Noi chiediamo semplicemente che sia il salario con tutti i contributi sociali.

b) La nazionalizzazione del credito per eliminare simultaneamente il debito pubblico ed il « credit crunch », e per toglierci il Fiscal Compact dalle spalle, assieme ai banchieri ed alle loro banche cosiddette « universali » .

c) La laicità, la parità donna-uomo e i diritti civili;

d) L’ecomarxismo, il ripristino del Territorio ed il principio di precauzione;

e) La democratizzazione dell’educazione e della cultura, ed il finanziamento pubblico della Ricerca & dello Sviluppo;

f) La fine della sovra rappresentanza socio-economica e mediatica, come pure la fine della falsa rappresentanza elettorale e democratica – cioè, la fine della falsa rappresentanza elettorale a tutti i livelli, anche al livello sindacale, a dispetto della Costituzione.

g) Il ripudio di ogni intervento estero o di guerra che non sia strettamente difensivo, assieme al ritorno allo spirito ed alla lettera della sicurezza collettiva.

Sottometto quest’Appello alla vostra attenzione, chiedendo cortesemente una risposta. Per arricchire la riflessione comune potete aggiungere un commento a questo Appello – i commenti giudicati non idonei alla deontologia scientifica o cittadina saranno cancellati. Oppure i Comitati in formazione potranno contattarmi all’indirizzo qui sotto per trovare il migliore modo di coordinamento. Mi permetto sopratutto di chiedervi la più ampia diffusione possibile dell’indirizzo di questo sito tra le vostre conoscenze, tra i vostri membri ed altri gruppi amici, almeno se giudicati che questo possa essere utile per lanciare il dibattito e creare una dinamica rivendicativa di fondo. Il sito stesso dovrebbe diventare il vettore di una creazione collettiva. L’emergenza capillare dei Comitati dovrebbe presto trasformarsi in un’onda gigantesca ed autonoma ma organica al popolo delle lavoratrici e dei lavoratori intellettuali e manovali, in breve organica a tutte le nostre e tutti i nostri concittadine/i di buona volontà.  

La rottura radicale col sistema neoliberale attuale non si fa a parole ma bensì militando e organizzandoci per cambiare l’attuale definizione dell’anti-dumping, costruendo il programma attorno a questa domande chiave. Questo renderà tutto il resto possibile.

Perciò, questa nuova definizione deve ricevere priorità assoluta anche perché, interiorizzandone la logica, si muterà radicalmente il « senso comune » della gente, e si creerà gli anticorpi ideologici – nel senso nobile del termine – necessari al nostro popolo, aprendo così la strada alla concezione pratica di un nuovo modello sociale, sostenuto dall’evidenza scientifica, come pure dai principi cardini della nostra Costituzione. Su questa base risulterà possibile costruire una vasta alleanza di classi in vista di « una riforma democratica rivoluzionaria », tranquilla ma capace di andare alle radici dei problemi che confrontano il nostro Paese e la nostra gente.

Alcune/i di voi mi conoscono già tramite le mie e-mail inviate a [email protected], e forse anche grazie al mio sito www.la-commune-paraclet.com. Da qualche mesi, ho effettuato il mio rimpatrio in Italia, a San Giovanni in Fiore, nella mia città nativa in Calabria, col desiderio di essere utile al lavoro di militanza e di organizzazione comune, oggi più urgente che mai.

Vostro,

Paolo De Marco

Per contattarmi: [email protected]

(In processo di rilettura)

Re :

A ) Vincenzo Falcone, Le ferriere di Mongiana, un’occasione mancata, Cittàcalabriaedizioni, 2007.

B ) Brunello De Stefano Manno, Le Reali Ferriere ed Officine di Mongiana, Cittacalabriaedizioni, gruppo Rubbettino, 2008. Prima edizione 1979 con prefazione di Gaetano Cingari.

C ) Parco Naturale Regionale delle Serre, opuscolo, www.parcodelleserre.it

Mongiana, piccolo comune calabrese sito nella Provincia di Vibo Valentia, fu, un tempo, uno dei centri metallurgici più importanti d’Europa e della Penisola italiana, cioè fine all’Unità dell’Italia. Oggi è diventato un centro di « archeologia industriale » dopo essere stato uno dei più imponenti e stabili esemplare delle « ferriere itineranti » (1) del Mezzogiorno. Queste si spostavano tra la marina di Stilo verso Pizzo passando da Mongiana, Serra San Bruno e Ferdinandea. . 26 comuni tra cui Mongiana sono inseriti nei 17 000 ha che compongono il Parco nazionale Regionale delle Serre nel territorio delle provincie di Vibo Valentia, Catanzaro e Reggio Calabria. (2)

Il primo libro citato, quello di Vincenzo Falcone, ci offre una dettagliata sintesi storica. L’Appendice contiene tre utilissime Schede. La prima presente sommariamente « Le risorse naturali della Calabria, a corredo delle ferriere di Mongiana» ; la seconda elenca cronologicamente « I principali avvenimenti che hanno caratterizzato la vita del polo metallurgico di Mongiana (1771-1874) ; infine, la terza scheda elenca « I direttori che si sono succeduti nella direzione del complesso metallurgico. » tra i quali il Reggente Domenico Fortunato Savino – 1864 – che progettò le due + quattro monumentali e dimostrative colonne doriche in ghisa poste davanti all’atrio della Fabbrica d’Armi, oggi sede del Museo (3). Seguono le referenze allo « Archivio di Stato di Catanzaro, atti della Mongiana » assieme ad una » Bibliografia essenziale ». Il libro è dedicato « Agli operai delle Ferriere di Mongiana e Ferdinandea, figli di una Calabria amata e invidiata per la sua natura bella e generosa, selvaggia e temuta per il suo carattere imprevedibile e in alcuni casi devastante, oppressa per sfruttare la sua fertilità e le sue ricchezze naturali, contraddittoria tra passato e presente, disprezzata, a volte, per i preconcetti sui suoi abitanti considerati ”rozzi e barbari”, abbandonata a se stessa dopo averne abusato. »

La tesi del libro è riassunta così : « Siamo di fronte a un evento di estrema importanza che mette in luce, per la prima volta, come una parte della popolazione calabrese si sia confrontata con il lavoro in fabbrica, anche se in condizioni molto difficili e disumane ; e come questa categoria di operai abbia dovuto pagare, successivamente, attraverso l’emigrazione, colpe non sue, addebitabili, invece ad una classe dirigente, specialmente quella post-unitaria, che si rifiutò di sostenere lo sviluppo dell’industria meridionale. Noi siamo convinti che questa esperienza secolare calabrese avrebbe potuto costituire l’avvio di un processo di industrializzazione vero e proprio della Calabria e dell’intero Mezzogiorno. » (p 9)

In effetti, il caso della Mongiana ha molto da dirci sulle condizioni dello sviluppo nazionale e locale e sulla transizione da un Modo di produzione feudale ad un Modo di produzione capitalista, condizioni sempre sovra-determinate, non solo dalla costellazione delle forze economiche, ma sopratutto dall’ideologia delle classi dominanti, l’inserimento nell’Economia mondiale risulta sopratutto determinato, non da un qualsiasi «interesse nazionale », ma bensì dagli interessi economici-culturali delle classe dirigenti, speso subordinate.

Le Ferriere di Mongiana ebbero i loro periodi fiorenti durante il regime borbonico e sopratutto durante l’intermedio rivoluzionario partenopeo e francese segnato, tra altro, dalla cosiddetta eversione feudale e da un inizio di riforma agraria, prelude di ogni possibile industrializzazione. Questa riforma agraria lanciata dai riformatori-rivoluzionari partenopei del 1799 e ripresa in seguito sia da Joseph Bonaparte che da Murat, dovette attendere la fine della Seconda Guerra Mondiale per imporsi anche in un modo cooptato dalla Democrazia cristiana, ad esempio con la cosiddetta Opera Sila. Come analizzato da Paolo Cinanni, mentre i dirigenti borghesi-atlantici si adoperavano per ritardare la riforma agraria e l’ammodernamento socio-economico del Paese e del meridione, nel 1949, nel contesto del Piano Marshall, si teneva il Congresso nazionale democristiano di Venezia con il quale fu scelto di favoreggiare l’emigrazione italiana di massa invece di pianificare l’assorbimento della manodopera rurale con lo sviluppo dell’industria e delle attività annesse. Fu una emorragia di oltre 2 milioni di concittadini. Dopo la crisi dei subprimes del 2007-2008, furono oltre 5 milioni a partire, sopratutto giovani e diplomati. Il PCI era stato cacciato dal governo nel 1947 aprendo così la via al primo colpo di arresto della modernizzazione della nostra Repubblica. Paolo Cinanni nota pure l’impatto devastante di questa emorragia nei ranghi dei militanti e dirigenti sopratutto nel Sud. (4)

L,autore sottolinea l’importanza dei dazi nella tenuta e lo sviluppo o al contrario della subordinazione delle Ferriere di Mongiana. Questo è particolarmente evidente sotto il regime di Joachim Murat dato che il Regno di Napoli doveva fare i conti con il blocus napoleonico – e con il contro-blocus imposto dalla flotta inglese che rendeva i scambi marittimi azzardosi. Questo stato di cose fu ancora più aggravato dalle preferenze doganali conferite alle merci provenienti dalla Francia. Se on altro per ragioni militari, Murat dovette rilanciare e modernizzare le produzioni di Mongiana sopratutto quelle delle armi. Si trattava di Reali Ferriere ed Officine, cioè di un’impresa sotto controllo dello Stato la cui gestione venne affidata al Ministero della Guerra e a volte, raramente, a quella delle Finanze. Questo influì fortemente sull’orientamento della produzione e sui volumi prodotti, fluttuanti a secondo che il Regno era in guerra o in pace. In effetti, sul luogo, altre ferriere private continuarono a coesistere con quella della Mongiana, con il suo corteo di corruzione e di brigantaggio. Durante l’ultimo periodo borbonico, con l’inizio dello sviluppo industriale – ponti, ferrovie, locomotive, navi moderne, ecc. – lo sviluppo della Mongiana venne speso contraddetto e bloccato tanto dall’influenza in Corte di concorrenti privati tale il Principe di Satriano, Filangieri, proprietario della ferriera privata di Cardinale, quanto dalle pressioni inglesi. Ad esempio, Rothschild pesò di tutto il suo peso a favore degli interessi inglesi – e del loro contrabbando.

Il regime borbonico sotto il re riformatore Carlo Borbone e il suo ministro Tanucci fu appoggiato dai pensatori più avanzati del tempo, sulla scia dell’immenso Giambattista Vico, come Pagano, Albanese, A Genovesi, Filangieri, Cirillo, Eleonora Pimentel Fonseca, V. Cuocco e G. Zurlo l’autore dell’importantissima Relazione sulle terre silane. Fu tra i primi a iniziare vere e proprie riforme socio-economiche in Europa. Non sorprende che le ferriere di Mongiana siano state concepite in questo ambiente, il nuovo re dovendo pure assicurare la difesa del suo regno. Sembra che la ferriera di Mongiana iniziò realmente con il figlio Ferdinando IV sotto il quale le riforme proseguirono, dopo che il re Carlo venne chiamato sul trono spagnolo. La creazione delle Seterie di San Leucio, un tentativo di riforma socio-economico monarchico-illuminato e primo esportatore del Regno (5) accompagnò quella assai diversa di Mongiana oppure quella del Panopticon napoletano, il Reale Albergo dei Poveri.

Come ben sappiamo la stagione delle riforme illuminate e socialmente avanzate fu durabilmente interrotta con la sanguinosa restaurazione borbonica appoggiata dal reazionario Congresso di Vienna e dagli Inglesi. Questi si erano impadroniti dell’Isola di Malte in cambio di un prestito e, nel medesimo tempo, esigerono la distruzione della Flotta napoletana, tra le più importanti del Mediterraneo, come prezzo per il trasferimento dei reali fuggiaschi a Palermo con il pretesto di non farla cadere in mano ai rivoluzionari partenopei con l’arrivo dell’armata del Generale Championnet a Napoli. L’autore napoletano La Capria nel suo saggio L’Armonia perduta attribuisce la duratura arretratezza di Napoli e del Meridione alla sanguinosa strage di massa dei Patrioti e rivoluzionari partenopei compiuta con lo scatenare della Vandea sanfedista del Cardinale Ruffo e dei suoi sanguinosi e barbari briganti (6) e con la consecutiva restaurazione borbonica. (7) Mi viene in mente la battuta di arresto del movimento sociale e intellettuale avvenuta con il massacro dei Communards in seguito alla sconfitta della Commune de Paris, 1871, oppure il disastroso effetto della migrazione di massa dei nostri concittadini nel dopo-guerra per la mancata riforma agraria mai seguita dalla necessaria industrializzazione e modernizzazione del Sud, e, più ancora, con la crisi di subprimes del 2007-2008.

Ci vorranno i moti del 1831, quelli del 1848 e finalmente la travagliata unità italiana compiuta a scapito della Repubblica dalla monarchia sabauda e da Garibaldi per fare muovere le cose. Spesso sacrificando il sud, e specialmente la Calabria, come fu il caso per la metallurgia della Mongiana, prima venduta ai privati assieme alla Ferdinandea – iniziata nel 1812 e inaugurata nel 1833 -, tra i quali Achille Ferrazi, vicino a Garibaldi, nel 1874. I problemi della metallurgia calabrese iniziarono sin dal 1860. Scrive Vincenzo Falcone : « Le miniere di Pazzano e gli stabilimenti di Mongiana vengono abbandonati, proprio mentre le produzioni siderurgiche calabresi ricevevano riconoscimenti nazionali ed internazionali (a Firenze, nel 1861 ed a Londra, nel 1862.) Con legge 21 agosto n.793, il polo metallurgico di Mongiana viene inserito nella lista dei beni demaniali soggetti a vendita che avverrà 11 anni dopo, a seguito della legge del 23 giungo 1873 ». ( p 171)

La cronologia del Falcone finisce così: « 1884. Avvio della fabbrica di terni che assorbirà qualche operaio specializzato, proveniente dagli stabilimenti di Mongiana. » (p 171) Brunello De Stefano Manno spiega che la chiusura fu dovuta alla soppressione dei dazi da parte della nuova monarchia senza nessuno compenso in termine di investimenti e di ammodernamento della metallurgia calabrese; in oltre, il Piemonte non aveva nessuna metallurgia da proteggere e trovò più economico importare sopratutto dagli Inglesi e dai Rothschild ai quali furono aperti i settori siderurgici e industriali del paese, già spostati al Nord. » Il nuovo Stato lasciò languire le proprie ferriere, preferendo importare prodotti stranieri e soggiacere ai diktat finanziari palesi e occulti del Piemonte. Bastino per tutti i Rothschild che, nel 1871, riuscirono a imporre il blocco della produzione di locomotive finanche alla beniamina governativa Ansaldo. E, quando l’Italia decise di svicolarsi da tale dipendenza e diede vita nel 1884, alle acciaierie di Terni, fu costretta a innalzare una barriera di dazi protettivi ben più robusta di quella tanto criticata e rinfacciata in precedenza al ”retrogrado” governo napoletano. » (2008, p 124)

La soffocazione inglese dello sviluppo meridionale aveva preso una svolta drammatica con il quasi protettorato de facto imposto da Lord Acton e da Nelson. Ancora negli anni 1830-1840, il Ministero della Guerra aveva affidato lo sfruttamento del carbone fossile ”all’uomo sbagliato”, ”l’inglese G Beck, già concessionario sulla piazza napoletana di una compagnia britannica esportatrice di coke. (…) A tutto il 1845, è aperta una sola galleria nei pressi delle sorgenti del Novito e, contrariarmene ad ogni logica mineraria, lo scavo, iniziato dal basso, procede verso l’alto in modo che la bocca della miniera risulta inferiore a tutta la galleria. » (2008, p 138) Il carbone fossile e il coke dessero un gran vantaggio competitivo alla metallurgia britannica. L’errore di gestione non venne corretta prima del 1850. Comunque questo carbone fossile non risultò adatto per il coke di buona qualità e servì sopratutto « come combustibile per le locomotive e motori navali.» (idem, p 139)

Tra le ragioni addotte per il sotto-sviluppo meridionale e particolarmente della metallurgia di Mongiana troviamo in primo luogo l’isolamento dovuto alla mancanza di connessioni stradali e ferroviarie, la questione dei dazi protettivi, quella dei scarsi investimenti fatto anche dovuto al favoreggiamento delle ferriere e miniere private in mano a potenti cortigiani. Scrive Gaetano Cingari: « Esisteva tuttavia un parallelo interesse dei produttori privati garantiti dalla tariffa protezionista e, tra essi, in primo luogo il Principe di Satriano, Filangieri, proprietario della ferriera calabrese di Cardinale » (2008, p 10) Dopo la Rivoluzione partenopea e il regime francese, la presenza e l’influenza inglese, forse ancora più gravosa dopo l’Unità, si fece più pesante aggravando le conseguenze nefaste della concorrenza e del contrabbando. Scrive il Falcone: « l ferro che veniva prodotto dalle ferriere era soggetto ad una concorrenza spietata da parte dei privati che lo contrabbandavano a prezzi inferiori. » (2007, p 53) Questo metodo di fare influiva anche sulla qualità della ghisa e del ferro prodotto, spiegando in parte le continue lamentele, speso diversamente motivate, in provenienza delle ferriere e fabbriche di Napoli. Come tanti Calabrese ed numerosi altri commentatori – si pensa all’antico detto ”un paradiso abitato da demoni”, già verificato con gran barbarie durante la Vandea sanfedista meridionale – Vincenzo Falcone deplora l’arretratezza sociale della nostra Regione, che sin dal dominio di Ferdinando I il Cattolico e di Carlo V caratterizza il Meridione.

Scrive: « Nel 1804, nonostante le condizioni estremamente misere della popolazione, il Governo aumentò di cinque grana il rotolo dell’antico dazio del sale.

Tutto ciò provocò una spinta al contrabbando, a tal punto che i magazzini regi rimasero chiusi per un certo periodo di tempo.

Questa situazione di generale indifferenza e la mancanza cronica di strutture economiche sufficienti in grado di dare opportunità lavorative alla popolazione, contribuivano a trasformare un popolo brutalmente sfruttato, a sua volta, in un popolo di sfruttatori e di parassiti. La maggior parte della gioventù della piccola e media borghesia che in altre nazioni costituiva il fulcro del progresso economico, sociale, culturale e politico, nel mezzogiorno era spinta, quasi totalmente, all’ombra delle Università, della Curia e delle Segreterie regie, trasformandosi, così, in una moltitudine di cancellieri, scrivanti, preti e suore.

Scriva Ferdinando Galiani: « Bisogna dire che tre sono i grandi mali della Calabria: la prepotenza dei baroni, la soverchia ricchezza della manomorta e la sporchezza, la miseria, la selvatichezza e la ferocia di queste città e di questi popoli. » (p 20)

Viene da dire, parafrasando il principe di Lampedusa, « plus ça change, plus c’est la même chose », ma oggi con la latitanza complice di tutte le istanze garanti eredi della P2. ( Per le riforme a-costituzionali e la P2 vedi qui, in particolare il cosiddetto Piano di rinascita democratica … cioè, al tempo della strategia atlantista del terrore, affiancata dal Gladio e dai Stay behind, degli Anni di piombo.) E con il riciclaggio del denaro della droga che inquina tutto come ripetano il PM Gratteri ed altri.

Sappiamo che i Borboni sfruttarono l’isolamento indotto dalla morfologia geologica-geografica, specialmente in Calabria, per isolare il popolo. Si preferiva il cabotaggio lungo le coste. Commuove il racconto di Cesare pavese nel suo La Luna e il falò quando, da ragazzino, passando oltre la sua valle natia che per lui rappresentava il suo intero universo realizzò che vi erano tante altre valli che costituivano il Mondo intero. Questa visione retrograda borbonica peggiorò con la Restaurazione. A tal punto che la prima strada tra Mongiana e Pizzo, impresa che durò una decina di anni – già a quell’epoca ! – fu iniziata nel 1837 per orgoglio reale dopo la polemica dell’articolista Giuseppe Del Re che nel 1834 aveva criticato l’isolamento del luogo e difeso l’importazione di ferro e prodotti di ferro inglese per la loro migliore qualità. (2008, p 54) Seguì una modernizzazione degli impianti della Mongiana. L’Inghilterra utilizzava il coke sin dal 1775 (idem, p 25) Con le stesse motivazioni, il Re ordinò l’inaugurazione dei lavori della ferrovia Napoli-Portici nel 1839. (idem)

Credo che si debba aggiungere il fatto che le prime ferriere importanti, incluso durante il periodo normanno, quelle di Stilo, patria di Campanella come la Turingia e i suoi minatori socialmente avanzati lo fu per Tommaso Müntzer, erano situate sul mare Ionio. In questo contesto De Stefano Manno riuscì a rintracciare la nascita di Serra: « Grazie alla cortesia di Dom Basilio, prendevo visione della donazione di miniere e forni esistenti nel Circondario di Stilo e Arena, fatta nel 1094 da Ruggero il Normanno a favore di Bruno di Colonia,Santo fondatore dell’Ordine Certosino.» (p 18) Sappiamo tutti la superiorità dei Normanni in materia di armi a quell’epoca. La posizione di Stilo risultò poco comoda rispetto a al porto di Pizzo per raggiungere Napoli, capitale borbonica nella quale fiorivano le attività siderurgiche militari e civili più sviluppate come a Pietrarsa. Ancora oggi la questione della localizzazione dei centri economici capaci di tirare il migliore partito dei flussi commerciali nazionali e internazionali, come Gioia Tauro e la sua zona industriale, tutt’ora vuota e intenzionalmente mal collegata al Nord Italia e alla Mitteleuropa con una ferrovia moderna (8) in modo da favoreggiare i porti del Nord e il hub ferroviere di Savona.

Nei fattori di localizzazione del mancato pieno sviluppo della siderurgia della Mongiana dobbiamo aggiungere la doppia questione della foresta e dell’acqua disponibile. Il taglio senza regole della foresta spiega in gran parte l’itineranza delle ferriere prima dell’era industriale. De Stefano Manno spiega bene il problema e da conto dell’evoluzione della gestione di questa risorsa, la prima legge forestale vera e propria data dal 1773 (idem, p 34) ma non ebbe rigorosa applicazione. I problemi causati dai tagli indiscriminati portò alla legge forestale organica del 1809. A quel punto, la foresta venne concepita come una fonte di risorse rinnovabili con tagli che dovevano avvenire per rotazioni di parcelle ogni 40 anni, lasciando in piede i cosiddetti alberi ”speranza”, cioè riproduttori, un concetto tutt’oggi cruciale. (2008, p 116) De Stefano Manno spiega pure che tutti i legni non producono i stessi risultati nelle ferriere, il faggio con meno impurità porta a produzione di migliore qualità, con un ferro più puro e più elastico, un gran vantaggio per la produzione delle canne dei moschetti e dei cannoni. « … è proprio il carbone di faggio il misterioso quid che migliora la resistenza meccanica del ferro mongianese. (idem, p 137) Il bello sta che la Mongiana dispone della foresta di faggio più pregiata, i suoi intorni essendo l’unico abitato naturale originale del monumentale e antichissimo faggio bianco.

Ambedue gli autori chiariscono « le condizioni di vita e di lavoro » (2008, p 164) Utilizzeremo qui le informazioni fornite da Stefano Manno per la loro antecedenza e la loro completezza. Gli operai delle ferriere e fabbriche della Mongiana, come pure i minatori, ad esempio quelli delle miniere « site lungo la dorsale del Monte Stella di Pazzano » (2008, p 141), costituiscono un caso di studio raro di un settore chiave della produzione che lo diventerà ancora di più con l’affermare del capitalismo industriale. Da questa prospettiva, l’autore farà risalire la specificità dei stabilimenti come pure dell’architettura urbana della Mongiana rispetto alle esperienze in GB e sul Continente nel campo metallurgico. Malgrado il suo isolamento in montagna a 922 m di altitudine sul Monte Cima, la località di Mongiana fu scelta per l’abbondanza di legno e di acqua – con forte diminuzione del flusso durante i mesi d’estate – e per la vicinanza delle miniere di Pazzano. Il primo nucleo stabilito attorno alla ferriera e alle fabbriche data del 1771 ma il Comune di referenza rimase Fabrizia distante una decina di chilometri e senza mezzi di comunicazione a parte le vie mulattiere. Solo nel 1852 Mongiana si vide riconoscere lo statuto di Comune se non altro per facilitare l’amministrazione civile locale fin qui saldamente in mano delle forze armate, anche se le miniere, le ferriere come pure la fabbrica di armi rimanevano sotto controllo del Ministero della Difesa, con scarsi interludi sotto il Ministero delle Finanze,realtà che spiega forse la mancata priorità data alle produzioni civili.

« Il centro abitato fu fondato l’8 marzo 1771 sul Colle Cima come residenza per operai, artigiani, impiegati, dirigenti e guarnigioni militari impiegati a svolgere attività produttiva nelle Reali Ferriere e Fabbrica d’Armi impiantatavi dai Borboni. Quest’ultima riusciva ad occupare fino a 2700-2800 persone. » (Vedi qui) De Stefano Manno specifica : « Lo ”statino” degli addetti alla ferriera nel marzo 1861 da 762 unità, otre a 250 carbonari, 90 minatori, 100 armieri, 110 mulattieri e bovari; e con essi tecnici e operai specializzati, dai capi officina ai macchinisti, ai forgiari, ai limatori, agli accieri, ai fornacieri, agli staffatori, ai ribattitori, ai raffinatori, ai magliettieri: un’occupazione di buona dimensione per quei tempi e talora di ottima capacità tecnica alla quale deve sommarsi lo stuolo di artigiani, di piccoli commerciati, di manovali generici che vi era collegati nei mesi di più forte produzione. » (2008, p 9) Si aggiungono gli artigiani e professionisti che si trovano usualmente nei piccoli centri urbani. Come vedremo a Mongiana tra questi erano inclusi i giudici, i maestri, un ”medico” e un farmacista.

Più ancora che per le Seterie di San Leucio, vale la pena sottolineare « le condizioni di vita e di lavoro » nei stabilimenti della Mongiana paragonandole con quelle prevalenti durante le stesse epoche pre-capitaliste e capitaliste in GB e sul Continente. Il regime francese dopo la Rivoluzione napoletana lasciò un forte segno che fu soltanto modificato con la Restaurazione. Ad esempio, a parte l’eversione del feudalismo, anche con il Codice Civile e l’uguale diritto di tutti gli eredi e con l’inizio di una riforma agraria, il regime Murat tentò di razionalizzare l’economia del Regno. Furono così create nel 1810 « le Società agrarie in ogni capoluogo di provincia, trasformate in società economiche due anni dopo con il decreto del 30 luglio 1812. Per quanto riguarda i servizi pubblici, bisogna ricordare quello postale (con il contributo dei Comuni) e la scuola pubblica primaria (gli stessi Borboni avevano avvertito la necessità di migliorare, per quanto possibile, l’istruzione dei sudditi. Con decreto del 14 agosto 1806, venne, infatti, stabilito di creare scuole gratuite al fine di diffondere l’istruzione primaria. Tra le altre innovazioni introdotte dal governo napoleonico, si possono ricordare sia la legge di eversione del feudalismo che quella di soppressione degli ordini religiosi, con l’obiettivo di creare un largo ceto di piccoli proprietari.

Purtroppo, poche famiglie ebbero la possibilità e la fortuna d’investire nella maniera più redditizia i loro risparmi, per cui i risultati non furono quelli previsti.» (2007, p 45)

Nel 1811 per sopperire alla mancanza di manodopera in quello luogo isolato in montagna, in particolare i minatori, si trasferì alla Mongiana « i lavoratori delle saline chiuse, esentandoli dalla tasse della patente e del testatico.» (idem, p 55) Oltre ai professionisti essenziali già menzionati, si pensò « istituire una Cassa degli Operai ( che non ebbe, però, mai pratica attuazione), per l,assistenza di invalidi, vecchi, vedove, orfani e per le doti.» (idem)

« Difficile era anche ottenere animali per i trasporti. Si fece, allora, ricorso ad un espediente efficace; mentre da minatori, carbonai e fondatori, per essere mestieri duri, non si pretese nulla, a falegnami, forgiatori, staffatori, guardaboschi fu posta la clausola di presentare due muli, i cui servizi sarebbero stati retribuiti a prezzo di tariffa.

Il 2 giungo del 1811, il Governo emanò un decreto che esentava dalla coscrizione tutti cloro che ne facevano domanda, purché si impegnassero a lavorare negli stabilimenti di Mongiana.» (idem) A questi ”filiati” si conferiva pure « degli apprezzamenti di terreno e 40 ducati per costruire una barracca dove abitare. » (idem, p 39) In generale, sin da Carlo III « per assicurare la prima manodopera necessaria, si accordarono franchigie dall’autorità baronale e diritti di asilo, per cui anche i disertori ed altri fuorilegge furono attratti dall’iniziativa, costituendo la prima popolazione del luogo.» (idem)

Il De Stefano Manno da una interessantissima informazione sulla divisione del lavoro tra i mulattieri « filiati » di Mongiana e glia asinai della miniera di Pazzano. In genere, ai mulattieri era riservato il trasporto più pesante dei prodotti verso Pizzo o altri luoghi lontani, agli asinai quello dei sacchi di minerali e di carbone vegetale. Purtroppo, la produzione non era costante voi i ritmi stagionali, voi li fluttuazioni della domanda, per cui, il comando militare doveva vegliare a mantenere una certa equità nel trasporto per « non fare mancare la sussistenza.» (2008, p 166)

A Mongiana l’orario di lavoro era di 8 ore al giorno. « Nonostante tutto, le condizioni di vita a Mongiana non raggiunsero mai i livelli drammatici registrati in altri paesi europei. Qui, anche in funzione dei gravosi compiti, rimase sconosciuto il fenomeno dello sfruttamento delle donne e il lavoro minorile si limitò a funzioni gregarie con rari e turni di lavoro blandi.» (idem p 167) I figli degli operai avevano accesso alla scuola gratuita che gli indirizzava verso il tipo di professioni adatte alla montagna e ai stabilimenti del luogo. Viene precisato che « è istituita una Cassa degli Operai, una specie di Previdenza Sociale ante litteram, che assegna pensioni agli anziani che abbiano prestato almeno 35 anni di servizio. (…) Riguardo alle operazioni assistenziali non bisogna credere che sia tutta farina del sacco del Governo, o che l’onere sia a carico dello Stato. Come oggi, così era ieri: le opere sono autofinanziate, a pagare sono gli operai e la Direzione trattiene un grana per ogni ducato da esse percepito.» ( idem, p 47)

I minatori erano pagati a cottimo.« Un minatore, non capo-galleria, percepiva 4 ducati ogni cento cantaia (circa una tonnellata!) di minerale consegnato all’esterno; in media riusciva a estrarre cinquanta cantaia la settimana e, quindi, riusciva a racimolare 8 ducati al mese. Se, come spesso accadeva, il lavoro veniva interrotto a causa di allagamenti conseguenti a piogge, era giocoforza risparmiare sui già miseri guadagni » (idem, p 171) I mulattieri e asinai erano pagati secondo il trasporto, sacchi ecc. « Rispetto a quelle di minatori, carbonai, trasportatori e operai, le paghe dei capi officina e degli specializzati, quali limatori, tornitori e modellatori, erano superiori del 20 per cento, attestandosi in media a 12 ducati al mese. Il raffronto delle paghe in vigore per quaranta anni, dal 1820 al 1860, evidenza solo lievi aumenti, ma c’è da tenere presente che durante il Regno borbonico la moneta era stabile, l’inflazione sconosciuta e il potere d,acquisto rimase inalterato. » (idem, p 172)

De Stefano Manno fa risalire un altro aspetto distintivo dello sviluppo pre-industriale e proto-industriale pubblico della Mongiana, cioè la sua architettura urbana. Se i stabilimenti e le strutture connesse – canali, salti dei fiumi, ecc. – erano determinati dalla morfologia e dalle tecniche allora disponibili, «le case degli operai» valgono di essere messe a raffronto con l’urbanità industriale imposta dall’alto, con buone intenzioni sempre paternalistiche e a volta eugenisti che , in Inghilterra e altrove sul Continente.« Non si tratta di una cellula abitativa standard, quanto piuttosto di una tipologia ripetitiva dello stesso schema, pur essendo tradito e adattato alle singole esigenze familiari. Siamo di fronte a una « architettura senza architetti »; l’intero paese si è sviluppato in un modo spontaneo lungo gli assi di penetrazione, sui declivi persistenti e intorno ai singoli poli produttivi. Il paese fu realizzato materialmente dai suoi abitanti-operai e solo i principali corpi produttivi furono disegnati da tecnici e realizzati da imprese edili.» ( idem, p 214) Abbiamo visto che, sin dall’inizio, gli operai ”filiati” o meno, dovevano provvedere loro stessi alle costruzioni delle loro ”barracche”.

Spiega l’autore: « Il rapporto operaio-fabbrica non fu codificato in termini spazialmente rigidi: mancò la capacità di produrre una istituzione tipica dell’organizzazione produttiva ottocentesca. In altri termini mancò la fabbrica-villaggio come universo avulso dal contesto ambientale, chiuso in proprie regole, proiettato verso un’effimera dimensione ”positiva”, tale da farla spesso assurgere a modello di nuova organizzazione sociale derivata dalla razionalizzazione dei processi produttivi della fabbrica stessa (…) mancarono i vari Ledoux, Renard, Saltaire, quelli cioè che avevano tentato di conciliare gli interessi del capitale con quelli della classe operaia. Costoro immaginarono organismi ”morali”, ricorrendo al linguaggio nobile di un neoclassicismo capace di superare, ma solo in astratto, ogni contraddizione. Per loro le fabbriche furono edifici ricchi di simbologia, mezzi di comunicazione ideologica, portatrici del nuovo messaggio di prosperità legato al nascente mito della macchina. » (2008, p 217) A Mongiana prevalse un tipico e individualista « clan vitale » calabrese.

Per apprezzare l’originalità di questa « architettura senza architetti » vale forse la pena contrastarla con la costruzione post-terremoto del 1873 di Filadelfia, Calabria, un tipo di urbanesimo moderno pensato al tavolino – con ovvi richiami ad antichi schemi greci e romani – che influenzerà, ad esempio, molte Città nel Nuovo Mondo. (Vedi qui)

il sistema produttivo era sovra-determinato dalla gestione paternalista della forza di lavoro e dal regime protezionista. Non vi era « libertà del lavoro » nel senso marxista del termine, anche se, come nota l,autore, i grandi imprenditori inglesi e anglo-sassoni, specialmente nei settori siderurgici, erano « fautori dell’idea di liberalismo come sinonimo d’industrializzazione, (lasciando) intendere che tale libertà era un presupposto a operare fuori da qualunque costrizione, poiché una qualunque regolamentazione padrone-operaio avrebbe impedito il rapido e fruttuoso sviluppo dell’industria. » (idem, p 169)

La problematica era quella dello « sfruttamento scientifico della forza-lavoro » (idem, p 166) ma, ieri come oggi, questo ragionamento, valido dal punto di vista della composizione tecnica del processo di produzione, veniva portato avanti nell’unica ottica dell’accumulazione privata dei possessori dei mezzi di produzione. Di fatti, l’offensiva libro-scambista britannica atta a distruggere le barriere opposte dal Modo di produzione feudale allo sviluppo capitalista debbi subito fare i conti con la reazione protezionista, tipo Friedrich List, delle Formazioni sociali nazionali meno sviluppate. Oggi, con l’avvento nel Dopo-Guerra dello Stato Sociale – pianificazione, credito pubblico, imprese statali, monopoli naturali e previdenza sociale – il quale fece scaturire le cosiddette 30 Gloriose secondo Jean Fourastié, e con il suo disastroso smantellamento sin della competitività macro-economica garantita dallo Stato Sociale come base per una produttività micro-economica fiorente, pubblica o privata che sia. Non a caso, a parte l’epoca normanna, il mezzogiorno iniziò a svilupparsi realmente con la Prima Repubblica e la sua Costituzione che sanciva l’economia mista pianificata appoggiata dal credito pubblico e dunque capace di contrastare le disparità regionali. Se rimane vero che il Mezzogiorno fu il parente povero degli investimenti con una volontariamente fallita riforma agraria dopo la cacciata del PCI dal Governo nel 1947, tuttavia il disastro vero e proprio del nostro Sud risale alla privatizzazione di Bankitalia – 1981-1983 – che aprì la porta alle privatizzazioni e deregolamentazioni – IRI ecc – con una forte accelerazione dopo il vertice della Bolognigna che coincise con l’adozione dello Trattato di Maastricht. (9) Il disastro del federalismo fiscale per i LEP e LEA si iscrive in questa logica; l’autonomia differenziata che abolirà de facto l’unità italiana e ci riporterà ad una frammentazione peggiore di quella che attristava Machiavelli porta solo questa logica patologica al suo termine.

Ambedue gli autori menzionano l,attitudine degli operai e dei cittadini di Mongiana durante i vari moti storici. Dobbiamo comunque tenere conto del fatto che la gestione degli stabilimenti e del luogo era sotto controllo del Ministero della Guerra e del Comando militare. Si produceva sopratutto ghisa e armi. Sembra che il regime francese, con la sua modernizzazione in chiava anti-feudale socialmente orientata e protezionista, sia stato bene ricevuto anche se i Sanfedisti di Ruffo diedero priorità alla presa del luogo per la presenza della sua armeria. Duranti i moti del 1830-1831 Mongiana rimase calma. La Rivoluzione del 1848, la Primavera dei Popoli, vide l’occupazione momentanea della Mongiana dai rivoluzionari di Catanzaro anche loro attratti dalla sua Armeria. Non trovarono molto. » Gli storici si sono chiesti come mai i due cannoni non furono poi messi in campagna contro i borbonici e perché i ribelli, molto più numerosi, persero l’occasione di sconfiggere (il generale ) Nunziante. Forse, al di là della palese disorganizzazione dimostrata dai vertici della rivolta, ci si attendeva di più dallo stabilimento, sia in armi che in proseliti. Le attese sono andate deluse, pochissimi, tra cui Savino, hanno aderito fornendo più che altro appoggio morale. L’intera classe dirigente si è defilata e nessuno operaio ha voluto correre il rischio di essere radiato dall’unico stabilimento che in zona garantisce lavoro. Il solo Savino, uomo di maggior cultura e di dichiarate idee liberali, relegato in un avamposto dove le uniche attività culturali sono le quattro chiacchiere scambiate con i notabili del luogo, si è esposto in prima persona. Ma non pagherà duramente il suo essere liberale: deluso e costretto ad allontanarsi da Mongiana, sarà richiamato d’urgenza dalla Direzione che lo difenderà a spada tratta dalle accuse. » (2008, p 73)

Nel 1860, la guarnigione composta da 25 uomini contro una colonna di garibaldini di 1370 uomini non oppose resistenza. In seguito « Massimino ( il nuovo direttore liberale ) si trova a gestire una situazione esasperata dal mancato pagamento dei salari e si trova a capo di un paese aizzato all’alba del Plebiscito di Annessione dal risorto partito borbonico e dai preti scomunicatori dei liberali, diavoli negatori della religione, apportatori di fame e disonore. Tutto questo soffiare sul fuoco incendia gli animi. A Pazzano, tra il 5 e 6 ottobre, i mulattieri interpretano lo scontento al grida ”Viva Francesco II”. Tre giorni dopo appaiono nei boschi due bande di guerriglieri borbonici (…)

Cartina di tornasole del diffuso malcontento sarà il Plebiscito per l’Annessione del 21 ottobre. In tutta la provincia di Catanzaro, caratterizzata dalla vitoria del partito favorevole all’Annessione, escono dalle urne 615 voti contrari di cui più di un terzo proviene da Mongiana e Fabrizia dove,caso più unico che raro, la vittoria del ”No” è schiacciante. A Serra, invece, i ”liberali” prevalgono e dalle urne esce un numero di ”Si” di gran lunga superiore al numero totale degli aventi diritto al voto!» (2008, p 83)

Ma il malcontento continua. Il colonnello Massimino « propone ai rivoltosi di nominare un portavoce, la scelta cade sul commerciante De Marco. (…) Grazie al suo coraggio e alla presenza di spirito del suo interlocutore gli animi si raffreddano e il moto, pilotato dai preti, dai reazionari e forse anche dai stessi liberali, non ha conseguenze. La folla rifluisce alla notizia che le guardie nazionali di Serra e di Arena sono in marcia per sedare la rivolta e quando comprende che la notizia dello sbarco dei borbonici e priva di fondamento. » (idem, pp 84-85)

In 1870, in un tentativo di salvare la metallurgia di Mongiana ormai destinata alla chiusura, il Segretario comunale Zefferino Sadurny scrisse un lungo esposto nel quale fa risalire l,attitudine lodevole dei Mongianesi dato che sin dall’origine del centro abitato « fra questi abitanti non successe mai un delitto di sangue, non un furto non un reato qualunque: anzi messi i poveri mongianesi in questi ultimi tempi a prove durissime, rispettano ancora come cosa sacra la legge, le persone, la proprietà e muoiono onoratamente di fame. Una sola macchia sembra che oscuri questa gloria tutta propria dei mongianesi, un attentato cioè contro la persona del compianto ingegnere di Mine Enrico Garban il quale resse a poco questo stabilimento, ma l’assassino che in un bosco esplose proditoriamente contro di lui un’arma a fuoco, che fortunosamente gli cagionò se non una lieve scalfittura al braccio, se rimase ignorato sfuggendo ai rigori della giustizia, non fuggì certamente all’universale esecrazione dei mongianesi. » (2008, p 103)

Forse quello che caratterizzerà di più la sorte di Mongiana dopo l’Unità oltre alla sua prossima chiusura, è l’emergenza di Achille Fazzari, amico calabrese di Garibaldi e grande collezionista, presto in possesso degli stabilimenti della Ferdinandea, una figura che avrebbe potuto servire di modello a quella del sindaco parvenu don Callogero Sederà messo inscena nel Gattopardo dal Principe di Lampedusa. (Vedi 2008, p 190 e qui)

Il Reggente Domenico Fortunato Savino. « l’ingegnere costruttore » – 1864 -. come, prima di lui Francesco Giuseppe Conty – 1771- e il figlio Massimiliano Conty – 1791 -, il tenente colonnello Alessandro Massimino – 1860-1863 – e il maggiore Crescenzo Montagna – 1861 -, fu tra i direttori più marcanti del complesso metallurgico calabrese. Con un paio di altri ingegneri scelti, Savino, di origine salernitana, aveva compiuto un esteso viaggio di studi all’estero. « Sarà lui a rimettere in sesto le macchine, a redarre i progetti e a decidere la costruzione degli immobili nella forma giunta fino a noi. (…) è il progettista della Fabbrica d’Armi, il realizzatore della Caserma, della nuova Fonderia, di officine, strade, canali e, non ultimo, dello stesso cimitero in cui un giorno sarà sepolto. A lui si ci rivolge, timidamente all’inizio e poi di frequente, per dirimere controverse questioni tecniche. Savino è l’uomo dalle mille risorse che modifica e migliora macchine difettose, che realizza i carrelli mobili degli altoforni e che, su suggerimento di D’Agostino e Panzera, modifica e installa una macchina a vapore per immettere aria incandescente negli altoforni. E sempre lui ad ordinare una macchina a vapore per aumentare la forza motrice necessaria alla Fabbrica d’Armi. » (2008, p 68)

Queste qualità di adattamento e di inventività erano particolarmente necessarie a Mongiana non solo per l’isolamento in montagna ma anche per la seria di flagelli che la colpirano a ripetizione. Ad esempio, il terribile terremoto che colpì la Calabria nel 1783, l’epidemia di vaiolo del 1784-1785, le alluvioni del 1792-1795, il colera nel 1848, e di nuovo le alluvioni del 1854. (2007, p 12)

Possiamo concludere questa rapida sintesi di questi due libri importanti, sottolineando la qualità delle produzioni della metallurgia meridionale e particolarmente del complesso siderurgico della Mongiana. Questo non concerna solo le armi, notabilmente i fucili e moschetti, ma l’eminente contributo alla costruzione dei primi ponti sospesi in ferro e le prime navi a vapore. Non per niente, i due autori menzionano con rammarico come la qualità della produzione della Mongiana veniva premiata proprio nel momento in cui il governo piemontese avviava la chiusura. « 1862- Le miniere di Pozzano e gli stabilimenti di Mongiana vengono abbandonati, proprio mente le produzioni siderurgiche calabresi ricevevano riconoscimenti nazionali e internazionali ( a Firenze, nel 1861 ed a Londra, nel 1862). Con legge del 21 agosto n. 793, il polo metallurgico di Mongiana viene inserito nella lista dei beni demaniali soggetti a vendita che averà 11 anni dopo, a seguito della legge del 23 giungo 1873. » ( 2007, p 171)

De Stefano Manno espone le innovazioni metallurgiche che furono necessarie per costruire il Ferdinandeo, il Ponte sospeso sul Gariglione progettato dall’ingegnere Luigi Giura e inaugurato nel 1832 e il ponte gemello Cristina inaugurato nel 1835. Furono allora superate le critiche indirizzate ai Napoletani dagli esperti esteri. In effetti, « Mentre si procedeva a sbancare le rive del Gariglione, causa il vento, a Parigi crollò il ponte sospeso progettato dal

grande accademico Claude Louis Nnavier. Per precauzione, in attesa di essere rinforzato e tirantato, gli Inglesi chiusero al traffico il ponte in ferro di Driburgh sul Twed.» ( 2008, p 202) Gli ingegneri napoletani svilupparono processi innovativi per raggiungere la necessaria « rigidità rafforzata » in modo che se il Ferdinandeo era meno lungo « dall’inglese, dall’altra (parte) ha una luce, cioè la parte effettivamente sospesa. Più lunga. » ( idem, p 202) Per finire, l’autore nota che « I nazisti in ritirata, lo fecero salare e danneggiarono alcune delle catenarie. Sostituite queste, oggi il ponte costituisce un vanto italiano.» (idem, p 202) Fu così dal punto di vista tecnico per il ponte gemello, confutando similarmente « la vecchia nomea di produttori di materiale scadente » quelli di Mongiana « dimostrarono la superiorità di caldaie, ancore, catene, tubi, pompe, stufe, busti per monumenti e, da buoni managers, con un pizzico di legittima autoesaltazione dopo l’incessante pioggia di critiche, si fregeranno delle perfette fusioni delle travi e delle catenarie prodotte per il ponte Cristina sul Calore. » ( 2008, p 64)

Smentendo le accuse sulla « cattiva qualità dei manufatti e sull’imperizia delle maestranze meridionali, l’autore sottolinea come i Cantieri di Castellammare di Stabia « impostano e varano in meno di tre anni la pirofregata Messina ed ai cantieri San Rocco di Livorno ne occorreranno quattro per la gemella Conte Verde. In tre anni Castellammare vara la prima monocalibro del mondo la Dulio, e all’Arsenale di La Spezia ce ne vorranno quasi cinque per la gemella Dandolo.» ( 2008, p 88)

Mongiana sembra d’avvero essere la parabola del mancato sviluppo del nostro Mezzogiorno.

Paolo De Marco.

Note:

1 ) Il concetto di « ferriere itineranti » è dovuto a Brunello De Stefano Manno, 2008, p 26 . Si spiega per le condizioni di produzioni prevalenti prima dell’utilizzo del coke e dei trasporti moderni per il carbone e il minerale. L’autore cita il proverbio « pas de fer sans forêt » (p 27), e senza acqua … Ma servono pure strade, ferrovie e sbocchi marittimi.

2 ) Per la lista di questi comuni vedi www.parcodelleserre.it . Per i suoi megalitici, Nardodipace viene detta la « Stonehenge italiana ». Sembra che all’inizio degli anni 1970 un incendio boschivo rivelò un tempio preistorico quasi intatto, che fu subito distrutto – forse per cancellarne la memoria o forse per altre ragioni meno ragionate -, le pietre essendo utilizzate per la costruzione di strade, vedi http://rivincitasociale.altervista.org/archeoastronomia-lelefante-campana-megaliti-nardodipace-la-citta-della-porta-altri-tesori-sconosciuti-della-calabria-06-marzo-2017/

3 ) Vedi www.museorealiferrieremongiana.it . Scrive il De Stefano Manno: « Ideata nel 1851, la Fabbrica fu realizzata nel 1852. L’edificio d’ingresso è interessante da molti punti di vista: innanzitutto è particolare il fronte, con la trabeazione interamente in ghisa, composto da due imponenti colonne, altre 4,80 metri. Interessate è inoltre l’architrave istoriato, fuso nello stesso metallo. Poi, l’articolazione dell’atrio, due colonne e quattro semi-colonne, sempre di ghisa, alte la metà di quelle esterne, compongono una sorta di serliana ”spaziale”. (2008, p 201)

4 ) Vedi sui Paolo Cinanni qui e la Nota 11 qui e su Rosario Migale qui.

5 ) Maria-Antonietta Macchiocca nel suo libro L’amante della rivoluzione, Mondadori, 1998, ne da un’analisi molto negativa, facendo di San Leucio una cosa ben diversa dello « Hameau de la Reine » Marie-Antoinette ma quasi un lupanare reale, uno « harem » organizzato, ignorando così il tentativo paternalista di creare nuove relazioni di lavoro pre-industriali, incluso la scuola per i giovani. Scrive la Macchiocca: « Si tratta di una colonia di lavoro vicino a Caserta nella quale il re aveva riunito una trentina di famiglie i cui membri erano impiegati in lavori agricoli e nella manifattura della seta. I lavoratori erano anche i gestori dell’attività. Le leggi erano state concepite per essere « atte alla felicità » e perfino i matrimoni dovevano essere basati sulla « libera scelta » degli sposi,svicolati dalle ingerenze dei parenti. L’usanza della dote era stata abolita e il re aveva messo a disposizione un’abitazione arredata per ogni famiglia i cui membri erano impiegati nelle attività lavorative. Inoltre, vi era la decisione regale per cui i beni lasciati in eredità fossero divisi equamente tra i beneficiari. Cosa straordinaria per l’epoca, si era stabilito che tutti i fanciulli imparassero almeno a leggere e a scrivere. Tuttavia, non bisogna mitizzare – come fecero molti intellettuali e giacobini di allora – questa sorta di sperimentazione sociale: in realtà la colonia di San Leucio costituì esclusivamente un originalissimo amusement du Roi. » p 133.

Rimane che San Leucio fu il più gran esportatore del Regno. Per parte mia, credo che si debba dare il giusto peso alla « reazione » provocata dalla decapitazione di Marie-Antoinette, la quale era la sorella della regina Carolina, sposa di Ferdinanda, subito caduta sotto l’influenza degli Inglesi tramite Lord Acton e la cortigiana Lady Hhamilton, per non parlare dei banchieri Rothschild e del tristemente celebre Andrea Backer, che tradì la Sanfelice.

Una idea più metodologica della rivoluzione partenopea e della monarchia borbonica dal punto di vista storico si trova nel Eleonora Pimentel Fonseca, di Antonella Orefice, Salerno Editrice, 2019.

6 ) Vedi IL CARDINALE RUFFO ed i suoi Briganti ( Mammone e Fra diavolo) – Cose di Napoli

7 ) Idem, p 33. Una tale decapitazione delle forze vive successe nel Meridione dopo la cacciata del PCI dal governo nel 1947 seguita dalla Conferenza nazionale democristiana di Venezia del 1949 che aprì la porta all’emigrazione di massa di oltre 2 milioni dei nostri concittadini, evento cruciale ben analizzato da paolo Cinanni. L’emorragia si ripeterà in modo ancora più grave con la crisi dei subprimes del 2007-2008 quando il nostro Paese vide partire oltre 5 milioni di cittadini e lavoratori, sopratutto giovani.

8 ) Vedi Calabria sognata: Calabria, sognare quello che potrebbe essere in http://cotroneinforma.org/wp-content/uploads/2017/10/132.pdf , p 8

Vedi pure sulla mobilità moderna: http://rivincitasociale.altervista.org/mobilita-trasporti-cattive-strade-privatizzazioni-giungo-2018/

Per lo smantellamento dello Stato Sociale, vedi:

1 ) http://rivincitasociale.altervista.org/smantellamento-dello-stato-sociale-o-welfare-state-anglo-sassone-e-politiche-neoliberali-monetariste-viste-sotto-langolo-del-contratto-di-lavoro/ come pure la Categoria Lavoro del medesimo sito, e

2 ) Sulla Sanità: http://rivincitasociale.altervista.org/la-sanita-tra-tagli-e-corruzione-una-vittima-eccellente-del-federalismo-fiscale/ . Per i disastri del neoliberalismo monetarista versione Davos e Big Pharma, vedi pure: http://rivincitasociale.altervista.org/sars-cov-2-brevesflash-newsbreve/

Commenti disabilitati su (+ EN & FR VERSIONS) Recensione del libro di Gianluca Congi, « Atlante fotografico degli uccelli del Parco Nazionale della Sila con inediti contributi sull’avifauna silana, Seconda edizione riveduta e aggiornata. Ente Parco Nazionale della Sila-Lorica di San Giovanni in Fiore (cs), 416 pp, Marzo 2021 », 22 Marzo 2024.

Questo libro, frutto di oltre 23 anni di lavoro e di ricerca, da un contributo importante allo studio dell’avifauna silana e alla divulgazione delle bellezze naturalistiche della Sila. In quanto territorio montano situato nel cuore della Magna Grecia, la Sila fu parte integrante della culla mediterranea e occidentale della civiltà moderna. Fu ospite di Pitagora e diede i natali durante il Primo Rinascimento medievale all’Abate florense pitagorico Gioacchino da Fiore, l’ideatore della secolarizzazione dello Spirito lungo una Storia di conflitti, di fratellanza e di emancipazione umana.

La Sila, suddivisa in Sila Grande, Sila Piccola e Sila Greca, parte delle Alpi traslocata a Sud, è conosciuta da sempre come « il Gran Bosco d’Italia ». L’autore Gianluca Congi la descrive con innato affetto come il « cuore verde nell’azzurro mediterraneo » (p 41), immagine che spiega certamente le lunghe ore consacrate sin dalla tenera infanzia all’osservazione e allo studio degli uccelli del Parco Nazionale e dell’area MaB Riserva UNESCO della biosfera della Sila.

Chi ama la Natura e le Belle Arti sa che ogni uccello è un capolavoro, per così dire una « natura viva ». « Sono 760 fotografie per il solo atlante fotografico e riguardano ben 151 diverse specie. In totale il numero delle immagini proposte nel volume raggiunge le 853 unità. Inoltre, sono presenti: 15 illustrazioni, di cui 2 inedite (il disegno del Picchio nero e l’elaborazione della foto del Culbianco con la descrizione della relativa topografia ), 5 carte di inquadramento territoriale e 9 foto-illustrate derivanti da immagini dell’autore, con all’interno celebre frasi sugli uccelli e sulla natura. » ( p 32)

A parte 6 foto fornite da amici, tutte le altre « sono state rigorosamente realizzate dallo sottoscritto – G. Congi – sul territorio della Sila. » dal 1997 al 2020. (p 33)

I specialisti della disciplina saranno grati per questa somma di lavoro. (1) Come tutti quelli che si sono impegnati con passione e disinteressamento – l’opera, la cui seconda edizione fu stampata in 1000 esemplari *, fu donata al Parco gratis -, Gianluca Congi, Vice Presidente della Società Ornitologica Italiana, nonché coordinatore del GLC, LIPU Sila, non esita a rendere un sentito omaggio ai suoi predecessori. Scrive « Ai compianti Edgardo Moltoni (1896-1980), ornitologo italiano di fame internazionale e vero pioniere degli studi ornitologici silani e a Sergio Tralongo (1961-2019), stimato amico ed eccellente ornitologo calabrese, rivolgo la mia gratitudine per le preziose opere sull’ornitofauna. » ( 21)

Il libro è suddiviso in Cinque Parti più gli Appendici. La Seconda Parte fornice una sintesi « della normativa a tutela degli uccelli selvatici e dei loro habitat ». Sarà apprezzata da tutti gli ambientalisti come pure dai neofiti. Similarmente, la Terza Parte « consacrata agli ambienti e paesaggi presenti in Sila » è adornata da 32 foto che catturano lo splendore naturalistico dell’Altopiano silano, scrigno naturale dei tesori alati che lo popolano. Sono ben « 151 diverse specie di uccelli » ad avere scelto la nostra regione per il loro habitat.

Oltre agli inediti contributi sull’avifauna silana, i specialisti apprezzeranno « l’Indice analitico delle specie trattate nell’atlante fotografico e nella Check-List, con richiami nel testo. »

Da sottolineare 15 « Box-Curiosità e approfondimenti. » Ad esempio, il Box 1 « il volo in V » degli uccelli « con il fine di sfruttare i vortici d’aria creati dall’individuo che sta avanti, venendo quindi « risucchiati » e stancandosi di meno durante il volo. » (p150), oppure il Box 15 « dieta e sali minerali » (p 353).

Chi dice fauna e uccelli, a volta esemplari rari, dice possibile bracconaggio. Il nostro giovane concittadino sangiovannese Gianluca Congi è anche Brigadiere capo della Polizia provinciale di Cosenza e dunque contribuisce in questo ruolo alla tutela del nostro patrimonio naturalistico e avi-faunistico. Su Geo, la nota trasmissione di Raitre, si può ammirare la sua presentazione della « Cicogna nera che ha fatto della Sila la sua dimora stabile » (2)

La nostra Sila dai mille sentieri e dai mille ruscelli è un giardino naturale. Sono a disposizione degli escursionisti oltre 600 km di sentieri in un ambiento quasi incontaminato. (3) Questo libro ne fornisce una splendida illustrazione tanto visuale quanto scientifica. Perciò, l’autore consiglia la lettura dell’opera « sdraiati su un prato, seduti in un bosco o più semplicemente in contemplazione lungo la riva di un fiume » (p 37 )

Concludiamo citandolo un’altra volta: « Un mondo senza uccelli non sarebbe la stessa cosa. » (p 24)

Paolo De Marco, sangiovannese.

22 Marzo 2024.

Note:

1 ) Per alcune recensioni scientifiche, i specialisti potranno consultare questo articolo: « Il libro di Gianluca Congi sugli uccelli della Sila recensito sulle riviste ‘Il Naturalista Siciliano’ e ‘Picus’ »,  Le ultime recensioni a cura di Bruno Massa, direttore responsabile de: Il Naturalista siciliano e da parte del biologo – ornitologo Maurizio Fraissinet su Picus, la rivista di ornitologia edita dal CISNIAR. Il libro di Congi si trova anche in alcune importanti biblioteche pubbliche del Paese e presso la biblioteca specializzata della Stazione ornitologica svizzera a Sempach che è una delle più grandi biblioteche ornitologiche europee, di Monia Sangermano, 19 Apr 2022, https://www.meteoweb.eu/2022/04/libro-gianluca-congi-sila/1786366/

In oltre, troveranno una approfondita recensione scientifica della prima edizione del 2019 redatta da Flavio Ferlini. Si veda: https://www.academia.edu/79241313/Atlante_fotografico_degli_uccelli_del_Parco_Nazionale_della_Sila_con_inediti_contributi_sull_avifauna_silana

2 ) Trasmissione del 15 febbraio 2024 (a -1:07:00) Ecco la email: https://www.raiplay.it/video/2024/02/Geo—Puntata-del-15022024-558a26db-c0fa-42ad-ab30-75bf35b4f8c9.html

Il Corriere della Sila ha segnalato la trasmissione alla pagine 6 del suo numero di Marzo 2024.

3 ) Si veda : https://parcosila.it/itinerari/sentieri/#:~:text=Attualmente%20la%20rete%20dei%20sentieri%20del%20Parco%20Nazionale,51%20secondari%20e%205%20tratti%20del%20sentiero%20Italia.

Il Sito del Parco Nazionale della Sila: https://parcosila.it/

* ) La mia copia, gentilmente autografata dall’autore, presenta una duplicazione delle pagine 65-72.

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English version

Review of Gianluca Congi’s book, « Atlante fotografico degli uccelli del Parco Nazionale della Sila con inediti contributi sull’avifauna silana », Second revised and updated edition. Ente Parco Nazionale della Sila-Lorica di San Giovanni in Fiore (cs), 416 pp, March 2021 », 22, 2024.

This book, the result of more than 23 years of work and research, makes an important contribution to the study of Silan avifauna and to the popularization of Sila’s natural beauty. As a mountainous territory located in the heart of Magna Graecia, Sila was an integral part of the Mediterranean and Western cradle of modern civilization. It was the host of Pythagoras and, during the Early Medieval Renaissance, it was the birthplace of the Pythagorean founder of the Order of Flora, the Abbot Gioacchino da Fiore, the originator of the secularization of the Spirit in the long course of a History of conflict, brotherhood and human emancipation.

Sila, subdivided into Sila Grande, Sila Piccola and Sila Greca, apart of the Alps translocated to the South, has always been known as ” the Great Forest of Italy.” Author Gianluca Congi describes it with innate affection as the ” green heart in the Mediterranean blue ” (p 41), an image that certainly explains the long hours devoted since early childhood to observing and studying the birds of the National Park and the MaB area UNESCO Biosphere Reserve of Sila.

Those who love Nature and Fine Arts know that every bird is a masterpiece, so to speak a ” living nature. ” There are 760 photographs for the photo atlas alone and they cover as many as 151 different species. In total, the number of images offered in the volume reaches 853. In addition, there are: 15 illustrations, 2 of which are unpublished (the drawing of the Black Woodpecker and the elaboration of the photo of the Wheatearrow with the description of its topography ), 5 maps of territorial framing and 9 photo-illustrations derived from the author’s pictures, with famous phrases about birds and nature inside. ” ( p 32)

Apart from 6 photos provided by friends, all the others ” were strictly taken by the undersigned – G. Congi – on the Sila territory. ” from 1997 to 2020. (p 33)

The specialists in the discipline will be grateful for this sum of work. (1) Like all those who committed themselves with passion and selflessness – the work, the second edition of which was printed in 1,000 copies*, was donated to the Park free of charge -, Gianluca Congi, Vice President of the Italian Ornithological Society, as well as coordinator of the GLC, LIPU Sila, does not hesitate to pay a heartfelt tribute to his predecessors. He writes ” To the late Edgardo Moltoni (1896-1980), Italian ornithologist of international fame and a true pioneer of ornithological studies in Sila, and to Sergio Tralongo (1961-2019), esteemed friend and excellent Calabrian ornithologist, I address my gratitude for their valuable works on ornithofauna. ” ( 21) 

The book is divided into Five Parts plus Appendices. Part Two provides a summary ” of legislation to protect wild birds and their habitats.” It will be appreciated by all conservationists as well as neophytes. Similarly, Part Three ” devoted to the environments and landscapes found in Sila ” is adorned with 32 photos that capture the naturalistic splendor of the Silan Plateau, the natural treasure chest of the winged treasures that populate it. As many as ” 151 different species of birds ” have chosen our region for their habitat.

In addition to the unpublished contributions on Silan avifauna, specialists will appreciate ” the Analytical Index of species covered in the Photo Atlas and the Check-List, with references in the text. “

Of note are 15 ” Box-Curiosities and Insights. “. For example, Box 1 ” the V-flight ” of birds ” with the purpose of taking advantage of the air vortices created by the individual ahead, thus being ” sucked in ” and becoming less tired during flight. ” (p150), or Box 15 ” diet and minerals ” (p 353).

Those who say fauna and birds, sometimes rare specimens, say possible poaching. Our young Sangiovannese fellow citizen Gianluca Congi is also Chief Brigadier of the Cosenza Provincial Police and therefore he contributes in this role to the protection of our naturalistic and avian-faunal heritage. On Geo, the well-known Raitre program, you can admire his presentation of the ” Black stork that has made Sila its permanent home ” (2)

Our Sila of a thousand trails and streams is a natural garden. More than 600 km of trails in an almost pristine environment are available to hikers. (3) This book provides a splendid illustration of this both visually and scientifically. Understandably, the author recommends reading the work “lying on a meadow, sitting in a forest or more simply in contemplation along the bank of a river” (p 37 )

We conclude by quoting him one more time, ” A world without birds would not be the same. ” (p 24)

Paolo De Marco, Sangiovannese.

March 22, 2024.

Notes:

1 ) For some scientific reviews, specialists may consult this article, « Il libro di Gianluca Congi sugli uccelli della Sila recensito sulle riviste ‘Il Naturalista Siciliano’ e ‘Picus’ », The latest reviews by Bruno Massa, editor in chief of: The Sicilian Naturalist and by biologist-ornithologist Maurizio Fraissinet in Picus, the ornithology magazine published by CISNIAR. Congi’s book can also be found in some important public libraries in the country and at the specialized library of the Swiss Ornithological Station in Sempach, which is one of the largest ornithological libraries in Europe, by Monia Sangermano, Apr 19, 2022, https://www.meteoweb.eu/2022/04/libro-gianluca-congi-sila/1786366/

In addition, they will find an in-depth scholarly review of the first 2019 edition written by Flavio Ferlini. See: https://www.academia.edu/79241313/Atlante_fotografico_degli_uccelli_del_Parco_Nazionale_della_Sila_con_inediti_contributi_sull_avifauna_silana   

2 ) See the transmission of February 15, 2024 (at -1:07:00) Here is the email: https://www.raiplay.it/video/2024/02/Geo—Puntata-del-15022024-558a26db-c0fa-42ad-ab30-75bf35b4f8c9.html  

The Corriere della Sila reported the broadcast on page 6 of its March 2024 issue. 

3 ) See : https://parcosila.it/itinerari/sentieri/#:~:text=Currently%20the%20network%20of%20sentiero%20of%20the%20National%20Park%20,51%20secondary%20and%205%20tracts%20from%20the%20sentiero%20Italy .

The Sila National Park Site: https://parcosila.it/  

* ) My copy, kindly autographed by the author, has duplicate pages 65-72.

XXX

French version. Version franҫaise

Compte rendu du livre de Gianluca Congi, « Atlante fotografico degli uccelli del Parco Nazionale della Sila con inediti contributi sull’avifauna silana, deuxième édition révisée et mise à jour. Ente Parco Nazionale della Sila-Lorica di San Giovanni in Fiore (cs), 416 pp, mars 2021 », 22 mars 2024.

Ce livre, résultat de plus de 23 ans de travail et de recherche, apporte une contribution importante à l’étude de l’avifaune de la Sila et à la diffusion de sa beauté naturelle. Territoire montagneux situé au cœur de la Grande Grèce, la Sila faisait partie intégrante de la Méditerranée et du berceau occidental de la civilisation moderne. Elle fut la patrie de Pythagore et donna naissance, au début de la Première Renaissance médiévale, à l’abbé pythagoricien Gioacchino da Fiore, qui créa l’Ordre de Flore et qui fut le créateur de la sécularisation de l’Esprit au cours d’une longue Histoire faite de conflits, de fraternité et d’émancipation humaine.

La Sila, subdivisée en Sila Grande, Sila Piccola et Sila Greca, une partie des Alpes qui migra vers le Sud, a toujours été connue comme “la Grande Forêt de l’Italie”. L’auteur Gianluca Congi la décrit avec une affection innée comme le “cœur vert dans le bleu de la Méditerranée” (p. 41), une image qui explique certainement les longues heures consacrées depuis sa tendre enfance à l’observation et à l’étude des oiseaux du parc national et de la zone MaB, la réserve de biosphère UNESCO de la Sila.

Les amoureux de la Nature et des Beaux-Ats savent que chaque oiseau est un chef-d’œuvre, une “nature vivante” en quelque sorte. “L’atlas photographique compte à lui seul 760 photographies, couvrant pas moins de 151 espèces différentes. Au total, le volume compte 853 images. A cela s’ajoutent : 15 illustrations, dont 2 inédites (le dessin du pic noir et l’élaboration de la photo du bruant avec une description de sa topographie), 5 cartes de cadrage territorial et 9 photo-illustrations dérivées des photos de l’auteur, avec à l’intérieur des phrases célèbres sur les oiseaux et la nature. ” ( p 32)    

A part 6 photos fournies par des amis, toutes les autres ” ont été prises par le soussigné – G. Congi – sur le territoire de Sila. “(…) de 1997 à 2020. (p 33)

Les spécialistes de la discipline seront reconnaissants pour cette somme de travail. (1) Comme tous ceux qui se sont engagés avec passion et désintéressement – l’ouvrage, dont la deuxième édition a été tirée à 1000 exemplaires*, a été offert gracieusement au Parc -, Gianluca Congi, Vice-Président de la Société ornithologique italienne et coordinateur du GLC, LIPU Sila, n’hésite pas à rendre un hommage appuyé à ses prédécesseurs. Il écrit : “A feu Edgardo Moltoni (1896-1980), ornithologue italien de renommée internationale et véritable pionnier des études ornithologiques à Sila, et à Sergio Tralongo (1961-2019), ami estimé et excellent ornithologue calabrais, j’adresse ma gratitude pour leurs précieux travaux sur l’ornithophilie”.(p 21)

L’ouvrage est divisé en Cinq Parties et en Annexes. La deuxième partie présente un résumé “de la législation protégeant les oiseaux sauvages et leurs habitats”. Elle sera appréciée par tous les protecteurs de la nature ainsi que par les néophytes. De même, la troisième partie ” consacrée aux milieux et paysages de la Sila ” est agrémentée de 32 photos capturant la splendeur naturaliste du Plateau de la Sila, véritable écrin naturel des trésors ailés qui le peuplent. Pas moins de “151 espèces différentes d’oiseaux” ont choisi notre région comme habitat.

Outre les contributions inédites sur l’avifaune de la Sila, les spécialistes apprécieront ” l’Index analytique des espèces couvertes par l’atlas photographique et la Check-List, avec des références dans le texte. “

Les 15 ” Encadrés-Curiosités et Regards ” sont particulièrement intéressants.”. Par exemple, l’encadré 1 ” le vol en V ” des oiseaux ” dans le but d’exploiter les tourbillons d’air créés par l’individu qui les précède, d’être ainsi ” aspirés ” et de moins se fatiguer en vol. “(p150), ou l’encadré 15 ” alimentation et minéraux ” (p 353).

Qui dit faune et oiseaux, parfois des spécimens rares, dit braconnage possible. Notre jeune concitoyen Sangiovannese Gianluca Congi est également Brigadier-Chef de la police provinciale de Cosenza et contribue donc, à ce titre, à la protection de notre patrimoine naturel et ornithologique. Sur Geo, le célèbre programme de Raitre, on peut voir sa présentation de la “Cigogne noire qui a fait de Sila sa demeure permanente” (2).

Notre Sila aux mille sentiers et aux mille ruisseaux est un jardin naturel. Plus de 600 km de sentiers dans un environnement presque intact sont à la disposition des randonneurs. (3) Ce livre en est une splendide illustration visuelle et scientifique. C’est pourquoi l’auteur recommande de lire l’ouvrage “allongé dans une prairie, assis dans une forêt ou plus simplement en contemplation au bord d’une rivière” (p 37 ).

Nous conclurons en le citant encore une fois : “Un monde sans oiseaux ne serait pas le même. ” (p 24)

Paolo De Marco, Sangiovannese.

22 mars 2024.

 Notes :

1 ) Pour quelques comptes rendus scientifiques, les spécialistes peuvent consulter cet article : « Il libro di Gianluca Congi sugli uccelli della Sila recensito sulle riviste ‘Il Naturalista Siciliano’ e ‘Picus’ », Les derniers comptes rendus de Bruno Massa, rédacteur en chef de : Il Naturalista siciliano et par le biologiste-ornithologue Maurizio Fraissinet dans Picus, la revue d’ornithologie publiée par le CISNIAR. Le livre de Congi est également disponible dans certaines bibliothèques publiques importantes du pays et à la bibliothèque spécialisée de la Station ornithologique suisse de Sempach, qui est l’une des plus grandes bibliothèques ornithologiques d’Europe, par Monia Sangermano, 19 avr. 2022, https://www.meteoweb.eu/2022/04/libro-gianluca-congi-sila/1786366/

En outre, vous trouverez un examen scientifique approfondi de la première édition de 2019, rédigé par Flavio Ferlini. Voir : https://www.academia.edu/79241313/Atlante_fotografico_degli_uccelli_del_Parco_Nazionale_della_Sila_con_inediti_contributi_sull_avifauna_silana

2 ) La transmission du 15 février 2024 (à -1:07:00) Voici l’email : https://www.raiplay.it/video/2024/02/Geo—Puntata-del-15022024-558a26db-c0fa-42ad-ab30-75bf35b4f8c9.html  

Le Corriere della Sila a fait état de l’émission en page 6 de son numéro de mars 2024.

3 ) Voir : https://parcosila.it/itinerari/sentieri/#:~:text=Attualmente%20le%20réseau%20de%20sentiero%20du%20Parc%20National%20,51%20secondaires%20et%205%20tracts%20du%20sentiero%20Italie .

Le Site du Parc National de la Sila : https://parcosila.it/

* ) Mon exemplaire, aimablement dédicacé par l’auteur, présente une duplication des pages 65-72.

Commenti disabilitati su Débiliter les peuples souverains avec les « communs », critique du livre de Pierre Dardot et Christian Laval, 10 février 2024.

Re : Pierre Dardot, Christian Laval, Commun : essai sur la révolution au XXIè siècle, La Découverte poche, 2014, 2015.

Introduction

Catégories aristotéliciennes ou concepts historiquement déterminés.

La sur-représentation et la délégitimation du socialisme et du communisme.

Délégitimation des biens publics, de l’Etat social et du New Deal.

Quelques rectificatifs sur les falsifications bourgeoises.

La problématique de la transition.

Sur leur interprétation de Castoriadis.

Sur les Modes de production comparés.

Détours par les « commons » anglais.

Le nouveau sophisme des servi in camera et des bas clergés.   

Rousseau, Hegel et le « commun ».

L’eau comme « commun » : Lucarelli, Podestà etc. vs le référendum de 2011.

Conclusion.

Résumé en 10 points de synthèse.

Notes

Introduction

Selon ces ineffables auteurs post-modernes, c’est-à-dire post-communistes à leur façon, il faudrait se garder de revendiquer des « biens communs », autrement connus comme « biens publics » offerts par des entreprises publiques, car cela renverrait à des traditions nationales et étatiques souveraines qui sont désormais obsolètes puisque la révolution néolibérale globale a gagné la bataille. Pour ces auteurs cette victoire ne concerne pas uniquement la globalisation politique mais aussi la théorie néolibérale – Mises, Hayek etc. – du « marché ». Cette pure ineptie est du même calibre que leur choix de donner la priorité à la valeur d’usage sans considération pour la valeur d’échange, ce qui n’est en réalité qu’une manière de la ravaler au subjectivisme de l’« utilité » marginaliste. (1) Il faudrait donc oublier les conquêtes sociales passées et s’adapter en s’organisant autrement, ou plutôt passer son temps à discourir de ces nouveaux modes d’organisation antisystèmes selon lesquels, en conformité avec l’adage alter-globaliste, il faut désormais « penser global mais agir strictement au plan local ». On a même entendu certains dire tout haut en renversant Shakespeare : « They have the talk, we have the walk » ou « Laissons les manifester et allons de l’avant ». Cette thèse s’étale sur 759 pages sans compter la 4ème de couverture. Son message principal, parfaitement inscrit dans l’air du temps occidental, est celui de la dénonciation du « communisme contre le commun », celui de la logorrhée dénonciatrice de toute forme de « socialisme réel ». D’ailleurs proclament-ils : « Ce communisme prétendument scientifique est partout à l’agonie » (p 95) Par prudence, sont aussi écartés les « commons » anglais trop ouvertement subordonnés et vulnérables face aux enclosures capitalistes. Les narrations de classes n’aiment pas le « réel ».

Ainsi, en matière de « commun » il faudrait distinguer le substantif « commun » du qualitatif le « commun ». Le substantif « commun » renvoie donc à une « praxis constituante », à un procès d’institutionnalisation sociale – pardonnez la redondance – qui sait néanmoins rester à l’écart de toute « institution » qui, par définition, en empruntant à Sartre, ne porterait qu’à la réification du processus. Un processus qui ne s’objectifie pas dans la réalité peut-il être une « praxis » ?

En outre, dans ce sens-là, les « communs » renverraient à ce qui est fondamentalement « inappropriable ».

Au fond, tout cela n’a aucun lien avec le réel et doit se limiter à l’imaginaire – pour « militant.e.s nihilistes » portés à la rivière par les éternels joueurs de pipeaux et autres bas clergés : « On objectera peut-être que la pratique d’une telle citoyenneté ne suffit pas à rapprocher de nous l’horizon d’une fédération mondiale des communs. Laissons Hannah Arendt répondre à cette objection : « Mais si vous me demandez à présent quelles peuvent en être les chances de réalisation (d’un Etat formé à partir des conseils ), je dois vous répondre qu’elles sont extrêmement faibles, pour autant même qu’elles existent. Mais, peut-être, après tout, avec la prochaine révolution …» ( p 728) L’important c’est de mener les peuples et surtout le jeunes néo-pastoureaux en « croisades » avec ces mirages de « communs » et avec les inepties génocidaires du GIEC, pour qui la Terre, aux ressources finies, ne pourrait supporter que quelques 2 milliards d’individus. Or, nous sommes déjà plus de 8 milliards … (voir les textes en français dans la catégorie Ecomarxismo ici; voir aussi le Note 2, plus bas)

Au fond tout ce charabia subordonné au néolibéralisme global donné comme triomphant prétend occulter cette supercherie en ressassant des clichés sur de fausses oppositions entre « socialisme réel » et socialisme démocratique, entre social et politique, le politique devant se dissoudre de manière permanente non pas dans le « social » – il faut penser global mais se limiter à l’action local, pour ne pas déranger les puissants globalistes – mais dans le « commun » qui reste indéfinissable, limité par – leur – définition.

Cette supercherie repose sur une falsification primaire qui mutile la pensée marxiste, à savoir que ce « commun » remplacera la propriété par la valeur d’usage (p 590). Or, c’est chose impossible vu la nécessité de l’échange des marchandises entre elles, dont la valeur d’échange repose sur un vecteur tangible, la valeur d’usage. L’échange découle, en effet, de la nécessaire division sociale – et internationale – du travail. Marx, les marxistes et les Bolchéviques – qui avaient pour leur part inventé la « possession individuelle » contre la propriété privée, dont la datcha stalinienne – soulignent clairement que la place occupée par le Domaine de la Nécessité économique lié à la valeur d’échange, donc à la production de marchandises, ira en diminuant, libérant ainsi, par des cycles de RTT successifs, le Domaine de la Liberté socialiste où les Etres humains, enfin émancipés, auront du temps libre durant lequel épanouir leur personnalité, par exemple en produisant par le travail non-aliéné des valeurs d’usage qui ne seront plus destinées à être des marchandises échangées pour en tirer un profit.

 Remarquez la peu habile dissimulation : ces deux auteurs opposent propriété privée à valeur d’usage, or la propriété privée renvoie à la valeur d’échange, donc à la dualité intrinsèque de toute marchandise, valeur d’échange portée par un vecteur valeur d’usage. Ils ne pouvaient évidement pas dire que la valeur d’échange serait remplacée par la valeur d’usage sans passer pour des ânes. Ils jouèrent donc sur un innuendo langagier pour les nuls – et malheureusement pour les étudiantes et étudiants qui n’ont plus en général que ce genre d’enseignants et de professeurs. C’est d’un pathétisme accompli. Et il est peu surprenant qu’ils aient eu l’appui empressé du PCF post-Marchais et d’une certaine gauche qui, elle aussi, chantait la victoire du néolibéralisme et concevait ses mesures d’accompagnement avec, par exemple, la « justice sociale » à la Giddens et à la Rawls. Quant à eux, ils ajoutent, selon l’air du temps, les « communs » sans en connaitre la genèse néoconservatrice-reaganienne – voir ci-dessous à propos de l’attaque de Reagan contre l’UNESCO et la Conférence du Droit de la Mer.   

Catégories aristotéliciennes ou concepts historiquement déterminés.

Ces auteurs ont ainsi consacré leur livre à tresser ce qui était autrefois qualifié de « mythes soréliens », les narrations propagées par de nombreux servi in camera et autres bas clergés laïques ou moins au bénéfice des masses bonnement jugées crédules quant à leurs propres droits sociaux conquis de haute lutte. Ils débutent par une série de digressions sur certains concepts tirés du droit romain préalablement soustraits par eux à leurs déterminations historiques. Ils digressent longuement sur le res nullius, le res communis, le res communis in bonis, l’ager publicus, l’ager privatus etc. Ces expositions ne seraient pas sans intérêts si, à la Vico ou à la Marx, elles respectaient les genèses et les fonctions historiques de ces concepts juridiques plutôt que de les traiter de manière statique et abstraite. Mais leur analyse idéologique a-historique ne leur permet pas. Le prix à payer est fatal car il mène à l’impasse barbare de l’incompréhension du droit et de ses catégories conҫus sans historicité, de sorte qu’une taxonomie romaine antique occulte les formes de propriété et de possession qu’elle recouvrait alors ainsi que leur devenir, faisant ainsi l’impasse sur les formes de propriété et de possession collectives qui entérineront le dépassement du Mode de production capitaliste.

Selon Vico, le concepteur moderne du « diritto delle genti » institutionnalisant la Loi naturelle, les institutions sont une des trois Réalités objectives qui incluent également la Nature et les « fictiones » ou concepts intellectuels, sur la base desquelles se meut la dialectique historique d’ensemble. (voir mon Introduction méthodologique) Le droit et les institutions qu’il régente ne sont que l’objectivation de la lutte des classes qui porte, bien entendu de manière non-linéaire et avec un parcours parfois marqué par de dramatiques « retours » exclusivistes et rabbinico-nietzschéens, vers une émancipation égalitaire toujours plus marquée de l’Espèce humaine. Vouloir abstraire la lutte pour la préservation, la défense et l’extension des conquêtes politiques et sociales du champ du droit est, au mieux, une invitation à la reddition de classe et à la puérilité propre aux chatting classes qui accompagnent le globalisme spéculatif lié aux social media. Au pire, cela transforme les citoyens, surtout les jeunes, en nouveaux « poverelli » et en nouveaux « pastoureaux » menés en croisade climatologique contre le CO2, préalablement établi en nouveau « péché originel » à l’usage des « gentils » puisque il est bénéfique à la végétation et aux cultures et que la vie sur Terre est à base carbone … (2)

L’« inappropriable » qu’ils font miroiter est de cette farine mais il implique une réfutation passablement analphabète de la pensée moderne, en particulier de la pensée dialectique. Un paupérisme conceptuel qui informe l’incompréhension du droit, tel que pointé ci-dessus. L’Être humain devant nécessairement se reproduire au sein de la Nature et de la Société, l’appropriation de la triple réalité vichienne par le travail humain manuel et intellectuel est constitutif de son propre être naturel et historique. L’inappropriable est une impossibilité qui nie les formes dialectiques de notre interaction en tant qu’Espèce avec la Nature et l’Histoire. Si l’on se situe au niveau concret, l’inappropriable se confond au mieux avec l’inépuisable : ce qui nous renvoie à Locke, la Terre, la Nature appartenant également à tous les Hommes, se pose alors la question de l’appartenance des fruits du travail individuel – et social – donc des formes de propriété que ces deux auteurs veulent obstinément occulter.

Puisque l’Espèce humaine est à la fois Nature et Histoire, pour éviter qu’elle ne se nie elle-même, il importe que sa reproduction au sein de la Nature et de l’Histoire soit la plus harmonieuse possible, ce qui condamne aussi les dérives, du genre Davos et al., concernant la modification de l’Espèce humaine en tant qu’Espèce en vue de qui sait quel horizon post-humain cherchant à actualiser les pires inepties exclusivistes excogitées par des « pitres » à la Zacaria Sitchin élucubrant sur les supposées expériences génétiques des Anunnaki – lui qui savait mal le sumérien – et sur les planètes manquantes. Un certain humanisme idéaliste affirme avec les meilleures intentions du monde que l’Homme écrit sa propre Histoire, qu’il se crée lui-même dans le devenir historique ce qui est parfaitement exact du moins si l’on respecte les données de la dialectique d’ensemble. Cette autocréation ne concerne pas la transformation de l’Espèce vers autre chose, sur-espèces dominant sur des sous-espèces, espèces à la carte etc. Ceci nie l’émancipation humaine qui concerne la dialectique de l’Histoire s’accomplissant sur sa base naturelle. Peut-être que certaines réticences relèvent de la confusion entre le « genre » qui est, en partie, une construction sociale, et le génome qui est la base génétique matérielle définissant l’Espèce en tant qu’Espèce. On ne peut émanciper l’Espèce humaine en niant son humanité ou alors c’est qu’on a d’autres projets en tête.(3) Dans le 18 Brumaire de Louis Bonaparte Marx écrit : « Les hommes font leur propre histoire, mais ils ne la font pas arbitrairement, dans les conditions choisies par eux, mais dans des conditions directement données et héritées du passé.» (Voir ici)

Comme on sait, pour les globalistes du Report from the Iron Mountain suivis par le Club de Rome et aujourd’hui par, entre autres, le GIEC et Davos, les ressources de la Planète Terre étant mathusiennement « finies », elle ne pourrait supporter « durablement » que 2 milliards d’humains. Problème, nous sommes déjà plus de 8 milliards. (Sur la narration exclusiviste écologique, voir les textes en franҫais ici.) On ne remerciera jamais assez Marx et les communistes, voire les agriculteurs néerlandais aujourd’hui sacrifiés aux inepties vertes spéculatives européennes, pour leur critique définitive de Malthus … ainsi que des idéologies de classes qui visent à perpétuer l’exploitation de l’Homme par l’Homme.  

La sur-représentation et la délégitimation du socialisme et du communisme.

Ces deux auteurs ont une obsession issue de la nouvelle doxa anti-égalitaire qui prétend faire la critique tant de la Révolution citoyenne française que des Révolutions socialistes. Les retombées du révisionnisme historique des François Furet, Chauvet, Stéphane Courtois etc., y sont pour beaucoup. Reste que ce rejet global de tout l’héritage du marxisme et du socialisme réel est la conséquence directe de la surreprésentation philosémite nietzschéenne au sein du mouvement socialiste occidental. Elle se manifesta d’abord par le biais majoritaire de ceux que Lénine – et Rosa Luxemburg – qualifia de « renégats » particulièrement au sein du Marxisme autrichien. Ensuite, elle sévit avec une détermination sournoise à l’intérieur même du PCUS et de la IIIème Internationale, pour ne rien dire de la IVème. La création de l’Etat d’Israël, pourtant sauvé à sa naissance le 14 mai 1948 par l’envoi d’armes par Staline via l’Allemagne de l’Est, provoqua le basculement de la loyauté première des surreprésentés juifs, qui passa de l’émancipation communiste au rêve exclusiviste criminel sioniste. Pour tout remerciement Staline fut assassiné et présenté par ces gens-là comme « pire d’Hitler ». Le rôle criminel de Yeshov, le Sade nain juif des services soviétiques fut occulté pour mieux imputer ses crimes à Staline. Les contre-révolutions en Europe de l’Est suivirent, notamment en Hongrie en 1956 ; elles préludèrent la trahison interne menant à la chute de l’URSS en 1991. Enfin, pour faire bref, Liberman et Khrouchtchev, posèrent les jalons du « marginalisme socialiste » qui détruisirent de l’intérieur la planification soviétique, alors en avance dans tous les domaines. (Voir ceci) Pour sa part, le PCF, génériquement considéré « stalinien » jusqu’à la mort de G. Marchais, fut fortement travaillé de l’intérieur par la même sur-représentation, en particulier après l’affaire Slansky en Tchécoslovaquie et plus encore après la publication des frauduleux Rapports Khrouchtchev, par ce que j’ai choisi d’appeler collectivement « la section Kriegel ». (Voir ici) Aujourd’hui, ce PCF dévoyé appuie le régime proto-nazi du juif-ukrainien Zelensky et ses bataillons nazis Azov et Aidar etc. tout en se précipitant pour affirmer son soutien inconditionnel au régime d’Apartheid sioniste de Netanyahou immédiatement après le 7 octobre sans jamais relayer les faits objectivement démontrés selon lesquels près de la moitié des victimes ce jour-là le furent du fait du feu des hélicoptères Apaches et des chars israéliens – voir ici et ici  – et tout en se limitant à faire le service minimum pour dénoncer les politiques génocidaires israéliennes à Gaza et dans les Territoires malgré l’avis de la Cour de Justice Internationale de la Haie.

Le sort échut au PCI sabordé en 1991 à la Bolognina est encore plus triste. Malgré les Rossana Rossanda et autres Ingrao, il tint bon jusqu’à Luigi Longo. Avec Enrico Berlinguer, un eurocommuniste qui disait en privé préférer l’Otan au Pacte de Varsovie et qui trahit les « metalmeccanici » et la classe ouvrière dès 1968, commença le début de la fin, d’autant plus que les Années de Plomb voulues par les Etats-Unis et la P2 se chargèrent d’interdire toute velléité de « compromesso storico » ce qui porta à l’assassinat de Moro et à une demie marche-arrière de la part du PCI. Mais il était trop tard. Notre histoire communiste n’est pas seulement mal racontée, elle est sciemment salie. Le sort fait au marxisme et à la loi de la valeur est encore pire.

Délégitimation des biens publics, de l’Etat social et du New Deal.

Mais soyons plus spécifiques. Voyons d’abord comment ces deux compères accusent sans les nommés les marxistes « attardés » de vouloir encore défendre les biens publics offerts par des entreprises publiques ou, pire encore, de vouloir réhabiliter Keynes et F. D. Roosevelt, à savoir l’Etat social, ou Welfare State anglo-saxon, et sa reconnaissance concrète des droits sociaux fondamentaux matérialisés dans les infrastructures et les biens publics. Tout ceci, répétons-le, du fait que ces « attardés » qu’ils incriminent n’auraient pas encore compris et intériorisé la victoire du néolibéralisme à l’échelle mondiale ! Il semble pourtant que les BRICS+ et le nouveau monde multilatéral qui émerge ne soient pas de nature à appuyer leur optimiste impérial à la A. Negri et M. Hardt et autre Hannah Arendt … (Voir ici )

Voici ce qu’ils écrivent : « Dénoncer la marchandisation du monde conduit bien souvent à se contenter de défendre les services publics nationaux ou d’en appeler à l’élargissement de l’intervention étatique. Quel que soit son bien fondé, cette revendication reste sur le terrain de l’adversaire en se refusant à mettre en cause un antagonisme précisément constitué pour faire du marché la règle et de l’Etat l’exception. » (p 171)

Pour écrire des phrases de ce genre il ne faut rien savoir sur la différence entre salaire, salaire différé et « plus-value sociale ». Les conquêtes populaires qui menèrent à l’Est social – ou au Welfare State anglo-saxon – reposaient sur l’ajout au seul salaire individuel net du salaire différé finançant la Sécu et de la fiscalité progressive finançant les infrastructures et les services sociaux dont l’accès citoyen est constitutionnellement garanti. Ces conquêtes sont l’objet de la régression tentée en Occident depuis l’arrivée au pouvoir des néocons de Thatcher-Reagan. Personne ne dit que la transition hors du capitalisme est une chose simple ou linéaire. Au contraire, elle est l’enjeu de luttes et d’alliances de classes très âpres, qui, on le sait aujourd’hui, forcent les sociétés à choisir entre la nouvelle domesticité et le nouvel esclavage ou bien une transition pacifique – ou révolutionnaire, selon les circonstances – hors d’un Mode de production capitaliste créant « ses propres fossoyeurs » selon la formule de Marx du fait de son incapacité à absorber le chômage endémique qu’il crée par son inéluctable recherche de la productivité microéconomique la plus haute, sauf par la précarité générale, la démographie négative et les guerres d’agression.  

On notera en passant la peur d’une réhabilitation du marxisme qui les anime malgré la guerre idéologique à laquelle ils prêtent leur concours : « Le communisme d’Etat continue d’hypothéquer l’alternative. Et le danger existe qu’à l’occasion des désastres croissants engendrés par le capitalisme, apparaissent ici ou là des réhabilitations plus ou moins sophistiquées des régimes qui se sont appelés « communistes » ( p 67) Et sur les services publics vs les biens communs : « Au fond c’est paradoxalement le néolibéralisme lui-même qui a imposé le tournant de la pensée politique vers le commun en brisant la fausse alternative en miroir de l’Etat et du marché, en faisant voir qu’il était désormais vain d’attendre que l’Etat « réencastre » l’économie capitaliste dans le droit républicain, la justice sociale et même la démocratie libérale » (p 16) Et pour  faire bonne mesure, on nous met en garde « Il faudra donc cesser de répéter que « la prise du pouvoir politique » est la panacée de tous les maux. » (p 512) Le pouvoir politique n’étant même plus national puisqu’il relèverait des transnationales, les classes subalternes doivent s’inventer des histoires, par exemple sur la démocratie directe coupée des autres formes de démocraties – voir ici – , et surtout se cantonner à « agir localement » sans chercher à institutionnaliser leurs luttes. 

L’inanité de ces raisonnements saute aux yeux. Mais pas entièrement tant que l’on ne prend pas conscience du fait que les discours sur les « biens publics » offerts par des entreprises publiques ou les « biens communs » offerts par le secteur privé sur fonds publics tout en transformant les citoyens-usagers en clients dignes d’intérêt uniquement lorsqu’ils sont solvables, ne mettent pas en cause uniquement les formes de la démocratie mais aussi celles de l’économie politique pratiquée dans une Formation sociale donnée. Etant entendu que la « plus-value sociale » devrait normalement revenir aux travailleurs qui la produisent ou pour le moins être mieux répartie en tenant compte des trois composants du « revenu global net » des ménages – salaire net, salaire différé finançant la Sécurité Sociale et la partie des taxes et impôts revenant aux ménages sous forme d’accès citoyen universel garanti aux infrastructures et aux services publics – il devrait être clair que la nationalisation ou au moins la socialisation des biens de production et d’échange majeurs reste le vrai enjeu de la démocratie avancée, la forme paisible de la « prise du pouvoir politique ».

C’est même là ce qui constitue le fond de la voie pacifique vers le socialisme ainsi qu’argumenté dans le chapitre  Réformes démocratiques révolutionnaires ou lamentable Rossinante du réformisme de mon Tous ensemble – voir Livre 1 ici. Dans le chapitre  Biens publics: sauvons ce qui peut encore être sauvé de ce même Livre 1, nous avions tenté de montrer à la lueur de la faillite de Enron que la défense des « biens publics » offerts par des entreprises publiques était redevenue une urgence pour lutter contre les méfaits du capital spéculatif hégémonique et son train de misère et de disparités régionales. Nous avons également montré que tous système de Reproduction dynamique mettait en jeu une part de crédit qui vient compléter la « plus-value sociale » disponible pour être réinvestie. Cela fait, en effet, une grande différence lorsque la « plus-value sociale » est abandonnée entièrement dans les mains des firmes privées, qui plus est transnationales et jouissant des paradis fiscaux et autres tax rulings, sans même être coordonnée par une planification stratégique respectueuse de l’économie mixte.

Les dégâts sont encore plus grands lorsque ce réinvestissement privé et par nature fragmenté jouit des possibilités offertes par la privatisation de la Banque centrale et donc du crédit. Bien entendu, la logique du capital reste la plus grande productivité possible face à la concurrence, ce qui implique plus de production avec moins d’ouvriers, surtout moins d’ouvriers à plein temps. Fatalement la croissance de la précarité systémique, utilisée pour faire du chiffre sur le chômage au sens du BIT, implique aussi une baisse structurelle de la demande interne mais également du salaire différé et donc des cotisations sociales et des services sociaux accessibles. Il en va de même avec la fiscalité : on sait qu’en France plus de la moitié des travailleurs ne payent pas ou peu d’impôts sur le revenu car gagnant trop peu. Pour faire bonne mesure, la logique de la public policy – Buchanan et Pollock, 1964 – et de ses tax expenditures servant à financer la privatisation rampante via les programmes verts, favorise le financement par les crédits d’impôts … Faire miroiter alors au niveau strictement local des « biens communs » définis comme des biens « inappropriables » est pire qu’une supercherie.

Notons la faillite complète aujourd’hui entérinée par les faits de cette public policy néolibérale monétariste. Pour résumer, il nous fut dit que les stimuli fiscaux, crédit et dépenses fiscales – tax expenditures – produisaient un meilleur multiplicateur économique comparé aux vielles subventions directes et à l’interventionnisme de l’Etat social ou Keynésien. Ce ne fut jamais vrai bien que la destruction du Gatt et la généralisation des traités de libre-échange produisirent une extroversion indéniable du Multiplicateur, qui pouvait être corrigée par exemple en favorisant systématiquement le secteur public où le Multiplicateur sectoriel reste élevé. (voir The Body economic : why austerity kills ici) Aujourd’hui, il n’y a plus rien à discuter vu la débâcle de l’ « équivalence ricardienne » de R Barro puisque au Q4 2023 la croissance du PIB américain fut de USD 329 milliards pour une dette nouvelle pour le même Q4 2023 de USD 834 milliards. Voir ici. Le reste est à l’avenant, et en Europe avec une dette qui a explosé du fait de la gabegie covidiste – voir ici – on impose un nouveau Pacte de stabilité beaucoup plus dur et en réalité impossible à respecter. Voir ici. A lire avec la critique au Rapport Arthuis ici. (Citation traduite : «  Les pays surendettés seraient soumis à des règles de sauvegarde leur imposant, entre autres, de réduire leur dette en moyenne de 1 % par an si leur dette est supérieure à 90 % du PIB, et de 0,5 % par an en moyenne si leur dette est comprise entre 60 % et 90 % du PIB. ») M. Le Maire cherche déjà 20 à 30 milliards d’euros d’économies supplémentaires pour 2025, en sachant qu’il perdra 10 milliards de PNRR fin 2026 ? 

Cette incapacité à comprendre l’évolution des formes du Mode de production capitaliste vers un système socialement plus avancé, parfois remis en cause par des régressions contre nature – le corporatisme fasciste des années 20-30-40 et le corporatisme mercantiliste global néolibéral monétariste actuel – apparaît dans l’attaque au New Deal et aux politiques socialement avancées – disons keynésiennes – de F. D Roosevelt.

Voici ce qu’en disent ces auteurs : « Ceux  qui rêvent de douce transition vers un monde plus écologique et plus généreux, ceux qui pensent pouvoir faire revenir en douceur le capitalisme dans son lit par quelques mesures fiscales, monétaires et douanières, ceux qui attendent un nouveau Keynes ou un nouveau Roosevelt, pèchent gravement par irréalisme et ignorance. Ils ne veulent toujours pas comprendre l’impitoyable dynamique par laquelle le néolibéralisme fait de la concurrence la loi de notre monde, ils ne veulent pas comprendre, surtout, le caractère systématique du pouvoir oligarchique mondial, fait de gouvernance financière et de surveillance policière, ils se refusent en conséquence à admettre les contraintes insurmontables que le cadre institutionnel du néolibéralisme impose aux politiques, aux comportements et aux subjectivités, tant du moins qu’on en demeure prisonnier.

(…)

Certains critiques nous reprochèrent de nourrir fatalisme et découragement. (…) Nous persistons et signons : la raison néolibérale n’a pas encore rencontré de contre-forces suffisantes mais aussi parce que la manière dont elle s’impose n’a toujours pas été bien comprise. » ( pp 730-731) Le marché est roi.

Les vessies pour des lanternes. Pourtant l’hégémonie globale du capital financier spéculatif tient uniquement à sa planche à billet – j’ai appelé ceci le « papier Kerouac », en souvenir du fameux rouleau utilisé par l’auteur de On the road -, alors que sa spéculation phagocyte l’économie réelle, créant ainsi ses propres fossoyeurs. Il suffit littéralement pour s’en débarrasser de rétablir la planification stratégique avec le crédit public émis à coût quasiment nul par la Banque centrale publique pour reprendre ainsi le contrôle de l’économie réelle, sans même avoir à s’en prendre frontalement au capital spéculatif, à sa sphère de Monopoly, du moins jusqu’au moment fatidique où survient la faillite ouvrant à des audits publics. Le tout en adoptant des swaps de lignes de crédit bilatérales couvrant l’import-export entre pays pour se débarrasser de la servitude envers une monnaie de réserve dominante ! C’est d’ailleurs vers quoi se dirige le monde multilatéral naissant. Voir ici.   

La méprise de nos auteurs est donc, là encore, totale. Il ne s’agit pas de « réhabiliter » le New Deal mais au contraire de comprendre en quoi il reposait sur une avancée scientifique, certes limitée mais réelle, de la disciple économique aux prises avec la Grande Dépression. Les théories keynésiennes et celles, européennes, de la régulation économique, incarnèrent cette prise de conscience. A tel point que Keynes avait reconnu que les « esprits animaux » du capitalisme abandonné à lui-même menaient fatalement à une crise classique de surproduction et de sous-consommation de sorte, qu’à terme, il fallait partager le travail socialement disponible entre toutes les citoyennes et les citoyens aptes au travail. En empruntant au grand marxiste Paul Lafargue sans le dire, Keynes imaginait même le passage à la semaine de 15 heures lorsque la productivité générale le permettrait – voir ici.

J’ai montré à plusieurs reprises dans mes livres et articles que le choix reste d’ailleurs toujours entre les cycles récurrents de la RTT assurant le plein emploi à plein temps et le « retour » à la société de la nouvelle domesticité et du nouvel esclavage théorisé par l’Establishment US dans le Report from the Iron Mountain et aujourd’hui mis à jour et appliqué par nos élites philosémites et philo-sionistes nietzschéennes sans le moindre état d’âme. Fin Années 70, la Commission Trilatérale n’exigea-t-elle pas la fin des « rising expectations » des travailleurs, citoyennes et citoyens ? A Davos des J Harari et al. vont même jusqu’a théoriser la destruction de l’Espèce humaine en sous-espèces  simplement parce qu’une seule Espèce  humaine ne peut signifier rien d’autres que l’égalité et l’émancipation individuelle et générale dans le respect des fondamentaux constitutifs de l’Espèce en tant qu’Espèce humaine à la fois ancrée dans la Nature et dans l’Histoire. Je renvoie ici à mon essai «Mariage, unions civiles et institutionnalisation des mœurs » dans la partie rose de mon vieux site www.la-commune-paraclet.com . Voir aussi sur les Nouvelles Lois de Manu, ici.

C’est triste mais les discours lénifiants sur le « commun » substantif sans substrat réifié etc. etc., apparaissent plutôt creux et pour tout dire dangereusement réactionnaires dans le contexte de régression générale tentée par les élites globales occidentales et apatrides. On n’est guère étonné d’apprendre que le fond de leur réflexion est appuyé sur la trilogie de servi in camera du nouvel Empire putatif philo-sioniste nietzschéen du genre Antonio Negri et Michael Hardt – Empire, Multitude et Commonwealth, pp 243 et suivantes, etc. Je me demande ce que les pauvres victimes des Années dites de Plomb en Italie, considérées comme autant de « nihilistes militants » ou de « useful idiots » par les services occidentaux et leur P2, mais peu vouées pour leur part à être recyclées dans les Universités occidentales, en pensent ? Bref c’est du niveau des élucubrations pro-impériales d’un « pitre » à la André Glucksmann et autres « pitres » du genre donnés pour des Nouveaux Philosophes « franҫais » – qui fleurirent après la disparition du grand Louis Althusser, à une époque où il fut même tenté – le croira-t-on ? – de présenter ces intellectuels de seconde zone comme des « marxistes » … – et à qui fut dédié mon Livre 2 intitulé Pour Marx, contre le nihilisme, 2002, voir ici.

Nous sommes ici en pleine régression éthico-politique et morale outre le projet de régression humaine mené au nom de la Doctrine de la guerre préventive – par définition illégale – et des guerres de civilisation, principalement menées contre l’Islam vu comme principal obstacle à l’établissement d’un Eretz Israël, Etat croupion d’Apartheid officiel et génocidaire, dominant un Grand Moyen-Orient et par delà le monde entier ! Spinoza parlait déjà en toute connaissance de cause « du délire des rabbins » ! Nous nageons ici en plein délire lunatique niant la Loi naturelle et son institutionnalisation avancée dans la Déclaration Universelle des Droits Individuels et Sociaux fondamentaux de 1948 et dans nos Constitutions nées de la Résistance. Il n’y a pas d’élus de droti divin d’un côté et de goyim – gentils – de l’autre.

Leur ennemi n’est pas seulement le « socialisme réel » dont, par ailleurs, ils ne savent rien hormis les clichés les plus éculés. Remontant à la source, cette dérive communiste étatique centralisatrice remonterait à Marx, et, en particulier à sa position évolutive mais toujours équivoque sur la Commune de Paris de 1871. (p 716) Ceci nous voudra un habituel détours petit-bourgeois sur les différents présumés qui opposèrent Marx et Proudhon selon leur propre vision rétrospective qui choisit d’ignorer les arguments scientifiquement tranchants de Marx – Misère de la philosophie – ainsi que les analyses marxistes sur la lutte des classes en France et en particulier sur l’expérience primordiale de la Commune de Paris, de même que sur les aperçus concernant la société communiste à venir dans la Critique du programme de Gotha . Cette dernière contient le concept clé de « fonds social » qui renvoie très exactement à ce que j’ai nommé la « plus-value sociale » dont l’allocation dans la Planification en privilégiant les objectifs sociaux et culturels constitue le cœur de l’organisation démocratique à venir. D’ailleurs à un détour de phrase ces auteurs reconnaissent : « Au lieu que la centralisation étatique « corresponde » à la centralisation de la grande industrie, ce serait cette fois la mutualité politique qui prolongerait la mutualité des échanges économiques. Mais, dans les deux cas, la sphère de la politique emprunterait son principe d’organisation à la sphère de l’économie, ce qui ne pourrait que compromettre son existence. A l’horizon de cette position on retrouve l’idée bien connue d’une dissolution du gouvernement dans l’économie qui avait hanté le premier Proudhon et dont Marx persistera à faire la vérité ultime de l’histoire. » (p 721) Ne pas envahir la sphère économique, s’en tenir sagement au « social ».

Sur une telle base on imagine les tombereaux de clichés sur l’organisation sociale du bas vers le haut, le potentiel des associations de travailleurs – dont les Ateliers de Louis Blanc ? -, la fédération des communes, voire des conseils et ainsi de suite. Marx fut un lecteur très attentif de l’économie politique française, de Proudhon autant que de Saint-Simon ou des Physiocrates ainsi que des Philosophes et des « idéologues » comme Destutt de Tarcy. Concernant Proudhon, Marx lui reproche surtout son incompréhension bornée de la méthode dialectique et surtout de la loi de la valeur. Or, sans cette compréhension, aucune planification socialiste – ou autre – viable n’est possible, une association de petits producteurs indépendants soumis à la « main invisible » des marchés n’est qu’un leurre, au mieux spontanéiste.

L’histoire du socialisme réel montre à quel point Marx avait raison : la planification bolchévique, soigneusement encadrée par une constitution adaptée à chaque étape, fit des merveilles malgré le fait que la Loi de la productivité marxiste ne fut pas – jusqu’à moi – élucidée et intégrée de manière cohérente dans les Equations de la Reproduction Simple et Élargie. Jusqu’à la domination de Liberman-Khrouchtchev après 1956, les Bolchéviques et Staline choisirent néanmoins de résoudre le problème de manière pragmatique : Le Schéma des Equations de la Reproduction Simple du Livre 2 du Capital fut utilisé comme Modèle de référence car il reste parfaitement cohérent lorsque la productivité est identique dans les Deux grands Secteurs des Mp et des Cn, donc avec la même composition organique du capital – v/C où C = (c + v ) – et le même taux d’exploitation – pv /v – qui en découle dans les conditions paramétriques du système de reproduction.

Sur la base de ce Modèle et de la centralisation de la « plus-value sociale » à réallouer au mieux par la planification selon ses priorités, les Bolchéviques choisirent d’introduire partout, chaque fois que cela était possible, la plus grande productivité possible. Sans la Loi de la productivité ceci produisit fatalement des distorsions de valeurs et de prix. Les Bolchéviques choisirent donc une comptabilité quantitative, le Produit Matériel Net, ce qui permettait de corriger en cours de route en réallouant les ressources disponibles quantitativement dans la Reproduction Elargie. La variation en valeur et prix était par ailleurs contenue puisque l’échelle salariale bolchévique était très restreinte, se bornant au plus à reconnaitre des « travailleurs responsables » et des émoluments matériels pour les « stakhanovistes ».

Ce système permit à Staline et aux siens d’industrialiser le pays en seulement deux Plans quinquennaux. Le grand et lucide statisticien bolchévique Strumulin en témoigne. La planification socialiste n’a pas de rivale. Et encore ne maitrisait-elle pas les potentialités du crédit public pouvant anticiper une Reproduction Elargie allant au-delà des possibilités de réinvestissement de la seule « plus-value sociale ». En effet, le crédit public, qui ne coûte quasiment rien sinon ses frais d’administration et quelques fonds de provisionnement pour pertes, est une anticipation de la production qui demande néanmoins un accès supplémentaire au capital constant et au capital variable mis en mouvement, soit, à l’interne, par une surproduction et des stocks, soit autrement par l’importation, ce qui renvoie à l’équilibre des balances internes.

Avec le retour en arrière effectuée par les sur-représentés apologues du « marginalisme socialiste » parvenus au pouvoir avec Liberman-Khrouchtchev, le système alla rapidement à vau-l’eau, y compris dans le domaine agricole par des gens qui ne connaissent rien du rôle de Lyssenko dans le quadruplement de la production agricole bolchévique dont la partie écoulée sur les marchés internationaux permis d’accélérer l’industrialisation du pays et la collectivisation des terres. A ce sujet, tous les historiens minimalement honnêtes savent que la majorité des victimes de la famine en Ukraine advient hors du contrôle bolchévique sur les terres occupées par la réaction. Chose dérisoirement facile à vérifier. Staline, qui écrivit un des meilleurs essais sur la planification – voir ici – avait tenté indirectement de poser le problème de la transformation des valeurs en prix de production aux meilleurs esprits du temps. Paul Sweezy fit de son mieux avec grande honnêteté et publia une série d’articles permettant de cerner le – faux – problème. On posa la question à A. Einstein – Why socialism, May 1949, voir ici – sans résultat. Sraffa tenta un retour infructueux à la loi de la valeur classique via la réhabilitation de Ricardo et finit par reconnaitre son échec en proposant des prolégomènes avec son essai Production de marchandises des marchandises qui, au fond, ne fait que remplacer la valeur de la force de travail estimée selon la valeur de « la force de travail socialement nécessaire à sa reproduction » par la réification du « panier de marchandises produisant des marchandises », le tout sans rien savoir de l’extraction de la plus-value par le sur-travail. Aucune autre marchandise à part le travail humain ne produit de surtravail, partant de plus-value.

Quelques rectificatifs sur les falsifications bourgeoises.

L’histoire des falsifications bourgeoises est longue : elles auraient dû prendre fin après mon Tous ensemble – 1998 – où la preuve est faite et pour la première fois publiée que le problème de la transformation des valeurs en prix de production est un faux problème falsifié en toute connaissance de cause par Böhm-Bawerk lequel fut par ailleurs incapable de voir qu’il s’agissait, en fait, de résoudre le problème du passage de la rente absolue à la rente différentielle, autrement dit de démontrer scientifiquement la Loi de la productivité. Tout ceci est ignoré par un monde académique de sous-fifres surpayés ressassant sur fonds publics toujours les mêmes clichés et les mêmes falsifications, souvent sans même s’en rendre compte !  

Le marxisme est une chose sérieuse reposant sur son statut scientifique, il est totalement étranger aux « mythes soréliens ». Pour faire court voici quelques liens :

1 ) Introduction méthodologique et Précis d’économie politique marxiste, ici

2 ) La pseudo science économique de la bourgeoisie voilà pourquoi nous devrions changer rapidement de paradigme économique dans   http://rivincitasociale.altervista.org/la-pseudo-science-economique-de-la-bourgeoisie-voila-pourquoi-nous-devrions-changer-rapidement-de-paradigme-economique/  

3 ) Le PIB: outil de narration marginaliste contre le bien-être des peuples et la prospérité des Etats-nations, 24 mai 2020 dans  http://rivincitasociale.altervista.org/le-pib-outil-de-narration-marginaliste-contre-le-bien-etre-des-peuples-et-la-prosperite-des-etats-nations-24-mai-2020/         

4 ) Le socialisme marginaliste ou comment s’enchaîner soi-même dans la Caverne capitaliste, dans https://www.la-commune-paraclet.com/EPIFrame1Source1.htm#socialismemarginaliste Voir aussi : Nota sulla pianificazione socialista 2, dans http://rivincitasociale.altervista.org/nota-sulla-pianificazione-socialista-2/ 

5 ) La transition au socialisme déblayage définitif des falsifications malveillantes en particulier celles de Ch Bettelheim, 21 juin 2021, texte complet à relire/ dans http://rivincitasociale.altervista.org/la-transition-au-socialisme-deblayage-definitif-des-falsifications-malveillantes-en-particulier-celles-de-ch-bettelheim-21-juin-2021-texte-complet-a-relire/

6 ) Calcul économique structure des prix relatifs taux de change et désastre réchauffiste du GIEC : une-courte note, 30 oct 2023, dans http://rivincitasociale.altervista.org/calcul-economique-structure-des-prix-relatifs-taux-de-change-et-desastre-rechauffiste-du-giec-une-courte-note-30-oct-2023/ 

7 ) De nouvelles formes de démocratie socialiste à inventer 1 dans  http://rivincitasociale.altervista.org/de-nouvelles-formes-de-democratie-socialiste-a-inventer-1/     

8 ) Pour la démocratisation politique et économique se reporter au chapitre « Pour le socialisme cubain » dans mon Pour Marx, contre le nihilisme (ici) en prenant soin de comprendre que le développement du centralisme démocratique dans tous les domaines ne doit pas être confondu avec un quelconque retour au pluralisme confrontationnel bourgeois visant le contrôle de l’accumulation privée et l’occultation de la Loi des Grands Nombres dans les divers processus de sélection. Voir aussi la Section « Pour le socialisme cubain » dans mon vieux site www.la-commune-paraclet.com . Si on laissait opérer la Loi Des Grands Nombres dans un système d’éducation public démocratisé et accessible à tout.e.s, l’échelle salariale se réduirait de manière drastique. A preuve l’URSS et la Chine. Aujourd’hui, en Occident, les travaux les plus pénibles ont les salaires les plus bas …   

9 ) Fin 70 début 80, la victoire des néocons néolibéraux monétaristes avec Thatcher et Reagan ouvrit la voie à la pire régression socio-économique depuis la Grande Dépression. Ses lignes de force majeures et ses contradictions étaient détectables au tout début du cycle : public policy – Buchanan-Pollock etc. – avec équilibre budgétaire annuellement imposé allant de pair avec la fin de la planification stratégique et des subventions directes en faveur des tax expenditures afin de garder en permanence le budget au bord du précipice pour décourager toutes exigences sociales, privatisation et dérégulation de l’économie et surtout le « plein des sans-emplois » et des précaires au nom de la fluidité du marché du travail. Débutait ainsi une longue marche philo-sémite nietzschéenne vers le « retours » au « minuit » de la nouvelle domesticité et du nouvel esclavage par le refus exclusiviste de partager équitablement le travail socialement disponible entre toutes les citoyennes et citoyens aptes au travail : le partage de la misère entre travailleurs et l’inégalité affichée plutôt que la RTT. En Calabre, le taux d’occupation oscille déjà autour de 39-42 % alors que la marche vers l’argentinisation du marché du travail aux USA le fixe déjà à 62.5 % avec un taux de chômage factice au sens du BIT de 3.7% !!! On sait que selon cette évaluation statistique officielle du chômage on compte les emplois dont les jobines plutôt que les employé.e.s.

Ma genèse de cette régression remonte à mars 1985 dans l’essai Les conséquences socio-économiques de Volcker, Reagan et Cie, voir ici. Ceci ouvrit la voie aux traités de libre-échange et à la sanctuarisation de la nouvelle définition de l’anti-dumping à l’OMC qui exclut toute référence aux droits du travail, y compris à minima selon l’OIT, ainsi qu’à toute référence au principe de précaution environnemental, voir « L’Appel » ici. Cette course mondiale au moins disant salarial et environnemental mena à l’élimination progressive du « salaire différé » finançant la Sécurité Sociale alors que la précarité réduisait les cotisations sociales versées tout en rendant la fiscalité générale, déjà réduite par les tax expenditures, tendanciellement évanescente, en particulier en ce qui concerne le financement de l’assurance et de l’assistance sociales pourtant entérinées comme droits sociaux fondamentaux par nos constitutions.

Cette manie de payer le salaire net avec le salaire différé signe la volonté de paupériser les travailleurs en transférant leur épargne salariale, y compris les retraites, à la spéculation. Un Claude Reichman salive uniquement en pensant aux 872 milliards d’euros socialisés dans la Sécu qui pourraient être transférés aux investisseurs privés. Les gouvernements avec leur démantèlement des services sociaux et publics sont sur la même longueur d’onde. Voir ici.

Suivit l’affirmation de l’hégémonie du capital spéculatif symbolisé par la « banque universelle », un mouvement entériné par l’abrogation en 1999 du Glass Steagall Act de 1933 par lequel le New Deal avait imposé la compartimentation fonctionnelle du système bancaire financier en 4 piliers, soit la banque de dépôt, la banque commerciale, les assurances et les credit unions ou caisses populaires sans but lucratif. La catastrophe qui se matérialisa avec la crise des subprimes de 2007-2008 fut annoncée dès 2005 dans mon Keynésianisme, Marxisme, Stabilité Economique et Croissance, voir Livre-Book III ici. Bref, les « communs » sans planification, au moins stratégique, appuyée par le crédit public, sans salaire différé finançant la Sécurité Sociale et sans fiscalité républicaine progressive prélevée grâce au plein-emploi assuré par la RTT sur des emplois plein-temps et sur le capital, me semble être une pure fantaisie.      

En effet, toutes ses considérations scientifiques sont évacuées pour des clichés éculés ressassés ad nauseam par des gens qui nous annoncent tranquillement à longueur de pages que le néolibéralisme global a gagné partout et qu’il convient donc d’en tenir compte !!! Ils ne savent même pas que ce globalisme néolibéral est dominé par le capital spéculatif hégémonique qui impose légalement l’intérêt spéculatif comme un véritable taux de profit – normalement l’intérêt bancaire ou financier est déduit du taux de profit – menant ainsi inexorablement à la cannibalisation de l’économie réelle … et, par conséquent, à l’organisation d’un Nouvel Ordre Multilatéral de la part des Etats-nations désireux de se protéger et de protéger le fruit du travail de leurs citoyennes et citoyens, voir : Un monde multilatéral ouvert sans suzeraineté monétaire sans ingérence et sans extraterritorialité pour des lignes de crédit bilatérales et le crédit public, 7 avril 2022/ dans http://rivincitasociale.altervista.org/un-monde-multilateral-ouvert-sans-suzerainete-monetaire-sans-ingerence-et-sans-extraterritorialite-pour-des-lignes-de-credit-bilaterales-et-le-credit-public-7-avril-2022/     

En fait, au lieu de partir du postulat faux et démagogique du triomphe global du néolibéralisme à quoi opposer des « communs » « inappropriables », ces deux auteurs auraient mieux fait de déclarer que la planification démocratique appuyée sur le crédit public constitue la base de tout progrès social, y compris les droits sociaux fondamentaux entérinés dans nos Constitutions – celles que le néolibéral Denis Kessler appela à démanteler, voir ici – et dans la Déclaration Universelle des Droits Individuels et Sociaux Fondamentaux de 1948, toutes deux nées de la Résistance contre le nazi-fascisme et son corporatisme libériste économique. Au moins, ceci est facilement démontrable en pointant à la reconstruction d’après guerre mettant sur pieds la première mouture de l’Etat social moyennant une dette publique oscillant entre 17 et 27 % du PIB, alors qu’elle explosa immédiatement après la privatisation de la Banque de France par la loi Pompidou-Giscard-Rothschild de 1973. Le crédit est une anticipation de la croissance qui s’ajoute à la part de « plus-value sociale » réinvestie dans la Reproduction élargie ; le crédit public est quasi gratuit mais il se transforme généralement en masse salariale supplémentaire – salaire net, salaire différé et fiscalité – et en capital fixe, particulièrement dans les infrastructures et les services publics qui font la compétitivité macroéconomique de la Formation Sociale laquelle est le socle indispensable de la productivité micro-économique comme le savait déjà Alfred Marshall dans sa théorie de la localisation des industries … Voici un tableau qui n’a pas besoin de grands commentaires (cité ici).

La problématique de la transition.

Autre ineptie inventée par nos auteurs et mise dans la bouche de Karl Marx. Ils dénoncent donc « l’illusion marxienne d‘une production objective du commun par le capital » (p 103) Ainsi, le développement de la grande industrie porterait mécaniquement à l’émergence du commun. Et à la concentration étatique bureaucratique de la propriété dans les mains de l’Etat et pire encore selon Yves Cohen (p 103-104) dans les mains totalitaires du Parti-Etat. Il faudrait donc concevoir « le commun de la démocratie contre le commun de la production » (p 106)

En tant que marxiste je suis chaque fois stupéfait par l’ignorance crasse des théories de Marx, du marxisme et du léninisme par tant d’académiques qui, de manière évidente, en ont lu très peu et compris encore moins. Ce que Marx, puis Lénine à sa suite, théorisent ce sont les lois de motions du Mode de production capitaliste qui découlent paradoxalement de la pratique légalement imposée de la concurrence entre agents économiques supposés « libres ». La concurrence joue particulièrement sur les hausses de productivité qui « libèrent » la force de travail qui ne trouve par toujours à se « déverser » – mot de A Sauvy – dans de nouveaux secteurs, intermédiaires ou pas. Aujourd’hui, tous les secteurs sont intensifs en capital, contrairement aux secteurs intermédiaires mis en place après la Seconde Guerre Mondiale – auto, électroménagers, transports, avionique etc.  Il s’agit de la concentration et de la centralisation du capital. Des forces tellement puissantes que mêmes les élites bourgeoises en prirent note pour réfuter le régime de concurrence libéral classique et largement mythique décrit par A Smith, Bentham, John Stuart Mill et al, selon lequel le boucher et boulanger du coin travaillant chacun pour soi travaillaient également pour l’intérêt général selon les bonnes œuvres de la « main invisible » du marché.

Après Paul Lafargue, Hobson, Hilferding, et surtout Lénine mirent en lumière l’affirmation des cartels et des trusts. Puis, dès les Années 20 aux USA Means mit en scène la Big corporation – ce qui plus tard permit aux New Dealers dont Berle, de concevoir la montée en puissance légale des syndicaux dans l’industrie afin de rééquilibrer les relations de pouvoir sur la base de contre-poids ouvriers et sociaux. Même les marginalistes, et les néo-ricardiens, très présents dans les universités, durent incorporer les oligopoles et les monopoles – Schumpeter, Chamberlin, Sraffa, Joan Robinson etc. Aujourd’hui, un Tirole fait rire de lui en proposant une théorie de la « concurrence imparfaite » qui évacuerait toute velléité de rééquilibrage dans la production ou dans la sphère des échanges – Anti-trust, Sherman Act, Baby Bells etc. – en remplaçant les régulations étatiques par des organes de surveillance relevant de l’industrie ou, mieux encore, pour les grosses transnationales comme les GAFAM, sur les organes de discipline internes fonctionnant par analyse des cookies pour jauger la satisfaction des « clients ». Pour le plus grand profit de diverses entreprises comme Cambridge Analytica …

Tout ceci n’est pas sérieux. La concentration et la centralisation du capital mettent en cause une série de régulations qui changent le régime de propriété capitaliste et les relations sociales qui en dépendent, dont la démocratie industrielle qui, en France, avait atteint le niveau sans précédent des Lois Auroux. (Voir ici)

Selon Marx, la transition hors du MPC est inéluctable, constat reconnu d’ailleurs par le marginaliste pessimiste Schumpeter qui proposa sa théorie de « création destructive » dans le simple but de retarder l’issue fatale. Car, ces Lois de motion du capital qui découlent de la recherche de la productivité la plus haute contre les entreprises rivales, finissent par aggraver la surproduction allant de pair avec la sous-consommation au point où les forces productives du capital ne sont plus compatibles avec les rapports de production, surtout après l’émergence du prolétariat intellectuellement armé par le marxisme et le marxisme-léninisme. Cette contradiction ne pourra être résolue de manière durable que par la transition vers un Mode de production nouveau, socialiste, qui rétablira l’équilibre en développement des forces productives et des rapports sociaux de production de plus en plus émancipés et égalitaires. La RTT en constitue une des clefs. La propriété privée cèdera la place à la domination, pas nécessairement uniforme, vu la coexistence à dominance des Modes de production durant les transitions, de la propriété collective – selon des formes diverses, Etat, publique et coopérative – allant de pair avec les nouvelles formes de possession individuelles, dont notoirement la Datcha stalinienne qui est un rêve lointain pour la plupart des prolétaires occidentaux ou autres …

L’objectif du socialisme étant l’émancipation égalitaire des Humains conçus comme des citoyens à part entière, par le bais de la planification, la propriété collective constituera la forme démocratique principale puisqu’elle visera l’allocation des ressources de la Communauté pour la Communauté à travers les priorités sociales informant les Equations de la RS-RE. De même, l’émancipation exigeant le respect de l’espace privé nécessaire à l’éclosion de la personnalité de chacun, la possession – socialiste – individuelle jouera un rôle essentiel. Tous seront tenus à accomplir leur part de travail dans le Domaine de la Nécessité – socio-économique – selon des cycles récurrents de RTT, ce qui ouvrira au développement toujours plus accru du Domaine de la Liberté socialiste, dont les droits individuels, sociaux et civils inaliénables dûment protégés par les nouvelles formes de démocratie à inventer. (voir ici)  Aujourd’hui, les effets destructeurs du capital spéculatif hégémonique et d’une nouvelle vague technologique axée sur l’IA et la robotique, pose le choix entre « barbarie et socialisme » avec encore plus d’acuité qu’avant. Du temps de Rosa Luxemburg, ceux que Lénine dénomma les « renégats » – déjà philosémites nietzschéens – tentèrent d’occulter l’alternative réelle, des Bernstein et des Sombart appuyant à leur façon la fumeuse théorie des classes moyennes de Max Weber et Cie, aspirant au fond à une modernisation du Modèle Wagner-Bismarck inventé par le Chancelier de Fer pour faire pièce à la montée du socialisme et de la 1ère Internationale en Allemagne. Nos deux auteurs sont dans cette laborieuse lignée … avec néanmoins une moindre connaissance des textes « marxistes » et « bolchéviques » de base …

Sur leur interprétation de Castoriadis

Pour assoir la narration subalterne à la domination globale du néolibéralisme il convient donc de critiquer toutes les véritables avenues concrètement anti-capitalistes. On a vu les clichés véhiculés contre les entreprises publiques, la planification et le « socialisme réel ». Particulièrement dans le cas de l’URSS, nous sommes confrontés à des puérilités idéologiques convenues aussi bien de gauche que de droite. A gauche, c’est toujours les critiques à la Victor Serge ou pire encore à la Trotski ; en critiquant le « socialisme dans un seul pays », particulièrement après le coup d’arrêt de l’expansion à l’Europe « avancée » avec l’échec des révolutions allemande et polonaise, ce dernier semblait ignorer que l’URSS était, à elle seule, un continent comptant en son sein 15 républiques fédérées, avec leurs autres républiques, régions et districts autonomes, un Etat multinational soviétique comptant plus de 110 nationalités, qui furent toujours protégées contrairement à la situation faite aux indigènes aux USA, en Australie et dans les territoires sous contrôle occidental. Remarquons qu’à ma connaissance Trotski n’a rien contribué à l’économie politique marxiste, sa contribution principale étant le concept vague de « révolution sociale».

Bref, l’URSS, après la brève expérience de la Commune de Paris de 1871, reste la première et la plus longue expérience concrètement socialiste, authentiquement égalitaire, jamais tentée dans l’Histoire de l’Humanité. Elle innova en bien des domaines : Etat multinational, fédération des Soviets, planification bolchévique carrément fondée sur une compréhension marxiste des Equations de la Reproduction bien que devant faire ses comptes avec quelques obscurités, par exemple l’intégration cohérente de la Loi de la productivité marxiste dans les Equations de la RS-RE et ainsi de suite. Aucun scientifique ne devrait se rabaisser à traiter une telle expérience égalitaire avec la légèreté des idéologues en proie à un anti-communisme primaire. Ceux qui se veulent de gauche ne devraient pas se permettre d’ignorer cette longue et cruciale expérience égalitaire née de la Première Internationale de Marx et poursuivie avec la IIIème Internationale bolchévique.

Il devrait être possible d’analyser une expérience aussi complexe de manière objective, mieux de manière critique marxiste. Par exemple, comment se fait-il que l’URSS commença à péricliter après l’adoption du « socialisme marginaliste » de Liberman, comment se fait-il que les critiques contre Staline, exception fait de Trotski, fassent toute l’impasse sur le rôle du policier nain juif Yeshov qui émula le rôle joué par Sade dans la Section des Piques pour détruire le bolchévisme de l’intérieur ? Comment se fait-il que les accusations de « stalinisme » dans le sens péjoratif du terme relèvent surtout du système dit « de commande et de contrôle » qui découla de la désorganisation de la planification bolchévique après le XXème et le XXIIème Congrès qui suivirent la prise de pouvoir et l’établissement de l’hégémonie des apparatchiks sur-représentés dans la lignée de Liberman et de Khrouchtchev ?  Mao parla alors de « capitalistes roaders » en les distinguant précisément de la politique léniniste transitoire qui donna lieu à la NEP. Et ainsi de suite : préférez-vous Lyssenko qui quadrupla la production agricole soviétique, notamment celle du blé, permettant ainsi l’industrialisation du pays et la collectivisation des terres – kolkhozes et sovkhozes – ou bien la révolution biogénétique bourgeoise actuelle avec sa viande et autres productions in vitro et ses OGM et pesticides associés ? Noter que même si la preuve était apportée que ces OGM en soi n’étaient pas nocifs pour la population, ce qui est impossible puisque qu’ils sont conçus avec des pesticides associés – ex maïs et glyphosate ou Round up – ils ne seraient pas pour autant acceptables du moins sur large échelle. Les Mexicains le savent bien, la tortilla étant un aliment d’usage quotidien. Après la soumission des paysans à la glèbe qui aujourd’hui tombe de plus en plus dans les mains des grands financiers globaux – Blackrock en Ukraine etc. -, voici la soumission des agriculteurs à des semences génétiquement conçues pour être stériles, donc ne pouvant pas être replantées. Tout ceci mériterait mieux que des dénonciations convenues à l’emporte-pièce. Notre Histoire est bien mal racontée, ce qui coûte très cher tant socio-politiquement que culturellement et scientifiquement.  

En ce qui concerne les clichés démagogiques sur le sujet, Castoriadis nous en donne un énième exemple. Ce qui permet à nos auteurs d’enfoncer le clou idéologique dans la bière du « socialisme réel » sans toutefois contribuer, du moins à leurs yeux, à faire avancer la théorie de ce qu’ils conçoivent comme « commun ». Castoriadis, un court moment influencé par les critiques trotskistes au « stalinisme », a très tôt pris ses distances avec le parti communiste grec. On sait comment ce parti et la Résistance grecque furent massacrés par l’intervention voulue par Churchill et les USA alors effrayés par la victoire des communistes yougoslaves. L’éclectique Castoriadis resta dans cette optique immuable jusqu’à la fin.  

La stratégie employée par Castoriadis constitue à s’inventer une ligne discursive alternative tout en prétendant rester à l’intérieur de l’analyse historique mais dans une version a-marxiste. Kant pour sa part piquait de belles colères contre les paralogismes véhiculés par nombre de ses contemporains. Le sophisme de départ de Castoriadis est le suivant, le reste n’étant que broderie. Voici une longue mais explicite citation : « La révolution reste à ses (Marx) yeux un « accouchement», selon la métaphore obsédante qu’il emploie, dans la mesure même où la forme supérieure de société est contenue dans la forme qui la précède, parce que le capitalisme crée lui-même les conditions matérielles de son propre dépassement. Pourtant, ces conditions du communisme qu’il suppose produites par le développement du capital, ne ressemblent en rien à ce qui a permis la constitution du pouvoir économique de la bourgeoise. Castoriadis le constatait dès 1955, témoignant ainsi de la distance qu’il commençait à prendre avec la pensée de Marx. Si le capitalisme a bien produit des usines, des prolétaires en masse, une concentration du capital, l’application de la science à la production, ses présuppositions n’ont que peu à voir avec les conditions de la révolution bourgeoise : « Mais où sont les rapports de production socialistes déjà réalisés au sein de cette société, comme les rapports de production bourgeois l’étaient dans la société « féodale » ? Car il est évident que ces nouveaux rapports ne peuvent pas être simplement ceux réalisés dans la « socialisation du processus de travail», la coopération de milliers d’individus au sein de grandes unités industrielles. Ce sont là les rapports de production typiques du capitalisme hautement développés.» La « socialisation » capitaliste ne peut se confondre avec l’association des producteurs : elle se caractérise, comme le rappelle Castoriadis, par l’antagonisme entre la « masse des exécutants » et « un rapport séparé de direction de la production. Ce qui lui fait dire que si la révolution bourgeoise est « négative », en ce sens qu’il lui suffit d’élever à la légalité un état de fait en supprimant une superstructure déjà irréelle en elle-même, la révolution socialiste est « essentiellement positive », car elle doit « construire son régime » – non pas construire des usines, mais construire des nouveaux rapports de production dont le développement du capitalisme ne fournit pas les présuppositions » (pp 94-95)

A ce niveau d’illettrisme en matière de méthodologie et de théorie marxiste de l’Histoire – mieux du matérialisme historique -, il est difficile de tomber. Notons que ces dérives dans ces cercles précèdent la contre-révolution hongroise de 1956 qui était surtout une contre-révolution des juifs hongrois et des membres de l’intelligentsia pro-atlantistes surreprésentés avec l’appui de Béria qui avait prévu de rétrocéder l’Europe de l’Est à l’Occident en échange de l’appui américain à sa prise de pouvoir à Moscou, trahison qui se réalisera ensuite avec Andropov-Gorbatchev-Eltsine quasiment dans les mêmes termes, y compris le rôle crucial joués par la plupart des surreprésentés juifs en URSS et en Europe de l’Est. Cette trahison est loin de la problématique de la transition au socialisme pour des sociétés ayant déjà connu un certain développement « démocratique » selon les contributions de Rosa Luxemburg ou Gramsci. Comme le démontre l’entrisme transparent d’un Georg Lukàcs, la fracture ne tenait pas à la nature de la démocratie socialiste à inventer mais bien à un choix pseudo-culturel philo-sémite pro-occidental, y compris en faveur du pluralisme bourgeois. De fait, pour la transition au socialisme en Europe de l’Est Staline s’était inspiré soigneusement de Gramsci en développant le concept de « démocratie populaire». Pour consolider l’hégémonie anti-nazi-fasciste au sein de l’intelligentsia de l’Europe de l’Est, Staline, qui savait comment Lénine avait utilisé la NEP sans perdre le contrôle de la planification socialiste, avait même favorisé la venue en Pologne d’Oscar Lange, le concepteur walrasien mais bien intentionné du « socialisme marginaliste », voir ici. La proclamation de l’Etat d’Israël en 1948 signa un désastreux basculement de loyauté qui, en dépit de la « question juive » de Marx, passa de l’émancipation humaine générale au vieux rêve suicidaire théocratique raciste suprématiste de « seule race élue » juive, tous les peuples gentils n’étant que des goyim infra-humains. On voit ce que cela donne aujourd’hui en Palestine et à Gaza avec l’appui de la Zionist Manifest Destiny impériale américaine, de sa Doctrine – illégale – de la guerre préventive contre tous les rivaux militaires et économiques du putatif empire et ses regime changes.     

La défaite de cette première trahison n’empêcha pourtant pas la clique Liberman-Khrouchtchev de détruire l’URSS de l’intérieur par la destruction de la planification bolchévique avec l’imposition du soi-disant « marginalisme socialiste » et sa fragmentation de la « plus-value sociale». Cela étant dit, les connaissances historiques de Castoriadis sont très minces, plus encore possiblement que ses connaissance de Marx. Les formes politiques bourgeoises n’étaient aucunement contenues dans les régimes féodaux qui avaient d’ailleurs fait place à la monarchie absolue mitigeant les relations entre noblesse et bourgeoise marchande – Althusser, Anderson etc.

Sur les Modes de production comparés

Le fond du problème est celui de l’extraction de la plus-value selon les Modes de production, de sorte que, en période de transition d’un Mode à un autre, le problème est de bien comprendre la « coexistence à dominance » d’une forme d’extraction de la plus-value qui est imposée légalement par le Mode dominant. Le Mode de production féodal, y compris dans sa forme mitigée de monarchie absolue, reposait sur l’extraction de la plus-value absolue, cette domination politique et légale – les nobles en France ne pouvaient pas déroger contrairement aux Lords anglais – tenant en laisse le capital marchand, par ailleurs coopté par mariage (voir l’exemple du financier de Louis XIV, Samuel Bernard). Ce qui était en cause était le passage de la rente absolue à la rente différentielle – Ricardo, Torrens, Marx – qui, ainsi que je le démontre, une fois généralisée hors du domaine agricole, donne la productivité qui est la forme d’extraction révolutionnaire caractéristique du MPC.

La transition du Mode « féodal » au Mode capitaliste ne se fit pas en un jour, même après la Révolution de 1789 et la Nuit du 4 août, ni du côté du développement du machinisme et des manufactures – hors régulation, disons colbertistes – ni du côté de l’organisation de la « pin factory » détruisant les « métiers » – et les vielles corporations avec leur apprentissage, bête noire de Adam Smith et de la Loi Chapelier de 1791 (p 470)  – pour les recomposer dans l’organisation moderne qui portera de la « pin factory » au taylorisme. (Notons à ce sujet que trop de gens confondent le taylorisme qui concerne la fragmentation-recomposition des tâches sur les lignes de montage, c’est-à-dire l’organisation (scientific management ) du procès de travail immédiat en vue d’extraire le maximum de sur-travail alors que le fordisme (5 Dollar/Day) concerne la rétribution au sein du même procès de travail mais aussi plus largement les rapports de redistribution au niveau macro-économique de l’Etat.) Du point de vue conceptuel et éthico-politique, il en alla de même : Gramsci analysa les traits essentiels de cette longue formation de la contre-hégémonie, aujourd’hui connue sous le nom des Lumières, avec le développement de la philosophie de Machiavelli et La Béotie, à Hobbes, Locke, Rousseau, Condorcet et tant d’autres dont Buffon, Cuvier, Lamarck etc. précédant Darwin, le tout symbolisé et synthétisé par la grande pédagogie de masse résultant de l’Encyclopédie française, ses articles et surtout ses plaques dessinées, donc visuelles et accessibles à tous, lettrés ou moins. Un artisan ou même un paysan pouvait comprendre ces plaques quasiment d’instinct ouvrant ainsi à une vision du monde scientifiquement fondée.

Et que dire du développement de la « démocratie » passant des Anciens parlements à la démocratie censitaire avec quelque 100 000 électeurs, nombre porté ensuite à un demi-million lorsque la bourgeoise dut introduire un modique « impôts sur le revenu », donc avant 1848 et la conquête du suffrage universel qui incita la bourgeoise – avant Weber et Boutmi – à s’inventer un pluripartisme bourgeois bien soumis au capital et à ses Appareils d’Etat afin de conserver le contrôle sur les masses prolétarisées, ce Grand Nombre qui fit la hantise de Nietzsche et de tous les intellectuels bourgeois après lui, y compris, à son meilleur, la « sociologie de la connaissance » selon Karl Mannheim …

Au moment où Castoriadis écrivait, l’Etat social ou Welfare State keynésien anglo-saxon, battait son plein, y compris aux USA où les conquêtes socio-économiques du New Deal, démocratie industrielle comprise, n’étaient pas encore démantelées malgré la victoire du va-t-en-guerre Truman – avec Dulles, Brennan et Cie – contre Wallace, durant les primaires démocrates tenues après la mort de FDR. Or, le New Deal, tout comme l’Etat social issu du Front national puis des cartons du CNR, prenait acte de la faillite du néolibéralisme classique avec son modèle de compétition parfaite niée dans les faits par l’émergence du capital financier qui prenait la suite du capital bancaire puis du capital industriel – chemin-de-fer etc. – incarné dans les Cartels et les Trusts – Lafargue, Hilferding, Hobson, Lénine – lui-même suivi par ce que Means appela dès le début des Années 20 aux USA les Big corporations.

A cela s’ajouta, à la lueur de la Grande Dépression, et de son chômage de masse accompagnant une indigence et un paupérisme sans précédent, la réalisation que les périodes d’inactivités des travailleurs, chômage, maladie, vieillesse etc.  n’étaient pas dues à leur volonté – « Through no fault of our owns » fut le cri de ralliement des travailleurs et des progressistes américains en particulier ceux de la CIO, les syndicats industriels qui se distinguaient du gompérisme débilitant pratiqué par l’AFL. On prit conscience que le travailleur relevait d’une espèce à reproduction sexuée devant se reproduire comme être humain dans un ménage, et non uniquement reconstituer ses forces pour retourner travailler le lendemain.

Keynes et tant d’autres remarquèrent également – selon la charte des droits sociaux de Beveridge – que les droits sociaux financés pas le salaire différé constituaient le meilleur remède anti-cyclique à opposer aux crises cycliques inhérentes au capitalisme. Outre le salaire différé ou cotisations sociales, le développement de la fiscalité progressive permit à l’Etat d’intervenir dans l’économie, du côté de la production – entreprises publiques, infrastructures etc. – ainsi que du côté de la demande – demande sociale interne dont la masse salariale assurée par le plein-emploi à temps plein – afin de préserver une croissance qualitative allant de pair avec le maintien du plein-emploi à plein temps. En paraphrasant Lafargue sans le citer, Keynes ira même jusqu’à imaginer que la hausse séculaire de la productivité mènerait progressivement à une semaine de travail de 15 heures pour absorber la force de travail « libérée » et maintenir ainsi le plein-emploi, unique moyen de préserver le MPC ou du moins la socialisation, contre ses « esprits animaux ». Dans un relent quasi Leveller -Winstanley  Keynes ajoute, en toute connaissance de cause, que ceci devrait suffire « pour satisfaire le Viel Adam en nous » tout en constituant l’unique moyen pour mitiger les crises structurelles du MPC qui opposent avec toujours plus d’acuité  la surproduction et la sous-consommation de masse.

Or, ce développement du MPC vers le capitalisme avancé de l’Etat social – salaire différé et fiscalité progressive républicaine – qu’est-ce autre qu’une meilleure répartition de la plus-value jusqu’ici empochée par les capitalistes qui payaient uniquement le salaire net individuel, forçant ainsi tous les membres des  familles de travailleurs au travail, vieillards, femmes et enfants inclus. A la fin, ce que Marx constate, c’est que les forces productives se développent et que les rapports de production idéologiquement surdéterminés ne suivent pas toujours, de sorte que le rééquilibrage se fait par la lutte de classe, les réformes et les révolutions qui finalement imposent, d’une manière ou d’une autre, la transition et le dépassement vers un Mode de production plus harmonieux.

Castoriadis devait dire ce qu’il pense du patinage à l’envers commencé avec les surreprésentés américains – et pas uniquement à Chicago University – prenant la suite du juif-fasciste autrichien Ludwig Mises et de tous ses disciples dont la Société du Mont Pèlerin – avant Davos et al … – et avec la nouvelle définition de l’anti-dumping sanctuarisée par eux dans l’OMC depuis l’Uruguay Round et ses suites. On sait que cette définition de l’anti-dumping élimine du calcul tout ce qui ne relève pas strictement du salaire individuel net du travailleur, ainsi que tout critère environnemental à minima – Summers vs Bhopal ? – menant ainsi à une course globale au moins disant salarial, le marché global du travail devant, selon Solow – prix Nobel 1956 !!! –, trouver son équilibre au « seuil physiologique », un mètre élastique, digne du retour de ce pitre au subjectiviste marginaliste d’origine le plus niais – Ecole autrichienne vs Ecole historique allemande de Gustav Schmoller pour ne rien dire des marxistes – alors qu’historiquement et sociologiquement la longévité moyenne de 1 demi milliard de camarades Dalits est de 40-42 années !

On le voit il y a encore une marge à la déflation salariale en Occident, y compris en Italie – l’assistance sociale ou GOL – équivalent RSA – y est de 350 euros/mois par foyer payés par le PNRR, ce qui, concrètement, en fait un système étatique de subvention du travail au noir étant entendu que l’on ne peut pas vivre avec cette somme et que les ponts ont tendance à s’écrouler … !!! 

Bref, on aura compris que Castoriadis n’a pas la plus minime formation pour pouvoir critiquer le marxisme – ou même comme on l’a vu les théories keynésiennes ou celles de la régulation qui théorisaient au mieux – en occultant Marx – une meilleure redistribution de la « plus value sociale » dans ce que j’ai appelé les trois composants du « revenu global net » des ménages, salaire individuel, salaire différé et la part de la fiscalité revenant aux ménages sous forme d’accès citoyen garanti aux infrastructures et services publics. Bref, Althusser avait déjà montré le rôle des Appareils d’Etat, dont l’université bourgeoise, dans le maintien du système…

Pour faire bref, une fois posé un point de départ paralogique qui vous permet de vous abstraire de toute réflexion historique méthodologiquement fondée, il suffit de broder. Ainsi toute la discussion initiée par Marx sur les Modes de production comparés – avec les extractions spécifiques de la plus-value, absolue, relative, structurellement relative ou productivité et plus-value sociale plus ou moins socialement contrôlée – les paramètres de la RS-RE, les Epoques de redistribution ainsi que les Ages technologiques et les Ères civilisationnelles – par moi spécifiés en suivant la méthode de Marx -, tout ceci disparaît. Au profit des suivantes élucubrations, qui ne sont que ce que le jeune Benedetto Croce appela, en les différenciant des distincts, des « opposés », ou des catégories  « aristotéliciennes » qui font disparaître le « premier concept concret, le devenir » – voir mon Introduction méthodologique . Dans ce livre, je démontre aussi l’inanité de « l’unité des contraires » ou « opposés » chez Hegel, qui falsifie la logique et les développements dialectiques. Castoriadis distingue ainsi trois catégories l’oikos, l’agora et l’ekklèsia. (p 591) Car il s’agit de « comprendre aussi exactement que possible la relation que le politique entretient avec ce qu’il est convenu d’appeler le « social » » (p 590)  

Bien entendu, Castoriadis privilégie aussi d’autres catégories, romaines ou issues de la Renaissance etc., mais elles renvoient toujours à l’« origine » grecque en restant des catégories sociologiques statiques, aristotéliciennes, des constructions conceptuelles prises hors du mouvement dialectique du réel. Et cela ne va pas sans problème, ces catégories se chevauchant allègrement. L’oikos, ou domaine de l’économie domestique, est en partie opposé au privé selon Hannah Arendt et son opposition privé/public dans le sens du markéting. L’agora devient le marché – quasiment dans une acception topographique selon la taxonomie de K Polanyi, marché, foire, emporium etc., sans pouvoir nier son acception politique. L’ekklèsia devient le lieu et la pratique de la représentation politique, de sorte que Castoriadis est obligé d’admettre que la frontière entre agora et ekklèsia est poreuse. Et c’est aussi ce que dit le dictionnaire ou Wikipedia !   

Aristote a joué un méchant tour à Castoriadis. On sait, ne serait qu’à travers le jeune Marx, que Platon – en fait, les pythagoriciens dont Socrate – pose comme point de départ des réflexions sociales et politiques le concept universel de l’Espèce humaine, le reste suit, dont l’égalité implicite que la République doit instaurer étape par étape selon le degré d’avancement de l’éducation donc des consciences – individuelles et collectives -, projet repris et modernisé par Joachim voir ici. Comme toujours, les travaux scientifiques de l’Académie – et de Socrate – furent condamnés par les systèmes en place. Aristote, ancien élève – infiltré ? – de l’Académie pris part aux tentatives de réfutation. La plus connue est sans doute la tentative de réfutation du système de reproduction biologique des groupes mis en scène dans la République, critique qui fait abstraction de l’essentiel, à savoir que les catégories or, argent, fer sont des constructions ultimement dépendantes de l’éducation, elles ne sont pas étanches comme des castes entendues comme castes séparées. D’ailleurs, Socrate en fait la preuve maïeutique en faisant retrouver le carré du carré au jeune esclave analphabète.

Plus sérieusement encore, Aristote, sentant la faiblesse de l’attaque, procède comme cela advient toujours, en falsifiant les prémisses de départ. Le concept universel de l’Espèce sera repris par la philosophie moderne avec notamment Kant après Machiavelli, ainsi qu’avec tous les théoriciens de la nature humaine donc de la Loi naturelle ( diritto delle genti selon Vico) et avec Herder, sans oublier l’influence de Buffon, Cuvier etc. Ce concept universel est occulté par Aristote en posant comme point de départ la famille, dans son sens plein, à savoir la domesticité de la famille élargie, voire du clan, sous contrôle d’un patriarche. Le jeune Marx en conclut que la subordination politique et sociale ne sera pas supprimée tant que l’unité « famille », y compris la famille nucléaire, ne sera pas dépassée avec ses relations de pouvoir intrinsèques dont les structures familiales – monogamie, exogamie, matrilinéarité, patriarcat etc. – et les structures de parenté assurant « la circulation des femmes », donc la reproduction biologique et sociale. Ceci ne veut pas dire que le « ménage » – terme neutre – comme lieu de la reproduction biologique disparaîtra, simplement il prendra d’autres formes qui effaceront les relations de pouvoirs en son sein en les substituant par des relations d’amour et de coopération. (voir l’essai Mariage, unions civiles et institutionnalisation des mœurs dans la partie rose de mon vieux site ici.) 

Ce fait d’occultation régressif accomplit le métèque Aristote poursuit en différenciant l’économie domestique – oikos – et l‘économie politique, à savoir la chrématistique. Avec les Physiocrates, cette distinction sera en grande partie effacée ou plutôt transformée. C’est déjà plus intéressant que la confusion oikos, agora, ekklèsia, surtout lorsque l’on a saisi l’occultation initiale recherchée.

Et qu’en est-il alors du domaine « social » ? En fait, la porosité castoriadicienne est inhérente au mouvement de la réalité, la société est toujours une « société politique », tout dépend de son degré d’avancement dans la voie de l’émancipation la plus grande possible et donc de l’accomplissement de l’égalité humaine formant la base de la liberté humaine collective et individuelle. Nous disons ici avancement au lieu de modernisation ou de développement puisque  – Joachim et Winstanley l’avaient entrevu avec leur « communisme » et les Bolchéviques et Mao l’ont démontré brillement ensuite – ainsi que  le disait l’historien allemand Ranke, chaque époque est potentiellement aussi proche de dieu, ici de l’émancipation égalitaire. Car, ainsi qu’il ressort de la structure du Capital, tout dépend de la Redistribution sociale – champ de la lutte de classe et donc de la politique qui reste le domaine de la mobilisation et de l’allocation des ressources de la Communauté au nom et au bénéfice de la Communauté – sur la base de la Reproduction dynamique. La Reproduction est régulée par les Equations de la Reproduction Simple et Elargie, champ de la Planification et de la démocratie industrielle et sociale, qui renvoie, au niveau microéconomique, aux formes d’extraction de la plus-value, dont la « plus-value sociale » dans les Modes de production socialistes et communistes et leurs diverses Époques de redistribution plus ou moins avancées.

La séparation anti-dialectique du « social » d’avec le « politique » – compris unilatéralement comme Etat hiérarchisé selon ses formes compatibles avec l’exploitation de l’Homme par l’Homme – renvoie, en fin de compte, à l’occultation univoque typiquement marginaliste entre valeur d’usage et valeur d’échange par l’invention du concept amputé de l’« utilité ». Ainsi nos deux auteurs après avoir parcourus Proudhon, Castoriadis, sans exempter Negri, Hardt, Hannah Arendt etc. tentent de proposer une solution que voici : « Il faut opposer le droit d’usage à la propriété » (p 595) ce que ni Proudhon, ni Castoriadis ni personne d’autre auraient osé, puisque toute société repose sur la division sociale du travail laquelle implique l’échange des marchandises entre elles, donc de leurs valeurs d’échange avec leur support valeur d’usage.

Reste que l’on ne peut pas rechercher une forme plus démocratique de la « société » ou mieux de la « société politique » en prétendant détruire la valeur d’échange ! Certains Bolchéviques naïfs avaient cru au début de la Révolution pouvoir détruire l’exploitation en interdisant la monnaie. Ce ne fut pas le cas de Lénine, notre maître à tous en matière de compréhension scientifique du marxisme de Marx, qui connaissait parfaitement les premiers chapitres du Capital, Livre I, où la dualité de toute marchandise, valeur d’usage et valeur d’échange, est rappelée, et où on démontre que l’échange d’une marchandise contre une autre implique leur commensurabilité, donc un mètre ou étalon de mesure universel, à savoir la valeur d’échange de la force de travail, seul équivalent universel mesurant tous les autres, bien que les échanges puissent être médiés par des équivalents particuliers – des coquillages, des patates etc. – ou, mieux encore, par des équivalents généraux plus facilement transportables et dont chaque partie aliquote conserve les propriétés naturelles du tout, ex l’or, l’argent etc.  

Pour la petite historique face à l’hyperinflation, Lénine ne se débalança pas, il applaudit même au rôle de destruction des inégalités de classe existantes en Russie – pour une fois l’inflation était utilisée pour le bien du peuple ! –  mais il s’assura pour que les Bolchéviques et les Soviets veillassent le plus rigoureusement possible à l’approvisionnement des ménages et des entreprises sous leurs contrôles, ce qui préfigura quelque peu la comptabilité planifiée en Produit Matériel Net. Ceci permis aux Bolchéviques de passer outre la réaction occidentale et interne réunie – la contre-révolution blanche. La période est connue comme Communisme de guerre. Ceci n’empêcha pas Lénine et les Bolchéviques, une fois assuré la pérennité du régime, de concevoir des transitions comme la NEP, flexibles mais toujours surdéterminées par la planification centrale et l’utilisation maximale par cette planification de la « plus-value sociale » relevant des impôts mais surtout des bénéfices réinvestis par les entreprises d’Etat, ce que précisément Liberman-Khrouchtchev détruiront.

Or, Castoriadis le savait pertinemment en tentant d’imaginer de manière utopique ( ?) un pouvoir politique diffus et dissous dans le social, plus encore que les formes d’autogestion connues-, la distinction valeur d’usage, valeur d’échange ne saurait être abolie puisque ni la division sociale du travail, ni les échanges qui en découlent, ne peuvent l’être. Aristote, pour sa part, approche la question selon sa méthode de taxonomie et de catégorisation conceptuelle : il pose alors la question fondamentale – reprise par Marx dans le Capital, Livre I : comment se fait-il que deux marchandises aussi dissemblables qu’un trépied et un lit puisse s’échanger entre elles, à savoir établir une égalité en terme de valeur d’échange ? Aristote ne réussit pas à fournir une réponse. Marx expliqua que la société esclavagiste dans laquelle il baignait occultait largement le rôle de la force de travail et donc celui de la valeur d’échange de la force de travail comme seul étalon universel permettant d’établir la commensurabilité de toutes les marchandises entre elles.

On voit l’ineptie de nos deux auteurs. Marx, que j’ai repris en tentant de le prolonger avec le concept de « plus-value sociale », montre dans sa Critique du programme de Gotha comment le socialisme et le communisme ayant aboli la propriété privée, mais non la possession individuelle, ex. la datcha stalinienne, abolissent aussi et surtout l’accumulation privée de la plus-value extraite durant le procès du travail et destinée à être réinvestie dans la Reproduction Simple et Elargie pour assurer la croissance. Ceci implique que la plus-value devienne commune – tiens ! « commun-commune» !!! – c’est-à-dire qu’elle soit accumulée dans un Fonds Social qui est ensuite réinvesti – préférablement avec l’ajout du crédit public … – dans la Reproduction Elargie socialiste ou communiste. Mais cette fois-ci cela se fait selon des priorités sociales, humaines et environnementales, par le biais d’une démocratisation entérinée à tous les niveaux, principalement la démocratie industrielle et sociale dans la Planification matérialisée par les comités d’entreprise, les syndicats, la représentation des consommateurs et des chercheurs, les Branches, les Secteurs et les filières, le Conseil Economique et Social, et la supervision par l’Assemblée nationale afin de combattre les disparités régionales dans la Formation sociale nationale etc.

Sur cette base, on conçoit, en suivant Marx, le dépassement vers un Mode de production historiquement plus avancé dans le sens des possibilités nouvelles qu’il offre pour mieux assurer les bases matérielles – dont la démocratie socialiste, voir ici – de l’égalité et de l’émancipation humaines. La recherche de la productivité la plus poussée possible continuera après le dépassement du Mode de production capitaliste mais elle répondra à des priorités sociales et environnementales – y compris, au niveau des finalités de la recherche ex. médicaments génériques, le repositionnement des molécules naturelles plutôt que de criminels pseudo-vaccins à ARN messager fait en quelques heures et distribués avec une mixture qui ne correspondait même plus à celle que les instances européennes et mondiales avaient illégalement acceptée sous prétexte qu’il n’y avait pas d’alternatives, voir ici

Cette productivité dans la sphère de la production mènera à des cycles récurrents de RTT, de sorte que le Domaine de la Nécessité, celui du travail qui reste l’honneur des citoyens et la base de leurs droits, occupera toujours moins de temps puisque toute citoyenne et citoyen apte au travail a l’obligation de participer à l’effort commun en sachant que la productivité, respectueuse de l’ergonomie et du décloisonnement des tâches pour assurer la parité homme-femmes, augmentera de manière séculaire libérant ainsi le temps-libre, celui du Domaine de la Liberté socialiste où pourra s’épanouir la personnalité de chacune et de chacun dans le sens d’une émancipation individuelle et générale la plus poussée passible. Et ceci sans nier les bases humaines ni le génome humain comme veulent le faire les tenants de Davos et autres pitoyables Yuval Hariri qui, en ignorant tout de la dialectique d’ensemble unissant la dialectique de la Nature et la dialectique de l’Histoire, viennent nous dire que la nature humaine n’est qu’un « récit »« hackable » à souhait. (Comment cet Hariri explique-t-il sa position bipède si tout est récit, sans lien jugement-réalité?). Cette falsification vise uniquement à créer des espèces « humaines » différentes : nous avons-là le délire suprématiste nietzschéen-rabbinique à son degré le plus extrême. Cette optique donne lieu à ce que nous constatons sous nos yeux à Gaza aujourd’hui, des horreurs jamais égalées dans l’Histoire humaine.

Dans le Domaine de la Liberté, les Hommes pourront donner libre court à leur imaginaire et à leur esprit créatif. Le communisme, dit Marx, est une société dans laquelle « toute personne ayant le potentiel de devenir un Raphael, pourra le devenir réellement.» Le « travail », manuel et intellectuel, qui est le cœur de la relation dialectique constituante que l’Être humain entretient avec la Réalité – nature, histoire, fictions -, sa base phénoménologique selon la réinterprétation de la Phénoménologie hégélienne par Kojève, si l’on veut, se donnera libre court, librement, et créera des œuvres qui resteront des valeurs d’usage ne devant pas être échangées, en tout cas pas comme des marchandises. Et ceci sera possible, nous le répétons, grâce à la production de toutes les valeurs d’échange nécessaires dans le Domaine de la Nécessité. Une préfiguration en est donnée par les mandala bouddhistes, pures créations esthétiques ( « spirituelles », mot à comprendre dans le sens de la psychoanalyse marxiste développée dans la Second Partie de mon Pour Marx, contre le nihilisme, ou Livre II ici.) 

On voit le danger de ces mutilations a-scientifiques, qui nient la dualité valeur d’usage-valeur d’échange et donc la dialectique Nature-Histoire et ainsi de site. Nos deux auteurs sont donc des faussaires dangereux. Et d’ailleurs ils partent du constat de la victoire sans appel de l’Empire néolibéral global, suivant en cela les pitres Negri et Hardt (incroyables références pour qui connaît un peu leurs biographies … et le rôle de Gladio, des Stay behind et de la CIA durant les Années de plomb dans la Péninsule …). Leurs élucubrations visent uniquement à nous faire croire que ces « communs » sans substance, sont la seule voie de résistance au Mode de production capitaliste aujourd’hui de nouveau dévoyé par l’exclusivisme théocratique raciste le plus barbare.

Détours par les « commons » anglais.

Quelle utilité peuvent avoir les « commons » d’Angleterre, pour comprendre le « commun » – substantif – de nos auteurs ? Bien entendu, pas grand-chose. Ce sont des institutions ! Mais comme les « commons » et le mouvement des enclosures reviennent fatalement sous la plume de nombreux commentateurs particulièrement de langue anglaise, il fallait bien en passer par là.

Les auteurs évacuent d’ailleurs rapidement toute velléité de traiter la propension néolibérale de breveter le vivant, la nature et les découvertes scientifiques comme relevant d’une lutte des classes ayant quoi que ce soit de commun avec un mouvement de « nouvelles enclosures ». Ils affirment : « Mais l’accent mis sur ce point – importance des droits coutumiers ou de la Common Law, ndr – ne saurait nous faire oublier que notre tâche ne peut consister aujourd’hui à redonner vie aux anciens communs, fut-ce sur une nouvelle base sociale, ni à en établir de nouveaux en prenant les anciens pour modèles, comme s’il suffisait de fonder les droits politiques sur cette nouvelle base pour actualiser le supposé « modèle social » des deux chartes. Pas plus que la Magna Carta de 1215 n’est une déclaration des droits civils et politiques avant la lettre, la Charte de la forêt de 1225 n’est pas une déclaration des droits sociaux comme droits universels des pauvres qui aurait pour sens de fonder la première. Il est trop facile de réduire à priori le néolibéralisme à « une doctrine économique de la mondialisation et de la privatisation » pour mieux faire apparaître la Magna Carta comme opposée à cette doctrine au prétexte qu’elle définirait « des limites à la privatisation » (sic !).

Si l’on pense le néolibéralisme comme une forme de vie ordonnée au principe de la concurrence, alors la conscience du caractère singulier de notre situation historique interdit tout rapprochement hâtif avec des configurations appartenant à un passé révolu. » (pp 398-399) Et pas uniquement révolu. En effet, il nous fut expliqué que le néolibéralisme triomphant a mis fin à l’expression politique et socio-économiques des droits individuels – ajoutons que Blair suspendit même l’habeas corpus en allant en Iraq … voir ici – et des droits sociaux fondamentaux tels que spécifiés par la Charte sociale de Beveridge de 1942 ou encore dans nos Constitutions nées de la Résistance au nazi-fascisme tout comme dans la Déclaration Universelle des Droits Individuels et Sociaux Fondamentaux de 1948 d’inspiration identique et encore en vigueur … malgré tous les Denis Kessler surreprésentés de ce pauvre monde.

Pour faire bonne mesure ils ajoutent « … comme nous l’avons établis plus haut, il n’y a pas de « communs de connaissance » qui seraient déjà constitués à la manière dont les communs agraires pouvaient l’être à l’époque de l’accumulation originelle, de sorte que la course au brevetage ne peut être comprise comme une « nouvelles vague d’enclosure ». (p 399)

Nous sommes ici dans la supercherie totale par voie d’inversion de la réalité. La nature, les connaissances etc. relèvent du patrimoine humain commun, le brevetage est une expropriation pour fins privées. Processus commencé avec la victoire des néocons reaganiens alors que les Socialistes du temps du Président Mitterrand avaient tenté de défendre ce patrimoine commun de l’emprise de la marchandisation – et de la militarisation – tout comme l’espace, les fonds marins et l’Antarctique.   

Reste alors leurs rappels historiques – sans doute des notes de cours réutilisées – concernant les deux Chartes, le développement de la Commons Law en tant que telle par opposition aux Statute Laws, surtout à la lueur de la Révolution Anglaise – voir le rôle de Sir Edward Coke et John Selden, Matthew Hale, p 374 etc. – et du Black Act plus tardif de 1723, abrogé en 1823. « La loi – le Black Act – constituait en elle-même un Code pénal d’une extrême sévérité puisqu’elle créait d’un seul coup cinquante nouvelles peines capitales correspondant à autant de délits différends. Parmi les principaux délits, on pouvait compter notamment le fait de « chasser, blesser ou voler un cerf ou un daim, et braconner un lièvre, un lapin ou du poisson » » (p 406 ) On voit s’ouvrir ici tout le champ des luttes de classe entourant les « commons » qu’ils se gardent bien d’analyser ; ils se bornent simplement à remarquer que la Magna Carta suivit la défaite anglaise à Bouvines de 1214 – et la révolte des barons contre Jean-sans-terre.

A part les révoltes sous Jean-sans-terre, la révolte des paysans anglais de 1381 mais initiée bien avant aurait mérité quelques mots. Son souvenir se répercuta dans la « guerre des paysans en Allemagne » de 1525, qui mettait en scène le joachimite révolutionnaire Thomas Müntzer, un évènement marquant qui fut analysé par Marx-Engels- voir ici. « Quand Adam bêchait et Ève filait, où était alors le noble ? », cette phrase du prêtre « mendiant » John Ball, ami du leader paysan Wat Tyler, que Winstanley réutilisera, avait été reprise par les paysans allemands : « Als Adam grub und Eva spann, wo war denn da der Edelmann? »4.» Voir ici. Cette reformulation sociale et politique avait été devancée par la présence en Angleterre de Lollard, un franciscain joachimite vaudois dont s’inspira la longue résistance des « lollards », plus encore que par la traduction de l’Ancien Testament par John Wyclif qui en tira une théologie personnelle – Ce que Valdo avait fait à Lyon avant lui.

Pour un bref rappel sur ces luttes, on se reportera à la belle entrée dans Wikipedia « Révolte des paysans anglais » dans https://fr.wikipedia.org/wiki/R%C3%A9volte_des_paysans_anglais

Il importerait par conséquent de ne pas appauvrir le contenu et la signification de ses révoltes paysannes qui insufflent un contenu nouveau aux « commons » anglais. Pour en donner un avant-gout je reprends ici une partie de mon essai sur Joachim de Flore ici :

Citation «En fait, nous retrouvons cette innovation théorique-pratique de Joachim dans tous les conflits qui suivront sa mort en 1202. Et, de manière particulière, dans la conception communiste de Gerrard Winstanley, des Diggers et des Levellers avant leur défaite militaire à Burford en 1649. Ceci est très différent des « Commons » anglais, les terres manoriales sur lesquelles les résidents avaient un accès restreint menant à des conflits permanents avec les seigneurs et autres possédants comme le montre si bien le précurseur « communiste » anglais. (10) Ou encore de l’ineptie d’accompagnement du néolibéralisme monétariste inventé en Occident après la défaite de l’Unesco imposée par Reagan – tentative d’établir un nouvel ordre mondial de la communication et des télécommunications -, à savoir les « biens communs » en lieu et place des biens publics fournis par des entreprises publiques, alternative néolibérale qui ne nuit ni à la perpétuation de la propriété privée, y compris dans les monopoles naturels devant logiquement revenir au secteur public, ni à l’accumulation du capital, ni à son interprétation du réchauffement climatique en lieu et place de la protection de l’environnement et de la mise en œuvre de l’Ecomarxisme.

De même, William Blake tentera à sa façon de refaire une vaste narration proto-biblique pour réactualiser le projet de Winstanley à la leur de Thomas Paine et de la Révolution française et de A New System ; or an analysis of ancient mythology – 1774 – par Jacob Bryant en ligne avec l’Abrégé de l’origine de tous les cultes de Charles-Franҫois Dupuis 1742-1809. (https://fr.wikisource.org/wiki/Abr%C3%A9g%C3%A9_de_l%E2%80%99origine_de_tous_les_cultes ). En ceci, outre une puissance graphique et artistique à l’égale d’un Michel-Ange, il démontre une compréhension raffinée de l’usage des mythes tels qu’il ressort, entre autres, d’une lecture soignée de Joachim et de Vico.

La réputation et les œuvres de Joachim étaient connues dès l’origine par les dirigeants Normands d’Angleterre et leurs Cisterciens. De fait,  Richard Cœur de Lion, de passage à Messine en septembre 1190, avant son embarquement pour la Terre Sainte, tint à interroger Joachim sur l’avenir de sa croisade – Philippe Auguste l’accompagnait mais, entendant mieux l’appréciation de Joachim qui en prévoyait l’échec, décida de regagner la France au plus tôt. On sait ce que pensait Joachim du pouvoir temporel, lui pour qui le vrai Temple était la conscience humaine ; cette conviction fut renforcée par la prise de Jérusalem par Saladin en 1187. ( https://fr.wikipedia.org/wiki/Richard_C%C5%93ur_de_Lion ) Plus encore, l’abbés cistercien Adam de Perseigne et le chroniqueur et abbé cistercien anglais Ralph de Coggeshall l’avaient rencontré à Rome en 1195. Dans son Chronicon complété en 1208, Ralph résuma ce qu’il avait appris de Joachim lui-même. (Voir Pasquale Lopetrone, « Gioacchino raccontato da Radulphi de Coggeshall » Corriere della Sila, 5 giugno 2023, p 10) On sait également que G. Bruno fit un passage remarqué à Londres qui le poussa à écrire sa Cena delle ceneri. Outre sa mordante ironie pour « les pédanteries et âneries » des lettrés d’alors, il démontre dans ce dialogue bien connaître ses sujets, entre autres l’astronome pythagoricien Filolao contemporain et ami du Maître de Crotone qui savait déjà que la Terre ou le Soleil n’étaient pas le centre de notre galaxie. En outre, Blake, qui travaillait de près avec des éditeurs, affirmait souvent avoir une facilité pour les langues étrangères, et de manière évidente il était bien informé.   

Note 10 : «10 ) « Winstanley s’inspirait fréquemment de l’expérience locale pour illustrer les manquements de la noblesse à l’égard des pauvres, comme lorsqu’il se plaignait de leur exploitation des terres communales et les accusait d’intervenir chaque fois que les pauvres “coupaient du bois, de la bruyère, du gazon ou des fours, dans des endroits de la Commune où ils n’avaient pas le droit de le faire”. Ses expériences à Cobham ont également dû constituer la base de l’analyse très subtile des relations sociales rurales contemporaines qu’il présente dans ses écrits sur les Diggers – une analyse qui différencie les pauvres non seulement de la gentry mais aussi des “riches Freeholders”, ces yeomen prospères qui s’associent à la gentry pour tirer “le plus grand profit des Commons, en les surchargeant de moutons et de bétail”, tandis que les pauvres se retrouvent avec la plus petite part. » (John Gurney, 2013, p 21)

On sait que l’historien anglais anti-althussérien EP Thompson, le même qui prétendait faire de William Blake le « dernier de Muggletonians », le même qui sous couvert de marxologisme académique bien ancré dans la « polite culture » – Tradition burkéenne – fait la chasse à tout ce qui peut ressembler à du jacobinisme ou pire encore à du bolchévisme, a développé une conception « culturelle » de la « sécularité » anglaise. En l’occurrence ici, il rappelait que les Blacks – paysans – anglais avaient au moins le droit hérité de la Magna Carta et de la Common Law, d’être jugés avant d’être pendus pour des petits vols en particulier sur les terres domaniales. Barrington Moore montra comment la Révolution et la Restauration anglaise avaient fait plus de morts que la Révolution française ou bolchévique. De même pour les Blacks, ou paysans. En fait, sans s’en rendre compte, cet anti-althussérien flanqué pour ce travail de sape idéologique-théorique par Ralph Milliband et autres comme le démontre le coup contre New Left Review, illustra le cynique et sanglant caractère de classe de la justice bourgeoise, un sujet que les marxistes authentiques ont quelque peu négligé. (Voir mon Pour Marx, contre le nihilisme, 2002, dans la Section Livres-Books de mon vieux site expérimental www.la-commune-paraclet.com

Pour l’importance des biens publics produits et offerts par les entreprises publiques encadrées par la planification et le crédit public voir le chapitre « Biens publics : sauvons ce qui peut encore être sauvé » dans Tous ensemble – idem. Ce chapitre fut écrit alors qu’Enron faisait faillite et que le Fraser Institute y allait de sa cynique et démagogique proposition baptisée par moi « modèle british-colombien » : puisque le capital spéculatif court-termiste ne peut financer les infrastructures qui exigent des investissements longs, l’Etat doit prendre en charge ces projets puis une fois achevés les transmettre au privé pour un dollar symbolique afin d’assurer aux clients – non aux usagers – le « juste prix du marché ». Nous en sommes à ce degré de déliquescence académique et éthico-politique. Et cela continu de plus belle, avec toute la chutzpah de rigueur en pareilles matières. 

Ceci mérite d’être souligné dans le contexte post-reaganien et climatologique des « biens communs » utilisés en réalité pour protéger les oligopoles privés tout en garantissant leurs profits par toutes sortes d’aides, de bourses pour les certificats carbone  et autres green bonds spéculatifs. Penser global, mais agissez local, en privatisant et sans remettre en cause la concurrence imparfaite de Tirole et Cie selon laquelle les Etats souverains doivent céder la place à la « gouvernance globale privée » les oligopoles transnationaux se chargeant eux-mêmes de consulter par cookies et autres leurs clients pour tenir compte au mieux de leur préoccupations, sans nuire à leurs profits. Bien entendu, tous ne sont pas clients, et tant pis pour eux ; en outre, les « clients » qui ne sont plus des « usagers » de services publics reçus comme droits citoyens garantis par la Constitution mais des « clients », ne sont dignes d’intérêts que s’ils sont solvables …      

11) Sur Paolo Cinanni voir : « Cinanni, Paolo: un comunista esemplare calabrese », 17 luglio 2017, dans  http://rivincitasociale.altervista.org/cinanni-paolo-un-comunista-esemplare-calabrese-17-luglio-2017/  Pour les « usi civici » très particuliers en Sila, les luttes des paysans dont nous faisons état dans le texte et les problèmes de la migration de masse d’après-guerre, voir P. Cinanni, Lottes per la terra e comunisti in Calabria 1943/1953 e Emigrazione e unità operaia : un problema rivoluzionario. Il me reste encore à mettre à jour mon texte sur le grand communiste calabrais en incorporant ces deux livres fondamentaux. On verra aussi :  Recensione argomentata del libro di Pino Fabiano « Contadini rivoluzionari del sud: la figura di Rosario Migale nella storia dell’antagonismo politico, Città del Sole Edizioni, marzo 2011, dans http://rivincitasociale.altervista.org/recensione-argomentata-del-libro-pino-fabiano-contadini-rivoluzionari-del-sud-la-figura-rosario-migale-nella-storia-dellantagonismo-politico-citta-del-sole-edizioni-marzo-2011/  »

Revenons brièvement sur la définition du « commun », à ne pas confondre avec les « (biens ) communs » ou les « commons » anglais, à savoir l’« inappropriable » qui exclut ainsi la terre – contre tout sens commun ? Et, de fait, si le globalisme néolibéral a triomphé définitivement pourquoi gêner Arnauld Rousseau en France ou Blackrock et autres du genre en Ukraine, pays préalablement ruiné par une guerre impériale-sioniste menée par procuration en finançant des Bataillions nazis dont Azov, mais qui compte pour1/3 de l’ensemble des terres noires agricoles disponibles qui, selon cette vision pathologique guerrière, ne peuvent pas être abandonnées à la Russie etc. …Ceci exclut également l’eau courante – Veolia etc. – et l’air – depuis quelques décennies le Japon a mis à disposition des bornes à oxygène contre le smog dans les villes les plus touchées par cette pollution. Idem pour l’espace, aujourd’hui toujours plus militarisé y compris par des firmes privées. Et que dire de la haute mer en dépit de la Conférence sur le droit de la mer ou encore de Hugo Grotius (p 48) qui illustre aussi le concept par l’exemple du « hareng » (p 340) En effet, à son époque, le hareng et la morue étaient non seulement très abondants, quasi inépuisables, mais à cause de cela ils servaient à nourrir les prolétariats à bon compte, en particulier au Portugal, en Espagne – la paella – ainsi que dans la partie méridionale de l’Italie avec les plats au baccalà, quoique en moindre mesure.

Bref, il s’agit d’une « praxis constituante » sans support « naturaliste ni essentialiste ». Tant pis pour la « praxis » selon son acception gramscienne ou simplement selon sa définition du dictionnaire. Tant pis aussi pour sa version en tant que « pratique théorique » althussérienne  !!! En fait, nous assistons ici à un glissement sémantique de l’inappropriable à l’inépuisable. Ce qui nous renvoie à la première édition de Eléments le premier livre du théoricien marginaliste de la rareté Léon Walras : dans une note de bas de page au début du livre, il précise, qu’en dernière analyse, la rareté est socialement produite – ce qui a dû faire rire son père Auguste et m’a fait, pour ma part sauter sur ma chaise : tout l’édifice walrasien tombait d’un coup. Ne parlons pas de la reprise à rabais par Paul Samuelson dans son manuel trop de fois réédité qui illustre le concept avec l’exemple du diamant, sans mentionner la fabrication des diamants industriels.  D’ailleurs la note disparut dans les éditions suivantes du livre de Walras et il est facile de conclure que Sartre n’eût pas accès à la première édition puisque qu’il posera fallacieusement l’abondance comme critère préalable du socialisme. Grave malentendu. Car le socialisme ne repose pas sur l’abondance mais sur la production assurée selon les besoins du peuple et sur la redistribution égalitaire de la production. … Les Bolchéviques et Mao en firent magistralement la preuve. Là aussi nos auteurs divaguent et taisent le rôle de la planification pour assurer les besoins, au moins essentiels, des citoyennes et citoyens sinon par des biens communs du moins par des biens, services et infrastructures publics payés collectivement et à accès individuellement gratuit et universellement garanti.

Ce qu’il importe de souligner ici, c’est que la conceptualisation des « communs » contre les biens publics et contre la conception d’une transition pacifique ou révolutionnaire au socialisme, remonte très spécifiquement à une pesante défaite de la gauche et des forces progressistes internationales, infligée notamment par l’offensive de Ronald Reagan contre l’UNESCO et contre l’ONU et son projet de faire de la Haute mer un patrimoine commun à toute l’Humanité avec la Conférence sur le droit de la mer. Cette offensive reaganienne mit littéralement fin à la volonté d’hausser l’aide internationale – à un minimum de 0.7 % du PIB – ouvrant ainsi la voie à la privatisation rampante des Agences spécialisées de l’ONU par le biais des partenariats publics-privé, ce qui est un véritable contre-sens pour la principale organisation inter-étatique mondiale !!! Je renvoie à la 5ème partie de mon « Les conséquences socio-économiques de MM Volcker-Reagan et Cie », mars 1985 ici . Ainsi, aujourd’hui, Bill Gates et son obsession vaccinale domine à l’OMS, ce qui n’est qu’un exemple. En voici brièvement un résumé.

Dans les Années 70s, en réaction à la domination des MNCs, pointe avancée de l’internationalisation du capital productif, particulièrement américain et grâce au travail de nombreux marxistes, marxologues et progressistes – notamment Althusser, André Gunder Frank, William Appleman Williams, Johan Vincent Galtung, Immnanuel Wallerstein, et même Raymond Vernon ou Barnett et Müller, etc. – la nécessité de concevoir un Nouvel Ordre Economique International se faisait jour. La crise du système de Bretton Woods initiée le 15 août 1971 et officialisée au Sommet de la Jamaïque de 1976, y était pour beaucoup. Cette tentative de démocratisation par le co-développement international concerna également le Nouvel Ordre de l’Information et de la Communication, tel qu’étudié et proposé par l’UNESCO sous la direction de son Secrétaire Général sénégalais M. M’Bow. On pourra se reporter à cette entrée sur le Rapport MacBride ici.

Dans la même lignée la Conférence onusienne sur le Droit de la Mer avait tenté de concevoir les ressources maritimes – dont les nodules métalliques et le pétrole, outre les ressources halieutiques – comme un patrimoine de l’Humanité entière hors des frontières de la mer territoriale, prolongement des plaques continentales inclus. Il n’en reste plus que le concept de zone économique de 200 miles marins, quelque peu dévoyé puisque il ne doit s’agir que d’une zone de protection environnementale et de régulation de la pêche. 

A son arrivée au pouvoir, Reagan annonça les couleurs en mettant à la porte tous les contrôleurs de l’air alors en grève. Il mis l’UNESCO au pas en coupant les fonds américains, principaux soutiens de l’Agence, et en exigeant la démission de M. M’Bow. Suivie la répudiation de tous les progrès accomplis durant la longue Conférence sur le Droit de la Mer. C’est dans ce contexte délétère que n’acquit la formalisation de cette défaite subie aux mains des néoconservateurs qui fut entérinée par le « mythe sorélien » d’accompagnement de cette régression, les « communs », en lieu et place des services et des entreprises publics. Comme nous l’avons noté plus haut, la pratique du partenariat avec le privé sauvait nombre d’emplois de bureaucrates internationaux en dévoyant le sens et les finalités de l’ONU. Au niveau national, la public policy destructrice – privatisation, dérèglementation, tax expenditures, plein des sans-emplois etc. – alla main dans la main avec les fumeuses théories de la social justice à la Giddens, Rawls etc. Le démembrement du Bloc et l’Est et de l’URSS sembla donner raison aux plus intellectuellement démunis qui chantaient déjà le chant de la victoire et la « fin de l’Histoire ». Nos deux auteurs semblent avoir vite compris d’où soufflait le vent dominant … Vous jugerez ce que cela vaut du point de vue de l’analyse scientifique, au moins sociologique …

Le nouveau sophisme des servi in camera et des bas clergés.    

Ces falsifications narratives, ces sophismes et paralogismes ne datent pas d’hier mais ils sont devenus une méthode pratiquée avec d’autant plus d’acharnement par les classes dirigeantes depuis que la démocratie représentative bourgeoise et la remise en cause socialiste radicale les menacent. Leur hantise c’est la force du Nombre, voire la sélection au mérite véritable par l’éducation nationale et la Loi des Grands Nombres. Nous eûmes Nietzsche, Heidegger, Freud etc. ainsi que la falsification marginaliste de Böhm-Bawerk, Menger, Mises etc. . Voir ici. Aujourd’hui, cette volonté de bloquer le sens du « devenir » historique humain reprend de plus belle : nombre d’académiques s’y consacrent avec une assiduité stipendiée. Outre le GIEC – ici – et les « communs » dont nos deux auteurs, nous avons les reformulations narratives statistiques – par ex. Piketty, voir ici – et de nouveau Piketty, Cagé et al., sur les inégalités et les conflits électoraux dont l’histoire identitaire imputée devrait faire oublier les textes fondateurs de la méthode historique moderne en particulier les textes de Marx-Engels sur la lutte des classes en France, le 18 Brumaire et la Commune de Paris. Je me demande ce que Marc Bloc de l’Ecole des Annales en penserait ? D’autant que l’on voit mal les lois générales à dégager des seules expressions électorales et des conflits politiques ainsi formalisés alors que le nombre d’électeurs – électrices – varia de manière importante tout comme les modes de scrutin, et l’organisation parallèle des autres Appareils d’Etat, y compris l’éducation nationale. Nous avons même un E Todd qui voudrait nous refaire le coup identitaire religieux – à quand le retour des Chevaliers de la Foi ? – en s’inspirant de Max Weber dont l’esprit du protestantisme donné comme origine du capitalisme ne résiste pas aux interrogations du premier élève du secondaire venu, pour ne pas dire de ceux, lecteurs de Schumpeter, qui voudraient remonter jusqu’aux Jésuites de Salamanque ! Mais comment faire oublier les déterminants de classes principaux, surtout dans la première République laïque moderne ? Rosanvallon a montré comment ce replis idéologique identitaire – Barrès etc. – avait été artificiellement créé et promu par la droite et par une certaine gauche pour coopter une partie du prolétariat autrement attiré par les socialistes durant les difficiles transitions socio-politiques de la fin du XIXème et du début du XXème Siècles. (voir ici ) Bien entendu les analyses électorales gardent tout leur intérêt mais on ne peut ramener l’ensemble des luttes sociales à des conflits électoraux, la compréhension des seconds exigeant une connaissance des premières. Et quel est l’horizon des analyses économiques et fiscales proto-Pareto proposées ? Loin de réhabiliter le salaire net – contre l’inflation, la généralisation des primes etc. – ou le salaire différé devant financer la Sécu publique ou encore la fiscalité progressive républicaine inscrite dans la Constitution, on nous propose de faire du bouche-trou budgétaire en allant grappiller 2 % des montagnes de profit dissimulées dans les paradis fiscaux, de quoi persévérer avec les politiques d’austérité actuelles! Voir ici.   

La palme de cette tentative d’occultation générale revient sans doute à deux jeunes universitaires juifs-anglo-saxons ayant un vernis très vaste de culture, imaginez Internet et Youtube plus la vaste bibliographie universitaire que vous prépare le bibliothécaire et que vous mâchent les assistants de recherche, il s’agit de feu David Graeber et de David Wengrow etc. Leur travail – The Dawn of everything, 2021, nouveau crépuscule des dieux ? – voudrait critiquer l’historiographie, l’ethnologie et l’anthropologie fondées sur le « devenir » égalitaire humain, confondu avec une vision simpliste du passage des sociétés préhistoriques aux sociétés hiérarchisées en classes devant aboutir à la redécouverte de l’égalité humaine grâce au développement socioéconomique. Le point de départ consiste à affirmer que le concept d’égalité est un mythe inventé par les Grecs – Pythagore, Socrate-Platon ? – ou par l’idée de rédemption imposée au mythe biblique. (p 493) La méthode usuelle consiste à créer artificiellement des épouvantails pour mieux les démolir. La première victime en est Jean-Jacques Rousseau, comme on pouvait s’y attendre de qui ignore Joachim, Machiavelli et surtout Giambattista Vico, vrai idéateur moderne du devenir historique tendant à l’émancipation égalitaire. On accumule alors en vrac tout une série d’exemples que ni Rousseau, ni Marx ne connaissaient et on leur fait dire superficiellement ce que l’on veut. Superficiellement ? La preuve en est donnée par les quelques paragraphes maladroits consacrés à la méthode et aux travaux des universitaires qui s’étaient consacrés à prolonger les analyses pionnières de Marx sur les Modes de production comparés. (Pour les quelques bouts de phrases, voir pp 360 et 446. Vous avez aussi cette perle : « Now wait. A non-productive mode of production ? » p 189. Apparemment, c’est possible …Nous avons donc droit à quelques phrases montrant comment « l’écologie façonne l’Histoire» pp 256-257. Sans surprise, nos deux auteurs et ces deux-là sont sur une même longueur d’onde inégalitaire.  )

Mais pire encore, leur tentative de créer un récit alternatif brouillant les pistes et la nécessité historique du devenir égalitaire émancipateur humain, montre qu’ils n’ont rien compris à la problématique ni spécifiquement à Rousseau – pour ne pas dire à Marx. Faites abstraction, un peu comme fut obligé de le faire Machiavelli – qui connaissait Joachim – et tous les théoriciens de « l’état de nature » avec lui, des nouvelles données ethnographiques et archéologiques, et bien cela ne change absolument rien, puisque nous avons à faire à une Espèce particulière, l’Espèce humaine, ancrée dans la Nature mais dotée d’intelligence et de conscience et créatrice, sur cette base, de sa propre Histoire. Or, par le biais de la lutte de classes, cette histoire ne peut tendre que vers une reconnaissance toujours plus complète et raffinée de l’égalité intrinsèque à tous les membres de l’Espèce. A part l’ancrage biblique-talmudique aucun texte ancien n’a jamais remis cela en cause – ni fait l’apologie du génocide de droit divin, voir par ex., le Livre des Rois – , surtout pas tous les autres textes religieux et philosophiques cherchant à établir les normes et des rituels éthiques minimaux nécessaires à une socialisation plus au moins paisible, si l’on veut le « mentir vrai » de Socrate-Platon.

 La Golden Rule sous-tendant la nouvelle société égalitaire de Gerrard Winstanley n’était rien d’autre que ce qui deviendra l’Impératif éthique universel de Kant exposé dans son magistral Fondements de la métaphysique des mœurs. Qui renvoie, ainsi que Joachim l’avait fait remarquer auparavant, à l’égalité et à la communauté des biens que l’Acte des Apôtres généralisera et où l’on reconnaît, en partie, l’organisation de la Cité pythagoricienne, du moins pour les gardiens de la République de Socrate-Platon. Les problèmes à résoudre sont : comment y arrive-t-on et avec quelle organisation économique et sociale ?

Marx éclaire toute la problématique – les Modes de production comparés – en montrant que cette marche émancipatrice égalitaire n’est pas un parti pris moral mais bien une nécessité objective inscrite dans la logique d’extraction de la plus-value, et dans la logique de la reproduction élargie sociale dont les contradictions font inéluctablement transiter d’un Mode à un autre « supérieur » dans le sens que ce dernier résout la contradiction forces productives-rapports de production du Mode de production antérieur. La difficulté superficielle ici tient au fait que tous les Modes pré-capitalistes sont fondés sur l’extraction de la plus-value absolue – et de la plus value relative strictement conjoncturelle, les proverbiaux coups de colliers ou bien l’accélération des cadences. Les avancées de productivité ne sont pas absentes mais elles s’expriment dans la très longue durée plutôt que d’une entreprise à une autre. Par exemple, l’utilisation du silex, l’astronomie pour le contrôle du temps et des saisons, l’invention de la charrue puis des socles en métal, le collier d’attelage, les moulins à eau ou à vent etc. Aucun Mode de production ne vivant en autarcie, il faut également analyser les relations commerciales et étrangères: par exemple les peuples du Néolithique ou la Ligue athénienne ne fonctionnaient pas comme l’empire akkadien … C’est pourquoi pour tenir compte du niveau général de productivité il faudra spécifier à quel Âge technologique le Mode appartient. Pour comprendre les conditions paramétriques spécifiques à un Mode il faut encore analyser les Ères civilisationnelles : l’enterrement des morts, les structures de parenté, l’attitude face au parricide et les règles morales sociales, le respect de l’humain, le refus des sacrifices et des guerres injustes etc.    

En résumant sa méthode qui associait l’investigation historique concrète et intellectuelle et la méthode d’exposition qui en résulte une fois atteint une loi générale ou mieux encore une loi universelle fondée sur un « concret pensé », Marx, admirateur critique de Darwin, écrivait que « L’anatomie de l’homme est une clef pour l’anatomie du singe ». Selon la « critique indigéniste » de ces auteurs, ceci devrait être compris à l’envers (tiens !) en abstraction de tout devenir … Bref, barrer la route et la Science, dit l’Ancien Testament et avec lui toutes les sectes régressives de tout poil, notamment théocratiques et racistes. Bref avec cette nouvelle critique indigéniste on perd même de vue l’aperçu, post-Foucauld, selon lequel les sociétés premières compensaient par le développement de leur épistémè spécifique centré sur les relations sociales et les médiations avec l’Inconnu ou la Spiritualité, les lacunes d’une techné encore balbutiante. Une société égalitaire moins assujettie au travail aliéné et disposant de plus de temps libre devra d’ailleurs s’en occuper en toute connaissance de cause, par exemple en tenant compte de la théorie de la psychoanalyse marxiste que j’ai exposée dans la Seconde Partie de mon Pour Marx, contre le nihilisme, le Livre II ici.  

Tout ceci est pitoyable. Et les universités occidentales, en proie à une obscène et débilitante surreprésentation de certains groupes, servent désormais, sur fonds publics, à élaborer ce genre de récits creux contre le devenir égalitaire humain ! (Celles et ceux qui veulent se rendre compte de l’ampleur de ce paupérisme narratif philosémite nietzschéen pourront vérifier, ne serait-ce que grâce à Internet, Youtube ou Wikipedia, du moins pour les années antérieures à la chute de l’URSS en 1991, des auteurs comme Lévi-Strauss – Race et histoire -, Karl Polanyi et P.P. Rey, par exemple, sur le Dahomey, Maurice Godelier sur la société Baruya en Papoue Nouvelle Guinée, Claude Albert Robert Meillassoux, etc., etc., ou encore la synthèse de la problématique des modes de production comparés par Foster-Carter en anglais. )     

Pour tous ces néo-narrateurs, il s’agit de généraliser la méthode de corruption de Nietzsche et Heidegger à tous les domaines pour éliminer la logique du devenir historique humain vers l’émancipation et l’égalité et remplacer le tout par des récits plausibles faisant perdre de vue la contradiction égalité-liberté opposant ces deux termes de manière factice pour rétablir les prétentions exclusivistes de certains groupes dominants. La fausse opposition égalité-liberté se résout dialectiquement dans l’émancipation égalitaire de l’Espèce. La forme la plus  monstrueuse de ce genre de manœuvre est celle mise en scène par le jeune juif Yuval Harari qui, du haut de son ignorance crasse, prétend que tout est récit, y compris le génome humain, et que l’Etre humain est façonnable à merci, en fait hackable !!!

On le voit, tous ces parasites, qui finissent par récurrence de la même façon pour les mêmes raisons selon l’implacable logique de l’exclusivisme, prétendent faire de l’occultation en usurpant un mérite universitaire qu’ils n’ont pas. (Sait-on que plus de 80 % des étudiant.e.s de Harvard, de Yale – comme G.W. Bush jr –  et d’autres universités cotées américaines sont des « A students », sans doute au grand damn de Lester Thurow du MIT qui écrivit son Head to Head, 1992, en constant le déclin de son pays? Le crétinisme induit par la surreprésentation est létal, alors que le « crétinisme » congénital peut être remédié par un minimum de support scolaire. En distinguant plusieurs formes d’intelligence Joachim montre qu’elles sont toutes d’égale dignité et toutes également nécessaires à une société harmonieuse. Sur cette base les Jésuites remarquèrent que plus de 80 % de la population à leur époque était rurale-paysanne de sorte que, vu la Loi des Grands Nombres, ils réalisèrent que leur réforme scolaire qui devait revitaliser les sociétés en déclin, ne pouvaient réussir sans un large recrutement scolaire et sans l’organisation de la mobilité sociale par l’éducation. La reproduction incestueuse de caste et de classe conduit à un suicide social.)

En suivant Kant – la sensation est la base de toute connaissance menant ensuite aux concepts a priori etc. – il faudrait demander à ces pitres comment ils expliquent qu’ils puissent se tenir dans une position bipède et comment ils réussissent à fonctionner et à se reproduire dans la nature et la société : on ne peut pas évacuer la dialectique marxiste, donc scientifique, aussi facilement. Contrairement au pitre et faussaire Gödel, on ne peut pas non plus partir de la prémisse majeure selon laquelle tous les Crétois partout et toujours sont menteurs, car ces « êtres » ne seraient pas viables comme Êtres humains et ne pollueraient pas les théories, à part celle née dans la tête de Gödel et des pauvres « mathématiciens » formatés qui se font prendre à ce faux paradoxe. (Zénon : le point est donné comme concept. Mais Achille et la Tortue ne  sont pas des concepts ni mêmes des réalités géométriques à deux dimensions mais bien des êtres à trois dimensions dans l’espace. S’ils courent contre un mur, ils finiront par s’écraser dessus, la rançon de cette moitié de la moitié toujours à parcourir digne des … Castoriadis et Cie de tous temps et dans toutes les dimensions,. Ҫa oui ! ) 

Rousseau, Hegel et le « commun ».

Nos auteurs voulant faire exhaustifs, nous avons droit à quelques pages sur Rousseau et Hegel. Ils ne touchent pas les questions de méthodologie, comme la simplification hégélienne proposée par Michelet thèse-anti-thèse-synthèse et moins encore l’absurdité logique de « l’unité des contraires » – que je fus le premier à dénoncer dans mon Introduction méthodologique – ni le parti pris idéaliste de Hegel qui mutile la dialectique, ainsi que le jeune Marx en fit la preuve définitive. Ce qui les intéressent c’est de réfuter le contrat social de Rousseau, entendu, sinon comme « commun », en tout cas comme donnée socio-politique universelle déclinée selon des formes historiques spécifiques. Rousseau, par exemple, décline pour son époque deux constitutions, une pour la Corse, l’autre pour la Pologne, selon une théorie implicite sous-jacente de la transition spécifique à chacune de ces Formations Sociales différentes mais devant les mener toutes deux à un « contrat social »  achevé, de nature essentiellement identique, c’est-à-dire démocratique donc humainement universel. (Voir l’essai sur Althusser ici )

L’universalité démocratique humaine du contrat social de Rousseau est ainsi critiquée selon l’Essence de l’Humanité hégélienne donnée comme seul point de départ universel par le philosophe de la Raison prussienne destinée à dominer le monde comme émanation de l’Esprit dans l’Histoire ! Adieu luttes de classe et égalité humaine concrète, au mieux nous aurons, quelques années avant l’accomplissement de la Raison à Iéna en Prusse, la chevauchée bonapartiste de l’Esprit à cheval … Mais on le sait le « commun » substantif ne peut être qu’une « praxis constituante » sans réification, une pseudo-praxis qui en réalité allie théorie et pratique sans objet, idéaliste et donc vide à souhait.   

Citons ces auteurs : « On aperçoit très clairement à travers cet exemple l’opposition entre ce qui est commun aux hommes, ou ce qu’ils ont de commun entre eux, et l’universel que constitue leur genre (l’espèce humaine ) : un homme privé de lobe auriculaire ne cesse pas pour autant d’être un homme en ce qu’il « est dans (im) l’universel, et c’est seulement par un tel fondement intérieur qu’il lui est donné de pouvoir être brave ou instruit dans la mesure où ces qualités particulières ne peuvent appartenir à un homme que s’il est avant toutes choses un homme comme tel.» Bref, ce qui est simplement commun aux hommes (le lobe auriculaire ) leur est accidentel et extérieur, alors que ce qui est vraiment universel (leur humanité) leur est essentiel et les détermine intérieurement. A la lumière de cette opposition, on peut comprendre l’insatisfaction de Hegel à l’égard tant du « point de vue universel » de Kant que de la « volonté de tous » de Rousseau : le premier parce qu’il est seulement un point de vue subjectif qui ne procède pas de l’essence humaine, la seconde parce qu’elle n’est qu’une somme » (p 59)

C’est ainsi que ces deux auteurs tentent d’établir que « la seule manière d’échapper au naturalisme et à l’essentialisme est de poser en principe que ce n’est pas en raison de leur caractère commun que certaines choses sont, ou plutôt doivent être, des choses communes, pas davantage que ce n’est en raison de leur identité d’essence ou de leur appartenance à un même genre que les hommes ont quelques choses en commun et pas uniquement quelque chose de commun. » (p59)  

Tout ce charabia revient à nier la dialectique d’ensemble qui unit dans le Sujet humain individuel ou collectif ou classe sociale, agissant comme l’« identité contradictoire » pouvant conjuguer les deux dialectiques de la Nature et de l’Histoire, de sorte que les actions – le travail manuel et intellectuel – des Hommes portent sur et modifient les 3 Réalités – Nature, Institutions, Fictions – objectivitées qui lui sont extérieures et qui peuvent prendre les différentes formes de la propriété et de la possession. Ceci est exclu par nos auteurs, car il n’y a rien en commun en tant que propriété – ni biens publics, ni services sociaux publics etc. – mais seulement du commun lévitant dans les nuages.     

Le fait est qu’ils se méprennent sur l’Essence de Hegel. Hegel, qui connaît ses prédécesseurs, par exemple Platon, Aristote, Joachim, Descartes, Bruno, Spinoza dûment falsifié par la Monadologie de Leibniz, Rousseau etc., n’élimine pas la Nature et moins encore les sensations – qui pour Kant sont à la base de tout entendement – comme base de l’entendement et de la Raison. Au contraire, il prend acte de l’impossibilité, largement surdéterminée par l’Inquisition, et de la difficulté pour Spinoza de développer la monade – empruntée à Joachim et à Bruno – hors du domaine de la natura naturans : en conséquence, le passage spinozien aux attributs du jugement est nécessairement boiteux, car pour être explicite il aurait du affirmer l’athéisme, à savoir le développement de l’entendement et de la Raison à partir de la biologie. Kant, on le sait, éludera la question de manière parfaitement laïque en posant la prééminence des sensations – Epicure est le plus grand des Anciens aimait-il répéter – et en établissant une séparation scientifique entre la science et sa méthodologie et la métaphysique. Outre le travail des matérialistes anciens – sa thèse sur Démocrite – Marx aura à sa disposition celui de Buffon, Cuvier, Lamarck, Darwin, Etienne G. Saint-Hilaire, à savoir la théorie de l’évolution advenant dans son environnement. En suivant ici en partie Leibniz, Hegel tente de rétablir l’orthodoxie religieuse, sa « phénoménologie » travaille alors à l’envers – comme le note Marx, son édifice marche sur la tête – elle donne l’évolution tant dans le domaine de la Nature comme dans le domaine de l’Histoire et des Idées comme étant surdéterminée par l’œuvre de l’Esprit, qu’il ne définit pas, mais qui se manifeste dans la Réalité. C’est là précisément, la falsification de l’Idéalisme hégélien.

Le prix scientifique et méthodologique à payer est immense. En particulier sur la définition de l’universel, à savoir le niveau sans lequel aucune science non relativiste n’est possible. Comme les autres Anciens, Aristote différenciait déjà le singulier – extra-ordinaire, monstrueux, comme l’exclusivisme en politique – et le particulier. Le particulier permet de concevoir le général, soit un ensemble d’« objets » entrant dans la même catégorie. La science aristotélicienne – comme les probabilités chères à Leibniz – permet de remonter des particuliers au général mais pas de redescendre, puisque le général ne donnera prise que sur les éléments communs à ces « objets » qui les font entrer dans l’ensemble général sans abolir par ailleurs leurs autres particularités – par ex., l’argument sur le lobe auriculaire.

Cependant, ainsi que le montre Platon-Socrate – les Pythagoriciens – ceci ne suffit pas, ni pour la logique, ni pour la science qui, pour leurs parts, visent parfois à l’universel par delà du général et de sa relativité disons poppérienne, pour faire moderne. Platon distingue, par exemple, les techniques mathématiques et la logique, cette dernière seule étant universelle et relevant du domaine des Idées. (En un sens il devançait Wittgenstein réagissant à Peano et Russell, entre autres. )

Ainsi dans la République Platon pose comme point de départ de l’analyse de la problématique de la Cité et de son gouvernement, non pas la « famille » – la domesticité – aristotélicienne qui ne peut mener qu’à un niveau général, mais bien l’Espèce humaine, qui, elle, n’est pas uniquement la somme des attributs physiques communs à tous les Hommes ni leur Essence supposément religieuse, mais leur possibilité dialectique de se reproduire au sein de la Nature et de l’Histoire par leur travail – manuel et intellectuel. Kant développera magistralement cette ascension de la sensation et du jugement à l’universel scientifique en particulier dans son magistral Critique de la Raison pure : les Hommes procèdent d’abord à l’investigation du monde qui les entoure, cette méthode d’investigation conduit à des conclusions analytiques et synthétiques, ce qui culmine dans la méthode d’exposition. Ces conclusions sont générales, donc relatives, ou universelles, les concept a priori étant universels du moins tant que l’on se meut dans le même Univers.

Contrairement aux idées véhiculées par tant d’académiques, et autres Lukàcs, la méthode de Marx, celle du matérialisme historique doit plus aux méthodes d’investigation et d’exposition de Kant, dûment historicisées – Kant reste stationnaire, comme sa cosmologie … – qu’à la dialectique inversée et amputée idéologiquement de Hegel, contre laquelle les hégéliens de gauche et particulièrement Marx s’étaient insurgés. Il ajoute – comme Joachim avant lui, mais probablement à son insu – que l’Histoire et la Raison humaine font eux-mêmes ces deux parcours mais en sens inverse, de sorte qu’à un moment du développement de l’Histoire, donc aussi de la conscience et de l’intellect humains, les obscurités se dissipent – les Sceaux sont ouverts, dirait Joachim.

L’exemple suprême de Marx, son concept à priori historicisé en tant que « concret-pensé » qui fonde la science économique, est donné dans le Livre I du Capital : Aristote réussit à voir la nécessité de la commensurabilité entre toutes les marchandises puisque l’échange entre elles se réalise, mais il est incapable d’en saisir le mètre commun, la valeur d’échange de la force de travail. Le capitalisme avec son exploitation froide reposant sur la « libération » de la force de travail de ses gangues antérieures – statuts, enclosures, idéologies etc. – dévoile ce secret. Mais il faudra la logique d’airain de Karl Marx pour en venir à bout. Ainsi Adam Smith dans la page 47 son Wealth of nations, éd Sutherland 1993 – en suivant Locke pose que la Nature étant à tous et le travail humain à chacun, le fruit du travail est donc légitimement la propriété du « travailleur ». Smith pose alors la question : si la valeur d’échange est le fruit du travail humain, comment se fait-il que le propriétaire des Moyens de production gagne tellement plus que ses travailleurs ? Il répond : c’est qu’« il aime moissonner là où il n’a jamais semé », et, en bon physiocrate, il conseille de réguler ce partage de la valeur d’échange selon des règles morales plus strictes – voir mon Livre IV HiHan! sur la question ici.  

On le voit, nos auteurs éludent les problèmes de la propriété et de ses formes : Or Rousseau commence sa réflexion justement en notant que la naissance de la propriété – un homme survient qui dit abusivement « ceci est à moi » sans être immédiatement contredit – fait sortir l’Humanité de l’état de nature égalitaire – où « le temps est immobile » selon l’expression de L. Colletti, à ses débuts. Plus précisément Rousseau disait que « les peuples heureux n’ont pas d’histoire » en se référant à l’égalité donc à l’absence de luttes de classes dans l’état de nature des premières sociétés. Avec l’entrée dans l’Histoire, le devenir est dominé par la lutte des classes. Rousseau était un lecteur très attentif de Machiavelli. (voir ici )

Alors que Machiavelli voulait investiguer quelles étaient les constellations de forces et ses formes les plus adaptées pour permettre aux Hommes de « vivre libres », Rousseau ajoute plus explicitement l’exigence de l’égalité humaine, à retrouver et à garantir dans le « contrat social ». Ce contrat n’est pas uniquement la somme des volontés de tous – la démocratie comme expression générale donc relative -, il en est plus exactement la résultante non plus sur la base de visées idéologiques de part, mais sur la base des données universelles constituant l’Espèce humaine que le « contrat social » permet de recouvrer, étant la concrétisation institutionnelle des droits fondamentaux humains conçus comme des matérialisations de la Loi naturelle – ou du diritto delle genti de Vico que Rousseau connaissait parfaitement, en contra-distinction de la conception du droit naturel du rosicrucien Leibniz. En voulant écarter toute question portant sur les formes de propriétés nécessaires pour assurer l’égalité et la liberté concrètes des citoyennes et citoyens, ces auteurs sont, soit des naïfs, soit des faussaires. Peuvent-ils véritablement croire que le néolibéralisme global a gagné définitivement la bataille, se faire à ce point des émules des inepties de Fukuyama et de sa « fin de l’Histoire » dans une version de pacotille universitaire de Hegel ?  

Profitons-en pour ajouter une clarification concernant la différence essentielle entre le matérialisme dialectique – plekhanovien, en réalité – et le matérialisme historique de Marx. A part l’Idéalisme de Hegel qui nous troque l’universalité concrète de l’Espèce humaine et de la société pour l’Essence et la Raison, on nous mène en bateau avec l’opposition factices entre structures matérielles, et superstructures conceptuelles, ou encore avec une tentative de mieux les réconcilier par la praxis – Gramsci etc. – et la théorie du reflet. Ces théoriciens ne se rendent pas compte que les structures et superstructures sont déjà des institutions – une forme des Réalités selon Vico qui en énumère trois dont la science doit tenir compte : la nature, les institutions et les fictions  – de sorte qu’elles appartiennent déjà à la Dialectique de l’Histoire. Mais elles reposent aussi – ils l’oublient toujours – sur le matériel- le chimique, le biologique – donc sur la Nature et la Dialectique de la Nature. Le grand problème pour la Science est de relier les deux dialectiques de la Nature et de l’Histoire– Voir le problème de Spinoza qui développe la monade dans sa natura naturans puis chancèle un peu lorsqu’il doit passer aux attributs du jugement !!! Je renvoie à mon Introduction méthodologique pour la résolution du problème – à savoir l’identité contradictoire nature-histoire-conscience incarnée dans le Sujet humain, individu ou classe, ce qui est totalement contraire à l’impossible et absurde « unité des contraires » hégéliens. La Dialectique est simplement la vision dynamique non stationnaire qui tient compte du devenir humain qui est le premier concept concret (comme dit le jeune B. Croce avant de dériver vers son libérisme corporatiste.)

Le matérialisme historique distingue aussi sciences naturelles ou dures avec leurs méthodes expérimentales spécifiques, – qui ont aussi leur développement historique propre et leurs  « concrets pensés » révélés historiquement et logiquement, par exemple la chimie de Lavoisier avec ses égalités de transformation par rapport à l’alchimie et au phlogistique -, et les sciences sociales et historiques, de la même façon que la marchandise a une valeur d’usage – naturelle, objective devant être mesurée selon les sciences dures, donnant la composition technique des procès de production chère à l’ingénieur Pareto et le vecteur sur lequel repose la valeur d’échange  – et une valeur d’échange compréhensible par l’Economie Politique marxiste, exposée dans mon Précis d’Economie politique Marxiste. Pour ces deux livres voir la section Livres-Books de mon vieux site www.la-commune-paraclet.com . On sait que Pareto ne réussit jamais à concilier la composition technique et la composition valeur d’échange, ce que seul Marx fit – et que j’ai élucidé définitivement par la Loi de la productivité marxiste réinsérée de manière cohérente dans les Equations de la RS-RE.

L’eau comme « commun » : Lucarelli, Podestà etc. vs le référendum de 2011. (Voir les pages 668-672 avec le sous-titre « I comuni per i beni comuni» ) 

Ce dont il s’agit ici c’est de la remunicipalisation de l’eau à Naples le 27 septembre 2011 suite à l’élection de De Magistris et de ses comités citoyens à la mairie de la capitale parthénopéenne. Cela concrétisait une longue mobilisation populaire contre la privatisation de l’eau par le gouvernement Berlusconi – décret Ronchi du 19 nov 2009 – qui avait mené à la grande victoire référendaire de juin 2011. Cette mobilisation anti-globaliste et particulièrement dirigée contre la dérèglementation, les privatisations et les traités de libre-échange, avait repris de l’élan lors du contre-sommet de Gênes de 2001. «  Le 23 septembre, le conseil municipal de Naples a décidé de transformer Arin de société anonyme en société de droit public. C’est ainsi qu’est née “Acqua Bene Comune Napoli”, première étape importante vers la républicanisation du service de l’eau dans la ville napolitaine.» (c’est moi qui souligne, voir : https://www.acquabenecomune.org/notizie-dalla-campania/1115-napoli-lacqua-e-un-bene-comune )

Les juristes Alberto Lucarelli, Stefano Rodotà et Ugo Mattei qui avaient alimenté la discussion publique autour des « biens communs » et les comités citoyens avaient bien compris la différence entre les sociétés par actions et les entreprises publiques, au sens français du terme, contrôlées soit par l’Etat soit par des collectifs de citoyens. A Naples, par souci défensif et démocratique, la nouvelle société municipale tentait d’entériner une forme d’ouverture à la démocratie participative. « La « souveraineté populaire sur les biens communs au moyen de la participation des citoyens » se traduit concrètement par le fait que les établissements de services publics comme ABC Napoli sont gouvernés par des représentants des usagers, des associations écologistes, des mouvements sociaux et des organisations de travailleurs présents au sein du Conseil d’administration de la municipalité.» ( pp 771-672) Il s’agit donc de remunicipaliser tout en ajoutant une part de démocratie participative. En outre, conscients aussi du développement du dossier qui vit – longtemps après la France et ses parlements de l’eau de 1964 voir ici et ici – la prise de conscience de la nécessité de tenir compte des bassins hydrologiques pour la gestion du service public de l’eau garanti nationalement, Lucarelli et la municipalité de Naples restaient convaincus de la nécessité d’établir la protection légale à plusieurs niveaux national, municipal et régional. Ils ne sous-estimaient pas la volonté des néolibéraux et de ses gouvernements transversaux de passer outre au référendum de 2011. Et de fait, la contre-réforme constitutionnelle de Gutgeld-Renzi, défaite haut la main par le référendum de 2016, avait imaginé de modifier le Chapitre V de la Constitution pour nationaliser toutes les entreprises municipales – plus de 8000, dont plusieurs centaines valant plus de 2 milliards à l’époque – afin de mieux pouvoir les privatiser par la suite. (Voir : Book Review: Yoram Gutgeld, Più uguali, più ricchi, ed Rizzoli, 2013, ovvero un sacco di vecchi cliché neoliberali che non valgono la carta sulla quale sono scritti ici et sur le référendum ici)

Après cette nouvelle défaite le gouvernement du PD revint à la charge selon le blueprint néolibéral européen et global qui constitue le seul horizon de nos gouvernements, par le bais de la Loi Madia, en partie démantelée légalement par la suite. Aujourd’hui, on revient à la charge avec une modification constitutionnelle ultra vires sur « l’autonomie différenciée » ou régionalisation de l’Italie, pourtant définie par sa Constitution comme une « République, une et indivisible » dont la fiscalité est, avec la sécurité et la défense, un des principaux pouvoirs régaliens non transférables sinon au seul niveau administratif en respectant, ce faisant, les niveaux nationaux essentiels des services prévus par la Constitution elle-même. Ce coup de force crapuleux sans précédent contre la Constitution s’accomplit par une loi ordinaire qui ne permet justement aucune contestation référendaire, le tout avec la complicité de la majorité parlementaire et de toutes les instances garantes, dont la Présidence. Toute modification à la Constitution, surtout une modification de cette ampleur, devrait pourtant respecter la formule d’amendement prévue par la Constitution elle-même. Nous en sommes arrivés à ce degré de dégénérescence éthico-politique nationale dans notre Péninsule.     

Ces conquêtes populaires, plus démocratiques que la remunicipalisation de l’eau effectuée par le haut par la Ville de Paris, suscitent une telle adhésion que nos deux auteurs n’osent pas les critiquer ouvertement. Pourtant leur analyse du cas napolitain se conclut de la manière suivante : « En articulant « biens communs » et « démocratie participative », les animateurs de la mobilisation mettent en œuvre pratiquement ce que nous appelons ici le « commun ». Mais, en conservant la catégorie de « biens », les juristes italiens comme Lucarelli et Mattei perpétuent une sorte d’autocontradiction théorique. Ils voudraient, très légitimement, dépasser la dualité fondamentale du dominium et de l’imperium en s’attaquant au rapport de domination du dominus et du bien, mais ils la reconduisent en continuant d’utiliser la catégorie juridique de biens qui « appelle » logiquement un maître. » (p 672)

Une praxis constituante menant à une nouvelle forme de propriété plus démocratique institutionnalisée, le peuple souverain comme « maître » du, des « communs», quelle horreur, en effet, pour ces deux auteurs !!! Bref, pour faire bonne mesure, il me suffira de renvoyer aux nouvelles formes de démocratie à inventer, in primis dans la planification socialiste, ici.   

Conclusion.

Ce livre fait à quatre mains tente de proposer une narration « résolument anti-capitaliste » axée sur le « commun » tout en prenant acte de la victoire définitive du néolibéralisme global – parfaitement, c’est ce qu’ils écrivent … par exemple, pp 730-731 …. Il s’étend sur 759 pages Table des matières incluse. Cependant, ils ressentent le besoin de résumer, et le font de nouveau en 10 points de synthèse qui s’étalent de la page 741 à la page 747. A la fin, on comprend qu’il s’agit d’un gargarisme, le « commun » substantif n’étant pas définissable autrement que quelque chose d’inappropriable donnant pourtant lieu à moult discussions sans objets, ce qui serait la nouvelle forme de l’agir en commun tant dans la sphère politique que dans la sphère sociale, mais en prenant soin d’exclure la sphère économique comme possible intermédiaire, y compris sous la forme des associations trop délimitées et institutionnalisées que l’on connaît comme Troisième Secteur, souvent à but non lucratif.

On pourrait ajouter de notre cru que depuis le début des années 80, toutes ses associations et ONG qui  marquent, pour le meilleur et pour le pire, tant au niveau domestique qu’international, la montée en puissance de la société civile dans la société politique nationale et interétatique, sont le plus souvent financées par les gouvernements, soit directement, soit par crédit d’impôts sur les dons, ce qui pose souvent la question de leur indépendance. Greepeace, par exemple, fut souvent le bras anti-nucléaire des USA dès lors que ce pays avait déjà en main les programmes de simulations ; elle était utile pour délégitimer et pour interdire les explosions nucléaires en surface ou souterraines nécessaires aux autres pays voulant se doter des mêmes possibilités. USAID, Human Watch et tant d’autres sont souvent suspectées à tort ou à raison … Il arrive même qu’elles soient payées pour certain.e.s par la milliardaire Aileen Getty comme Just Stop Oil et Extinction Rebellion, voir ici ?

Bref, il faut en rester au niveau des « discours » déconstructifs à la Derida et Cie, de préférence sans viser aucune réification légale et surtout aucune spécification des formes de propriétés communes alternatives à la propriété privée nationale ou globale. Les peuples – souverains ? – ne peuvent plus prétendre s’approprier de rien. La dernière ligne du livre se lit comme suit : « C’est pourquoi, tout en comprenant que l’on puisse continuer à parler de « biens communs » comme d’un mot de ralliement dans le combat, on préfèrera s’abstenir de parler de « biens » : il n’y a pas de « biens communs », il n’y a que des communs à instituer » (p747) Mais bien entendu à instituer sans réification objective, institutionnelle, uniquement comme une « praxis constituante » ne devant pas dépasser le stade de la mobilisation et de ses discours, littéralement sans autre objet que cette palabre …Citons de nouveau nos deux auteurs : la catégorie juridique de biens « « appelle » logiquement un maître. » (p 672)

Résumé en 10 points de synthèse.  

Voici le résumé du résumé fourni en 10 points qui vise cette institutionnalisation de l’« inappropriable » sans institution constituée :

1 ) Le « commun » est à comprendre comme substantif, il faudrait pouvoir supprimer l’article comme dans le titre de l’ouvrage. Le qualificatif, par exemple, « les communs » serait réifiant.

2 ) Le terme « commun » renvoie à un principe politique, à la primauté de la  délibération commune. Mais, contrairement aux délibérations d’un jury qui doit rechercher scientifiquement des preuves, délibérer n’est pas un métier pour des minorités spécialisées. « … une politique fondée sur la preuve scientifique, selon le modèle d’une médecine fondée sur la preuve (…) ne serait plus une politique du tout. » ( p 743) (Dôle de conception du processus de prise de décision démocratique ! Bref, si on comprend bien il faut éviter toute planification même stratégique …)

3 ) Le « commun » implique une participation – à ces délibérations – pour réaliser « l’agir en commun », créant une appartenance.

4 ) Le « commun » ne peut pas être un objet ni avoir un objet, il se borne à « une délibération commune », en vu d’avantages communs sans viser « des biens communs ». Bref une démocratie sans objet …

5 ) Le « commun » n’est ni un objet ni une chose – res – qui serait appropriable  Prudence : « On ne confondra pas non plus ce qui est commun en droit et ce qui peut aussi être une chose matérielle (la haute mer, les eaux courantes non domaniales, les espaces qualifiés de patrimoines commun à l’humanité, etc. ) qu’une chose immatérielle (les idées, les informations relatives au monde réel, les découvertes scientifiques, les œuvres de l’esprit tombées dans le domaine commun. La catégorie juridique de « chose commune » (res communis ) coupe les choses de l’activité alors que c’est seulement par l’activité que les choses peuvent être vraiment rendues communes. Elle doit donc être abandonnée » ( p 744)  

6 ) « On s’autorisera en revanche à parler des communs pour désigner non pas ce qui est commun, mais ce qui est pris en charge par une activité de mise en commun, c’est-à-dire ce qui est rendu commun par elle. » Bref, pappoter mais sans déranger le pouvoir, ses institutions et ses lois …

7 ) Le « commun » comme institution. « La praxis constituante est donc une politique de gouvernement des communs par les collectifs qui les font vivre » (p 745) à savoir, si j’ai bien suivi, la palabre associative et des fédérations d’associations ne visant pas le gouvernement des affaires de la Cité mais uniquement la coordination de ces palabres, ex les rencontres alter-mondialistes ? Sans doute même pas car il faudrait alors différencier entre groupe de pression et parti politique et discourir du pouvoir d’influence. Reste que le terme praxis – Labriola, Gramsci – renvoie à la dialectique, il est tout sauf un processus à vide. Althusser parlait pour sa part de « pratique théorique » informant l’action pour peser sur le réel et le changer – selon la Thèse XI à Feuerbach de Marx, ici.

8 ) « Comme principe politique, le commun a vocation à prévaloir aussi bien dans la sphère sociale que dans la sphère politique publique » (745) Exit la sphère englobante de « la production et des échanges.» (idem) Mieux, « en raison de son caractère de principe politique, le commun ne constitue pas non plus un nouveau « mode de production » ou encore un « tiers » s’interposant entre le marché et l’Etat pour former un troisième secteur de l’économie à côté du privé et du public » (pp 745-746) Bref, il ne fut pas gêner le capital global.

9 ) Le « commun » est un principe transversal aux deux sphères. Il y a donc des communs politiques et des communs sociaux. Qui peuvent se fédérer. Par exemple, des Forums globaux d’alter-globalistes et réchauffistes variés – sans relais politiques institutionnels, car alors ce ne serait plus acceptable de par la définition.

10 ) L’inappropriabilité du « commun » renvoie « à ce qui ne doit pas s’approprier, c’est-à-dire ce qu’il n’est pas permis de s’approprier parce qu’il doit être réservé pour l’usage commun. » (p 747) Serait-ce tout à coup mieux ? Non car les communs, des biens concrets comme la haute mer, les fleuves, l’eau courante etc.,  ne sont pas le « commun » qui doit rester une pseudo-praxis  constituante exempte de naturalisme et d’essentialisme – voir sur Hegel plus haut. A-t-on bien compris ? Voici le mot de la fin de nos auteurs : « : il n’y a pas de biens communs, il n’y a que des communs à instituer » (p 747) Les biens communs sont à bannir car un « bien » « appelle » logiquement un maître. » (p 672), peut-être le peuple souverain obsolète avec son Etat-nation et sa démocratie anti-exclusiviste en ces temps de néolibéralisme triomphant. 

Nous aurions-là l’anti-capitalisme résolu fondé sur le « commun» ! Tout ceci n’est qu’une supercherie indigne faite pour accompagner le néolibéralisme global pour eux triomphant.   

Paul De Marco

Notes :

1 ) Le triomphe du « marché » marginaliste néolibéral renvoie à une série de falsifications déjà analysées dans mon Introduction méthodologique (ici) et dans La pseudo-science économique de la bourgeoisie : voilà pourquoi nous devrions changer rapidement de paradigme économique (ici) La genèse de ces falsifications est la suivante : Pour John Locke la Nature appartient à tous les Hommes mais le travail est individuel de sorte que les fruits du travail sont la propriété du travailleur. Les Physiocrates reprendront le concept, mais grâce à Adam Smith les économistes se trouvent confrontés à un mystère : si le travail humain crée la valeur d’échange comment se fait-il que le propriétaire des Moyens de production gagne beaucoup plus que ses travailleurs ? Marx fournit la solution scientifique : le travail humain crée la valeur d’échange des marchandises dont celle de la force de travail qui est équivalente au travail socialement nécessaire pour la reproduire, en gros le salaire. Mais dans le procès de production – la fonction de production canonique s’écrit : c + v + pv = p – le capital variable ou force du travail a une double qualité : en tant que force de travail reconstituée prête à travailler il est du travail cristallisé, en gros équivalent à son salaire journalier. Mais ce travail cristallisé est aussi le vecteur du travail vivant qui va se dépenser durant toute la journée de travail. Si la journée est de 8 heures et que le salaire est produit en 4 heures, le fruit des 4 heures supplémentaires ou surtravail sera empoché par le capitaliste en tant que profit. Pour la première fois grâce à Marx le mystère de la commensurabilité des marchandises entre elles de même que le mystère de la genèse du profit, le problème de A Smith, étaient élucidés scientifiquement. Pour occulter cette exploitation de classe, la théorie classique de la valeur d’échange fut écartée au profit de la falsification subjectiviste et univoque de l’ « utilité » marginale des marchandises mesurée selon le « calcul des joies et des peines » de Menger qui deviendra la méthodologie marginaliste de base. Mais ce tour de passe-passe reposait sur une falsification préalable, celle de J.B. Say, qui, en s’inspirant de la paper currency de Ricardo, imagina d’écrire la fonction de production unilatéralement sous forme argent. Ricardo conférait ainsi une autonomie abusive à l’équivalent général monétaire devant lui-même être évalué selon l’étalon de valeur universel, la valeur d’échange de la force de travail. Ainsi on avait désormais affaire à des facteurs de productions certes divers mais tous exprimables sous forme argent dans les équations et leurs manipulations. L’exploitation du travailleur disparaissait ainsi que le fait essentiel, à savoir qu’il n’est pas un facteur de production comme un autre puisqu’il doit se reproduire – pour retourner travailler le lendemain – mais aussi se reproduire dans un ménage en tant que membre d’une espèce à reproduction sexuée. La force de travail devenait ainsi fluide sous sa forme monétaire et donc exploitable à merci puisque l’équilibre économique – Solow, pseudo-Nobel 1956 – serait atteint lorsque le coût du travail atteint son niveau « physiologique » – niveau éminemment élastique, on le voit. Les falsifications méthodologiques ne s’arrêtent pas là. Pour trouver le juste prix du marché qui quantifie l’utilité marginale on nous propose de croiser les deux courbes de l’Offre et de la Demande. Or, pour établir le juste prix du côté de l’Offre, il faut au préalable donner les barèmes de la Demande en prix, et vice-versa. Puis on croise les deux pour trouver … le juste prix du marché ! Voilà !!! (Et dire que Böhm-Bawerk accusait faussement Marx d’avoir succombé à la contradiction létale ex ante / post hoc dans le faux problème de la transformation des valeurs en prix de production : voir mon Tous ensemble, le Livre I, ici)

Mais il y a pire. Lorsque les marginalistes et les néolibéraux parlent du juste prix du « marché » leur charabia falsificateur se concentre surtout sur les obstacles imaginés sur le seul marché du travail. Or, la fonction de production est bien: capital + force de travail + plus-value = valeur d’échange de la marchandise produite. Outre la liberté sans entrave sur le marché du travail imposée par l’Etat soi-disant non interventionniste néolibéral qui, en fait, l’est beaucoup plus que l’Etat social mais pour le seul bénéfice des classes aisées, le libre marché devrait imposer la concurrence parfaite – libre et non faussée -parmi les producteurs et les distributeurs. Et que dit Tirole – et tutti quanti – sur la concurrence imparfaite : elle ne pose aucun problème, ne nécessite aucun anti-trust pour autant que, moyennant quelques cookies, les grandes firmes globales – Gafam et autres – se conforment à l’idéal qui consiste à veiller à la satisfaction de leurs clients. Noter qu’il s’agit de clients dignes d’intérêt uniquement lorsqu’ils sont solvables et non d’usagers ayant des droits d’accès citoyens garantis par l’Etat et ses entreprises publiques ou ses services publics. Marx puis Lénine avaient tous deux montré que la concurrence matérialisée surtout par les hausses de productivité menaient fatalement à la concentration-centralisation du capital. Nous eûmes ainsi – Lafargue, Hilferding, Hobson, Lénine etc. – les cartels et les trusts. Dans les Années 1920, Means aux USA publia son livre Big corporation qui signait la fin de la narration smithienne de la concurrence parfaite entre les bouchers et les boulangers du coin, chacun travaillant pour son compte personnel mais menant, via la « main invisible », à la satisfaction de l’intérêt général. Au prix d’un énorme gâchis, et de crises diverses, ce qui est toujours tu. Puis nous eûmes parmi les théoriciens bourgeois, les théories de la concurrence imparfaite avec les monopoles, les oligopoles et les monopsones – Chamberlin, Schumpeter, Sraffa, Joan Robinson etc. On voit la supercherie qui explique aussi le côté corporatiste-fasciste du néolibéralisme sous toutes ses formes, de Mises aux Chicago Boys opérant au Chili sous Pinochet et jusqu’à leurs émules occidentaux d’aujourd’hui. Il suffit d’ajouter que la prise de conscience de l’émergence des grandes firmes – nationales puis multinationales – posa la question du rééquilibrage du pouvoir de négociation des travailleurs – les syndicats conçus comme contrepoids lors des négociations collectives – et du rééquilibrage économique et politique qui vise à contrer les « esprits animaux » du capitalisme qui mènent fatalement aux crises conjoncturelles et aux crises structurelles comme la Grande Dépression initiée en 1929 où celle qui a cours sous nos yeux aujourd’hui. L’interventionnisme régulateur de l’Etat était considéré comme nécessaire. Je renvoie ici à la synthèse présentée dans la Note 15 sur John Galbraith dans mon Livre-Book III ici.     

On le voit ce néolibéralisme triomphant est très éloigné du libéralisme classique, de l’anti-exclusivisme, base de toute démocratie selon Thomas Paine dans son magistral Rights of Man ou encore de John Stuart Mill dans On Liberty .      

2 ) Dernièrement, cette relation végétation/CO2 donne lieu à des études plus approfondies qui montrent que les arbres, le blé, le riz placés dans la catégorie C3 se développèrent à une époque où le niveau de CO2 oscillait entre 800 et 1500 ppm, contrairement au maïs plus tardif qui rentre dans la catégorie C4.

Citation : «  In addition to not affecting temperature, Mr. Clark said the attempts to reduce CO2 are dangerous because of the anticipated effect on plants.

“C4 plants, like corn, evolved just 20–30 million years ago. And they evolved in response to the declining CO2 in the atmosphere. So, they’re a relative latecomer to our biosphere and reflect the danger of decreasing CO2,” he said.

A majority of plants, such as trees, wheat, and rice, are what’s known as C3 plants, which thrive at higher CO2 levels of 800 to 1500 ppm.

Mr. Clark said one of the benefits of increasing CO2 is improved global grain yields and the general greening of the planet.» dans Fixation on CO2 Ignores Real Driver of Temperature, Experts Say

UN claims that human-caused CO2 emissions are imperiling the planet are ‘totally garbage,’ says scientist. ‘CO2 doesn’t cause a change in temperature.’

(from quote in « ‘Pure Junk Science’: Researchers Challenge Narrative On CO2 And Warming Correlation »,  by Tyler Durden,  Wednesday, Feb 21, 2024 – 02:00 AM, https://www.zerohedge.com/political/pure-junk-science-researchers-challenge-narrative-co2-and-warming-correlation )  By Katie Spence, February 19, 2024, https://www.theepochtimes.com/article/fixation-on-co2-ignores-real-driver-of-temperature-say-experts-5588495?utm_source=partner&utm_campaign=ZeroHedge&src_src=partner&src_cmp=ZeroHedge

3 ) Je renvoie ici à mon essai Mariage, unions civiles et institutionalisation des mœurs dans la Partie rose vieux site expérimental www.la-commune-paraclet.com ainsi qu’au Chapitre «  11 ) Droits civils : « Mariage, unions civiles et institutionnalisation des mœurs » suivi par « Après les « surhommes » voici la fin souhaitée de l’Espèce humaine » » ici

Commenti disabilitati su Sur « La société des égaux » de P. Rosanvallon : Égaliberté ou Emancipation, la Liberté conçue comme Esthétique de l’Egalité, 23 novembre 2023.

Le livre de Pierre Rosanvallon, La Société des Égaux – éd. Du Seuil – date de 2011. Il prend acte des changements en cours marqués par l’explosion des inégalités, tant des revenus que des patrimoines. Les inégalités de revenus et de patrimoines qui avaient décru après 1913 et surtout durant et après la Seconde Guerre Mondiale, du fait de la progressivité de l’impôt sur le revenu, ont recommencé à croître avec l’introduction des réformes fiscales néolibérales monétaristes.

Dans nos sociétés « démocratiques », ces bouleversements reposent néanmoins sur le maintien de l’hégémonie de la bourgeoise. Elle sait jouer de la tension, pour l’auteur originelle, entre égalité et liberté. Mais il s’agit d’une tension bancale, transformée en opposition aristotélicienne indépassable qui nécessiterait par conséquent toutes sortes de contorsions et de médiations politico-sociales, alors que leur relation dialectique – égalité = Nature ; liberté = Histoire, les deux étant conjuguées par le Sujet, Individu ou classe sociale – se résout de manière concrète, historiquement, institutionnellement et idéologiquement par le degré d’émancipation humaine atteint selon la logique de la lutte des classes et des alliances de classes.

L’Homme étant un animal social doté d’une conscience, les inégalités, ou plutôt les différences naturelles, sont en réalité la condition de survie de l’Espèce, c’est-à-dire un ensemble spécifique dont tous les membres sont égaux, par définition, au sein de son environnement. Les différences institutionnelles et par conséquent aussi les diverses intelligences relèvent également de ce processus d’adaptation, de survie et de façonnement, l’Espèce humaine étant bien plus capable de s’adapter aux changements que les autres Espèces animales qui comptent uniquement sur leurs instincts. Elle le fait en intervenant directement sur la Nature et les institutions sociales. Dans ce double devenir, les différences ont égale dignité et sont toutes également nécessaires à une société harmonieuse ainsi que l’expliquait déjà Joachim de Flore. (ici) Ceci est d’autant plus vraie que la société se complexifiant, la division sociale du travail estompant ainsi les différences.   

Pour cette dialectique sur laquelle repose le matérialisme historique, je renvoie à mon Introduction méthodologique ici. L’auteur fait peser toute son analyse sur le concept d’égalité, alors que le vrai problème repose sur celui de la liberté concernant les Êtres humains membres d’une Espèce sociale à reproduction sexuée, que ce soit naturellement ou artificiellement. Or, la Liberté conçue comme Esthétique de l’Egalité concrète ne relève pas uniquement du libre-arbitre, du choix individuel radical ou du choix en harmonie avec des limites naturelles ou institutionnelles, dont psychiques, elle n’est rien d’autre que l’Emancipation humaine qui, selon Marx, ouvrira la porte de l’Histoire à une Humanité encore sujette à la Préhistoire de l’exploitation de l’Homme par l’Homme.

Le marxiste canadien Stanley Ryerson, bien ancré dans le bilinguisme fondateur de son pays et les luttes de classes nationales et mondiales avait concédé un manque de « liberté » en URSS ; il inventa ainsi ce néologisme « égaliberté » pour indiquer que la lutte pour une meilleure synthèse restait aussi inévitable que nécessaire. Balibar ne fit qu’emprunter le concept sans le comprendre. (1) Il ne s’inscrivait donc pas uniquement en réaction aux évènements qui avaient cours dans le Bloc de l’Est mais surtout à ceux qui prévalaient dans le processus de modernisation bilingue de son propre pays et dans la lutte visant à intégrer la Charte des droits fondamentaux dans la Constitution « coloniale » de 1867. Au fond, c’est à la marche de l’émancipation humaine qu’il aspirait, celle du Triptyque de l’Émancipation analysé par Marx dans sa critique de la philosophie du droit de Hegel reposant aussi largement sur le rejet de l’exclusivisme déjà bien analysé par exemple par Thomas Paine dans son Rights of Man. Nous avons donc l’émancipation religieuse atteinte grâce à la laïcité, l’émancipation politique atteinte par l’égalité formelle ou liberté de tous les citoyens devant la loi et dans la prise de décision, soit la démo-cratie, et enfin l’émancipation humaine lorsque tous les citoyens et citoyennes pourront participer à égalité dans les processus de prises de décisions concrètes en particulier en ce qui concerne la réallocation des ressources de la Communauté pour le bénéfice de la Communauté et de tous ses membres en privilégiant les priorités sociales communes. Dans une telle société le Domaine de la Nécessité économique, qui assure les conditions matérielles d’existence des Êtres humains, prendra toujours moins de place, ouvrant ainsi la voie au développement du Domaine de la Liberté socialiste.  

De fait, la poussée citoyenne républicaine et égalitaire ne tomba jamais dans le travers d’une telle opposition stérile. Au fronton de la République fut inscrit dès le départ : Liberté, Egalité, Fraternité, cette dernière devant assurer les bases matérielles d’existence des deux premières par la solidarité socio-économique et politique. Tous les premiers théoriciens de la République, de Thomas Paine, à Babeuf ou Buonarroti, avaient déjà entrevu un système de solidarité sociale ou « welfare » selon l’expression anglaise, pour tenir compte de la force de travail inactive par nécessité. Winstanley en Angleterre les avait devancé. Condorcet que Rosanvallon cite à juste titre distinguait bien trois espèces d’égalités, selon la  richesse, selon l’instruction et selon les accidents de la vie, mais ce dernier point le porta à appliquer ses connaissances des probabilités pour imaginer un système d’assurance vieillesse. (p 50) . Nous verrons plus bas que ce troisième principe, la Fraternité, fait toute la différence pour comprendre les perceptions de l’égalité que la bourgeoise est capable de manipuler selon les Époques de redistribution du Mode de production capitaliste, c’est-à-dire selon la logique particulière d’un régime d’accumulation du capital. L’expression énonçant que la Liberté est l’Esthétique de l’égalité est de Lénine, lequel connaissait bien Kant.       

Rosanvallon fait totalement abstraction de cette dialectique et s’emprisonne dans toute une série de représentations purement idéologiques de la supposée opposition entre égalité et liberté ; il le fait, en outre, sans jamais tenir compte des processus de production-reproduction-redistribution sociale, qui sous-tendent ces représentations. Nous sommes ainsi destinés à tourner en rond, accentuant ceci ou cela dans une lutte des classes pérenne mais sans aucun espoir de dépassement. C’est en quelque sorte la « fin de l’Histoire » d’une conception purement sociale démocrate frisant le social libérisme. Au mieux en s’en tenant aux superstructures bourgeoises il distinguera entre égalité-équivalence, égalité-autonomie et égalité-participation. (p 22) ; ces différentes formes seraient déclinées par la tension sociale entre des systèmes « d’égalité-distribution » et « d’égalité-relation ». (p 351) En suivant Claude Lefort (p 57) il considère que la conquête du suffrage universel – individualisé – représente le « point zéro de la société » alors que tout l’enjeu est de soumettre la propriété collective et l’allocation des ressources dans la reproduction élargie à ce suffrage universel. L’intérêt résiduel de son livre tient à un choix méthodologique : voulant apporter une contribution originale, il se tient à l’écart des formalisations habituelles préférant aller réinterroger les textes théoriques-idéologiques moins connus qui informèrent les exposions historiques et théoriques qui nous sont plus familières.   

Cette fausse opposition aristotélicienne est en effet déjà contenue dans les réflexions qui portèrent à la rédaction de la 1ère Constitution de la Révolution française. Ainsi Sieyès dans Qu’est-ce que le tiers état, dénonce les privilèges au nom de l’égalité humaine : « Le privilégié, écrivait-il, se considère avec ses collègues comme faisant un ordre à part, une nation choisie dans la nation (…) Les privilégiés en viennent réellement à se regarder comme une autre espèce d’homme » (p 27) D’un autre côté, Tocqueville critique l’univers aristocratique : « c’est à peine s’ils croient faire partie de la même humanité, notera-t-il en une formule célèbre. D’où, à l’inverse, sa définition de la démocratie comme société de semblables » (p27) laquelle mènerait au nivèlement et à la « médiocrité » selon son analyse des Etats-Unis à son époque.     

Selon Marx le Mode de production capitaliste induit une mentalité acquisitive fondée sur la nécessité de l’accumulation capitaliste, le capital inerte n’existant pas en tant que capital. A la fin, le développement des forces productives, à savoir la croissance imparable de la productivité entraînée par la compétition, sociale et/ou technique, entrera en contradiction avec les rapports de production ; c’est pourquoi Marx dit que le capitalisme crée ses propres fossoyeurs : le travail libéré réduit à la précarité et au chômage cherchera à rétablir un équilibre, en particulier par le développement accru de la RTT et de la socialisation des Moyens de production et d’échange. Entre-temps, comme à ses débuts dans sa lutte contre le féodalisme, la bourgeoisie tente de bâtir son hégémonie sur une idée restreinte de la liberté et de l’égalité, en cherchant à les rendre compatibles avec son processus d’accumulation privée qui mène à la marchandisation du monde entier outre la marchandisation de la force de travail et de sa reproduction. Vu par Marx ce devenir historique mène au dépassement du Mode de production capitaliste et à un degré plus haut d’émancipation humaine.

Pour l’auteur, ce procès dialectique prend la forme psychologique appauvrie et moralisante du Paradoxe de Bossuet : « … cette situation dans laquelle les hommes déplorent en général ce à quoi ils consentent en particulier. (…) … les individus se projettent abstraitement, alors que leurs comportement personnels sont concrètement déterminés et s’appuient sur des formes beaucoup plus étroites. On voit ainsi fréquemment, pour ne prendre que cet exemple, les jugements accablants sur l’injustice du système éducatif voisiner avec des comportements individuels d’évitement des obligations de la carte scolaire » (pp 17-18) Pour Marx, cette psychologie subalterne ou partielle n’est rien que le résultat des contraintes capitalistes sur des Individus exploités ne maîtrisant pas leur propre destin mais toujours capables d’imaginer un monde meilleur. 

Sur ce hiatus comportemental, que je suppose pérenne pour l’auteur, se développeraient les différentes déclinaisons de l’égalité sous l’hégémonie intéressée de la bourgeoise. A la limite, sur une telle base, en faisant abstraction des forces productives et des rapports de production, on peut tourner en rond indéfiniment. On le voit, l’occultation du devenir de l’émancipation humaine mène à un cul-de-sac.

Nous en donnerons deux exemples analysés par l’auteur, celui de « l’égalité dans la séparation » et celui du protectionnisme identitaire national de Maurice Barrès et consorts.     

Suite à la victoire du Nord sur le Sud mettant fin à la Guerre de Sécession américaine – 1861-1865 – l’esclavage fut formellement aboli. Puis dans le cadre des Reconstruction Amendements, les 13, 14,15èmes s’étalant de 1865 à 1870, le 15ème Amendement fut promulgué le 3 février 1870 pour reconnaître le droit de vote inaliénable à tous les citoyens indépendamment de toute considération de race, de couleur ou de servitude antérieure. (voir ceci) Cependant, le 14ème Amendement, qui ne reconnaissait les droits civils qu’au niveau étatique, ne permettait pas d’abolir la discrimination raciale opérée dans le secteur privé. Furent ainsi posés les jalons légaux sur lesquels se développèrent toutes les lois et les comportements pervers inhérents à la ségrégation raciale. L’« égalité dans la séparation » s’ingénia à inventer toutes les mesures de déshumanisation et d’exclusion politique et sociale possibles et imaginables. C’est ce que l’on appelle les Lois Jim Crow. « Les lois Jim Crow ont été confirmées en 1896 dans l’affaire Plessy contre Ferguson, dans laquelle la Cour suprême a exposé sa doctrine juridique “séparés mais égaux” concernant les installations destinées aux Afro-Américains. En outre, l’enseignement public était essentiellement ségrégué depuis sa mise en place dans la majeure partie du Sud après la guerre civile de 1861-1865. Les lois sur les compagnons excluaient la quasi-totalité des Afro-Américains du droit de vote dans le Sud et les privaient de toute représentation gouvernementale. » (traduction, Jim Crow laws – Wikipedia )En guise de brève illustration voici une autre citation : « Entre 1890 et 1910, dix des onze anciens États confédérés, à commencer par le Mississippi, adoptent de nouvelles constitutions ou des amendements qui privent de fait la plupart des Noirs et des dizaines de milliers de Blancs pauvres de leur droit de vote par le biais d’une combinaison de taxes électorales, de tests d’alphabétisation et de compréhension, et d’exigences en matière de résidence et de tenue de registres[23][24] Les clauses de grand-père permettent temporairement à certains Blancs analphabètes de voter, mais n’apportent aucun soulagement à la plupart des Noirs.
Ces mesures entraînèrent une chute spectaculaire de la participation électorale dans tout le Sud. » (idem)

On ne s’étonnera pas de l’emphase que Rosanvallon fait porter sur l’émergence de représentations racistes et discriminatoires visant à départager les « mérites » jugés intrinsèques des individus que le suffrage universel masculin considère néanmoins également comme des électeurs. La stigmatisation plus ou moins explicite des « classes dangereuses » et entre genres reposera sur des développements pseudo-scientifiques contestables. Ceci se vérifie avec le développement du darwinisme social, celui de l’inégalité des chances selon la phrénologie de Franz Joseph Gall, celui du QI d’Alfred Binet, celui de la Bell curve de Hermstein et Ch A. Murray, pour aboutir aux théories de Gobineau et consorts. (p 139 et suivantes). Si nous voulions compléter le décompte la liste serait longue et ne pourrait faire abstraction de Nietzsche ou même du nietzschéen Freud. Je m’en tiendrais ici aux économistes bourgeois. Merger, le même qui contribua a fonder le concept bancal « d’utilité » malgré l’évidence selon la quelle toute marchandise, y compris la force de travail, est duale, donc dotée d’une valeur d’échange et d’une valeur d’usage sans quoi « le calcul des joies et des peines » déterminant l’utilité reste subjectif et élastique. Il inventa également la notion de « life chances » dans un sens différent du « plain level field » des théoriciens républicains américains comme Th. Paine.

De fil en aiguille, ce concept permettant de prétendre à une égalité formelle au départ tout en entérinant les inégalités réelles socialement surdéterminés dans les processus et les résultats, fut repris par Max Weber. Sa sociologie en partie inspirée par Sombart, Bernstein et al., tentait de prendre acte et de justifier l’émergence d’une classe moyenne scolarisée, liée au développement des bureaucraties privées et étatiques, dont le « mérite » justifiait la position sociale par rapport au prolétariat ouvrier. C Wright Mills élaborera avec sa théorie des « cols blancs ». Suivirent celle des « technostructures » reflétant au niveau étatique la distinction dans l’entreprise entre propriétaires et managers – Domhoff, etc. Cette technostructure avait accompagné l’émergence des contrepoids démocratiques, y compris les syndicats appuyés par un nouveau code du travail protégeant la négociation collective. Elle alla de pair avec l’Etat social – ou Welfare State anglo-saxon – le démantèlement de ce dernier conduisant à son remplacement par les cabinets de conseils privés. Pour l’analyse des technostructures et des contrepoids je renvoie à la Note 15 sur John Galbraith dans mon Keynésianisme, Marxisme, Stabilité Economique et Croissance, 2005. Comme le démontre le rôle de légitimation politique du « mérite » selon M. Weber, ces développements influencent grandement la composition et la conscience des classes en présence et donc la stratégie visant à forger les alliances de classe tant pour la bourgeoise que pour le prolétariat. Ces relations dialectiques font défaut dans l’horizon épiphénoménal de Rosanvallon.

Concernant le mérite, et par conséquent la légitimation de l’échelle salariale la pédagogie moderne sait combien la réussite scolaire dépend de la position de classe et de genre des individus, donc des normes langagières et comportementales tacites qui doivent être respectées. Le suffrage universel créant la hantise bourgeoise du Nombre, celui des « classes dangereuses », contre les privilèges, Boutmy alla jusqu’à concevoir les différences fondées sur l’éducation comme la barrière de classe ultime à opposer à ce danger. (2) Je renvoie à ce sujet à l’Annexe Spoliation  de mon livre Pour Marx, contre le nihilisme – 2002. C’est pourquoi l’idéal communiste, tant pour Marx que pour J. Guedes, reste le partage du travail disponible  avec l’égalité des salaires, l’échelle salariale extrêmement réduite ne variant en fait réellement que par la durée du travail accompli.  Puisque, selon Joachim de Flore, toutes les formes d’intelligences ont égales dignité et sont toutes aussi nécessaires pour une société harmonieuse , l’accessibilité permanente et gratuite à l’éducation supprime la valeur différentielle des diplômes, ceux-ci ne valant plus pour légitimer une présumée supériorité humaine ou sociale mais plutôt pour la participation collective dans la division du travail. L’expérience du socialisme réel a démontré que ceci n’est pas une illusion puisque la démocratisation socialiste de l’éducation et de la culture fit des prodige dans tous les domaines.                 

La République avait littéralement coupé le cou du « droit divin » pour établir l’égalité et le droit de vote de « citoyens ». Surgissait alors pour les possédants, reliques de l’Ancien Régime et nouvelle bourgeoise, la hantise du Nombre et de son expression démocratique. Que d’efforts déployés aujourd’hui encore pour y faire barrage. L’hystérie bien connue de Flaubert durant la Commune de Paris a ses antécédents. Par exemple, suite à la révolte des Canuts de Lyon en 1831 qui suivit de près la Révolution dévoyée de Juillet 1830 pour finir avec Louis-Philippe, roi des Français. Citons Rosanvallon : « On peut parler à ce propos de véritable bombardement idéologique. Saint-Marc Giradin, qui s’était illustré en qualifiant en 1831 les canuts en révolte de « barbares », sera le premier à lancer l’offensive pour ôter toute mauvaise conscience à la bourgeoisie. La misère est le châtiment de la paresse et de la débauche. Voilà les enseignements que nous donnent l’histoire », avait-il froidement lancé en 1832, depuis la tribune de la Sorbonne. Des tombereaux de livres et d’articles déclineront ces expressions pendant la Monarchie de Juillet. Dans sa somme consacrée aux « classes dangereuses », qui fera référence à l’époque, Frégier ira encore plus loin. Il criminalisera en effet le monde ouvrier en élargissant la catégorie des « classes pauvres et vicieuses » à celle des classes dangereuses. Il ne suffira plus pour lui que le prolétaire soit considéré comme un misérable et un dépravé, il fallait encore voir en lui la plus terrible des menaces » (p 128)

On voit comment fonctionne le mécanisme d’exclusion et comment il s’adapte à l’évolution des forces productives et des rapports de production. Les classes dangereuses le sont indépendamment de leur ethnie, de leur religion etc. pour autant qu’elles aient le potentiel de porter à un dépassement de l’ordre bourgeois et derrière lui de celui reposant sur l’exploitation de l’Homme par l’Homme. La banlieue est ainsi traitée aujourd’hui ; pire, pour la stigmatiser encore plus, on inventa une « menace islamiste » externe et interne par le biais des inepties théocratiques racistes des chocs de civilisation et de la doctrine des guerres préventives pensée pour détruire tous les rivaux économiques et militaires potentiels du putatif empire judéo-américain et plus exactement philosémite nietzschéen et de leur « temple » (de Salomon) à « reconstruire » bien qu’il n’existe aucune preuve historique ou archéologique de son existence  – si beau, prétend-on, qu’il obscurcissait la vue (sic !)

Pour s’emparer du pouvoir la « bourgeoise conquérante » fit une alliance avec le peuple en chantant les louanges de la « liberté, égalité, fraternité ». Pour sauver son nouveau Mode de production, elle dût très rapidement se dissocier de lui, le diviser et le dominer, ravalant ainsi ses principes à leur expression formelle la plus étriquée.

C’est pourquoi, paradoxalement, la condamnation des dérives exclusivistes redeviennent d’actualité. La condamnation dans Rights of Man de Thomas Paine de l’exclusivisme de la Tradition défendu par Edmund Burke contre la Révolution française garde toute sa charge libertaire, sociale et démocratique. Il en va de même mais définitivement cette fois-ci avec la Question juive de Marx.

Certains aveugles plus ou moins complaisants et/ou complices ont pu ne pas s’offusquer lorsqu’un juif-français comme Finkielkraut théorisa publiquement la « séparation » sans recevoir la moindre critique – à part la mienne – tout en conservant son poste dans l’Ecole polytechnique républicaine.  Avec le génocide perpétré sous nos yeux contre les Palestiniens en Cisjordanie, à Jérusalem Est et à Gaza par l’Etat colonial et d’Apartheid israélien – officiellement depuis le 18 juillet 2018 – on voit bien que le projet de « retour » exclusiviste ne comprend pas uniquement la destruction de la Palestine et des Palestiniens comme peuple, mais plus largement la soumission de tous les peuples gentils – goyim ravalés à un rang infra-humain – destinés à être « palestinisés » et « dalitisés ». (voir ceci et ceci )

 Il s’agit bien de la tentative renouvelée de résoudre les contradictions insurpassables du Mode de production capitaliste par un « retour » forcé à un régime de domination de l’Homme par l’Homme débarrassé de toutes prétentions à l’égalité, à la liberté et à la fraternité humaines. C’est bien d’une tentative de retour à la société de la nouvelle domesticité et du nouvel esclavage qu’il s’agit. Je renvoie ici à mon Pour Marx, contre le nihilisme – 2002 – ainsi qu’à la Section Racisme, Fascisme et Exclusivisme de mon vieux site expérimental.

Cette fois-ci la tentative de domination implique « la séparation dans l’inégalité » théocratique-raciste la plus crasse, voulue par des putatifs « Maîtres du monde » – ce qui faisait rire le Romain Suétone … – des êtres capables de penser des thérapies à ARN messager moins qu’expérimentales, cuisinées par un vétérinaire en moins de trois mois et dont la formule effectivement injectée en masse fut changée en cours de production, le tout dans le cadre de l’invention de Nouvelles Lois de Manu, impliquant le rêve de destruction définitive de l’égalité inhérente à l’Espèce humaine par l’invention en laboratoire de sous-espèces. Ce que d’aucuns prennent pour une expression de l’ « humanisme » ! Pour la dérive vers de Nouvelles Lois de Manu voyez la Brève du 25 avril 2022 ; la traduction française est disponible au chapitre 12 ici. Pour l’aspect criminellement expérimental des pseudo-vaccins contre le Sars-CoV-2, voir par exemple la Brève du 11 novembre 2023 en cliquant ici. (Il suffit de traduire avec un traducteur en ligne par exemple www.deepl.com )

D’ailleurs, si l’on en croit des néo-fascistes génocidaires – et suicidaires – juifs-sionistes comme Netanyahu et ses généraux et conseillers, les Palestiniens – et leurs supporters – ne seraient que des « animaux » qui ne sont plus concernés par l’égalité alors qu’eux-mêmes seraient l’avant-garde des « enfants de la Lumière », dans un combat « civilisationnel ». Ce qui leur vaut d’être accusés devant la Cour Pénale Internationale – voir ici – et devant celles de l’opinion publique et de l’Histoire.  

Bref, dès que vous établissez une fausse opposition aristotélicienne vous êtes condamnés à en développer « logiquement » toutes les expressions possibles, jusqu’aux plus perverses. C’est ce que fait l’auteur peu soucieux de pensée dialectique. 

Autre exemple de ces dérives, celui du protectionnisme identitaire nationaliste de Maurice Barrès et al. Lorsque un Piketty tente d’offusquer la lutte des classes en représentant des « conflits », électoraux, qui, plus est, seraient marqués de manière prépondérante par la variable « identitaire », il n’y a vraiment rien de neuf sous les cieux. De fait, lorsqu’on lit les pages que consacre Rosanvallon à ce sujet dans le livre examiné ici, on est saisi par le manque d’originalité des nouvelles droites en France, avec peut-être la marque littéraire en moins.

L’auteur décrit « L’âge d’or du national-socialisme. C’est avec l’établissement de la Troisième République que le national-protectionnisme va imposer en France sa marque. La conjoncture économique a été le facteur déclenchant, cet établissement coïncidant avec le début de la grande dépression marquant la fin du XIX siècle, en même temps qu’avec les bouleversements engendrés par la première mondialisation » (p 190)

Marx et Lafargue ont été les premiers à analyser le passage du capital bancaire au capital industriel ce qui mena à la conquête coloniale pour assurer l’approvisionnement en matières premières ainsi que de nouveaux débouchés ; suivit la crise caractérisée par Marx pour la première fois comme une crise du crédit, ouvrant ainsi la voie à ce qui deviendra la nouvelle forme hégémonique du capital, le capital financier – Marx, Lafargue, Hobson, Hilferding, Lénine etc. Cette difficile transition est à la base de la tentation de repli qui pris la forme du « national protectionnisme ». Au lieu de baisser les heures de travail, on préféra diviser les prolétaires entre-eux et faire de la démagogie avec l’exclusion des « étrangers ». Il faudra attendre la « Loi de 1906 instituant la semaine de six jours (jour de repos hebdomadaire).» Puis la Loi du 23 avril 1919 instituant la semaine de quarante-huit heures et la journée de huit heures. » https://fr.wikipedia.org/wiki/R%C3%A9duction_du_temps_de_travail_en_France ) pour avancer vers la réduction du temps de travail. En 1905 fut créée la Section Française de l’Internationale Ouvrière, c.-à-d. de la Seconde Internationale. En 1919, avec le Traité de Versailles, la bourgeoise apeurée par la Révolution d’Octobre, initia la série de concessions qui mena, après la Victoire de Stalingrad, à la constitutionnalisation des droits sociaux et syndicaux fondamentaux. Ce fut le cas dans les Constitutions anti-nazi-fascistes d’après-guerre ainsi que dans la Déclaration Universelle de Droits Fondamentaux Individuels et Sociaux de 1948 qui accompagnent et renforcent la Charte de l’ONU écrite sous la même inspiration.

Cette difficile transition de la logique d’accumulation du capital, qui donne lieu à une crise économique et sociale au lieu d’être résolue par le partage plus équitable du travail social disponible, mena à la démagogie de l’exclusion des plus vulnérables, les « étrangers ». Evidemment, ceux-ci étant néanmoins nécessaires au capital au bas de l’échelle salariale effective, l’enjeu principal de cette démagogie – en réalité, hier comme aujourd’hui – visait uniquement à diviser les travailleurs entre eux en faisant miroiter un consensus économiquement avantageux sur la base d’une identité fictive, à savoir une identité nationale « française » plutôt que l’identité constitutionnellement légitime aux yeux de la constitution et des lois, à savoir l’identité des droits entre citoyens et résidents reҫus sur le territoire de la République. On sait que la Révolution française forgea le peuple des citoyens français, processus dont une des plus grandioses étapes fut « l’amalgame » des citoyens en armes,  indépendamment de leurs régions d’origine, en particulier, au front, à Valmy. La Commune de Paris ouvrit la porte large aux « étrangers » en annonçant l’Internationale en acte.      

Maurice Barrès, écrit l’auteur : « … fut ainsi le premier à utiliser en 1892 le mot « nationalisme » pour désigner une forme de politique intérieure. C’était donc une vision qui n’avait plus rien à voir avec celle de Michelet ou de Renan. Pour Barrès, la perspective nationaliste était celle qui accomplissait pleinement l’idéal d’un « protectionnisme ouvrier » (l’expression était alors fréquemment utilisée), tandis que le socialisme ne pouvait qu’échouer à lui donner forme. Il y avait en effet la promesse d’une efficacité immédiatement lisible avec le national-protectionnisme » (p 195-196) L’efficacité en question est bien entendu celle du régime d’accumulation. Barrès se fit le chantre autoproclamé de « l’égalité négative » celle de « la « foule des petits », petit capitalistes et petits travailleurs mêlés, par rapports aux « grands barons » ou aux « grands féodaux. » La dénonciation d’une « redoutable ploutocratie d’exotiques » conduisant en outre chez lui à superposer les deux dimensions » (p 201) Ceci donne naturellement cours au déferlement de la politique du ressentiment.

« C’est pendant cette campagne – législatives de 1893 – que Barrès se fera connaître en publiant un pamphlet incendiaire, Contre les étrangers. Le texte, véritable  manifeste politique, est une sorte de synthèse des grands thèmes du protectionnisme xénophobe de l’époque : taxe spéciale sur les employeurs utilisant de la main-d’œuvre étrangère ; expulsion de ceux qui tombent à la charge de l’assistance publique ; préférence nationale systématique en matière d’embauche . Mais il est aussi intéressant de souligner que Barrès liait directement cette vision à une philosophie de la solidarité et de l’égalité. Chez lui, l’idée de patrie redéfinissait complètement la question sociale. » (p 198)

L’auteur poursuit : « On ne s’étonne pas de trouver les formulations les plus violentes et les plus outrées sous les plumes exaltées et haineuses de la nouvelle extrême droite qui prend son envol sur ce registre. Les brochures publiées par la Ligue pour la protection du travail national en ont constitué un bon exemple. Il y était question  à longueur de page d’ « envahissement », d’ « invasion », d’« infiltration ». On y parlait des ouvriers étrangers comme des criminels et des fauteurs de troubles. Quant à ce qui était qualifié de « marée montante des naturalisations », on y voyait la menace que ces « actes contre nature » conduisait à ce que la « race française sera sûrement débordée avant peu ». Mais le ton n’était pas très différent chez certains notables républicains » (p 198-189) On ne sera pas étonné d’apprendre que : « les manifestations de rue contre les étrangers se multiplieront en conséquence dans les années 1890. (…) Incidents parfois sanglants, comme en 1893 à Aigues-Mortes dans une attaque ultraviolente contre les Italiens qui aurait fait cinquante morts, ou à de multiples reprises contre les Belges dans le Nord. Les syndicats et les divers partis socialistes s’opposèrent à ces réactions, mais ils ne purent en contrôler le surgissement » (p 200)

Comme on le voit la problématique reste d’actualité. Aujourd’hui on dirait que l’Histoire bégaie à la différence près que le nouveau national-protectionniste sert à masquer l’insertion subalterne de la Formation Sociale Nationale dans un Ordre mondial impérialiste libre-échangiste déclinant qui est fortement contesté par la monté des Brics et du Nouvel Ordre Multilatéral fondé sur la Charte de l’ONU – non ingérence dans les affaires internes des Etats souverains, etc. – et sur la Déclaration Universelle des Droits Fondamentaux Individuels et Sociaux. Cet ordre impérial philosémite nietzschéen prend chaque jour d’avantage la forme d’un « retour forcé vers la nouvelle domesticité et le nouvel esclavage » décrit dans mon livre Pour Marx, contre le nihilisme -2002 – avec, en prime, le « contrôle des flux d’information autorisés », la « déférence envers l’Autorité » – auto-conférée, c.à.d., en fait une Nouvelle Inquisition –, le tout dans le cadre de la Doctrine –  illégale – de la guerre préventive contre tous les rivaux militaires et économiques potentiels du putatif empire exclusiviste moyennant agressions armées, regime changes et « guerres »  contre le « terrorisme», ce dernier terme n’étant jamais défini légalement.

L’auteur cite à juste titre le tristement célèbre article de Denis Kessler : « « Adieu 1945, raccrochons notre pays au monde ! » Challenges, 4 octobre 2007. La liste des réformes ? C’est simple, écrit-il, prenez tout ce qui fut mis en place entre 1944 et 1952, sans exception. Elle est là. Il s’agit aujourd’hui de sortir de 1945 et de défaire méthodiquement le programme du Conseil national de la Résistance. » (p 288, note 1) C’est-à-dire démanteler les droits fondamentaux individuels et sociaux mis en place par l’Etat social d’après-guerre. C’est ainsi que parlent les représentants du Medef, dont Kessler fut vice président. La Banque JP Morgan abondait ouvertement dans le même sens. (voir ici)

Depuis l’attaque du 7 octobre 2023 par la branche armée du Hamas contre l’occupant israélien et les bombardements indiscriminés et sanguinaires de ce dernier, qui commet une série de crimes de guerre génocidaires selon la plainte déposée à la Court Pénale Internationale, ces accusations gratuites se doublent partout dans l’Occident philosémite nietzschéen par d’infâmes accusations « d’antisémitisme » contre toutes celles et ceux qui protestent contre ces crimes Sionistes, en condamnant naturellement tous les crimes de guerre, d’où qu’ils viennent, au nom de la Loi internationale et au nom des principes inscrits dans la Constitution. Comment d’écrire le «soutien inconditionnel » et unilatéral de certains à une agression sanguinaire, poursuivie depuis plus de 70 ans, par un pays occupant institué depuis le 18 juillet 2018 en Etat d’Apartheid raciste et théocratique ? Pourtant, plusieurs l’ont souligné avec courage, toutes les vies se valent.               

Soulignons de nouveau l’inéluctabilité de toutes les déclinaisons induites sur la base de cette prémisse aristotélicienne qui renvoie moins au devenir historique-psychologiques des « moments » de la phénoménologie de Hegel qu’aux saisies analytiques – on pourrait dire « cubistes » avant l’heure – sous différents angles des « diremptions » de Sorel, nécessaires à ses mythes soréliens concoctés à destination des masses.

Rien de nouveau aujourd’hui : eux/nous, nationalité donnée comme identité (raciale, ethnique ), grand remplacement, acculturation et le reste.

Les conditions matérielles d’existence précèdent les représentations que l’on s’en fait. Il en va de même ici surtout si l’on ajoute aux représentations qui portent sur l’égalité et la liberté celles sur la fraternité, donc l’émancipation humaine individuelle et sociale. De manière succincte, au sein du Mode de production capitaliste, nous en déclinerions les Epoques de redistribution qui permettent de saisir les nouvelles conquêtes sociales à ajouter ainsi que les retours en arrière momentanés que tentent les classes dirigeantes.

Le nœud du problème est révélé par l’évolution du « revenu global net » des ménages – salaire individuel, salaire différé, fiscalité -, à savoir l’état du partage de la « plus-value sociale » entre le travail et le capital. Tout repose sur la nature du contrat de travail – ou son absence. Sur ce niveau de la production, s’élève celui de la Reproduction – les Equations de la Reproduction Simple et Élargie – et celui de la Redistribution tant dans la réallocation des ressources disponibles – crédit public inclus –, que dans la reproduction dynamique des Moyens de production que des Moyens de consommation. On peut ainsi distinguer l’Epoque de Redistribution du libéralisme classique ; celle de l’Etat social ou Welfare State keynésien avec leurs régulations socio-économiques et budgétaires ; et celle de la régression libériste actuelle reposant sur le néolibéralisme monétarisme à l’heure du capital spéculatif hégémonique qui phagocyte l’économie réelle. A cette croisée des chemins, s’ouvrent deux possibilités, soit le « retour » vers la société de la nouvelle domesticité et du nouvel esclavage puisque les processus de production nécessiteront moins de travailleurs physiques, soit l’approfondissement de la RTT fondé sur un « revenu global net » des ménages reposant sur une plus grande part de la « plus-value sociale » contrôlée par les travailleurs et les citoyen.ne.s eux-mêmes.       

Ainsi les articulations des perceptions de classes dans un Etat social reposant sur un Système de Sécurité Sociale avancé expriment des choix de société qui impliquent nécessairement un partage différent de la « plus-value sociale ». L’Etat social d’après-guerre avait donné lieu à une poussée de démocratisation tous azimuts, tant dans les relations de travail désormais conçues comme relevant de la démocratie industrielle, que dans la protection sociale et familiale des membres d’une Espèce reposant sur la reproduction sexuée indépendamment de la taille des ménages, que dans la fonction publique ouverte à la syndicalisation, que dans le logement social, les transports collectif, les loisirs et surtout la démocratisation de l’éducation nationale laïque, publique et gratuite. La poussée communiste-libertaire de Mai 68 ne peut donc pas être ravalée à un quelconque « qualunquismo » individualisant, réfractaire et petit-bourgeois.

Dans cette lancée se développèrent d’autres aspirations démocratiques exigeant la parité des genres dans tous les domaines et de nouveaux droits civiques (voir ici) ainsi qu’une nouvelle RTT permettant de renforcer les branches de la Sécurité Sociale tout en l’étendant au un système de garderie nationale mur-à-mur soutenant la marche à la parité concrète et un système de gériatrie-gérontologie moderne. (voir par ex Tous ensemble

Le déroulement de ce « roman inachevé » de la démocratisation sociale et de l’émancipation humaine fut violemment rejeté par la bourgeoise occidentale, la France faisant momentanément exception grâce au Programme commun mis en place par le Président Mitterrand avec l’appui initial du PCF jusqu’au revirement à droite voulue par les notables au nom d’une plus grande intégration au sein de l’UE donnée comme espace régional permettant de résister au déferlement global de la contre-réforme reaganienne. L’adhésion au Traité de Maastricht fut obtenu en promettant la défense des entreprises publiques – Art. F 3, 3b – que l’Europe sociale devait consolider. Ces promesses ne furent pas tenues, les soi-disant « champions nationaux » qui devaient tirer partie de l’espace européen pour conserver leur rang mondial, furent sacrifiés à la « gouvernance globale privée », puis de plus en plus aux politiques néolibérales et monétaristes, ce qui finit par transformer la gauche française en appendice du capital spéculatif hégémonique global. (3) Désormais, suivant le Consensus de Washington, le Trésor soumis à la logique de la FED et du FMI contrôlé par elle, exerce son hégémonie sur les Ministères de l’Economie et des Finances pour imposer sa public policy néolibérale-monétariste et son austérité budgétaire. En France, ceci nous a valu la Lolf de de Boissieu qui supprima toute gestion contre-cyclique en soumettant tous les budgets ministériels à l’obligation de ressources annuelles immédiates. L’UE abonda dans le même sens et ajouta le Fiscal Compact. Au fond, ceci revenait à copier, avec retard, la politique de Reagan visant à comprimer les budgets tout en leur imposant l’obligation de l’équilibre, y compris au niveau des Etats fédérés lesquels, pour leur part, ne pouvaient plus s’endetter mais devaient, néanmoins, continuer à assumer les services sociaux et les coûts croissants dus à l’explosion des budgets de l’assistance sociale causée par les ravages de la précarité et du workfare.   

Aux USA, la contre-réforme reaganienne se fit au son des clairons des économistes de Chicago qui avaient été précédés par les recettes de la Commission Trilatérale comprenant Samuel Huntington, celui-là même qui avait théorisé les « strategic hamlets » au Guatemala et au Vietnam puis, plus récemment, le choc des civilisations et la « guerre » au terrorisme. A l’époque, la Trilatérale milita ouvertement pour mettre fin « aux rising expectations » des travailleurs et citoyens, tout en imposant le contrôle sur « les flux autorisés de communications » et le « retour à la déférence envers l’Autorité », nouvelle Inquisition reposant sur la censure de plus en plus évidente. J’ai montré l’ancrage de ce programme qui refuse de contempler le dépassement de la contradiction entre forces productives et rapports de production dans un meilleur partage du travail socialement disponible dans les recettes du Report from the Iron Mountain voulut par l’Establishment américain à la fin des années 50s. (4)

Ce rapport s’inspirait lucidement du marxisme à l’instar de Bismarck voulant en émousser les pointes ; il prenait acte du fait que le moteur du capitalisme est la croissance de la productivité mise au service de l’accumulation privée ; cette croissance, entraînée inéluctablement par la compétition capitaliste, mène à «libérer » une part croissant de la force de travail ainsi réduite au chômage, puisqu’une productivité en hausse permet de produire plus en un même temps de travail avec plus de machines, d’organisation du travail mais moins de travailleurs physiques. Arrivé au point où seulement 20 à 30 % de la force de travail suffiront, que faire alors des 80-70 % restants. La réponse envisageait donc froidement « le retour à une société de la nouvelle domesticité et du nouvel esclavage » en lieu et place d’un meilleur partage du travail socialement nécessaire entre toutes les citoyennes et citoyens aptes au travail. C’est bien cette « marche vers minuit » qui est sous nos yeux aujourd’hui, à peine masquée par la généralisation du « workfare » reaganien et la généralisation de la précarité. (Voir la chanson récente Rich Men North of Richmond )

En conclusion, M. Rosanvallon a une conception étriquée de l’égalité encore qu’il reprenne dans son titre une expression qui renvoie à la démocratie socialement avancée pour l’époque de Babeuf – c’était également le cas pour Thomas Paine dans le contexte américain. La lutte de classe contre l’inégalité n’est pas censée mener à l’émancipation humaine individuelle et collective, elle vise tout au plus une plus grande redistribution plus cohérente avec l’équité bourgeoise qu’avec l’égalité humaine. A preuve, sa conception est similaire à celle de Piketty, Sayez et al., dont j’ai démonté les mécanismes menant à un mythe sorélien selon lequel les inégalités sociales seraient indépassables. (5) Elle considère un peu la disparité des patrimoines mais elle est surtout obnubilée par le taux supérieur de prélèvement de l’impôt sur le revenu laissant de côté les autres considérables émoluments. Ce choix est hautement démagogique dans le cadre de la fiscalité régressive actuelle alors que durant le New Deal aux USA – de même qu’en France après 1945 – ce taux de prélèvement supérieur allait de pair avec des barèmes d’impôt fortement républicains et progressifs. Aujourd’hui, ceci mène un autre comparse Daniel Zucman, à démarcher un pseudo-Giec fiscal qui irait chercher au plus 2 % sur les gros revenus déposés dans les paradis fiscaux, juste assez pour boucher quelques trous budgétaires et permettre la continuation de la politique de démantèlement accéléré de l’Etat social et de la fiscalité progressive. (6)

L’erreur est toujours la même : la bourgeoisie ne sait pas rendre compte de la création de la valeur d’échange, et donc de la genèse du profit, ce qui lui permet de masquer son exploitation de classe et son accaparement de la « plus-value sociale » au-delà du salaire net individuel ou, au mieux, du « revenu global net » des ménages, à l’Époque de l’Etat social. Comme on sait, avec des Giddens (p 352) ou des Rawls (p 290 et 334) les conflits de classes se résolvent selon la théorie des jeux, les « outcomes » plus avantageux pour tous résulteraient de la coopération – entre dominants et dominées, patrons et travailleurs -, ce qui serait même douteux si d’aventure tous les joueurs étaient à égalité dans le jeu selon les illusions de la démocratie municipale de New Haven, Connecticut, de R. Dahl selon lequel tout groupe de 4 vaut tout autre groupe de 4.

Dans mon Introduction méthodologique (7) j’ai montré la structure du Capital de Marx : le Livre I analyse les rapports d’exploitation donc le contrat de travail, et le partage de la plus-value produite entre le salaire et le profit – et le cas échéant la rente agricole. Le Livre II analyse les rapports de reproduction  donc les Schémas de la Reproduction Simple et Élargie. Le Livre III analyse les rapports de redistribution soit les relations juridiques larges et la lutte des classes qui mettent en scène le niveau politique puisque le pouvoir politique consiste dans la capacité à mobiliser et à allouer les ressources de la Communauté en faveur de la Communauté, bien entendu selon le niveau démocratique atteint. Par exemple, à un système de planification socialiste correspondrait des formes de démocraties socialistes qui investiraient aussi et surtout les deux premiers rapports qui aujourd’hui sont placés sous la tyrannie de la propriété privée et du patronat flanqués par le pouvoir d’Etat bourgeois. (8)

Aussi tout discours sur l’égalité, y compris ses aspects économiques et fiscaux, commenceraient par le contrat de travail. Aujourd’hui, les protections légales – Code du travail etc. – sont démantelées et la course s’accélère pour le démantèlement des protections syndicales pour passer à une relation travailleur-patron de gré à gré, avec la précarité généralisée en prime. Lorsque les échelles salariales sont réduites dans le cadre d’un Système de Sécurité Sociale avancé, les inégalités diminuent fortement ainsi que la « peur des lendemains » des citoyennes et citoyens devant travailler pour vivre. De fait, tout le monde le constate aujourd’hui puisque les inégalités sociales restent encore moins dramatiques en France, pays où le démantèlement de la Sécurité Sociale et des droits des travailleurs est encore – pour peu ? – moins prononcé qu’ailleurs dans l’UE.

Pour le reste, on sait que toutes les classes dominantes ont peur du Nombre. A l’époque moderne, qui mit fin au droit divin et aux autres prétentions exclusivistes racistes ou théocratiques, ce fut la grande hantise de Nietzsche et, avant lui de Ed Burke contre lequel Thomas Paine écrivit son exemplaire Rights of Man en défense de la République et de l’égalité humaine. Bien entendu ces deux grands penseurs réactionnaires n’épuisent pas la liste. Rosanvallon en cite quelques autres dont Tocqueville et Barrès. Dans un cadre où les conquêtes populaires ont imposé le suffrage universel et la reconnaissance des droits sociaux pour compléter les droits individuels fondamentaux, cette hantise informe en permanence selon la constellation des forces sociales et politiques en présence, les stratégies et la propagande idéologique-démagogique des classes dominantes. Ceci fonctionne tant qu’elles réussissent à présenter la défense de leurs propres intérêts comme servant l’intérêt général. C’est de moins en moins le cas, d’où la fuite en avant exclusiviste philosémite nietzschéenne la plus régressive qui soit depuis la défaite du nazi-fascisme à Stalingrad.

C’est bien « le retour à une société de la nouvelle domesticité et du nouvel esclavage » que tentent les dirigeants occidentaux surreprésentés. Aujourd’hui, par l’instrumentalisation sans précédent de la peur et de la surveillance omniprésente et intrusive, cela prend la forme des Nouvelles Lois de Manu (9). Cela cause beaucoup de dégâts mais n’a aucune chance historique de s’imposer du moins si l’on se fie à l’expérience historique de résolution de la contradiction entre forces productives et rapports de production. Ceci a toujours mené au bout du compte à un pas civilisationnel humain supplémentaire vers plus d’émancipation individuelle et collective.

Paul De Marco                  

Notes :

1 ) La proposition d’égaliberté, Étienne Balibar, Fabrice Flipo, https://www.cairn.info/revue-mouvements-2010-4-page-145.htm

Pour montrer la vacuité marxiste du traitement de l’égaliberté par Balibar voici une citation : «« L’égaliberté » est une exigence de liberté et d’égalité, l’un étant en tension avec l’autre, comme le montre l’auteur dans une discussion étroite de la Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen (p. 56-73), dans un rapport qui n’est pas sans lien avec l’identité de l’identité et de la différence hégélienne. (…)La forme extérieure de nombreux évènements récents s’explique bien quand la dynamique néolibérale est replacée dans une perspective postcoloniale. Le débat sur le « foulard » (2004) est largement surdéterminé par le fait que l’exclusion frappe d’abord les populations issues des migrations, la « laïcité » pouvant aussi se comprendre comme une forme particulière d’hégémonie nationale (p. 278). »

Nous avons déjà montré que la tension égalité/liberté est factice et sert à occulter l’émancipation humaine. Avec de nombreuses conséquences. Donc le discours sur le « foulard » et la « laïcité » qui serait devenue un facteur d’exclusion de la banlieue. Discours de la droite lorsqu’elle attaqua la laïcité comme «une idéologie comme une autre » forçant le Président Chirac à réaffirmer que la laïcité consistait « à croire ou à ne pas croire. » La question inventée du « voile » – par A Bauer et sa plume Klugman – a déjà été analysée dans mon Livre III, ici. (Utilisez le terme « voile » dans la Fonction rechercher pour aller aux paragraphes pertinents.) Entretemps, le lilliputien intellectuel Habermas, qui appela la police sur le campus au grand désarroi de Marcuse qui craignait que soit ainsi révélé les liens avec la CIA et le Mossad, prétendait critiquer Kant, un des plus grands épistémologues de tous les temps, en substituant à l’universalité de l’impératif éthique kantien non pas la particularité opposée au général mais la singularité, en fait celle des lubies des Elus de droit divin !!! Pour le contexte international de cette dérive voyez mon Pour Marx, contre le nihilisme, 2002, ici

2 ) Voici ce que j’écrivais dans la Note 11de mon essai « Yahoo, la liberté d’expression et sa fiscalité »:

 « 11 ) Citons une nouvelle fois Piketty, chantre de la spéculation érigée en système avec ses inégalités qu’il feint de critiquer pour mieux établir leur perpétuation (« partout et toujours » …) contre l’incrédule 99 % : « En 1872, Emile Boutmy créait Sciences-Po en lui donnant une mission claire : elles-mêmes les classes élevées ne peuvent conserver leur hégémonie politique qu’en invoquant le droit du plus capable. Il faut que, derrière l’enceinte croulante de leurs prérogatives et de la tradition, le flot de la démocratie se heurte à un second rempart fait de mérites éclatants et utiles, de supériorité dont le prestige s’impose, de capacités dont on ne puisse pas se priver sans folie. » dans Emile Boutmy, Quelques idées sur la création d’une Faculté libre d’enseignement supérieur, 1871 (sic), cité dans Piketty (2013), p 782.Piketty ne faisait que confirmer ce que j’avais déjà démontré dans mon site depuis sa lointaine création. Mais, avouons-le, la citation vaut son pesant d’or et on lui en sait gré … Noter que le système de sélection républicain imaginé par Boutmy reposait sur des connaissances à base scientifique utiles pour la société dans son ensemble. Bien entendu, les concours des grandes écoles étaient et restent biaisés de différentes façons dont le bagage intellectuel familial et l’aisance économique permettant de se consacrer à de longues études. On pourra se reporter au texte « Spoliation » dans mon Pour Marx, contre le nihilisme. On sait que 6 % à peine d’enfants d’ouvriers et de paysans ont accès à l’université. Cependant, Boutmy n’aurait jamais pu contempler que ce biais déjà rédhibitoire, qui contraint la mobilité sociale en faussant l’opération de la Loi des grands nombres en faveur des classes mieux placées dans la transmission des connaissances plutôt qu’en faveur de la seule richesse, puisse encore être renforcé par la pré-sélection maçonnique exercée en coulisse sur la base de l’adhésion à de grotesques narrations, trop souvent récompensées par des prix, en particulier en économie.»

La forme la plus grotesque de cette prétention éducative bourgeoise au fond axée sur la négation barbare de l’égalité et de l’émancipation humaines se retrouve dans le projet d’exclusion systématique Parcoursup ou, de manière plus grotesque encore, dans les inepties de Friot qui tente de vendre comme concept « communiste » ( !) l’abandon du contrat de travail et des négociations collectives pour un « salaire à vie » comme celui des fonctionnaires – aujourd’hui soumis aux coupures et à l’attrition des postes – mais négocié de gré à gré selon … les parcours scolaires et les diplômes !!! (Voir ceci et ceci)  

Au demeurant Althusser avait montré comment les innovations et les découvertes scientifiques dépendent de plus en plus tout au long de l’Histoire des équipes misent en place et financées par l’Etat – ou par de grands groupes accaparant alors les brevets … y compris sur le vivant …

La science – qui n’est que le travail intellectuel d’appréhension du monde – repose sur la distinction entre l’universel, le général et le particulier. Elle est ontologiquement égalitaire, puisque, sans ce que Hegel dénommait « l’espace intersubjectif » commun, aucun discours, aucune transmission de connaissance, partant aucun apprentissage, ne serait possible.

3 ) Je renvoie ici à mon « Les conséquences économiques de MM Volcker, Reagan et Cie », mars 1985, à mon « Europe des nations, Europe sociale et constitution » de jan 2004, tous deux dans la section Politique Economique Internationale de mon vieux site expérimental www.la-commune-paraclet.com . Voir aussima discussion sur les politiques publiques dans le cadre de Maastricht contenue dans Keynésianisme, Marxisme, Stabilité Économique et Croissance – 2005 – idem, section Livres-Books.  

4 ) Voir en particulier mon Pour Marx, contre le nihilisme, 2002.

5 ) Voir « Les inepties concaves de Piketty sur l’inégalité et les patrimoines » et « A fraud called Piketty », dans la-commune-paraclet.com/Book ReviewsFrame1Source1.htm . Pour rappel, les ratios diachroniquement et synchroniquement pérennes d’inégalité de Piketty font abstraction des la spéculation financière ainsi que de l’existence du bien nommé ici « socialisme réel » !

6 ) Voir « Le Giec fiscal de Daniel Zucman contre la souveraineté nationale et la progressivité fiscale » dans : LE GIEC FISCAL DE DANIEL ZUCMAN CONTRE LA SOUVERAINETÉ NATIONALE ET LA PROGRESSIVITÉ FISCALE, 26 oct. 2023 (1/3) | Blog di rivincita sociale

7 )  Voir Introduction méthodologique dans la Section Livres-Books de mon vieux site expérimental www.la-commune-paraclet.com

8 ) Voir « De nouvelles formes de démocratie à inventer » dans https://rivincitasociale.altervista.org/de-nouvelles-formes-de-democratie-socialiste-a-inventer-1/ 

9 ) Voir a ) « Nietzsche et le cauchemar éveillé » dans NIETZSCHE ET LE RETOUR DU CAUCHEMAR ÉVEILLÉ | Blog di rivincita sociale ; b ) « Heidegger, la corruption intime de l’âme et du devenir humain » dans HEIDEGGER, LA CORRUPTION INTIME DE L’ÂME ET DU DEVENIR HUMAIN. | Blog di rivincita sociale ; c ) « Machiavelli ou comment « vivere libero » dans un Etat de droit approprié ». 29 déc. 2021, dans Machiavelli ou comment « vivere libero » dans un Etat de droit approprié. 29 déc. 2021. | Blog di rivincita sociale ; et d ) Pour Les Nouvelles lois de Manu » voir la Brève du 25 avril 2022 dans SARS-CoV-2 : BRÈVES/FLASH NEWS/BREVE. | Blog di rivincita sociale Blog di rivincita sociale  (On peut utiliser le cas échéant un traducteur en ligne comme www.deepl.com )

Commenti disabilitati su ECONOMIC CALCULATION, STRUCTURE OF RELATIVE PRICES, EXCHANGE RATES AND IPCC WARMING DISASTER: A short note, Oct. 30, 2023

(Translated with DeepL and edited)

The economy is made up of a set of public and private enterprises and administrations. This interdependent whole is broken down into production functions, which are functionally grouped into sectors, branches and inter-sectoral industries. Every economy grows, shrinks or remains stationary, i.e. it reproduces itself dynamically, either positively or negatively, or it treads water. As all these production functions are interdependent, this implies that this whole must find its mathematical resolution in a precise space, controlled for its interactions with the outside world. This space is that of the Social Formation – SF -, whether national or multinational, which is also the space of the macro-economy and consequently of the State, more or less the guarantor of the general interest, at least according to its class nature. Every production function produces a given quantity of goods or services, which have a unitary production cost and selling price – or exchange value. Given the interdependence of production functions, it is already clear that the exchange value – or price – of goods and services and the structure of relative prices are formed within the given SF. External trade is mediated by external balances, and therefore by the SF exchange rate, which reflects the competitiveness of its social capital.

All production functions have the same structure, involving the same variables: capital – fixed or circulating, materialized in the capital actually used in the production of each product (what Paul Sweezy called “used-up” capital), labor power and profits. The sum of these variables gives the exchange value or market price, which oscillates around it in a competitive regime, or is given ex ante in a scientifically planed regime based on exchange value. However, the relative weight of these variables in the various production functions varies, although the rate of profit remains the same in the given SF. This rate is defined as the ratio of profit to capital employed and to the cost of labor power. Similarly, the equality of this rate – but not of profit volumes, which depend for their part on lower unit prices enabling the conquest of markets – is given ex post in a competitive regime based on the mobility of the factors of production and especially on the mobility of capital, whereas it is given ex ante by scientific planning based directly on exchange value freed from price oscillations.

Bourgeois resolution models for the prices – or exchange values – of these interdependent sets always take a form derived from the quadratic resolution model proposed by Tougan-Baranovsky, whether by the latter himself, or by Léon Walras and his “groping” “market of markets”, or by all the input/output models including Piero Sraffa’s derisory neo-Ricardian matrices.

We’ll see below that simultaneous quadratic solving is based on a set with the same number of functions and unknowns and thus has absolutely nothing to do with solving the economic problem of exchange value – or price. It’s just a game, the worst instance of a Model superimposed on the Reality to be apprehended. Its fatal problem, which is that of bourgeois economics in all its forms, particularly marginalism, consists in reducing the duality of every commodity to a one-dimensional subjective “utility”, whereas every good or service, labor power included, is characterized by its use value apprehended in quantity and by its exchange value apprehended in “monetary” exchange value or price.

However, economic reproduction given by the simultaneous resolution of all production functions must respect both reproduction in quantities and in exchange values or prices. This was Marx’s great scientific discovery in his critical analysis of Sismondi’s annual income, which offered a delimited set allowing diachronic and synchronic comparative analysis, and Quesnay’s Tableau, to name but these two. This leads to Marx’s Equations of Simple Reproduction, which we can immediately compare with Tougan-Baranovsky’s so-called Synthetic Model. Marx’s two Sectors of Production include the entire economic space of the SF, since the Means of Production Sector “Mp” refers to capital “c” in the generic production function, and the Means of Consumption Sector “Cn” refers to labor power “v”. For its part, “pv” is the surplus value or profit corresponding to the surplus labor that the employer pockets. The rate of profit is given by pv/(c+v). We can then imagine all the sub-sectors and branches we want, or even recomposed intersectorally in filières. Simple Reproduction (SR) opens onto the logic of Expanded Reproduction (ER), or dynamic equilibrium, once the Marxist Law of Productivity has been clarified on the basis of Marx, which I alone have accomplished:

Marx’s Model of Simple or Stationary Reproduction is as follows:

Sector I of MP: c1 + v1 + pv1 = Mp (in quantity and exchange value or price)
Sector 2 of Cn: c2 + v2 + pv2 = Cn (idem)

The Equations of Simple Reproduction synthesized by Bukharin on the basis of Book II of Capital are :

Mp = (c1 + c2)
c2 = (v1 + pv1)
Cn = (v1 + pv1 ) + (v2 + pv2)

Here, on the other hand, is Tougan-Baranovsky’s derisory quadratic game – to solve it, he needs the same number of functions and variables, so he invents the Gold Sector in “c3”, which takes the place of the value of labor power…:

c1 + v1 + s1 = c1 + c2 + c3

c2 + v2 + s2 = v1 + v2 + v3

c3 + v3 + s3 = s1 + s2 + s3

Let’s return to the bourgeois epiphenomenal form of the problem, at best. When all the functions of production are left to the “invisible hand”, the resolution of the system, its reproduction, takes place according to the logic of the capitalist acquisitive mentality materializing in the accumulation of individual private capital. No one has to worry about simultaneous reproduction in terms of quantity and price. Corporate reinvestment, and the private bank credit that complements and accelerates it, will inevitably go where immediate profits are greatest. This interplay of the “invisible hand” therefore produces over-investment or expansion in certain sub-sectors and branches, inevitably accompanied by under-investment or contraction in others, thus upsetting the underlying quantity-price equilibrium – over-production/under-consumption. This excess will soon be purged by cyclical crises or Trade Cycles – and therefore by the enormous systemic capitalist waste – which characterize the capitalist mode of production.

But none of this can be grasped within the Supply/Demand schema and its strictly micro-economic equilibria. (For a brief overview of the ex ante/ex post inanity of the S/D scheme, see this .) Even the neo-liberal monetarist theory of Efficient Capital, which claims that all speculation accelerates the mobility of capital, thus bringing the system back to equilibrium more quickly, is blind or, better still, more inept than the marginalism that underpins it. For bourgeois theories, and for all variants of marginalism, any distinction between the real economy and the speculative economy is unknown, because it is totally obscured in its ontological space. Reality inevitably imposes itself on narratives – in this case, those of the “dismal science” – so books on economic history, more “Baconian empirical” to borrow a phrase from the great epistemologist Koyré, have to fill in the gaps left by mainstream economics textbooks, giving us accounts of crises such as those by John Galbraith or Minsky. On the contrary, the scientific basis of Marxism in this field is synthesized by Lenin in the Laws of Motion of Capital, which gives, according to the forms of capital – pre-capitalist merchant, merchant, banking, industrial, financial, internationalization of productive capital and today hegemonic speculative capital – the specific course of cyclical and structural crises, i.e. the concentration/centralization of capital and the overproduction/under-consumption in a given SF.

Like all bourgeois high priests, Keynes was perfectly familiar with Marx’s work, if only through Sraffa. He he tried to save the system it in spite of itself. He therefore retained the set of production functions randomly balanced by the market and by the “market of markets”, while insisting on two corrective elements: 1) the resolution of the set had to respect full employment – in its full-time, full employment version – thus reducing the acuteness of the social and political crises threatening capitalism head-on since the Bolshevik Revolution of 1917 and since the Great Depression triggered in 1929 in the USA ; 2 ) the exogenous rebalancing of the whole by State intervention on the side of Sector I of Mp – public enterprises and public or at least State-controlled credit – and on the side of Sector II of Cn, consequently of the renewal but also of the biological reproduction of the labor force in a household. The advantages of such a rebalancing through planning – whether German capitalist during the Great War or Bolshevik – had been proven. In particular, the German case had shown how planning, controlled by the capitalist ruling class itself, made it possible to eliminate the enormous waste in reproduction caused by private capitalist accumulation, a waste that endangered the security of the State in wartime and ultimately the global position of the national bourgeoisie in the “imperialist sharing of the world” denounced by Lenin.

For Keynes, within the set of interdependent variables, full-time full employment is the determining variable. This over-determines the entire relative price structure. For the Cambridge, UK, economist. a great connoisseur of Paul Lafargue whom he does not quote, this over-determination was bound to lead to the secular decline of the working week, according to the sharing of productivity gains. Without it, the system would be doomed. He therefore envisaged the possibility of his grandchildren living in a society of 15-hour working weeks (see here). Too bad he didn’t know that other great reader of the great Marxist Paul Lafargue, Boris Vian, who already foresaw the 2-hour week and the pianocktail.
The neo-liberal monetarist counter-reform, a Nietzschean philo-Semite one at heart, attacked this socio-economic compromise, which could only ultimately lead to the overcoming of the hegemony of the capitalist market and of the parasitic forces of money. Keynes spoke of the euthanasia of rentiers. The most idiotic of these, the “grandmaster” of them all, was the Austrian-Jewish Fascist Ludwig Mises, advisor to the Austrian Chancellor before the Anchluss, a man who never changed his mind even after fleeing Austria to save his skin. In fact, as a good theocratic racist exclusivist, he was more afraid of the German example of war planning, which proved that the systemic waste of the system could be eliminated, than of the Bolshevik example, which could give rise to mass ideological anti-communist hysteria to counter it. As for the example of German war planning, all that had to be done was to replace the war economy with a socially-oriented peace economy, which in fact was done in the West as early as 1943, out of fear of the Soviet advance after the Victory at Stalingrad.

However, the ideology of the market and its “invisible hand”, determining the merit of each individual according to the prowess of his acquisitive mentality, remains the ultimate refuge of the racist, often theocratic exclusivism of all self-elected superior groups – or “races”. Indeed, as the saying goes, “money calls to money”, which puts Menger’s “life chances” in their true a-democratic light.

Mises’s socio-economic and philo-Semitic Nietzschean eugenics are bluntly expressed in his book Socialism. On p. 475-476, for example, we read – that the public hospital creates disease, which is otherwise merely a holistic question of Will. Ergo, abolish the public hospital – which those in power are now systematically doing – and voilà…! Incidentally, the half-billion Dalit comrades don’t really have the luxury of being ill, having a longevity that fluctuates around 42 years.

After the war, discredited by the people’s thirst for a Welfare State and Social Security guaranteeing the real citizenship of the people as a whole, this neo-liberal monetarist counter-reform with its Chicago School was relegated to the university basements, notably in Chicago with its Hayek, Friedman et al. flanked by second-rate cabalist pseudo-philosophers à la Leo Strauss, inspired by Carl Schmitt. So it had to bide its time until Thatcher took over in the UK, followed by Volcker at the FED (1979) and Reagan as President of the U.S. (1982). (See this) With the dismantling of GATT customs protections, we witnessed the extroversion of the economic multiplier, which allowed some to discredit the domestic social policies – let’s call them Keynesian for short – of the advanced capitalist State.

At its core, therefore, monetarist neoliberal counter-reform is profoundly proto-fascist, with the socially minimalist State expected to eliminate, through its exclusivist narratives and its monopoly of force, all the purported obstacles facing the « market ». This quickly led to the negation of classical liberalism (A. Smith, John-Stuart Mill etc), through the concentration and centralization of global capital in the hands of a few MNCs and then of a few neo-mercantilist transnationals, whose aim was to ensure a “return” to the cruder domination of the exploitation of Man by Man. At the end of the Second World War, marked by the Victory of Stalingrad, despite the cooptation of many Nazi and fascist dignitaries and scientists in the West, priority was given to the New Deal, its trade-union and social counterweights, and the establishment of strategic planning within a mixed society supported by Social Security and public credit. It is worth noting that the latter costs nothing except the costs of its management. In fact, a return to public credit is today’s number-one requirement if we are to eliminate once and for all the philo-Semitic Nietzschean parasites of private finance, particularly global speculative finance.

Between the syncretism of Keynes, who sought to empirically reconcile capitalism, full employment and social security on the basis of better statistical data, and the neoliberal monetarist counter-reform of Mises and the Chicago School, there were what Joan Robinson called the “Keynes bastards”, a group that quickly became predominant in Western, and hence global, academia, including Hicks – who attempted to generalize Marshall’s two-variable system of capital and “wheat” – a catchword substituted for Marx’s concept of “socially necessary labor”, later overshadowed by Sraffa’s “basket of commodities producing commodities” – but Hicks didn’t go beyond three variables in a system of simultaneous resolution that didn’t even take income structure into account, a shortcoming shared with Pigou and Samuelson, among many others.

Robert Solow formulated this “bastard synthesis” in the 1956 essay that won him the Bank of Sweden’s pseudo Nobel Prize: This implied allowing equilibrium to take place at the “physiological threshold”, which is nonsensical hyper-Malthusian nonsense, since the physiological threshold for the workforce is elastic as it depends on civilizational conditions, including the development or absence of trade unions, collective agreements and Social Security, or even mixed planning. We need only add the penalizing externalization of the Keynes-Kahn Multiplier caused by the dismantling of the protective Gatt tariff system and its replacement by global free trade and the WTO’s definition of anti-dumping. As we know, the latter automatically excludes any reference to deferred wages which finance Social Security and to minimum environmental criteria, in order to force a race towards the lowest global bid, focused above all on individual net wages, which are destined to tend towards an ever lower gobal “physiological threshold”. This is what I’ve been denouncing for years as the desire of the monetarist neoliberal ruling classes to impose a “return to the society of the new domesticity and new slavery”, a society in which the Nazi industrialist Schindler is a Just Man and the Jew Stern his master and chief accountant – the Communists who opened the gates of the camps being the designated enemy, Stalin being worse than Hitler…

Let’s remember that in a set of interdependent production functions, the structure of relative prices in a given SF will depend on the organic composition of capital, i.e. the relative weight of capital and labor, the rate of profit remaining the same, in each of them, and that the resolution of the system – quadratic or Marxist – will be over-determined by the weight given to one or more determining variables, for example full employment for the variable labor power … or the artificially high price of energy.

In any economic system, rising productivity will “free up” part of the workforce, so that unless labor-intensive new or intermediate sectors are introduced, recourse to the Reduction of the Work Week will be the order of the day, which basically only socializes and redistributes productivity gains through planning. For Marginalists, full employment – precarious if need be, by dividing a full-time job by 2 or 3 to lower unemployment as defined by the ILO – can only be achieved by removing the obstacles present on the labour market, which amounts to treating human labour power in its liquid form as a factor of production like any other, apprehended solely in money form, a nonsense that dates back to Jean-Baptiste Say reading Ricardo on paper currency and already demonstrated by Marx in his Parisian Manuscripts of 1844.

Before moving on to a succinct analysis of the disaster resulting from the IPCC’s warming nonsense, we need to say a word about the complementary role of macroeconomics and microeconomics. The latter concerns each of the production functions taken separately; as a result of competition, they will seek to be more productive than their competitors, i.e. to produce, in the same working time but with an organic composition deepened by the use of technology and work organization, more identical or highly elastic products, at a proportionally lower unit cost… and with a similarly smaller labor force, estimated in physical workers or working hours, while the real wage of the labor force that remains employed remains identical to what it was before, when measured according to the output of said production function. Measured in relation to overall intersectoral production, the same real wage translated into monetary terms will fluctuate according to the respective productivity: if the productivity of Sector Mp increases, the same real wage will imply more Mp but will buy less Cn than before, at least if the productivity of this latter Sector remains unchanged. (Productivity in Sector I will lower the unit price of Mp, while that of Cn will remain unchanged). We can see that as productivity rises in both sectors, the standard of living of working people will rise, as the “structure of v” becomes more complex. Except that the rise in productivity, which intensifies work for the working people it affects, also “frees up” part of the workforce, i.e. it also creates unemployment – And thus structural inflation, at least if unemployment benefits are financed by additional money issuance rather than organically through social security contributions. (We refer the reader to this and this).

We already know that the space of macroeconomics overlaps with that of Social Formation, where exchange value – and prices – are created, since without this delimitation there can be no mathematical or Marxist resolution. All that would remain would be the super mess of micro without macro, driven by the acquisitive mentality of private capital accumulation, a nonsense worthy of Jean Tirole – but not of his mathematical training. (We know that Tirole, to date, can claim 4 great ideas for 4 great catastrophes, the first of which concerns his apology for financial deregulation as early as 1993 with a Harvard colleague, which through the repeal of the Glass Steagall Act in 1999 led to the subprime crisis of 2007-2008, i.e. the greatest crisis after the Great Depression. You’ve got to earn your Nobel Prize, don’t you? As for the rest, it’s almost enough to look at his titles: single contract leading to the Italian Jobs Act and the Loi Travail, “imperfect competition” self-regulated in favor of the Gafams by the Gafams themselves, the rest being as behavioral and ipcc-ist as one could wish…)

What needs to be added is that, contrary to marginalism and all forms of neoliberalism and monetarism, a well-managed or planned macro-economy is the necessary basis for a flourishing micro-economy : for instance, since goods have to circulate, a universally accessible public transport network is a considerable advantage in terms of production costs and interconnection with consumers; the same goes for the general qualification of the workforce through national public education, or for Social Security, which costs half as much when it’s mutualised and public.

The macroeconomic competitiveness rate is given by the Social Capital production function, which is the sum of Sectors 1 and 2. This rate of macroeconomic competitiveness of the Social Capital of the SFs is the basis of the exchange rate of the national currency, since it allows comparison between SFs of the main economic rates, i.e. the rate of competitiveness – or micro productivity for each production function – given by the essential ratio of the organic composition of capital noted v/C, or C = (c + v), the rate of extraction of surplus value or exploitation noted pv/v and the rate of profit noted pv/(c+v). This is important because no SF can live in autarky, and each must integrate the composition of its external balances into the equations of its national production functions.

Let’s turn now to the economic disaster set in motion by the IPCC and ratified by the Paris Agreement and its aftermath. As for the IPCC’s narrative nonsense demonizing CO2, the volume of which follows climate change rather than precedes it (permafrost, phytoplankton, feedbacks, etc.), and the fact that life on Earth is carbon-based, and other such warming shibboleths, I refer you to the English texts in the “Ecomarxismo” category of my website http://rivincitasociale.altervista.org . Let’s not forget that, since 1979, global warming data have been shamefully falsified, since they are based on satellite measurements taken in the absence of clouds, given that clouds permanently cover half the globe! Or the ppm CO2 measurement taken on Mauna Loa, one of the World’s 16 largest and most active volcanoes: recently, despite the Covid and the economic slowdown, the ppm CO2 has risen, and in fact there was an eruption in December 2022! People are being taken for fools. As far as the Paris Agreement is concerned, I refer you on the same site to this, for the prohibitive rises in commodity prices to this and for ipcc-ist financial speculation to this. On raw materials and metals, including those needed for the “ecological bifurcation”, see for instance the online videos by engineer Aurore Stéphant.

Let’s deal briefly here with the predicted disaster in terms of the relative price structure of the SF, with the induced deterioration of external balances and the explosion of prices, debilitating given as “inflation” requiring restrictive intervention by central banks. France’s current trade deficit, accompanied by the deterioration of its net external position largely due to the price of energy and electricity, is just a foretaste. For Olivier Berruyer’s analysis, see here. (« 200 MILLIARDS DE DÉFICIT : le fiasco du commerce français ! »)

Raw materials and energy as a whole – not just electricity – are important inputs in virtually all production and exchange processes. They affect production costs, and hence selling prices. It is clear from what we have written above that if the prices of these essential inputs are raised arbitrarily, the whole internal price structure will be altered, as will the exchange rate, creating a loop through the deterioration of external balances and the exchange rate. The system will become economically irrational, and will rapidly run its course, both domestically and against its external competitors.

Can we expect to administratively set the prices of these essential inputs, or even of other inputs, or even without taking into account the realities of the micro-economic productivity rate and the macro-economic competitiveness rate? The answer is no. Yet this is exactly what speculative green ecologists do when they set non-economic targets under the guise of ecological externalities that need to be taken into account to avoid catastrophe, the new end-of-the-world invented for the “new pastoral kids led on crusade”. In his latest Report 2024, Zucman proposes nothing less than a « fiscal IPCC » (!) to finance the ecological transition he deems necessary, not from an economic point of view, but according to the priority of decarbonisation sought by the IPCC. (See here the report is available in English.) Let’s also stress that this irrational crusade against CO2 contributes absolutely nothing to preserving the environment or human health. Global competition and trade with partners better managed than our SF, such as China, will soon expose the catastrophe. Pseudo-norms from the IPCC or the EU, such as the carbon tax, will do nothing to change this. All the more so as our markets are mature, while the wealthier middle and working classes continue to grow in China and emerging countries.

Unlike the Montreal Protocol, today it is our major partners and competitors who control both cutting-edge technologies, patents, economies of scale and solvent markets, as well as increasingly global trade standards. In the case of the Montreal Protocol, the U.S. and allied leaders invented the problematic narrative of CFCs being responsible for the hole in the ozone layer. It then became imperative to change all fridges and air conditioners, an operation far more lucrative than simply renewing existing fleets despite their programmed obsolescence. But, of course, Dupont de Nemours had the alternative patents. Today, this is no longer the case for solar energy, wind power, batteries, rare earths and, very soon, microprocessors, which will soon be manufactured on new substrates – wafers – which will enable us to redefine international standards and be well positioned for the Object Internet and 5G. The latter not only concerns the distribution of media content, but above all the staggering amount of data entering the simulations that are now indispensable in all fields and processes of conception, design and manufacturing. Rapid data transfer and processing have become major strategic assets.

Indeed, the example of the single European electricity market, and the suicidal sanctions imposed on Russian oil and gas, are illuminating. They give a good idea of the catastrophic effects to be expected from the ideological war waged against fossil fuels in the name of the fight against CO2, which has no climatic causal effect and is otherwise beneficial to vegetation and crops that store it naturally, whereas the real problem, in terms of environmental protection and human health, concerns above all fine particles – PM 2.5 and PM 10 – and other greenhouse gases.

The single electricity market, which sacrificed France’s advantage with its nuclear fleet, was designed to subsidize the construction of intermittent and totally inefficient renewable solar and wind energies. They were also designed to legitimize the destruction of State-owned companies – EDF/GDF – by offering private individuals paying income tax, which is no longer the case for half of all working people earning too little, to install private solar panels and wind turbines using tax credits. The result was a form of clientelism well in line with the logic of neo-liberal monetarist public policy, based on the philosophy of flat taxes and tax expenditures. Ultimately, the cost of this policy choice is passed on to customers and users.

Add to this the fact that 100% renewable is technically impossible due to the intermittency of sun and wind. This is why the EU decided to create a totally artificial competitive electricity « market ». It forced public producers to sell part of their electricity production, at an administratively fixed price, to distributors who produced not a single kilowatt-hour. Under the Arenh scheme, EDF is obliged to sell part of its production at low cost to its distributor competitors, who do not produce a single kWh!

This irrational drain is doubled by a crony privatization carried out surreptitiously under the guise  of the “fair market price” achieved thanks to this artificially created competition. As if this were not enough, the system reaches the height of its absurdity with the fact that the price of electricity delivery contracts is simply determined by the spot market, particularly that of gas. Since electricity is difficult to store, gas – or coal-fired power plants must be used in extremis to complete a contract, as nuclear power plants cannot be handled so erratically. It is therefore wrong to suggest that prices on these contracts are determined by marginal cost or by the last unit produced, which is Marginalist hogwash; in fact, it is the last power plant called into production to close the contract, which often runs on gas and whose price is determined on the spot market, i.e. at the level that is generally the most expensive.

To add insult to injury, as the polytechnician Gerondeau pointed out, since nuclear power cannot be ramped up quickly in line with fluctuations in demand, and since inefficient renewables have to be subsidized, when electricity from the latter is available – solar or wind peaks – it is used as a priority, reducing production from nuclear power, which nonetheless boasts much lower production costs! And what can we say about the philo-Semite Nietzschean sanctions against Russian oil and gas in favor of American shale oil and gas, which are far more polluting, almost 4 times more expensive and in short supply… as we know, the USA is now preparing to buy Venezuelan oil.

Let’s conclude by recalling that all production and exchange – and consumption – processes involve the use of energy and electricity. The explosion of external deficits in France and other countries testifies to the irrationality of these purely ideological policies based on a-scientific and villainous narratives, aimed at creating a new CO2 original sin against which we can obviously do nothing since life on Earth is carbon-based, other than pay indulgences – green bonds – to the new high priests and “masters of the world”! (Can you here Svetonius laugh?)

Let’s imagine, for the sake of argument, that the SF tries to protect itself by imposing new tariff barriers at the border, barriers that we’d like to be invisible or at least compatible with the free-trade treaties now being imposed on emerging countries, which is the case with the carbon tax and the industrial taxonomy designed to inform decarbonisation … and the allocation of “permits to pollute” now listed on the stock exchange! (In the US this sends one back to Scopes 1, 2, 3.) To have any chance of success in terms of external balances, we need to dominate technologies, standards and norms and raw materials. This is no longer the case, contrary to the illusion created by the Montreal Protocol.

In our economies, which are moreover open to the mobility of global capital – and speculative capital at that – stubbornness in this direction must in practice be paid for by increased wage deflation in the hope of remaining competitive. The wage deflation which has trended to the bottom since Thatcher and Reagan came to power has now reached its socially tolerable limits. The philo-Semite Nietzschean “elites” haven’t yet grasped the full extent of the disaster, as this logic accelerates their headlong rush towards their society of choice, that of the “return to the new domesticity and the new slavery”, all facilitated by the guilt-inducing ipcc-ist green catechism. The Gilets jaunes’ revolt has shown that this choice is based on quicksand, and that recourse to systemic repression, the Nietzschean Hammer, will not suffice to induce the masses to accept their permanent socioeconomic and democratic downgrading, nor to persuade them to give up their mobility like the old peasants attached to the glebe, despite the nonsense about the 15-minute City.

In fact, even an entirely autarkic society could not pretend to artificially manipulate the internal structure of its relative prices, as History, which is always the history of the class struggle, has shown. We can see this today, as soaring energy and commodity prices, combined with the theoretical and reactionary ineptitude of central banks who know nothing about “inflation”, are causing real wages and living standards to plummet. In the long history preceding the capitalist mode of production, usury was religiously condemned and often capped by recourse to the “just price” imposed, if necessary, in an administrative manner (St Thomas the Doctor Summa, etc.), according to the requirements of social peace and the sovereign refusal to tolerate the State within the State represented by the private forces of money (see, for instance, Philippe Le Bel versus the Knights Templar. )

With today’s capitalism, the new administrative prices are, on the contrary, designed to serve financial speculation, now in its green garb. The consequence is that, instead of preserving the minimum standard of living of the popular masses, the logic set in motion aims, on the contrary, to reduce it to the lowest level, “physiological” if you like!!!! Such retrograde steps, imagined by the neo-Nietzschean-Rabbinical « pitres », are no longer in the cards, despite the illusions of “wars against terrorism”, clashes of civilizations, the torture of dissidents under medical control – Israeli style – and new green crusades for neo-pastoral kid crusaders.

Ecomarxist planning is quite different, precisely because it respects the scientific and technical data which, as Pareto himself understood, determine the technical composition of production processes, driven by the quest for the highest productivity, for example, in order to better anchor ideas, by resorting to greater energy intensity, which is more acceptable in environmental and economic terms. However, no more than any other bourgeois economist, Pareto knew how to reconcile technical composition and exchange-value composition. Since my scientific elucidation of the Law of Productivity, duly reinserted in the Equations of Simple and Enlarged Reproduction, this is now possible. All that’s needed, then, is to take Ecomarxist data into account to inform planning, i.e. the allocation of resources available for dynamic reproduction, taking into account above all the social priorities democratically defined by recourse to socialist democracy (see here), i.e. industrial and social democracy rather than political democracy in the bourgeois sense of the term, i.e. limited parliamentary representative democracy with little power over private ownership of the means of production, and therefore over profits and the credit needed for reinvestment.

The theory of Ecomarxism presupposes the resolution of the problem of absolute and differential rent, i.e. the demonstration of the Marxist Law of Productivity, coherently reintegrated into the Equations of Simple and Enlarged Reproduction. I’m the only one to have done this following Marx. The lineaments of Ecomarxism are formulated in the Introduction and in the Appendix of my Livre-Book III, freely accessible here: https://www.la-commune-paraclet.com/Download/

Let’s take a look at a few key points concerning raw materials, including fossil fuels – once we’ve eliminated the IPCC’s ideological nonsense about CO2.

Scientific data is used both in the Dialectics of Nature – use values – and in the Dialectics of History – exchange values (natural or hard sciences and social sciences derived from historical materialism, for simplicity’s sake). Ecomarxist scientific planning uses and sponsors public research into available geological materials and resources. It can therefore have a precise idea of the quantities available and/or producible in relation to the short-, medium- and long-term needs of the Five-Year Plan. As the equations of its production functions, grouped into Sector 1 and Sector 2, are given ex ante in exchange value terms, the structure of relative prices is perfectly controlled. (I refer to my Synopsis of Marxist Political Economy, at the same link) In any case, any changes that do occur can be corrected, with planning easily readjusting itself according to quarterly – and even more frequent – data, thanks to the real-time information that can be made available using scientific statistics, i.e. based on the Equations of ER and its underlying SR. Planning can therefore be easily corrected without major upheavals, as already elaborated in Note 9 of my Book-Book III.

Furthermore, Ecomarxist planning will aim to favor products whose life cycle is better controlled with regard to optimal recycling, both upstream and downstream. For the rest, it will favor mass production with a life cycle of 6 to 7 years whenever the aim is to quickly satisfy real needs as equally as possible. On the contrary, whenever necessary, the renewal of these fleets will encourage high-quality production in short runs, or even better, in artisanal production. Real wealth will accumulate, but without resorting to antique shops reserved exclusively for affluent customers.

When it comes to the availability of raw materials and energy, Ecomarxism advocates protecting existing resources. Where supplies are limited, this will be done by reserving them first and foremost for needs for which no alternatives yet exist. Otherwise, we will aim for natural renewal – e.g. forestry or management of fish shoals at sea, etc. – or artificial renewal – e.g., biofuels, respecting strict agricultural zoning to protect arable land, while favoring dual crops in rotation, such as rapeseed, which simultaneously supplies biofuel and feeds for livestock. Guy Nègre’s compressed-air car plus adjuvants is superior to the electric or hydrogen car in terms of pollution, autonomy and price; moreover, by reserving the production of adjuvants to small farmers, we could save their standard of living while obtaining, in return, the maintenance of the landscape which also favours fire-fighting, for example in mid-hill areas or all those not involving protected arable land.

In all cases, public research will aim to find and design environmentally acceptable and massifiable substitutes.

Such a system is then legible, and its relative price structure can be determined according to the preservation and growth of the population’s quantitative and qualitative material standard of living, while aiming for the most favorable exchange rate. Degrowth is an absurdity induced by Marginalist GDP, now speculative at over 9% directly, so that its growth is combined with the barbaric deflation of wages and household “net global income”. A critique of Marginalist GDP is available here.

In reality, any socially advanced economy – preferably informed by Ecomarxism, which does not boil down to the primitive idea of circularity, which at best only concerns recycling – aims for sustained growth in the standard of living of its citizens, but this growth will mainly be qualitative. In other words, it will be driven by social needs, which, once basic material requirements have been met, will focus on social and human services, as well as leisure and leisure-time activities. To conceive of the overcoming of private capitalist growth, more aptly named private accumulation of capital, it is of course necessary to understand the difference between the capitalist “invisible hand” and scientific socialist planning based on the Equations of SR and ER duly informed by Ecomarxism.

Paul De Marco

Commenti disabilitati su CALCUL ÉCONOMIQUE, STRUCTURE DES PRIX RELATIFS, TAUX DE CHANGE ET DÉSASTRE RÉCHAUFFISTE DU GIEC: Une courte note, 30 Oct. 2023

L’économie est constituée par un ensemble d’entreprises et d’administrations publiques et privées. Cet ensemble interdépendant se décompose en fonctions de production qui se regroupent fonctionnellement en secteurs, branches et en filières intersectorielles. Toute économie croît, décroît ou reste stationnaire c’est-à-dire qu’elle se reproduit de manière dynamique positivement ou négativement ou encore en faisant du surplace. Comme toutes ces fonctions de production sont interdépendantes ceci suppose que cet ensemble doit trouver sa résolution mathématique dans un espace précis, contrôlé pour ses interactions avec l’extérieur. Cet espace c’est celui de la Formation Sociale – FS -, nationale ou multinationale, qui est également l’espace de la macro-économie et par conséquent de l’Etat plus ou moins garant de l’intérêt général, du moins selon sa nature de classe. Toute fonction de production produit une quantité déterminée de biens ou de services qui ont un coût de production et un prix de vente – ou valeur d’échange – unitaire.  Du fait de l’interdépendance des fonctions de production il est déjà évident que la valeur d’échange – ou prix – des biens et services et la structure des prix relatifs se forment dans la FS donnée. Les échanges avec l’extérieur sont médiatisés par les balances externes, partant par le taux de change de la FS qui renvoie au taux de compétitivité de son capital social.   

Toutes les fonctions de production ont la même structure impliquant les mêmes variables, le capital – fixe ou circulant, se matérialisant dans le capital  effectivement utilisé dans la production de chaque produit ce que Paul Sweezy appelait le capital « used-up » – , la force de travail et les profits. L’addition de ces variables donne la valeur d’échange ou les prix du marché qui oscillent autour d’elle dans un régime de concurrence ou bien qui est donnée ex ante dans un régime de planification scientifique fondé sur la valeur d’échange. Cependant le poids relatif de ces variables dans les diverses foncions de production varie quoique le taux de profit reste le même dans la FS donnée. Ce taux est défini comme le rapport du profit sur le capital engagé et sur le coût de la force de travail. Similairement, l’égalité de ce taux – mais pas des volumes de profits qui dépendent pour leur part des prix unitaires plus bas permettant la conquête des marchés – est donnée ex post dans un régime de concurrence reposant sur la mobilité des facteurs de production et tout particulièrement sur la mobilité du capital alors qu’il est donné ex ante par la planification scientifique axée directement sur la valeur d’échange débarrassée des oscillations prix.

Les modèles de résolution bourgeois des prix – ou valeurs d’échanges – de ces ensembles interdépendants prennent toujours une forme dérivée du modèle de résolution quadratique proposé par Tougan-Baranovsky, que ce soit par ce dernier lui-même, ou par Léon Walras et son « tâtonnant » « marché des marchés », ou encore par tous les modèles input/output dont les dérisoires matrices néo-ricardiennes de Piero Sraffa.

Nous verrons plus bas que la résolution simultanée quadratique reposant sur un ensemble proposant le même nombre de fonctions et d’inconnues n’a absolument rien à voir avec la résolution du problème économique de la valeur d’échange – ou prix. Ce n’est qu’un jeu, la pire instance d’un Modèle se superposant à la Réalité à appréhender. Son problème fatal, qui est celui de l’économie bourgeoise sous toutes ses formes, particulièrement du marginalisme, consiste à réduire la dualité de toute marchandise en une « utilité » subjective unidimensionnelle alors que tout bien ou service, force de travail incluse, est caractérisé par sa valeur d’usage appréhendée en quantité et par sa valeur d’échange appréhendée en valeur d’échange « monétaire » ou prix.

Cependant, la reproduction économique donnée par la résolution simultanée de l’ensemble des fonctions de production doit respecter à la fois la reproduction en quantités et en valeurs d’échange ou prix. C’est la grande découverte scientifique de Marx dans son analyse critique de Sismondi –revenu annuel, ou ensemble délimité permettant l’analyse comparative diacronique et synchronique  – et du Tableau de Quesnay, pour ne citer que ces deux-là.  Ceci mènera aux Equations de la Reproduction Simple de Marx que l’on peut immédiatement comparer avec le Modèle dit synthétique de Tougan-Baranovsky.  Les deux Secteurs de production de Marx incluent tout l’espace économique de la FS puisque le Secteur des Moyens de production « Mp » renvoie au capital « c » dans la fonction de production générique et que le Secteur des Moyens de consommation « Cn » renvoie à la force de travail notée « v ». Pour sa part « pv » est la plus-value ou profit qui correspond au surtravail que le patron empoche. Le taux de profit est donné par pv/(c+v). On peut ensuite imaginer tous les sous-secteurs et branches que l’on veut, voire les filières intersectorielles recomposées. La Reproduction Simple (RS) ouvre sur la logique de la Reproduction Elargie (RE), ou équilibre dynamique, une fois clarifiée la Loi de la productivité marxiste sur la base de Marx, ce que je suis le seul à avoir accompli :

Le Modèle de la Reproduction Simple ou stationnaire de Marx est le suivant:

Secteur I des MP : c1 + v1 + pv1 = Mp (en quantité et en valeur d’échange ou prix)

Secteur 2 des Cn : c2 + v2 + pv2 = Cn ( idem)

Les Equations de la Reproduction Simple synthétisées par Boukharine sur la base du Livre II du Capital sont :

Mp = (c1 + c2)

c2 = (v1 + pv1)

Cn = (v1 + pv1 ) + (v2 + pv2)

Voici, par contre, le dérisoire jeu quadratique de Tougan-Baranovsky  – pour le résoudre il lui faut le même nombre de fonctions et de variables aussi invente-t-il le Secteur Or en « c3 », qui prend la place de la valeur de la force de travail …):

c1 + v1 + s1 = c1 + c2 + c3

c2 + v2 + s2 = v1 + v2 + v3

c3 + v3 + s3 = s1 + s2 + s3

Revenons maintenant à la forme au mieux épiphénoménale bourgeoise du problème. Lorsque l’ensemble des fonctions de production est abandonné à la « main invisible », la résolution du système, sa reproduction, se fait selon la logique de la mentalité acquisitive capitaliste se matérialisant dans l’accumulation du capital privé individuel. Personne n’a à se soucier de la reproduction simultanée en quantité et en prix. Les réinvestissements des entreprises et le crédit des banques privées qui les complète et les accélère iront donc fatalement là où les profits immédiats sont plus grands. Ce jeu de la « main invisible » produit donc un surinvestissement ou expansion dans certains sous-secteurs et certaines branches fatalement accompagné par un sous-investissement ou contraction en d’autres, rompant ainsi l’équilibre quantité-prix sous-jacent – surproduction/sous-consommation. Cet excès sera vite purgé par les crises cycliques – et donc par l’énorme gaspillage systémique capitaliste – qui caractérisent le Mode de production capitaliste.

Or, rien de tout ceci n’est appréhendable dans les schémas Offre/Demande et ses équilibres strictement micro-économiques. (Pour un bref aperçu de l’inanité ex ante/ex post du schéma O/D, voir ceci .) Même la théorie néolibérale monétariste de l’Efficient Capital, qui prétend que toute spéculation accélère la mobilité du capital, ce qui reconduirait le système plus rapidement à l’équilibre, est aveugle ou, mieux encore, plus inepte que le marginalisme qui la sous-tend. Pour les théories bourgeoises, et pour toutes les variantes du marginalisme, toute distinction entre économie réelle et économie spéculative est inconnue car totalement occultée dans son espace ontologique. La Réalité s’imposant fatalement aux narrations – ici celles de la « dismal science » – les livres d’histoire économiques, plus « empiriques baconiens » selon l’expression du grand épistémologue Koyré, doivent donc compléter les lacunes des manuels d’économie mainstream, ce qui nous vaut des récits sur les crises à l’instar de ceux de John Galbraith ou encore de Minsky. Au contraire, la base scientifique marxiste en la matière est synthétisée par Lénine dans les Lois de motion du capital, ce qui donne, selon les formes du capital – marchand précapitaliste, marchand, bancaire, industriel, financier, internationalisation du capital productif et aujourd’hui spéculatif hégémonique – le déroulement spécifique des crises conjoncturelles et structurelles, soit la concentration/centralisation du capital et la surproduction/sous-consommation dans une FS donnée.  

Comme tous les grands prêtres bourgeois, Keynes connaissait parfaitement les travaux de Marx, ne serait-ce qu’à travers Sraffa. Il tenta de sauver le système malgré lui en le préservant. Il conserve donc l’ensemble des fonctions de production aléatoirement équilibré par le marché et par le « marché des marchés » tout en insistant sur deux éléments correctifs : 1 ) la résolution de l’ensemble devait respecter le plein-emploi – en son temps, le plein-emploi à plein temps – réduisant ainsi l’acuité des crises sociales et politiques menaçant frontalement le capitalisme depuis la Révolution bolchévique de 1917 et depuis la Grande Dépression déclenchée en 1929 aux USA ; 2 ) le rééquilibrage exogène de l’ensemble par l’intervention de l’Etat du côté du Secteur I des Mp – entreprises publiques et crédit public ou du moins contrôlé par l’Etat – et du côté du Secteur II des Cn, par conséquent du renouvèlement mais aussi de la reproduction biologique de la force de travail dans un ménage. Les avantages d’un tel rééquilibrage par la planification – capitaliste allemande durant la Grande Guerre ou encore bolchévique – avaient fait leurs preuves. En particulier, le cas allemand avait montré comment la planification, contrôlée par la classe dirigeante capitaliste, permettait d’éliminer les gaspillages de la reproduction causés par l’accumulation capitaliste privée, gaspillage mettant en danger la sécurité de l’Etat en temps de guerre et ultimement la place mondiale de la bourgeoise nationale dans « le partage impérialiste du monde » dénoncé par Lénine.    

Pour Keynes, dans l’ensemble de variables interdépendantes, le plein-emploi à temps plein joue le rôle de variable déterminante. Toute la structure des prix relatifs s’en trouve surdéterminée. Pour l’économiste de Cambridge, UK, grand connaisseur de Paul Lafargue qu’il ne cite pas, cette surdétermination devait mener à la baisse séculaire, selon le partage des gains de productivité, de la semaine du travail. Le système étant condamné sans cela. Il envisageait par conséquent la possibilité pour ses grands-enfants de vivre dans une société de RTT à 15 heures semaines. (voir ceci) Dommage qu’il ne connaissait pas cet autre grand lecteur du grand marxiste Paul Lafargue , Boris Vian, qui entrevoyait déjà la semaine de 2 heures et le pianocktail.

La contre-réforme néolibérale monétariste, philo-sémite nietzschéenne à la base, s’en prit à ce compromis socio-économique qui ne pouvait qu’aboutir, à terme, qu’au dépassement de l’hégémonie du marché capitaliste et à celui des forces parasites de l’argent. Le plus débile en la matière, le « grand-maître » de tous les autres, est le juif-autrichien fasciste, conseiller du Chancelier autrichien avant l’Anchluss, Ludwig Mises, un type qui n’a jamais changé d’avis même après sa fuite d’Autriche pour sauver sa peau. En fait, en bon exclusiviste raciste théocratique, il craignait d’avantage l’exemple allemand de la planification de guerre, qui faisait la preuve de l’élimination possible des gaspillages systémiques du système, que l’exemple bolchévique qui pouvait donner lieu à une hystérie idéologique de masse pour le contrer. En ce qui concerne l’exemple de la planification de guerre allemande, il suffisait ensuite de substituer économie de guerre par économie de paix socialement orientée, ce qui fut fait dès 1943 en Occident par peur de l’avance soviétique après la Victoire de Stalingrad. Or, l’idéologie du marché et de sa « main invisible », déterminant le mérite de chacun selon les prouesses de sa mentalité acquisitive, reste le refuge ultime de l’exclusivisme raciste, souvent théocratique, de tous les groupes – ou « races » – supérieurs auto-élus. En effet, comme le dit le proverbe, « l’argent appelle l’argent », ce qui met les « life chances » de Menger dans leur vraie lumière a-démocratique. L’eugénisme socio-économique et philo-sémite nietzschéen de Mises est exprimé sans détour dans son livre Socialism. On y lit par exemple – p 475-476 etc. – que l’hôpital public crée la maladie qui autrement n’est qu’une question holistique de Volonté. Ergo, supprimez l’hôpital public – ce que les dirigeants font désormais systématiquement  – et voilà … ! D’ailleurs le demi-milliard de camarades Dalits n’a pas vraiment le luxe d’être malade, ayant une longévité qui fluctue autour de 42 ans.

Après guerre, discréditée par la soif populaire d’Etat social et de Sécurité Sociale garants de la citoyenneté réelle du peuple dans son ensemble, cette contre-réforme néolibérale monétariste avec son Ecole de Chicago fut reléguée dans les sous-sols universitaires, notamment à Chicago avec ses Hayek, Friedman et al., flanqués par des pseudo-philosophes cabalistes de second ordre à la Léo Strauss, inspirés par Carl Schmitt. Il lui fallut donc attendre son heure jusqu’à l’arrivée aux commandes de Thatcher en GB puis de Volcker à la FED (1979) et de Reagan à la présidence des Etats-unis (1982).(Voir ceci) Avec le démantèlement des protections douanières offertes par le GATT, on assista à l’extroversion du Multiplicateur économique, ce qui autorisa certains à discréditer les politiques sociales, disons keynésiennes pour faire court, de l’Etat capitaliste avancé.

A sa base, la contre-réforme néolibérale monétariste est donc profondément proto-fasciste, l’Etat socialement minimum devant éliminer, par ses narrations exclusivistes et son monopole de la force, tous les obstacles à l’hégémonie du « marché » menant vite à la négation du libéralisme classique de celui-ci par la forte concentration-centralisation du capital global dans les mains de quelques MNCs puis de quelques transnationales néo-mercantilistes qui visent désormais à assurer le « retour » à une domination plus crue de l’exploitation de l’Homme par l’Homme. Au sortir de la Seconde Guerre Mondiale, marquée par la Victoire de Stalingrad, malgré la cooptation de nombre de dignitaires et scientifiques nazis et fascistes en Occident, la priorité alla au New Deal, à ses contrepoids syndicaux et sociaux ainsi qu’à la mise en place de la planification stratégique au sein d’une société mixte appuyée par la Sécurité sociale et par le crédit public qui ne coûte rien sauf les frais de sa gestion. De fait, le retour au crédit public s’impose aujourd’hui comme la première exigence citoyenne pour éliminer définitivement les parasites philo-sémites nietzschéens de la finance privée, en particulier de la finance spéculative globale.     

Entre le syncrétisme de Keynes cherchant à concilier empiriquement sur la base de meilleures données statistiques, capitalisme, plein-emploi et sécurité sociale, et la contre-réforme néolibérale monétariste de Mises et de l’Ecole de Chicago, il y eût ce que Joan Robinson appela les « bâtards de Keynes », un groupe qui devint vite prédominant dans les universités occidentales, partant mondiales, dont Hicks – qui tenta de généraliser le système à deux variables de Marshall, capital et « blé » – mot-valise substitué au concept de « travail socialement nécessaire » de Marx, occulté ensuite par le « panier des marchandises produisant des marchandises de Sraffa -, mais qui n’alla pas au-delà de trois variables dans un système de résolution simultanée ne tenant même pas compte de la structure des revenus, lacune partagée avec Pigou et Samuelson, entre autres.

Robert Solow formula cette « synthèse bâtarde » dans l’essai de 1956 qui lui valut le pseudo prix Nobel de la Banque de Suède : il supprima tout simplement la variable déterminante plein-emploi à temps plein de Keynes pour redonner voix au chapitre au « libre marché » sur le « marché du travail » ; ceci impliquait qu’il fallait laisser l’équilibre se faire au « seuil physiologique », ce qui est une inepte absurdité hyper-malthusienne, le seuil physiologique pour la force de travail dépendant des conditions civilisationnelles dont justement le développement ou l’absence des syndicats, des conventions collectives et de la Sécurité Sociale, voire de la planification mixte. Il suffira par la suite d’ajouter l’externalisation pénalisante du Multiplicateur de Keynes-Kahn causée par le démantèlement du système tarifaire protecteur du Gatt et son remplacement par le libre-échange global et par sa définition de l’anti-dumping à l’OMC. On sait que cette dernière exclut d’office toute référence au salaire différé et aux critères environnementaux minimum, pour forcer une course vers le moins disant global surtout axé sur le seul salaire net individuel voué à tendre vers un « seuil physiologique » toujours plus bas. Ce que je dénonce depuis des années comme volonté des classes dirigeantes néolibérales monétaristes d’imposer un « retour à la société de la nouvelle domesticité et du nouvel esclavage », une société où l’industriel nazi Schindler est un Homme juste et le juif Stern son maître et comptable – les communistes qui ouvrirent les portes des camps étant l’ennemi désigné, Staline étant pire qu’Hitler …    

Retenons que dans un ensemble de fonctions de production interdépendantes, la structure des prix relatifs dans une FS donnée dépendra de la composition organique du capital, c’est-à-dire du poids relatif du capital et du travail, le taux de profit restant le même, dans chacune d’entre elles et que la résolution du système – quadratique ou marxiste – sera surdéterminée par le poids accordé à une ou plusieures variables déterminantes, par exemple le plein-emploi pour la variable force de travail … ou le prix artificiellement haut de l’énergie.

Dans tout système économique la hausse de la productivité « libèrera » la force de travail de sorte qu’à défaut de l’introduction de secteurs neufs ou intermédiaires intensifs en travail, le recours à la RTT sera de rigueur, ce qui, au fond, ne fait que socialiser et répartir les gains de productivité grâce à la planification. Pour les marginalistes, le plein-emploi, précaire s’il le faut en divisant un temps-plein par 2 ou 3 pour faire du chiffre chômage selon le BIT, s’obtient uniquement en supprimant les obstacles présents sur le marché du travail, ce qui revient à traiter la force de travail humaine dans sa forme liquide en tant que facteur de production comme un autre, uniquement appréhendé sous forme argent, une ineptie qui remonte à Jean-Baptiste Say lisant Ricardo sur la paper currency et déjà démontée par Marx dans ses Manuscrits parisiens de 1844.       

Avant de passer à une analyse succincte du désastre découlant des inepties réchauffistes du GIEC, il nous faut dire un mot sur le rôle complémentaire de la macro-économie et celui de la micro-économie. Cette dernière concerne chacune des fonctions de production prises séparément ; du fait de la concurrence, elles chercheront à être plus productives que leurs concurrentes, c’est-à-dire à produire, dans le même temps de travail mais avec une composition organique approfondie par le recours à la technologie et à l’organisation du travail, plus de produits identiques ou dotés d’une grande élasticité, à un coût unitaire proportionnellement moindre … et avec une force de travail, estimée en travailleurs physiques ou en heures de travail, similairement moindre, le salaire réel de la force de travail qui demeure employée restant identique à ce qu’il était auparavant en mesurant selon la production de la dite fonction de production. Mesurée par rapport à la production intersectorielle globale, le même salaire réel traduit en terme monétaire fluctuera selon la productivité respective : si la productivité du Secteur Mp augmente, le même salaire réel impliquera plus de Mp mais achètera moins de Cn qu’avant du moins si la productivité de ce Secteur reste inchangée. (La productivité dans le Secteur I fera baisser le prix unitaire des Mp alors que celui des Cn restera inchangé.) On voit qu’au fur et à mesure que la productivité grimpera dans les deux secteurs, le standard de vie des actifs grimpera, la « structure de v » se complexifiant. Sauf que la hausse de productivité qui intensifie le travail pour les actifs qu’elle concerne, « libère » également une partie de la force de travail, c’est-à-dire qu’elle crée aussi du chômage. – et donc de l’inflation structurelle du moins si les allocations chômages sont financées par l’émission supplémentaire de monnaie plutôt qu’organiquement pas les cotisations sociales. (Nous renvoyons à ceci et ceci)     

Nous savons déjà que l’espace de la macro-économie recouvre celui de la Formation Sociale où se crée la valeur d’échange – et les prix – puisque sans cette délimitation il n’y a aucune résolution mathématique ou marxiste possible. Resterait uniquement le super-gâchis de la micro sans macro entraîné par la mentalité acquisitive de l’accumulation privée du capital, une ineptie digne de Jean Tirole – mais pas de sa formation mathématique. (On sait que Tirole c’est, à date, 4 grandes idées pour 4 grandes catastrophes, la première concernant son apologie de la dérégulation financière dès 1993 avec un collègue de Harvard, qui moyennant l’abrogation du Glass Steagall Act en 1999 conduisit à la crise des subprimes de 2007-2008, c’est-à-dire à la plus grande crise après la Grande Dépression. Il faut bien mériter son «prix Nobel », ‘pas? Pour le reste, il suffit presque de regarder ses titres : contrat unique menant au Jobs Act italien et à la Loi travail, « concurrence imparfaite » autorégulée en faveur des Gafam par les Gafam elles-mêmes, le reste étant à l’avenant, comportemental et giéciste à souhait …)

Ce qu’il convient d’ajouter c’est que, contrairement au marginalisme et à toutes les formes de néolibéralisme et de monétarisme, une macro-économie bien gérée ou planifiée est la base nécessaire pour une microéconomie florissante : par exemple, puisque les marchandises doivent circuler, un réseau de transport public universellement accessible constitue un avantage considérable en terme de coût de production et d’interconnexion avec les consommateurs ; il en va de même pour la qualification générale de la force de travail par l’éducation nationale publique ou pour la Sécurité Sociale qui coûte deux fois moins chère lorsqu’elle est mutualisée et publique.

Le taux de compétitivité macro-économique est donné par la fonction de production du capital social qui est la somme des Secteurs 1 et 2. Ce taux de compétitivité macroéconomique du Capital Social des FS est à la base du taux de change de la monnaie nationale puisqu’il permet de comparer entre FS les taux économique principaux, soit le taux de compétitivité – ou de productivité micro pour chaque fonction de production – donnée par le rapport essentiel de la composition organique du capital noté v/C, ou C = (c + v), le taux d’extraction de plus-value ou d’exploitation noté pv/v et le taux de profit noté pv/(c+v). Ceci est important puisque aucune FS ne peut vivre en autarcie, chacune devant intégrer la composition de ses balances externes dans les équations de ses fonctions de production nationales.  

Venons-en maintenant au désastre économique enclenché par le GIEC et entériné par l’Accord de Paris et ses suites. En ce qui concerne les inepties narratives du GIEC diabolisant le CO2 dont le volume suit les changements climatiques et ne les précède pas (permafrost, phytoplankton, rétroactions etc …), et alors que la vie sur Terre est à base carbone, et autres âneries réchauffistes du genre, je renvoie aux textes en français de la Categorie « Ecomarxismo » de mon site http://rivincitasociale.altervista.org. Rappelons pourtant que depuis 1979 les données réchauffistes sont honteusement falsifiées puisqu’elles reposent sur des mesures satellites effectuées en l’absence de nuages, sachant que les nuages couvrent en permanence la moitié du globe ! Ou encore, la mesure en ppm du CO2 est prise sur le Mauna Loa, un des 16 plus grands volcans au monde et un des plus actifs : dernièrement, malgré le Covid et le ralentissement économiste, le ppm CO2 est monté et de fait il y eût une éruption en décembre 2022 ! On prend les gens pour des imbéciles. En ce qui concerne l’Accord de Paris, je renvoie dans le même site à ceci, pour les hausses prohibitives des prix des matières premières ceci et pour la spéculation financière giéciste ceci. Sur les matières premières et les métaux, y compris ceux nécessaires à la « bifurcation », voyez par exemple les vidéos en ligne de l’ingénieure Aurore Stéphant.

Occupons-nous brièvement ici du désastre annoncé en terme de structure des prix relatifs de la FS avec la détérioration induite des balances externes et l’explosion des prix, débilement donnée comme « inflation » nécessitant l’intervention restrictive des banques centrales. Le déficit commercial actuel de la France accompagné par la détérioration de sa position externe nette en grande partie due au prix de l’énergie et de l’électricité, n’est qu’un avant-gout. Pour l’analyse d’Olivier Berruyer, voir ici. (« 200 MILLIARDS DE DÉFICIT : le fiasco du commerce français ! »)

Les matières premières et l’énergie dans son ensemble– et pas uniquement l’électricité – sont des intrants importants dans quasiment tous les processus de production et d’échange. Ils affectent les coûts de production donc les prix de vente. Il est clair d’après ce que nous avons écrit plus haut que si les prix de ces intrants essentiels sont haussés arbitrairement toute la structure interne des prix en sera modifiée de même que le taux de change, ce qui créera une boucle par la détérioration des balances externes et du taux de change. Le système deviendra économiquement irrationnel et courra rapidement à sa perte tant au plan domestique que face à ses concurrents externes.  

Peut-on espérer fixer administrativement les prix de ces intrants essentiels, ou même des autres intrants, ou encore sans tenir compte des réalités du taux de productivité micro-économique et du taux de compétitivité macro-économique ? La réponse est négative. Or, c’est exactement ce que font les écologistes verts spéculatifs lorsqu’ils fixent des objectifs non-économiques sous couvert d’externalités écologiques dont il faudrait tenir compte pour éviter d’aller à la catastrophe, la nouvelle fin du monde inventée pour les « nouveaux pastoureaux menés en croisade ». Dernièrement dans son Rapport 2024, Zucman propose rien de moins qu’un GIEC fiscal ( !) pour financer la transition écologique qu’il estime nécesaire non pas du point de vue économique mais selon la priorité de la décarbonation voulue par le GIEC. (Voir ici) Soulignons aussi que cette croisade irrationnelle contre le CO2 ne contribue absolument rien pour la préservation de  l’environnement ou de la santé humaine. Très rapidement la concurrence globale et les échanges avec des partenaires mieux gérés que nos FS, par exemple la Chine, mettront à nu la catastrophe. Les pseudo-normes du GIEC ou de l’UE, dont la taxe carbone, n’y changeront rien. D’autant plus que nos marchés sont matures alors que les classes moyennes et populaires plus aisées continuent de croître en Chine et dans les pays émergents. 

Contrairement au Protocole de Montréal, aujourd’hui ce sont nos partenaires et concurrents majeurs qui contrôlent à la fois les technologies de pointe, les brevets, les économies d’échelle et les marchés solvables ainsi que de manière croissante les normes commerciales globales. Dans le cas du Protocole de Montréal, les dirigeants américains et alliés inventèrent de toute pièce la problématique narrative des CFCs responsables du Trou dans la couche d’ozone. Il devint alors impératif de changer tous les frigidaires et les climatiseurs, opération bien plus juteuse que le simple renouvèlement des parcs existants malgré leur obsolescence programmée. Mais, évidemment, Dupont de Nemours disposait des brevets alternatifs. Ce n’est plus le cas aujourd’hui ni pour le solaire, ni pour l’éolien, les batteries, les terres rares et très bientôt pour les microprocesseurs qui seront vite fabriqués sur de nouveaux supports – wafers – ce qui permettra de redéfinir les normes internationales et d’être bien placé sur l’Internet Objet et le 5G. Ce dernier ne concerne pas uniquement la distribution de contenus médiatiques mais surtout la quantité faramineuse de données entrant dans les simulations aujourd’hui indispensables dans tous les domaines et les processus de conception, de design et de fabrication. Le transfert et le traitement rapide des données sont devenus des atouts stratégiques majeurs.

De fait, l’exemple du marché unique de l’électricité européen, ainsi que les sanctions suicidaires imposées sur le pétrole et le gaz russes, sont très éclairants. Ils donnent un bel aperçu des effets catastrophiques à attendre de la guerre idéologique menée contre les sources d’énergie fossiles au nom de la lutte contre le CO2, sans effet causal climatique et par ailleurs bénéfique à la végétation et aux cultures qui le stockent naturellement, alors que le problème réel, en terme de protection de l’environnement et de santé humaine, concerne surtout les particules fines – PM 2.5 et PM 10 – et les autres gaz à effets de serre.

Le marché unique de l’électricité, qui sacrifia l’avantage dont disposait la France avec son parc nucléaire, fut imaginé pour subventionner la construction des énergies renouvelables solaires et éoliennes intermittentes et totalement inefficaces. Elles furent également conçues pour légitimer la destruction des entreprises publiques – EDF/GDF – en proposant aux particuliers payant l’impôt sur le revenu, ce qui n’est plus le cas pour la moitié des travailleurs gagnant trop peu, d’installer panneaux solaires et éoliennes privés en recourant à des crédits d’impôts. Ceci créa un clientélisme bien en phase avec la logique de la public policy néolibérale monétariste axée sur la philosophie de la flat tax et sur les tax expenditures. En définitive le coût de ce choix politique est reporté sur les factures des clients et des usagers.

Ajoutez que le 100% renouvelables est techniquement impossible du fait de l’intermittence –soleil et vents. C’est pourquoi l’UE décida de créer un marché concurrentiel totalement artificiel de l’électricité. Elle força les producteurs publics à ventre une partie de leur production électrique, à un prix fixé administrativement, à des distributeurs ne produisant pas le moindre kilowattheure. Dans le cadre de l’Arenh, EDF est obligé de vendre une partie de sa production à bas coût à ses concurrents distributeurs qui ne produisent pas le moindre kWh !!!

Cette  ponction irrationnelle est doublée par une privatisation clientéliste et crapuleuse opérée par la bande en prétextant le « juste prix du marché » atteint grâce à cette concurrence artificiellement créée. Comme si ceci ne suffisait pas, ce système atteint le paroxysme de son absurdité par le fait que le prix des contrats de livraison électriques est tout bonnement déterminé par le spot market tout particulièrement celui du gaz. En effet, le courant électrique se stockant mal, pour boucler un contrat il faut donc recourir in extremis à des centrales au gaz ou au charbon, le nucléaire ne pouvant pas être manipulé de faҫon aussi erratique. Il est par conséquent faux de faire croire que les prix sur ces contrats sont déterminés par le coût marginal ou la dernière unité produite, une foutaise marginaliste ; en fait, il s’agit bien de la dernière centrale appelée à la production pour boucler le contrat, qui fonctionne souvent au gaz et dont le prix est déterminé sur le spot market, soit au niveau généralement le plus cher.

Pour comble, comme le fit remarquer le polytechnicien Gerondeau, le nucléaire ne pouvant pas monter en puissance rapidement selon les fluctuations de la demande et comme il faut subventionner les renouvelables inefficaces, lorsque l’électricité de ces dernières est disponible – pics solaires ou éoliens – on l’utilise en priorité en réduisant la production du nucléaire qui exhibe pourtant un coût de production nettement plus bas ! Et que dire des sanctions philosémites nietzschéennes contre le pétrole et le gaz russes en faveur du pétrole et du gaz de schiste américains, beaucoup plus polluants, près de 4 fois plus chers et dont les quantités ne sont pas suffisantes à brève échéance … aujourd’hui les USA se préparent d’ailleurs à acheter du pétrole vénézuélien.

Concluons ceci en rappelant que tous les processus de production et d’échange – et de consommation – impliquent le recours à l’énergie et à l’électricité. L’explosion des déficits externes en France et en d’autres pays témoigne de l’irrationalité de ces politiques purement idéologiques fondées sur des narrations a-scientifiques et crapuleuses, visant à créer un nouveau péché originel CO2 contre lequel on ne peut évidement rien puisque la vie sur terre est à base carbone, sinon payer des indulgences – green bonds – aux nouveaux grands prêtres et « maîtres du monde »!

Imaginons, pour fixer les idées, que la FS tente de se protéger en imposant des barrières tarifaires nouvelles à la frontière, barrières que l’on voudrait invisibles ou en tout cas compatibles avec les traités de libre-échange aujourd’hui imposés aux pays émergents, ce qui est le cas de la taxe carbone et de la taxonomie industrielle devant informer la décarbonation … et l’attribution des « permis à poolluer » aujourd’hui cotés en bourse! Pour avoir une chance de réussite en terme de balances externes il faudrait dominer les technologies, les normes  et les matières premières. Or ce n’est plus le cas contrairement à l’illusion créée par le Protocole de Montréal. Dans nos économies, par ailleurs ouvertes à la mobilité du capital global, qui plus est spéculatif, l’obstination dans cette voie doit concrètement se payer par une déflation salariale accrue dans l’espoir de demeurer compétitif. Ce qui est perdu d’avance, cette déflation salariale qui sévit en effet déjà depuis l’arrivée au pouvoir de Thatcher et de Reagan ayant aujourd’hui atteint ses limites socialement tolérables. Les « élites » philosémites nietzschéennes n’ont pas encore pris la mesure du désastre puisque cette logique accélère la fuite en avant vers leur société de choix, celle du « retour à la nouvelle domesticité et au nouvel esclavage », le tout facilité par le catéchisme vert giéciste culpabilisant. La révolte des Gilets jaunes a montré que ce choix ne repose sur rien et que le recours à la répression systémique, le Marteau nietzschéen, ne suffira pas pour induire les masses à accepter leur déclassement socioéconomique et démocratique permanent, ni à les persuader de renoncer à leur mobilité à l’instar des anciens paysans attachés à la glèbe, malgré les balivernes sur la Ville à 15 minutes.

De fait, même une société entièrement autarcique ne pourrait pas prétendre manipuler artificiellement la structure interne de ses prix relatifs, c’est ce que montre l’Histoire qui est toujours l’histoire de la lutte des classes. On le constate aujourd’hui puisque l’envolée des prix de l’énergie et des matières premières, ajoutée à l’ineptie théorique et réactionnaire des banques centrales qui ne savent rien des « inflations », cause la descente en enfer des salaires réels et du standard de vie des populations. Dans la longue histoire précédant le mode de production capitaliste sévissait la condamnation de l’usure, qui était religieusement vouée aux fagots et qui était souvent plafonnée par le recours au « juste prix » imposé au besoin de manière administrative (le Docteur Somme, etc), selon les exigences de la paix sociale et selon le refus souverain de tolérer l’Etat dans l’Etat représenté par les forces privées de l’argent (voir, par exemple, Philippe Le Bel versus les Templiers.) Avec le capitalisme actuel, les nouveaux prix administratifs sont au contraire imaginés pour servir la spéculation financière, aujourd’hui sous ses oripeaux verts. La conséquence est qu’au lieu de préserver le niveau de vie minimum des masses populaires, la logique mise en mouvement vise au contraire à le réduire au niveau le plus bas, « physiologique » si l’on veut !!! De tels retours en arrière, imaginés par les néo-nietzschéens–rabbiniques, ne sont plus dans les cartes, malgré les illusions des « guerres contre le terrorisme », des chocs de civilisations, de la torture des dissidents sous contrôle médical – à l’israélienne –  et des nouvelles croisades vertes pour néo-pastoureaux.

Il en va tout différemment pour la planification écomarxiste justement parce qu’elle respecte les données scientifiques et techniques qui, ainsi que Pareto l’avait lui-même compris, déterminent la composition technique des procès de production tirée par la recherche de la productivité la plus grande, par exemple, pour mieux ancrer les idées, en recourant à une plus grande intensité énergétique, plus acceptable en termes environnementaux et économiques. Pas plus qu’aucun autre économiste bourgeois, Pareto ne savait concilier la composition technique et la composition valeur d’échange. Depuis mon élucidation de la Loi de la productivité, dûment réinsérée dans les Equations de la Reproduction Simple et Elargie, ceci est désormais possible. Il suffit alors de tenir compte des données de l’écomarxisme pour informer la planification, à savoir l’allocation des ressources disponibles pour la reproduction dynamique en tenant compte des priorités avant tout sociales définies démocratiquement par le recours à la démocratie socialiste (voir ici), donc industrielle et sociale plus encore que politique au sens bourgeois du terme, c’est-à-dire une simple démocratie représentative parlementaire limitée n’ayant que peu de pouvoir sur la propriété privée des moyens de production, donc sur les profits et le crédit nécessaire pour les réinvestissements.

La théorie de l’écomarxisme suppose la résolution du problème de la rente absolue et de la rente différentielle, donc en définitive la démonstration de la Loi marxiste de la productivité réintégrée de manière cohérente dans les Equations de la Reproduction Simple et Elargie. Je suis le seul à l’avoir fait en suivant Marx. Les linéaments de l’écomarxisme sont formulés dans mon l’Introduction et dans l’Annexe de mon Livre-Book III librement accessible ici : https://www.la-commune-paraclet.com/Download/ 

Voyons-en quelques points essentiels concernant les matières premières, dont les ressources fossiles – une fois éliminées les absurdités idéologiques narratives du GIEC sur le CO2. On fait appel ici aux données scientifiques dans le domaine de la Dialectique de la Nature – valeurs d’usage – que dans la Dialectique de l’Histoire – valeurs d’échange. (sciences naturelles ou dures et sciences sociales découlant du matérialisme historique, pour simplifier.) La planification scientifique écomarxiste utilise et sponsorise la recherche publique sur les matériaux et les ressources géologiques disponibles. Elle peut donc avoir une idée précise des quantités disponibles et/ou productibles en regard des besoins à court, moyen et long termes du Plan quinquennal. Comme les équations de ses fonctions de production regroupées en Secteur 1 et Secteur 2 sont données ex ante en valeur, la structure des prix relatifs est parfaitement contrôlée. (Je renvoie à mon Précis d’Economie Politique Marxiste, au même lien) En tout état de cause, les modifications qui surviendraient sont passibles d’être corrigées, la planification réajustant aisément le tir selon les données trimestrielles – et mêmes plus fréquentes grâce aux informations en temps réel pouvant être disponibles en recourant à des statistiques scientifiques, c’est-à-dire fondées sur les Equations de la RE et de la RS sous-jacente. La planification peut donc facilement se corriger sans grands chamboulements, tel que déjà élaboré dans la Note 9 de mon Livre-Book III.

En outre, la planification écomarxiste visera à favoriser des produits dont le cycle de vie est mieux contrôlé en regard d’un recyclage optimal, tant en amont qu’en aval. Pour le reste, elle favorisera la production de masse avec un cycle de vie de 6 à 7 ans chaque fois qu’il s’agira de satisfaire le plus égalitairement possible des besoins réels. Au contraire, le renouvèlement de ces parcs favorisera, chaque fois que cela sera nécessaire, la production de haute qualité en short runs ou mieux encore en productions artisanales. La vraie richesse s’accumulera mais sans recours à des antiquaires uniquement réservés à des clientèles nanties.

En ce qui concerne la disponibilité des matières premières et de l’énergie, l’écomarxisme préconisera la prise en compte de la protection des ressources existantes. Lorsque les disponibilités sont limitées, ceci se fera en les réservant prioritairement aux les besoins pour lesquels il n’existe pas encore d’alternatives. Autrement, on visera le renouvèlement naturel – ex forêt ou gestion des bancs de poissons en mer etc. – ou le renouvèlement artificiel – par ex., les biofuels en respectant un strict zonage agricole pour protéger les terres arables tout en favorisant les cultures duales par rotations, tel le colza qui fournit simultanément du biofuel et des tourteaux pour le bétail. En l’occurrence, la voiture à air comprimé plus adjuvant de Guy Nègre est supérieure à la voiture électrique ou à hydrogène en terme de pollution, d’autonomie et de prix; en outre, en réservant la production des adjuvants aux petits agriculteurs nous pourrions sauver leur standard de vie tout en obtenant, en retour, le maintien du paysage favorisant aussi la lutte contre les incendies, par exemple dans les zones à mi-collines ou toutes celles ne mettant pas en cause des terres arables protégées.      

Dans tous les cas, la recherche publique visera à trouver et à concevoir des substituts massifiables environnementalement acceptables.  

Un tel système est alors lisible et sa structure des prix relatifs peut être déterminée en fonction de la préservation et de l’accroissement du niveau de vie matériel quantitatif et qualitatif de la population, tout en visant le taux de change le plus favorable. La décroissance est une absurdité induite par le PIB marginaliste aujourd’hui spéculatif à plus de 9 % directement, de sorte que sa croissance se conjugue avec la déflation barbare des salaires et du « revenu global net » des ménages. La critique du PIB marginaliste est disponible ici.   

En réalité, toute économie socialement avancée, préférablement informée par l’écomarxisme qui ne se résume pas à l’idée primitive de la circularité qui ne concerne, au mieux, que le recyclage, vise une croissance soutenue du standard de vie de ses citoyens, mais cette croissance sera qualitative. En clair, elle sera orientée par les besoins sociaux, qui, une fois les besoins matériels de base garantis, concernera surtout les services sociaux et  humains ainsi que les loisirs et les occupations durant le temps libre. Pour concevoir le dépassement de la croissance capitaliste privée, plus justement nommée accumulation privée du capital, il faut bien entendu comprendre la différence entre la « main invisible » capitaliste et la planification scientifique socialiste fondée sur les Equations de la RS et de la RE dûment informées par l’écomarxisme.

Paul De Marco

Commenti disabilitati su LE GIEC FISCAL DE DANIEL ZUCMAN CONTRE LA SOUVERAINETÉ NATIONALE ET LA PROGRESSIVITÉ FISCALE, 26 oct. 2023 (1/3)

(Première partie de trois.

Pour le Global Tax Evasion Report 2024, ainsi que pour l’Executif summary, voir :  https://www.taxobservatory.eu/fr/publication/global-tax-evasion-report-2024/ . Dans la Section » A propos » apparaissent les sources de financement.

On pourra également visionner cette vidéo qui annonça la parution du Rapport : https://www.youtube.com/watch?v=psnX-0ifcuw … en tenant compte de cet article …)

1/3 ) Mise en perspective

En 2013 Zucman cité par Piketty (2013, p 746) fit une découverte : comme les balances des paiements des pays riches et des pays pauvres étaient simultanément négatives, chose impossible puisque nous sommes dans un cadre à somme nulle, ou bien la Planète était possédée par Mars (p 746 et 842) ou bien l’écart pointait au rôle joué par les paradis fiscaux et par l’évasion fiscale. Une candeur assez éloignée des connaissances générales ou encore de l’embargo imposé le 13 octobre 1962 par le Général de Gaulle à Monaco jusqu’à la conclusion d’un accord mutuellement acceptable. Le 15 août 1971 confrontés à un double déficit des balances externes, Nixon et Connally mirent fin de facto au Régime de Bretton Woods en supprimant la convertibilité de l’USD en Or et en imposant une surtaxe à l’importation sans prendre la peine d’informer leurs partenaires commerciaux au préalable. Outre le Trésor américain les divers départements académiques mainstream prirent enfin conscience de l’impact fiscal de l’internationalisation du capital productif par le biais des MNCs. Raymond Vernon de la Harvard Business School publia son fameux livre Sovereignty at bay à l’automne 1971. En appréhendant l’évitement fiscal des MNCs, il concluait que l’on pouvait reconnaître une entreprise florissante à la valeur de son bureau de comptables. À part beaucoup de discours lénifiants, rien ne fut fait jusqu’en 2017 lorsque les USA s’en prirent au secret bancaire et en 2021 lorsque 140 pays adoptèrent le principe d’une taxe minimale de 15 % sur le capital multinational et transnational.    

Dans son Rapport 2024, l’observatoire européen de la fiscalité constatait de nouveau que quelque 10 % en équivalent du PIB global en avoirs financiers échappent à l’impôt au niveau international sous forme d’évasion ou d’évitement fiscal. Ceci est très sous-estimé puisqu’avant la crise des subprimes de 2007-2008 selon la BRI les avoirs financiers avoisinaient 15 trillions pour 58 trillions de CDS et 596 trillions de OTC, voir : http://www.bis.org/publ/otc_hy0805.pdf?noframes=1 , 2007. Piketty passe également ceci sous silence, ou plutôt il renvoie le tout à une petite note en base de page, bien enfouie à la page 306, lorsqu’il s’aperçoit que tenir compte de ces faits invaliderait sa puérile reprise du caractère pérenne (p 583), donc inévitable, en tous temps et en tous lieux, de l’inégalité sociale selon Pareto. Il tenait au contraire à mettre en scène un ratio immuable ( !) de 6 ou 8 pour 1 alors qu’il s’établirait plutôt à 20 ou 30 pour 1 en tenant compte des dérivés financiers et de la spéculation globale. Il prend  le soin de dire que l’URSS ne fait pas partie de sa démonstration sur l’immuabilité de cette « loi » (p 405, note 3). (Pour ma critique à Piketty voir les articles ici : https://www.la-commune-paraclet.com/Book%20ReviewsFrame1Source1.htm )

Puisque les budgets néolibéraux monétaristes sont axés sur la philosophie de la flat tax et des tax expenditures, ils sont maintenus en permanence au bord du gouffre, justifiant ainsi la poursuite de l’austérité. Entretemps, les inégalités sociales explosent à des niveaux inconnus depuis la Grande Dépression de sorte que les citoyennes et les citoyens y sont de plus en plus sensibles. Ceci est particulièrement vrai pour les inégalités fiscales qui atteignent des niveaux inconnus jusqu’alors. Leur réprobation s’accroît à mesure qu’ils apprennent dans les médias que les milliardaires en France et aux USA paient respectivement 0 % et 0.5 % d’impôt sur le revenu, c’est-à-dire beaucoup moins que le plus simple smicard. Le jeu de tous les servi in camera consiste donc à éliminer préventivement tout surplus budgétaire potentiel par le biais de nouvelles dépenses fiscales, exonérations, crédits d’impôt  et aides diverses, dont les sauvetages – bailouts – en faveur du capital, en prétextant, bien entendu, de  la nécessité de rester compétitif au niveau global. Pour faire passer la pilule on prétendra alors vouloir taxer les « riches » mais à minima, sans taux « confiscatoires » afin de grappiller une petite poignée de milliards. On pourra feindre ainsi respecter l’équilibre budgétaire tout en s’en tenant scrupuleusement aux données de la public policy – l’Etat (social ) minimum –  et aux critères, aussi irréalistes qu’a-sociaux, du Sentier de consolidation fiscal européen, ou Fiscal Compact.

Sur cette lancée, on propose d’aller chercher quelque 250 milliards plus ou moins au niveau global soit en faisant respecter la taxe internationale minimum de 15 % approuvée par 140 pays en 2021 soit en élevant ce taux à 25 %.  Cette mesure est faite pour amuser la galerie, elle s’avère être une vraie passoire puisqu’elle autorise d’abaisser ce taux en tenant compte a ) de l’abaissement possible pour la substance économique, b ) de l’exemption des profits domestiques des firmes américaines, les USA n’ayant pas signé l’accord, comme d’habitude ; c ) les traitements préférentiels pour les crédits non remboursables ( ce qui s’étend désormais aux crédits verts), se reporter ici à la Figure 3 du Executif summary. En se concentrant sur les avoirs financiers on évite soigneusement de mentionner la Taxe Tobin nuisible au capital spéculatif ( que Tobin avait d’ailleurs désavouée avant son décès.) et surtout l’impôt progressif. Ce dernier est simple et efficace et nous épargne les discours sur les prélèvements transitoires sur les “surprofits” indéfinissables.

On comprend rapidement à la lecture de ce Rapport de l’Observatoire  européen de la fiscalité, organisme qui prétend être « indépendant » – c-à-d, en fait, des Etats démocratiques et souverains –  que cette proposition reprend celle déjà exposée par Piketty dans son livre de 2013. Pour ce dernier il s’agissait tout bonnement d’inventer une utopie fiscale susceptible de sauver le capitalisme globalisé (p 836). Zucman ajoute la dimension narrative a-scientifique de la décarbonation. On apprend ainsi que les considérables crédits d’impôts induits par l’IRA aux USA, dans le cadre de politiques qui seront nécessairement émulées par l’UE, avoisinent une somme équivalente aux recettes potentielles de cette taxe minimum globale de 15 %. Ce qui ne semble pas probable pour chaque pays pris séparément ainsi que le montre la distribution différentielle par zones à la Figure 2.3 du Rapport 2024. La méthodologie de Zucman par ailleurs très satisfait de son « modèle » est souvent à l’emporte-pièce. Avec des budgets sur la lame de rasoir, il devient impératif de  trouver d’urgence de nouvelles recettes fiscales, pour éviter un endettement vert insoutenable et toute exigence écologiste militante exigeant de taxer les transnationales et les riches pour assurer la « bifurcation » selon le catéchisme frauduleux du GIEC. (Je renvoie aux textes en français disponibles dans la Categoria Ecomarxismo de mon site http://rivincitasociale.altervista.org )

C’est pourquoi  Zucman propose l’institution d’un GIEC fiscal capable d’imposer globalement cette nouvelle narration dûment accompagnée par sa discipline néolibérale monétariste a-patride.

Le non-dit de ce discours fut pourtant révélé par Piketty lui-même dans son livre de 2013, chapitre 15,  lorsqu’il avouait que cette « innovation » fiscale pouvait sembler quelque peu « utopique » tout en étant néanmoins nécessaire pour permettre de conserver l’ouverture du monde aux MNCs et aux firmes transnationales, pour protéger la globalisation (p837) et éviter « l’apocalypse » au système capitaliste. Keynes pour sa part dénonçait surtout les “esprits animaux” du système capitaliste et ” le vieil Adam en nous” (ici) En fait cela revient à trouver un moyen de légitimation capable de soumettre la souveraineté fiscale des Etats souverains à la domination sans partage de la « gouvernance globale privée. » Les épigones de cette dernière avaient d’ailleurs sonné le glas des Etats-nations en faveur de l’Hégémon impérial et de son soft power accompagné par sa Doctrine de la guerre préventive et ses regime changes.  Ce serait alors le triomphe à la Pyrrhus de la micro-économie de Tirole et Cie sur la macro-économie. Le désastre est assuré. Il est d’ailleurs en cours. Logiquement parlant il ne peut pas y avoir de microéconomie sans la référence au cadre macroéconomique, l’équilibre de l’Offre et de la Demande sans référence aux données de l’équilibre général, « le marché des marchés » de Léon Walras, sombrant fatalement sur l’écueil de la logique ex ante/ex post. (voir ceci) Au demeurant, l’Etat social a prouvé que la macroéconomie, qui est censée assurer les infrastructures publiques et les services sociaux publics, constitue la base sur laquelle est érigée la productivité micro-économique et le standard de vie des citoyens. Notons entre parenthèses que le moindre fief féodal était considéré tel lorsque son seigneur souverain battait monnaie et présidait les lits de justice.  La régression voulue par les néo-exclusivistes doit donc être appréhendée dans toute son horreur historique et régressive. L’Etat-nation, berceau de la démocratie citoyenne, doit disparaître pour laisser la place à celle des (gros ) actionnaires, maîtres de la « gouvernance globale privée ».

Les alternatives constitutionnellement fondées, équitables, simples d’application et socio-économiquement efficaces sont tout simplement ignorées. Ce genre d’innovation, et de proposition à première vue progressistes, ne sont que des pièges mentaux dans lesquels enfermer les citoyens et les académiques mal formés, en gros la grande majorité d’entre-eux. Ce sont des narrations visant à établir un nouveau « sens commun » pour les masses populaires ainsi que le dit la Fondation Hewlett qui contribue au financement cet Observatoire. Par exemple, le principe découlant de la souveraineté fiscale des Etats selon lequel les profits – et les revenus – sont en général, sauf accord préalable entre Etats, taxés là où ils sont produits.

Notons que le recours à une nouvelle définition de l’anti-dumping capable de protéger les 3 composants du « revenu global net » des ménages – voir plus bas – permettrait de protéger la souveraineté étatique sans nuire à l’harmonisation fiscale au sein de l’UE, voire de l’OCDE ou de l’OMC pour autant que la règle du droit de retrait – opting out – soit respectée. Ce qui déclencherait une émulation des meilleurs choix socio-économiques à travers la sanction électorale s’opérant aux différents niveaux. Ce serait éminemment le cas au sein de l’UE moyennant une démocratisation de ses instances centrales. Voir l’essai Europe des nations, Europe sociale et Constitution, 14 janvier 2004 dans https://www.la-commune-paraclet.com/EPIFrame1Source1.htm#epi

Nous verrons qu’il est inexact de prétendre que que les firmes financières et industrielles transnationales fuient les pays qui appliquent un tel régime. Les avantages macroéconomiques structurels – infrastructures et services sociaux publics qui impactent les coûts de production – surcompensent ses désagréments en permettant une productivité microéconomique supérieure et un marché hautement solvable moins sujet à la pauvreté et aux crises cycliques profondes. Aucune firme ne met en danger ses marchés les plus lucratifs. La plus grande part des investissements directs vont d’ailleurs toujours dans les pays développés. En outre, les Etats souverains ne sont pas aussi vulnérables et démunis qu’on voudrait le faire croire. Du moins, s’ils n’ont pas renoncés entièrement à une portion de crédit public et à la planification, au minimum stratégique, de l’économie mixte. Ceci est particulièrement le cas aujourd’hui dans le cadre de l’émergence du Nouveau Monde Multilatéral et des possibilités qu’il ouvre pour les joint-ventures publiques.(voir ceci) Leur immense potentiel peut être illustré en pensant aux exploits des « coopérations renforcées » publiques en Europe qui portèrent à Euratom, Airbus et ainsi de suite avant leur désastreux transfert au secteur privé.

Il est abusif et tendancieux de concentrer le débat fiscal sur un impôt à minima sur les « riches » – on propose d’ailleurs 2 % au maximum ! – ou sur les firmes multinationales – 15 % avec moins de possibilité d’évasion ou 25 % – alors que l’enjeu reste la réhabilitation de la fiscalité progressive inscrite dans nos Constitutions. Ceci concerne particulièrement les trois composants du « revenu global net » des ménages ainsi que les circuits vertueux du capital qu’ils induisent, soit le salaire individuel, qui inclut non pas les primes mais surtout le partage des gains de productivité et des profits, le salaire différé – ou cotisations sociales – qui finance la Sécurité Sociale, et la part des impôts et des taxes qui revient aux ménages sous forme d’accès universel garanti et public aux infrastructures et aux services publics.

 Il importe de remarquer que le capitalisme libéral classique ne connaissait que le salaire individuel – pour de très longues heures de travail qui impliquaient tous les membres valides de la famille. La Grande Dépression et la peur salutaire instillée par l’URSS qui avait déjà fait bouger les lignes avec la constitution du modèle tripartite au sein de l’Organisation Internationale du Travail créée par le Traité de Versailles en 1919, fit vite comprendre que le travailleur devait également se reproduire en tant que membre d’une espèce à reproduction sexuée au sein d’un ménage et que ses périodes d’inactivité – chômage, maladie, vieillesse etc. – ne relevaient pas de sa propre volonté mais de données structurelles capitalistes ou biologiques. Beveridge, puis l’ONU mis en place après la Seconde Guerre Mondiale, se mirent à penser les droits sociaux fondamentaux dûment entérinés dans les Constitutions issues de la Résistance et dans la Déclaration Universelle des Droits Fondamentaux Individuels et Sociaux de 1948. En outre, le « revenu global net » des ménages, qui émergea de cette avancée scientifique de la discipline économique, reconnaissait la primauté d’une macroéconomie florissante, ne serait que pour assurer un plus grand multiplicateur économique structurellement consolidé, par exemple dans les travaux des keynésiens d’origine ou ceux des économistes de la régulation du capital. A l’inverse, ceux qui, à l’instar de Piketty et de Zucman, nous proposent les narrations démagogiques et mal ficelées sur les impôts minimum globaux sur le capital font consciencieusement l’impasse sur le démantèlent de l’Etat social et de ses droits sociaux qui reposaient justement sur la structure du « revenu global net » des ménages par ailleurs entérinée par la Constitution et par la Déclaration Universelle des Droits Sociaux et Individuels Fondamentaux de1948. D’ailleurs, dans la foulée de la logique marginaliste constitutive du PIB bourgeois (ici), il faut tenir compte du fait que la focalisation sur les seuls avoirs financiers exclut d’office les gigantesques circuits du capital spéculatif, CDS, OTC, etc., et de la banque de l’ombre.

On remarquera que l’Époque de redistribution du capital spéculatif hégémonique atteint la fin de son cycle. Ceci se traduit pas la déconnection finale en cours du capital productif et de l’économie réelle d’avec le capital spéculatif court-termiste, bien que ce dernier continuât  à phagocyter l’économie réelle. Les USA ne peuvent plus financer l’IRA par le capital financier : L’Etat néolibéral monétariste est donc paradoxalement obligé d’intervenir pour assurer ces investissements à long terme, mais, bien entendu, il le fait au service du capital privé ; de même pour le Science and Chips Act financé organiquement – donc sans inflation – par un prélèvement de 1% sur les faramineux buybacks mensuels, pourcentage que le Président Biden voulait hausser à 4 %.

Il est tout à fait possible de restituer à l’Etat les moyens fiscaux nécessaires à son intervention régulatrice dans l’économie nationale. Ceci peut se faire en réhabilitant le salaire individuel par le plein-emploi à plein-temps (RTT, partage des gains de productivité etc.), ainsi que le salaire différé (soit la restitution aux travailleurs et à la Sécurité Sociale des 98-100 milliards d’euros d’exonérations octroyés au  patronat sans aucune contrepartie pour les travailleurs sauf la précarité croissante et les réformes réactionnaires du Système social ( retraite, assurance-chômage, RSA, etc.) tout en initiant une marche arrière initialement prudente sur les 350 milliards d’euros et plus octroyés chaque année sous forme de tax expenditures ; ces dépenses fiscales sont très « bon chic, bon genre » puisque une fois accordées à l’instar du CICE elles disparaissent tout bonnement des radars budgétaires, médiatiques et souvent académiques. Le budget ne concerne plus que les recettes résiduelles et les dépenses fiscales servant à la légitimation sociale. On pourrait ainsi rétablir les monopoles naturels et les infrastructures publiques, dont les 4 branches de la mobilité citoyenne – route, rails, air, mer – qui seraient alors plus compatibles avec la préservation de l’environnent et de l’égalité citoyennes. Une telle réforme, qui s’inscrit dans le cadre des « réformes démocratiques révolutionnaires » propres à une authentique transition pacifique au socialisme – voir Tous ensemble -, serait appuyée par une nouvelle définition de l’anti-dumping calculée pour défendre, au minimum, le salaire différé nécessaire à la Sécurité Sociale, son niveau maximum étant naturellement limité par le taux de compétitivité macro-économique qui se reflète dans le taux de change donc dans les balances externes, compte tenu des distorsions dues à l’Euro Mundell.

Une telle anti-dumping nécessitant l’unanimité au sein de l’OMC, un gouvernement de gauche l’anticiperait par l’adoption d’une faible surtaxe à l’importation permettant d’assurer le financement optimal de la Sécu en sachant que les Affaires sociales restent une compétence nationale exclusive dans tous les traités européens, y compris le TFUE ou mini-traité de Lisbonne. On sait que l’actuelle définition de l’anti-dumping entérinée par l’OMC est issue du démantèlement des tarifs du GATT qui avait ouvert la voie à l’Uruguay Round puis à la Nafta et à tous les autres traités de libre-échange qui concernent désormais tant les services que les produits manufacturés. Pour enclencher une course au moins disant global, l’actuelle définition de l’anti-dumping exclut d’office toute référence au salaire différé ainsi qu’aux critères environnementaux minimum. Tant pis pour le GIEC fiscal et pour l’environnement ! Zucman semble ne rien savoir de tout cela, ce qui explique sans doute pourquoi son Observatoire « indépendant » reçoit des généreux fonds européens et autres …    

Voilà peu, la débâcle des banques régionales américaines plus liées à l’industrie, avec le refus de la FED de garantir leurs dépôts au-delà de 250 000 dollars alors que TOUS les dépôts étaient garantis pour les banques considérées comme étant des banques systémiques par le Trésor américain, montre bien cette déconnection. Par conséquent, un gouvernement de gauche tenant à appliquer une politique de rupture à gauche peut très bien penser entériner cette déconnection en abandonnant l’économie Monopoly au capital spéculatif tout en reprenant les leviers de l’économie réelle, à savoir par le biais du contrôle d’une partie du crédit public nécessaire pour financer les entreprises publiques réhabilitées et pour effacer peu à peu la dette publique et donc le poids onéreux de son financement. Le crédit public  ne coûte que le prix de son administration sans devoir verser de profits ou de dividendes. Avant la privatisation de la Banque de France par la loi Pompidou-Giscard-Rothschild la dette publique française oscillait entre 17 et 27 %. Avec un capital en fonds propre de 2 milliards financé par le budget année après année et un levier financier initial de 40 pour 1, les capacités de financement public seront vite conséquentes. Ces mises en fonds propres et ce levier seront d’ailleurs destinés à baisser vers 8 pour 1, voir moins, dès que la dette publique approchera 60 % du PIB. On sait que le crédit public est une anticipation des investissements allant au-delà de la possibilité de réinvestissement des entreprises et qu’il se traduit immédiatement, moyennant audits trimestriels pour éviter les fuites, en une masse salariale nouvelle pour près de 60 % en moyenne et en nouveau capital fixe qui s’ajoute naturellement à la richesse cumulée de la Nation.  

Dans un tel cas de figure, la gauche devra veiller à ce que ses rachats/effacements de dette publique – sur le marché secondaire d’après le TFUE – n’entrainent une série d’OPA dans l’économie réelle. Ceci implique la mise à date des pourcentages de contrôle tolérés dans les branches et les entreprises. L’argent spéculatif s’investira alors de préférence en bourse et sur les marchés financiers globaux qui tournent en rond et se nourrissent d’eux-mêmes. Lorsque le capital spéculatif fera faillite, il suffira de nationaliser en imposant un audit, ce que fit la GB initialement avec Northern Rock, une intervention qui ne coûta quasiment rien en forme de recapitalisation vu le levier fiscal, contrairement aux ruineux bailouts qui suivirent partout ailleurs. Pour ne rien dire du stimulus fiscal Covid pour 2020 qui coûta 16 % du PIB en moyenne pour les pays avancés avec comme résultat un Multiplicateur de 0.06 selon Gourinchas économiste en chef du FMI. (ici)

Parallèlement, la gauche  imposerait une RTT par loi cadre de 32 heures après avoir réinstauré les 35 heures, ce qui aura pour conséquence de rétablir les trois composants du « revenu global net » des ménages donc le pouvoir d’achat, les cotisations sociales et la fiscalité générale. Ceci soutiendra puissamment la demande interne alors que les cotisations des emplois à temps pleins élimineront rapidement le Trou de la Sécu lui permettant ainsi de soutenir à fond ses 5 branches tout en bonifiant ses services. Les recettes fiscales suivront naturellement la tendance, en particulier si les revenus des travailleurs seront entièrement indexés aux inflations et tiendront compte des gains de productivité. La gauche plurielle en son temps en fit une preuve éclatante puisque pour une exonération RTT de 23 milliards le taux de chômage tomba – en deux ans – de plus de 11 % à 8 %, que le Trou de la Sécu avait été comblé et que la dette publique avait chuté à 59 % du PIB, c’est-à-dire à 1 % de moins que le Critère afférant du Traité de Maastricht.

Ainsi que préconisé dans mon Tous ensemble, une fois la Sécurité Sociale réhabilitée et bonifiée, il serait possible de développer des Fonds Ouvriers – et des Fonds de productivité pour accompagner les inévitables restructurations. Ces Fonds seraient constitués par l’épargne salariale publique : elle serait, par conséquent, à l’abris des aléas du marché aujourd’hui spéculatif et permettrait, en accord avec le Plan, de constituer un pool de capital socialisé pouvant s’investir dans les entités publiques et les coopératives – industrielles, digitales, commerciales, artisanales, paysannes etc. – appuyant ainsi de facto le développement de ces dernières dans un vaste mouvement de socialisation de l’économie. Le panorama sociologique et électoral en sortirait changé : Jaurès avait salué « le temps de Carmaux ». Cette socialisation démocratique mettrait en œuvre un Modèle Quadripartite intégré dans le Plan qui matérialiserait ainsi une meilleure démocratie économique et sociale (voir ceci) : Syndicats, Patronat ou Management, Fonds Ouvriers et de Productivité et Etat, ce qui suppose la réhabilitation du Conseil Economique et Social et Environnemental.

Paul De Marco

Commenti disabilitati su Ricevo e diffondo: « I DIMENTICATI : Il gruppo degli ex percettori del reddito di cittadinanza e dei disoccupati di San Giovanni in Fiore INFORMA » 13 Ottobre 2023

I DIMENTICATI

SIAMO SERI!!!

Il gruppo degli ex percettori del reddito di cittadinanza e dei disoccupati di San Giovanni in Fiore

INFORMA

 Le OO.SS., le forze politiche, gli organi di stampa e tutti i cittadini del paese che hanno iniziato dl mese di giugno una protesta energica ed intransigente finalizzata all’ottenimento di un lavoro dignitoso per come prescritto nella Carta Costituzionale I Componenti di questo gruppo non vogliono assistenza o elemosine. Mai più incertezze sul lavoro. Mai più emigrazione.Mai più sfruttamenti. Da mesi i disoccupati non riescono a confrontarsi con il Sindaco, eccetto un solo incontro di pochi minuti tenutosi con due rappresentanti e grazie alla intercessione del Comandante delle forze dell’ordine di San Giovani in Fiore al quale va un ringraziamento sincero x la pazienza e la professionalità dimostrata nelle varie vicende. Il Sindaco ha chiesto le liste dei disoccupati per inviarle all’Ufficio di collocamento. Questa è la soluzione proposta dal Sindaco

SIAMO SERI!!!

Per cortesia…. Non bisogna prendere in giro i disoccupati. Alcuni di essi, da decenni timbrano il cartellino di disoccupazione. Nessuno mai, crede che questa istituzione possa essere la panacea per 280 disoccupati.

I Dimenticati chiedono certezza e dignità nei percorsi di ricerche lavorative.

Chi ha memoria storica dei movimenti di lotta per il lavoro può capire cosa significa vivere sulla alta montagna della Sila.

Veniamo al fatto verificatosi lunedì pomeriggio. Nessuno ha mai pensato di aggredire la figura del Sindaco. Verosimilmente vi è stata una vibrata protesta all’uscita dal Palazzo comunale, nella quale una ragazza alla presenza di due tutori della pubblica sicurezza ha bussato ( e non a pugni) al vetro della macchina per chiedere un confronto. Un frainteso. Abbiamo protocollato le debite scuse se il Sindaco ha subito una paura. I disoccupati sono contro ogni forma di violenza o di aggressione e sono a difesa delle istituzioni democratiche. Il diritto alla protesta, allo sciopero è sancito nella Costituzione.

I Dimenticati sono anche contro ogni forma di mistificazione mediatica della realtà e dei fatti materiali racchiusi nelle registrazioni delle telecamere del Palazzo Comunale.

E’ facilissimo cogliere mediante il pseudo senso di vittima una solidarietà proveniente dal mondo politico e civile che nella ignoranza dei fatti magari ascoltano testualmente “sono stata salvata da due carabinieri”. Menzogne pure.

Striscia la notizia, visionando il video potrebbe dire, parafrasando il grande TOTO’ “ Ma mi faccia il piacere”

SIAMO SERI!!!!

La solidarietà non può essere manifestata ad un Sindaco che approfittando di circostanze ambigue e subdole crea eroine che svaporano all’alba del nuovo giorno.

Il gruppo è convinto che la vera solidarietà deve essere espressa nei confronti di coloro i quali, la sera nel chiuso delle proprie case non hanno niente da offrire al proprio nucleo familiare. Ecco perchè bussano (e non a pugni) civilmente alla porta del Palazzo Comunale.

A conclusione il comitato scrivente afferma che la nuova strategia sarà quella di seguire, umilmente, in massa, tutte le manifestazioni pubbliche affinchè si possa capire che necessita un punto di incontro finalizzato all’apertura di una strada regionale.

Infine, a tutti i soggetti politici, a tutte le OO.SS., a tutte le associazioni presenti sul territorio che sono assiepati indisturbati sulla propria supponenza, il gruppo ricorda che la disoccupazione e quindi, la povertà è sinonimo di instabilità sociale, sinonimo di arretratezze, sinonimo di inciviltà.

AIUTATE “i dimenticati” a costruire una società più giusta e soprattutto più tollerante.

San Giovanni in Fiore lì 12/10/2023, il comitato del gruppo”I dimenticati”

Commenti disabilitati su FARE RETE: QUELLO CHE HO CAPITO PARLANDO CON ALCUNI « DIMENTICATI », IL GRUPPO DI DISOCCUPATI DI SAN GIOVANNI IN FIORE, 12 OTTOBRE 2023.

A tutte le disoccupate.i, le precarie e precari, le lavoratrici e lavoratori: Fate rete!

1 ) A noi, dicono gli auto-denominati « Dimenticati », disoccupati e precari di San Giovanni in Fiore (CS), non risulta che la sindaca Succurro sia stata « aggredita » il 10 ottobre scorso mentre saliva in macchina. Un nostro gruppo a solo voluto parlarli. Se si è intimorita, si può rassicurare: siamo un gruppo di cittadine.i totalmente pacifici ma determinati a difendere il nostro diritto costituzionale al lavoro e ad una vita dignitosa. Siamo ulcerati dalle sue accuse senza fondamento dicono tutte.i, in particolare le donne. Invitiamo i media a venirci a parlare prima di fare da cassa da risonanza.

2 ) I « Dimenticati » vogliono potere interloquire pacificamente e democraticamente con le nostre elette.i di cui contribuiscono a pagare i salari, anche quando cumulano le posizioni. Questo non può avvenire se la sindaca ci elude e rifiuta di incontrarli, blindando per fine le Assemblee del Consiglio municipale. Al contrario, richiedano che queste Assemblee municipali siano sempre aperte, riservando sempre un periodo di questione per accogliere i quesiti e i commenti delle elettrici e elettori alle elette.i, come d’altronde si usa in tutti i paesi civilizzati.

3 ) Il dovere istituzionale della Prima Cittadina è di affiancare le lotte costituzionalmente fondate delle sue concittadine.i. Questi non possono essere falsamente dipinti come abituati a vivere di sussidi quando invece chiedono e affermano da mesi anzi da anni: « vogliamo lavoro dignitoso, basta con i sussidi e la povertà.». In Italia gli imprenditori e i finanzieri pagano 9 % del carico fiscale totale, altro che sussidi …

4 ) Il dovere istituzionale della sindaca è di darsi da fare per appoggiare queste aspirazioni al lavoro dignitoso, non può essere di chiedere una lista da portare al Centro di collocamento di Cosenza, una iniziativa personale che i disoccupati e beneficiari del defunto RDC hanno già tutti compiuto, anche quelli che saranno lasciati fuori dall’Assegno e dal GOL. Ambedue programmi sono riservati ai nuclei familiari con un derisorio ISEE di meno di 6000 euro/anno per un misero beneficio di 350 euro/mese che viola frontalmente i dettati costituzionali ed europei in materia di diritti sociali fondamentali e di contrasto alla povertà. (1)

5 ) Forse la sindaca ignora la realtà: in Calabria il tasso di occupazione ufficiale secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, per la quale una sola ora lavorata basta per essere definito occupato, si aggira attorno al 40 %. Non può ignorare la tragica fine dei cosiddetti « navigatori » del defunto misero « workfare » all’italiana, cioè il RDC. Il lavoro non c’è, si deve creare con un piano di sviluppo regionale e locale, anche facendo intervenire lo Stato e gli Enti pubblici secondo gli Articoli 3, 4, 41, 43, 44,45 e 46 della Costituzione.

6) I « Dimenticati » chiedono cortesemente alla sindaca di mettere da parte ogni velleità di strumentalizzazione mediatica e di cinica criminalizzazione delle disoccupate.i per adoperarsi invece, con il loro appoggio, per chiedere alla Regione Calabria di agire, ad esempio con l’apertura immediata di un tavolo tecnico per decidere il da fare.

7 ) Sentendo i « Dimenticati » e ricordando la lunga lotta degli Invisibili e del Comitato Cittadino per il Lavoro Dignitoso (2), posso solo sperare che in ogni villaggio e città italiana e calabrese sia emulata la loro protesta in quanto cittadine.i per la difesa del lavoro e della vita dignitose. E tempo di voltare pagina sulla precarietà e la disoccupazione di massa. (3)

Paolo De Marco

Note:

1 ) Si veda : Mancato rispetto dei diritti sociali fondamentali e del PNRR da parte dell’Italia,11 ottobre 2023/ in http://rivincitasociale.altervista.org/mancato-rispetto-dei-diritti-sociali-fondamentali-e-del-pnrr-da-parte-dellitalia-11-ottobre-2023/

2 ) Si veda Comitato Cittadino per il Lavoro Dignitoso in http://rivincitasociale.altervista.org

3 ) Si veda :« Disoccupazione di massa come orizzonte del capitalismo moderno» , in http://rivincitasociale.altervista.org/disoccupazione-di-massa-come-orizonte-del-capitalismo-moderno/

Commenti disabilitati su Mancato rispetto dei diritti sociali fondamentali e del PNRR da parte dell’Italia, 11 ottobre 2023

(Alcune note aggiuntive sono state inserite nel testo originale)

A tutti i parlamentari della Sinistra GUE/NGL, Parlamento europeo

Alla Commissione europea:

Commissario: Budget & Administration e Commissario: Jobs & Social Rights.

Cari …

Vorrei attirare la vostra attenzione sulla grave violazione sistemica dei diritti sociali fondamentali e dell’utilizzo del PNRR in Italia. Quando i fondi strutturali europei e il PNRR vengono utilizzati in modo improprio, devono essere sospesi sine die.

Questa cattiva gestione non può che portare ad una grave destabilizzazione della società italiana e del ordine pubblico. Infatti, con il Decreto Lavoro 2023 (D.L. 4 maggio 2023, n. 48, modificato e convertito in legge – legge 3 luglio 2023, n. 85 – si è deciso di porre fine al programma di famelici pagamenti d’assistenza sociale impropriamente denominato Reddito di Cittadinanza – RDC – per sostituirlo con un nuovo sistema di aiuti – Assegno – e di « corsi » di formazione o GOL. (1) Sia il RDC che le due nuove forme di assistenza sono soggetti a severi accertamenti economici per i nuclei familiari. La soglia di ammissibilità al RDC era di 9.360 euro annui per nucleo familiare. Questa soglia è stata ora ridotta a 6000 euro all’anno per i nuclei familiari. Tanto per l’Assegno quanto per il GOL i beneficiari riceveranno 350 euro al mese. (Nota aggiuntiva: l’Assegno va ai nuclei familiari con minori, invalidi e over 65 non-occupabili; il GOL è uno strumento di workfare dato come inserimento al lavoro che non c’è tramite brevi corsi di formazione.) Inflazione reale a parte, con tale soglia di 350/mese applicata in Italia, e in particolare in Calabria, il governo non solo sta violando la politica anti-povertà dell’UE, ma sta anche oggettivamente contribuendo a creare un bacino di lavoratori disperati e impoveriti, la cui tipologia è legata alle mafie del lavoro nero e al nuovo sistema del “caporalato”. (Nota aggiuntiva: Anche il Sig. Boeri, uno dei responsabili dello smantellamento dello Statuto dei lavoratori e dello Stato sociale italiano, sa benissimo come funziona il sistema in Italia; perciò non esita a mettere in dubbio sia l’affermazione del CNEL secondo la quale esisterebbe una « contrattazione

collettiva che copre ben oltre l’80% dei lavoratori italiani », si la veracità, in molti casi, dei salari realmente versati. Vedi: Nove euro della discordia Gli errori rossi del Cnel sul salario minimo, secondo Boeri e Perotti, Linkiesta , https://www.linkiesta.it/2023/10/cnel-salario-minimo-boeri-perotti/) Il tasso di occupazione ufficiale dell’OIL – una ora lavorata vi toglie della lista dei disoccupati – per le coorti dai 14 ai 64 anni, con un’età pensionabile spostata a 67 anni e pochi mesi, si aggira intorno al 60% in Italia e al 40% in Calabria. Quello che si sta mettendo in atto è un regime illegale di esclusione sistemica per tutte le famiglie costrette a « vivere » con meno di 6.000,00 euro l’anno!

Questa politica sistemica di impoverimento proto-mafioso e corrotta è tanto più inaccettabile nell’UE, dato che l’attuale governo italiano sta utilizzando 4,4 miliardi di euro del PNRR per finanziare questi programmi, che sono indegni dei diritti sociali sanciti dalle nostre Costituzioni e dai standard europei. (2) Più di 1,2 milioni di famiglie saranno colpite, poiché il RDC sarà abolito a partire dal 31 dicembre. A ciò si aggiungono milioni di precari e lavoratori poveri e le loro famiglie. (Nota aggiunta: i RDC in Calabria erano attorno ai 83 000 nel 2022; un bel disastro in prospettiva, almeno se non si organizzano facendo rete regionale e nazionale per difendere i loro diritti costituzionali.)

Un effetto perverso di questa esclusione è quello di aggravare la violazione del diritto alla dignità dei cittadini, privandoli del diritto democratico di essere ascoltati dai membri eletti di cui pagano lo stipendio. Ciò può essere concepito solo come un taciuto incitamento alla violenza, volto a criminalizzare gli esclusi che cercano di far sentire la propria voce. Nella mia città natale, San Giovanni in Fiore, ad esempio, un gruppo di disoccupati abbandonati da tutti, auto-nominati “I Disperati”, ha cercato per mesi di spiegare la propria situazione alle autorità elette della città, senza alcun risultato. Questi cittadini chiedono disperatamente lavoro, non i soliti programmi di assistenza indegni che non possono garantire alcun sostentamento dignitoso. Il sindaco della città, che inverosimilmente è propensa ad accumulare mandati importanti e ben pagati – una giornata ha 24 ore per tutti noi – li ignora puntigliosamente e blinda addirittura i consigli comunali per impedire loro di farsi sentire in modo democratico (3). Sembra – ma non ero presente – che sia stata intercettata e che gli siano state poste alcune domande il 10 ottobre 2023 mentre saliva sulla sua auto. Certo, ogni atto intimidatorio è da condannare, anche se in Italia il parlare a voce alta difficilmente può essere considerato tale, ma ignorare i cittadini rimasti indietro e sostenere che per cercare lavoro basta rivolgersi all’ufficio del lavoro di Cosenza non fa altro che aggiungere al danno la beffa e alla spudorata incompetenza istituzionale. La giustizia certamente chiarirà le cose con la dovuta imparzialità. Resta il fatto che impedire ai cittadini di esprimersi democraticamente non è suscettibile di mantenere l’ordine pubblico; costituisce addirittura un abuso d’ufficio. (4)

La responsabilità sistemica delle autorità e la flagrante violazione dei diritti umani e sociali non possono essere ignorate facendo leva sulla criminalizzazione dei cittadini esclusi e lasciati indietro né sul coro stantio e prevedibile dei benefattori indignati e delle vergini offese che creano o accompagnano questo processo barbarico. Quasi tutti questi cittadini lasciati indietro affermano consapevolmente di essere pacifici anche se determinati. Vogliono semplicemente essere ascoltati, che è un loro diritto costituzionale. La Corte di Cassazione ha recentemente sottolineato che nulla, nemmeno il processo negoziale “sindacale” tutelato dall’articolo 39 della Costituzione, può rimettere in discussione l’Articolo 36, che così recita:

« Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge.

Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. »

Questo Articolo deve essere letto alla luce, tra altri, dell’Articolo 1 “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, dell’Articolo 2 che garantisce la dignità umana e i diritti sociali, e dell’Articolo 3 che garantisce la solidarietà nazionale e l’intervento dello Stato per assicurare questi diritti fondamentali. La Costituzione e le norme europee destinate a contrastare la povertà assoluta e relativa e la disoccupazione endemica sono le uniche barriere rimaste contro il ritorno della barbarie (5).

Nel contesto di questa deriva sistemica a-democratica e asociale, la Commissione deve anche tenere conto della NADEF. Il governo italiano continua la sua cattiva gestione fiscale aggravando i suoi deficit. (Nota aggiuntiva: Il disastro dello Superbonus 110% e il suo trattamento contabile attuale, come pure la cosiddetta politica dei « ristori », la dicono lungo sopra questa gestione. Secondo il FMI, solo per il 2020 durante la crisi artificiale del Covid, i Stati avanzati hanno speso oltre 16 % del PIL con un moltiplicatore fiscale di 0,06. Risulta che 66% dei fondi sono andati alle imprese che non né avevano bisogno dunque ai profitti e dividendi. Il debito pubblico risultante pero deve essere rimborsato da tutti i contribuenti-lavoratori. Se veda: http://rivincitasociale.altervista.org/societa-dei-ristori-lockdown-permanenti-nuova-domesticita-nuova-schiavitu-pericolose-terapie-genetiche-pork-barrel-ricovery-fund-23-gennaio-2021/ Si veda pure: http://rivincitasociale.altervista.org/le-multiplicateur-economique-marginaliste-logique-et-histoire-4-mai-16-juin-2023/ )

Infatti, il governo è impegnato a svuotare al più presto le casse dello Stato per puro clientelismo e incompetenza, mentre si prepara a cedere le redini del paese all’organizzazione finanziaria privata conosciuta come MES, che non rende conto a nessuno e che alcuni hanno erroneamente soprannominato FMI europeo, il quale pero rimane una organizzazione inter-nazionale. (6) In ogni caso, l’Italia non sarà più in grado di rispettare i Criteri di Maastricht, per non parlare del disastro annunciato dal previsto ritorno già il 1° gennaio 2023 al Fiscal Compact, o almeno al suo rovinoso sentiero di consolidamento fiscale. Per quanto ci riguarda, il governo italiano, di fatto in bancarotta, sta approfittando dell’autocompiacimento europeo per accelerare il ritmo della spesa fiscale acostituzionale – ulteriore inutile taglio al cuneo fiscale – e della flat tax, rovinando così la fiscalità generale già evanescente del Paese. Per nascondere questa orrenda tenuta dei conti nazionali, i fondi del PNRR, per natura transitori, vengono utilizzati per un programma di assistenza sociale indegno di questo nome anche se costituzionalmente dovuto. Ma questi fondi non saranno più disponibili dal 1° gennaio 2027 in poi. Cosa accadrà allora, con la fiscalità generale dello Stato a pezzi?

Per misurare questa negligenza e incompetenza, ormai sistemica e trasversale, basterà ricordare che l’Italia ha dovuto restituire circa 38 miliardi di euro di fondi strutturali europei non utilizzati nel periodo 2014-2020; per la Calabria si tratta di quasi 1 miliardo di euro sui 2,2 disponibili! Basti aggiungere che l’Italia si limita a tradurre meccanicamente le direttive senza adattarle al contesto nazionale e regionale, contribuendo così allo sperpero incompetente e clientelare dei fondi disponibili. Ho già sottolineato l’inadeguatezza dell’attuale sistema di formazione professionale senza una politica di follow-up che porti effettivamente all’occupazione, e quindi alla priorità data alla creazione di posti di lavoro. Questo soprattutto in una regione come la Calabria dove il tasso di occupazione ufficiale dell’OIL è solo del 40% circa. L’unica cosa che si sta creando è una costosa attività di pseudo-formazione, con l’ulteriore vantaggio di un clientelismo burocratico radicato (8). (Nota aggiuntiva: La busta paga – « reddito globale netto » dei focolari – comporta normalmente il salario netto, il salario differito e le tasse; pagando il primo con il secondo con il taglio al cuneo fiscale ecc., distrugge il finanziamento della Previdenza e dell’Assistenza sociali, rimandandone il peso sulla fiscalità generale, la quale diventa rapidamente evanescente dato che i precari e gli assistiti non ricevano abbastanza per pagare i contributi sociali oppure molte tasse, a parte le tasse più regressive sul consumo. Si crea così un distruttivo cerchio vizioso.)

L’Italia ormai è un Paese talmente corrotto che, senza l’intervento della Commissione, dovremo dire, come Dante, “Abbandonate ogni speranza voi ch’entrate”.

Dato il disprezzo attivo e trasversale della Costituzione, in particolare dei diritti sociali fondamentali che sancisce, da parte dell’attuale classe dirigente, gli Italiani contano sulla decisa azione correttiva della Commissione,

Cordiali saluti,

Prof. Paolo De Marco

Notes:

1 ) Supporto per la formazione e il lavoro, https://www.lavoro.gov.it/temi-e-priorita/decreto-lavoro/pagine/supporto-formazione-e-lavoro

2 ) Garanzia di occupabilità dei lavoratori – Gol, https://www.anpal.gov.it/programma-gol

3 ) Si veda il consiglio comunale del 28 settembre 2023: “San Giovanni in Fiore. La “regina” chiude le porte del Consiglio e caccia i disoccupati del Comune”, Da Iacchite , 28 Settembre 2023 https://www.iacchite.blog/san-giovanni-in-fiore-la-regina-chiude-le-porte-del-consiglio-e-caccia-i-disoccupati-del-comune/

Questa attitudine altamente anti-democratica e costituzionalmente reprensibile è diventata moneta corrente in modo politicamente trasversale, si veda la Categoria Comitato Cittadino per il Lavoro Dignitoso in http://rivincitasociale.altervista.org/category/comitato-cittadino-per-il-lavoro-dignitoso/. Lo Stato italiano è pienamente complice con questo metodo poliziesco-mafioso di assicurare il controllo sociale e politico del territorio; perciò non esita a macchiare la reputazione delle poche persone oneste e senza compromessi che ancora rimangono sul territorio, si veda la Categoria Totalitarismo italiano in http://rivincitasociale.altervista.org/category/totalitarismo-italiano/?doing_wp_cron=1697021014.6978321075439453125000

4 ) « San Giovanni in Fiore, intimidita la sindaca Succurro: «Due carabinieri hanno evitato il peggio» », « Ho querelato i facinorosi che hanno colpito a pugni la mia macchina, dopo avermi accerchiato per intimorirmi». La solidarietà delle istituzioni», Published on: 10/10/2023, https://www.corrieredellacalabria.it/2023/10/10/san-giovanni-in-fiore-intimidita-la-sindaca-succurro-due-carabinieri-hanno-evitato-il-peggio/

5 ) « Cassazione: retribuzione equa ex art. 36 della retribuzione », Pubblicato il 4 Ott 2023, https://www.dottrinalavoro.it/notizie-c/cassazione-retribuzione-equa-ex-art-36-della-retribuzione#:~:text=Con%20sentenza%20n.%2027711%20del%202%20ottobre%202023%2C,contratto%20collettivo%20stipulato%20dalle%20associazioni%20sindacali%20pi%C3%B9%20rappresentative.

6 ) Si veda « Lavoro dignitoso, basta con sussidi reddito ristori e assegni vari », 2 agosto 2023/ in http://rivincitasociale.altervista.org/lavoro-dignitoso-basta-con-sussidi-reddito-ristori-e-assegni-vari-2-agosto-2023/

7 ) « Fondi UE: Regione non riesce a spenderli, Tavernise «tornano indietro 940 milioni di euro» », Il capogruppo in Consiglio regionale del M5S « ci troviamo di fronte ad un classe dirigente, regionale e nazionale, che ogni giorno contraddice se stessa »

Scritto da S.G. 28/04/2023, https://www.quicosenza.it/news/calabria/fondi-ue-regione-non-riesce-a-spenderli-tavernise-tornano-indietro-940-milioni-di-euro

8 ) Si veda: « Corsi formazione senza verifica miliardo sprecato anno » in http://rivincitasociale.altervista.org/corsi-formazione-senza-verifica-miliardo-sprecato-anno/